Ginsborg Paul, Storia d`Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e

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Ginsborg Paul, Storia d`Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e
Ginsborg Paul, Storia d'Italia dal dopoguerra ad oggi. Società e politica 1943-88, Torino, Einaudi,
1989, Cap. II “Resistenza e liberazione”, p. 47-91.
Gli Alleati:
Le posizioni divergenti di inglesi e americani nei confronti dell’Italia e della Resistenza
p. 48
Churchill era stato in passato un ammiratore di Mussolini e aveva elogiato, persino dopo il 1945, il
modo in cui questi «aveva salvato il popolo italiano dal bolscevismo a cui si stava abbandonando nel 1919,
mettendo l'Italia in una posizione che essa non aveva mai avuto all'interno dell'Europa». Il primo ministro
inglese si era molto rammaricato che il Duce avesse scelto l'alleato sbagliato: «non capì mai la forza della
Gran Bretagna, né le sue capacità di resistenza e la sua forza marittima. Per questo procedette verso la rovina
».
...
Dietro il disprezzo si nascondeva un'intenzione fortemente punitiva. Churchill ritenne sempre che
spettava agli italiani, adesso, « guadagnarsi il loro biglietto di ritorno » nel consesso delle nazioni civili
del mondo. E non era certo compito degli inglesi aiutare l'Italia su questa strada.
p. 49
I limiti della politica britannica furono chiaramente evidenziati dal diverso atteggiamento americano.
Anche gli americani persero migliaia di uomini nella battaglia per l'Italia, soprattutto durante quell'autentíco
incubo che fu lo sbarco di Anzio. Sui principali problemi, tuttavia, la loro posizione era di gran lunga meno
prevenuta di quella inglese. Essi rifiutarono di considerare il re e Badoglio come i soli rappresentanti
dell'intero popolo italiano e trattarono gli antifascisti del CLN con una certa considerazione; ma
soprattutto compresero che la rapida crescita dei comunisti italiani, che irritava tanto Churchill, non
andava del tutto separata dalle disperate condizioni di vita che prevalevano nella nazione. Nel giugno
1944, a Washington, Henry Morgenthau jr dette voce a questa crescente preoccupazione americana ...
p. 50
...
Mentre gli Alleati avanzavano lentamente verso il nord della penisola, un problema cominciò a
preoccuparli con sempre maggiore forza: quello della Resistenza. All'inizio essi avevano prestato scarsa
attenzione al fenomeno, invitando i partigiani italiani a limitarsi prevalentemente ad atti di sabotaggio. Ma
quando il numero delle brigate partigiane aumentò e divenne chiaro il ruolo sempre più importante svolto
dai comunisti gli Alleati, soprattutto gli inglesi, si impensierirono. La costituzione di un grande esercito
partigiano, dominato da un'ideologia di sinistra, rappresentava infatti una esplicita minaccia all'egemonia
conservatrice che i britannici intendeva no esercitare sull'intero processo di liberazione.
p. 53
I Comunisti
Nel marzo 1944 Palmiro Togliatti, capo del Partito comunista italiano, ritornò in Italia da Mosca. Figlio di
una maestra di scuola e di un impiegato, aveva allora 5 1 anni; era stato con Gramsci a Torino durante il
biennio rosso ed era stato uno dei fondatori del partito nel 192 1. Rifugiatosi in Russia dopo la vittoria del
fascismo, era presto salito d'importanza fino a diventare vice-segretario generale del Comintern. Astuto
prudente, colto e altezzoso, possedeva una innata capacità di sopravvivere a tutte le tempeste politiche...
...
La svolta di Salerno
p. 52
Appena giunto a Salerno Togliatti delineò ai suoi compagni la strategia che voleva veder adottata dal partito
nel prossimo futuro, suscitando un certo stupore e qualche opposizione. I comunisti, egli sostenne, dovevano
sospendere la loro ostilità più volte manifestata verso la corona. Essi dovevano anzi convincere tutte le forze
antifasciste a entrare immediatamente nel governo monarchico che controllava adesso tutta l'Italia a sud di
Salerno. Entrare nel governo, argomentò Togliatti, era il primo gradino verso la realizzazione del principale
obiettivo politico di quel momento: l'unità nazionale contro nazisti e fascisti. Lo scopo dei comunisti non
doveva essere una rivoluzione socialista, ma la liberazione dell'Italia, e Togliatti lo disse esplicitamente nelle
istruzioni al partito che scrisse nel giugno 1944:
Ricordarsi sempre che l'insurrezione che noi vogliamo non ha lo scopo d'imporre trasformazioni sociali e
politiche in senso socialista o comunista, ma ha come scopo la liberazione nazionale e la distruzione del
fascismo. ...
Quest'ultima frase rivelava l'impegno di Togliatti a ristabilire in Italia la democrazia parlamentare.
Diversamente da Tito, egli non aveva intenzione di porre la dittatura del proletariato come obiettivo
immediato per il suo partito. Ma non voleva neppure una semplice restaurazione del regime parlamentare sul
modello prefascista. Si trattava di lottare per quella che chiamò « democrazia progressiva ». Il significato
preciso di questa espressione rimase volutamente vago, impenetrabile
p. 53-54
I punti cardinali della strategia comunista erano dunque l'unità nazionale, la democrazia progressiva, una
durevole coalizione dei partiti di massa. Nel cercare di spiegare questa scelta è importante non esagerare
l'originalità o l'autonomia di quella che è stata chiamata «la svolta di Salerno». La formulazione di Togliatti
era in realtà largamente allineata con le tesi adottate dal settimo congresso del Comintern nel luglio 1935.
Sulla scia della distruzione del movimento operaio te
desco operata da Hitler, il settimo congresso aveva abbandonato la precedente, disastrosa linea politica che
denunciava i partiti socialdemocratici come «socialfascisti». Esso aveva invece proposto la creazione di
governi di fronte popolare, basati sull'alleanza di tutti i partiti democratici per combattere la minaccia
fascista. Questa era la politica perseguita in Spagna dai comunisti, e il programma di Togliatti ne era la
logica applicazione alla realtà italiana.
...
p. 55
L’eredità di Gramsci
...
In sintesi Gramsci riteneva che in questa parte d'Europa i rapporti tra Stato società civile si articolassero in
modo diverso rispetto ai paesi europei più orientali, e concludeva pertanto che i rivoluzionari occidentali
dovevano adottare una strategia diversa da quella usata dai bolscevichi nella rivoluzione russa: " In Oriente
lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell'Occidente tra Stato e società civile c'era
un giusto rapporto e si scorgeva subito una robusta struttura della società civile ».
In occidente, quindi, ogni assalto allo Stato, ogni «guerra di movimento» era destinata a fallire. I
comunisti occidentali dovevano invece perseguire dapprima una lunga «guerra di posizione » nella società
civile., una lotta prolungata che avrebbe richiesto infinita pazi enza e tenacia. In questa «guerra di posizione
» la classe operaia avrebbe imposto progressivamente su tutti i settori della società la propria egemonia, la
propria direzione morale, politica e culturale. Essa doveva dunque creare un « blocco storico » di forze
sociali da contrapporre a quello della classe capitalista. Doveva, per dirla nel modo piú semplice, prepararsi
per il potere.
Togliatti e il PCI come partito di massa
p. 57
L'adattamento togliattiano delle tesi di Gramsci raggiunse probabilmente il successo più pieno sul terreno
decisivo del partito. Fin dall'inizio Togliatti enfatizzò la necessità di trasformare il Partito comunista da un
piccolo gruppo di avanguardia in un partito di massa radicato nella società civile. Durante i tumultuosi mesi
del 1945, quando furono letteralmente centinaia di migliaia gli italiani che si iscrissero al partito, lo slogan
della campagna di reclutamento era stato «una sezione per ogni campanile.
...
p. 58
L'insistenza comunista sull'unità nazionale si dimostrò inoltre di incalcolabile aiuto per la lotta partigiana. In
un momento in cui l'efficienza di molti movimenti nazionali di Resistenza era seriamente indebolita per via
delle divisioni politiche interne, il contributo unitario dei comunisti non può venire sottovalutato. Nel breve
periodo, la decisione di Togliatti di entrare nel governo Badoglio pose fine all'isolamento politico e
all'impotenza delle forze antífascíste del Chi. Quella di Togliatti era un'iniziativa politica nel vero senso della
parola, dal momento che pose il Partito comunista al centro della scena politica e costrinse tutti gli altri ad
agire di conseguenza'. La sua strategia assicurò al Pci la legalità, creò le condizioni in cui poté essere
costruito il partito di massa, permise ai comunisti di occupare durante gli anni di guerra alcuni
ministerichiave come quello dell'Agricoltura.
...
La D.C.
p. 60
Confrontato con quello degli Alleati o dei comunisti, il ruolo della Democrazia cristiana nel periodo 1943-45
fu certamente secondario. La Dc ebbe una piccola parte nella Resistenza e spesso una presenza solo
simbolica all'interno dei Comitati di liberazione nazionale. Molti dei fondamenti della sua successiva
supremazia, comunque, vanno ricercati in questo periodo: l'appoggio del Vaticano, l'apparizione di un
dirigente di rilievo come Alcide De Gasperi, un crescente consenso presso tutti gli strati della società
italiana. La Democrazia Cristiana venne fondata a Milano nel settembre 1942 nella casa del magnate
dell'acciaio Enrico Falck. Il precedente partito cattolico di massa, il Partito popolare, aveva cessato di
esistere nel 1926, ucciso dai dissensi interni, dalla repressione fascista, dalla decisione papale di aprire il
dialogo con Mussolini., Il gruppo fondatore della Dc era composto da pochi dirigenti del vecchio partito
popolare e da un gruppo di cattolici antifascisti guidati da Pietro Malvestiti. A loro si sarebbero presto uniti i
giovani militanti dell'Associazione laureati cattolici, in cui militavano Aldo Moro e Giulio Andreotti. I primi
programmi della Dc si basavano su un richiamo a quei valori cristiani che potevano riconciliare
l'antagonismo umano ...
...
De Gasperi e il suo anticomunismo organico
p. 61
Alcide De Gasperi, che nel 1943 aveva 62anni, era stato l'ultimo segretario del Partito popolare. Di origine
trentina, aveva studiato all'Università di Vienna e prima della guerra del '15 -18 era stato deputato cattolico al
parlamento austroungarico. Quando nel 1926 Mussolini si sbarazzò di tutte le opposizioni. De Gasperi non
cercò di opporsi attivamente al fascismo, ma rimase ugualmente colpito dalla sua violenza. Dapprima fu
sequestrato in Valsugana da una squadraccia nera che lo sottopose a un finto processo prima di lasciarlo
andare; nel 1927 venne poi condannato a quattro anni dallo stato fascista e passò in prigione sedici mesi.
p. 61
Durante gli anni '3o De Gasperi fu bibliotecario in Vaticano, e in questo periodo tenne una rubrica periodica
in una rivista vaticana chiamata «L'illustrazione vaticana». L'analisi compiuta da Forcella su questi articoli
ci mostra con quanta intensità De Gasperi si sentisse personalmente coinvolto nella battaglia politica che
aveva luogo a quel tempo tra cristianesimo e comunismo. Egli giustificò, ad esempio, la caduta della
democrazia in Austria sulla base del fatto che i socialdemocratici austriaci «scristianizzavano e
fanatizzavano la gioventù e si valevano del potere politico per distruggere la famiglia e soffocare la fede ».
Secondo De Gasperi la chiesa tedesca aveva fatto bene, nel 1937, ad appoggiare il nazismo nella sua lotta
contro il bolscevismo. 3.
Dal 1943 in avanti questi atteggiamenti furono controbilanciati dal suo sincero antifascismo e dalla sua
costante adesione alla democrazia parlamentare. Il suo anticomunismo organico, tuttavia non fu mai
abbandonato; al massimo fu sospeso. Durante la lotta di liberazione, quando il suo partito era ancora agli
inizi ed i comunisti predominavano nelle fabbriche e nella Resistenza, De Gasperí vide i vantaggi e la
necessità di una cooperazione, ma considerò sempre questa collaborazione come un rapporto innaturale e
una coabitazione forzata, e non una alleanza duratura, come avrebbe voluto Togliatti.
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Le aspettative di Pio XII e della Chiesa. L’appoggio alla D.C.
p. 62-63
Dal 1943 in avanti Pio XII doveva mutare atteggiamento. In un'Italia invasa e sconvolta, il papato fu
costretto a riflettere sulle future relazioni tra Chiesa e Stato: innanzitutto occorreva salvaguardare i Patti
Lateranensi. Dapprima Pio XII pensò a una ripetizione della Spagna di Franco, cioè a un regime cattolico
forte e autoritario. Mari mano che crebbe il potere della Resistenza e dei partiti democraticità, il Vaticano si
mosse, con cautela e non senza timori, verso la Democrazia Cristiana di De Gasperi.
L'appoggio della Santa Sede, che data dalla liberazione di Roma nell'estate del 1944, trasformò la Dc da un
laboratorio di discussione in un partito di massa. L'Azione cattolica spostò i suoi trecentomila membri a
fianco del nuovo partito, mentre contemporaneamente si richiese al clero parrocchiale dì parlare apertamente
a favore della Dc. In un paese in cui gran parte della cultura e del costume popolare era indissolubilmente
legata alla Chiesa cattolica, l'aperta adozione della causa democristiana da parte vaticana contribuì
enormemente al definitivo successo politico di De Gasperi.
I fiancheggiatori della D.C.: le Acli, la Coldiretti e alcuni settori del capitalismo italiano
Un altro grosso o contributo venne alla Dc dalle varie organizzazioni fiancheggiatrici create allo scopo di
radicare il nuovo partito nella società italiana. La píú importante tra queste fu la Coldiretti, l'associazione
cattolica dei coltivatori proprietari fondata da Paolo Bonomi nell'ottobre 1944. L'associazione sfruttò
abilmente la tradizionale ostilità del contadino meridionale verso lo Stato, e lo avvisò che sotto un regime
comunista tutta la terra sarebbe stata immediatamente nazionalizzata. In un momento in cui l'atteggiamento
del Pci rimaneva ambiguo, Bonomi organizzò il reclutamento con grande energia: alla fine del 1944 la
Coldiretti aveva 349 sezioni, e circa 3000 un anno dopo. Anche la fondazione delle Acli, l'associazione dei
lavoratori cattolici, risale a questo periodo. Concepite come una rete di circoli operai cattolici, le Acli si
diffusero dapprima piú lentamente della Coldiretti, ma conobbero un grande slancio dal 1946 in poi.
Nello stesso periodo in cui la Dc iniziava a radicarsi tra i contadini e gli operai, alcuni settori del capitalismo
cominciavano a guardare a lei come al partito del futuro. Non si trattò certamente di un processo lineare.
Erano stati i liberali, e non i popolari, il partito tradizionale dei grandi industriali, è la Dc doveva ancora
dimostrare di essere la genuina rappresentante degli interessi del capitale. Alcuni personaggi di primo piano,
tuttavia, avevano già deciso di unire la propria sorte a quella di De Gasperi. Un esempio significativo è
quello di Giuseppe Volpi, che intrecciava nella sua persona i tre mondi del capitale: finanziario, industriale e
agrario. Volpi era un proprietario terriero veneziano, presidente dal 1938 delle Assicurazioni Generali, una
delle piú grosse compagnie del settore; egli deteneva inoltre importanti posizioni nell'industria chimica ed
elettrica. Dopo avere occupato incarichi di rilievo nello stato fascista, nell'estate 1943 si era giudiziosamente
dimesso da ogni mansione, dando poi venti milioni di lire a diverse organizzazioni della Resistenza nel
1944-45. Il suo contatto con esse era rappresentato da Pietro Mentasti, uno degli «uomini nuovo della D.C.
I partiti e la politica nell'estate del 1944
p. 66
Il 22 parile 1944, i rappresentanti dei partiti nel Cln, eccetto quelli del Partito d'Azione, entrrono nel governo
Badoglio e giurarono fedeltà al re seguendo cosí il suggerimento di Togliatti. Quest ultimo ene uno dei
cinque ministri senza portafoglio. Alcuni giorni prima una delegazione alleata aveva detto a Vittorio
Emanuele che sarebbe stato meglio per il futuro della monarchia se egli avesse garbatamente abdicato in
favore di suo figlio Umberto . Vittorio Emanuele si recò quindi alla radio e disse alla nazione che si sarebbe
ritirato a vita privata (ma non avrebbe abdicato) il giorno della liberazione di Roma.
Dopo la lunga resistenza tedesca a Monte Cassino, gli eserciti alleati entrarono finalmente a Roma il 4
giugno 1944. Roma, diversamente da quasi tutte le altre più importanti città italiane, non tentò di insorgere
prima dell'arrivo alleato. Una delle ragioni più importanti va ricercata nel terribile massacro che i tedeschi
avevano compiuto alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. Dopo un agguato di una pattuglia del Gap romano
che aveva fatto saltare in aria 32 soldati tedeschi, i nazisti uccisero per rappresaglia 335 prigionieri. La
resistenza romana non riuscì a riaversi da questo colpo.
Con la liberazione di Roma cambiò anche il governo. A prima vista, questo costituì una significativa vittoria
dei partiti democratici . Il CLN costrinse Umberto, diventato luogotenente plenipotenziario del regno con il
ritiro del padre, a mettere Ivanoe Bonomi al posto di Badoglio come primo ministro Bonomi (da non
confondersi con il fondatore della Coldiretti, Paolo Bonomi) era il presidente del CIn centrale, ed era un
vecchio antifascista liberale. Churchill divenne completamente furioso quando venne a sapere di questa
iniziativa indipendente del CIn. Irritato da «questa banda estremamente sleale di ex fuorusciti politici, non
eletti da nessuno », ottenne il consenso specifico di Stalin per sostituire il governo appena se ne presentasse
la necessità.
...
p. 67
...
Con la liberazione della capitale Bonomi riuscí a mettere nuovamente in funzione l'estesa e ingombrante
amministrazione centrale, senza cambiarne il carattere e senza epurare il personale. La burocrazia centrale,
un formidabile baluardo contro le future riforme, fu ricostituita quasi senza una protesta da parte dei partiti
di sinistra.
Questi concentrarono invece tutta la loro attenzione sulla questione istituzionale, sui
meccanismi della futura scelta tra repubblica e monarchia. In questo modo essi scambiarono la forma per la
sostanza, mentre l'effettiva restaurazione si stava compiendo sotto i loro occhi.
...
Il CLN e il ruolo del PCI. Le repubbliche partigiane e la feroce repressione tedesca in Toscana e in Emilia
p. 68
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In generale si può concludere che le ragioni dell'egemonia comunista sulla sinistra risiedevano in egual
misura nei
Propri meriti e nelle debolezze dei loro oppositori. Il Pci traeva beneficio dal suo ragguardevole passato
diresistenza al regime fascista, ma ancor più dall'essere il rappresentante italiano della Russia comunista. Il
carisma sovietico di questo periodo non può essere sottovalutato. Decine di migliaia di lavoratori italiani
vedevano nella Russia un modello e nell'Armata Rossa un fattore determinante per l'avvento del comunismo.
Stalín era un eroe della classe operaia e Togliatti il suo fidato emissario in Italia.
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p. 69
In alcune zone dove avevano ottenuto un controllo completo, i partigiani instaurarono delle proprie «
repubbliche »: quella della Carnia nel nord-est, con 150 mila abitanti; quella di Montefiorino negli
Appennini centrali, con 50 mila abitanti; quella dell'Ossola nell'estremo nord, con 70 mila. In tutte queste
repubbliche i CLN locali combinarono un ritorno ai principi formali della democrazia con caute politiche
economiche e sociali. Si parlò molto, ad esempio, di istituire una tassazione ione progressiva della ricchezza,
ma si realizzò assai poco. Parte del motivo risiede nel carattere rurale delle zone liberate, perlopiù abitate da
contadini-proprietari attaccati ai valori tradizionali. Ma la maggior parte della cautela va ascritta alle scelte
dei comunisti. L'enfasi da loro posta sul mantenimento dell'unità nazionale significava necessariamente uno
slittamento del programma di riforme sociali. I comunisti sostennero che se un ricco proprietario aiutava
finanziariamente la Resistenza non doveva essere minacciato di esproprio.
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p. 70-71
Dietro le fortificazioni tedesche della linea gotica, che tenevano in scacco gli Alleati nell'Italia centrale, la
lotta partigiana continuava con grande animosità. Si era sparsa l'attesa d'una generale insurrezione del Nord,
1 braccianti emiliani tradizionalmente alla testa della protesta contadina in Italia, rifiutarono qualsiasi aiuto
alle forze di occupazione e condussero una lotta al tempo stesso antitedesca e antipadronale. La repressione
nazista in Toscana e in Emilia fu incredibilmente selvaggia: il battaglione delle SS comandato dal maggiore
Walter Reder sterminò interi villaggi. La «marcia della morte » di Reder cominciò il 12 agosto a Sant'Anna
di Stazzema, dove furono massacrati 560 tra uomini, donne e bambini, ed ebbe termine il io ottobre a
Marzabotto, che perse 1836 dei propri abitanti'.
Alla fine di agosto gli Alleati lanciarono una grande offensiva contro la linea gotica, cercando di liberare la
Valle padana e di raggiungere i Balcani prima dei russi. La loro avanzata si arenò nel fango della Romagna
di fronte alla tenace resistenza tedesca. A metà ottobre Kesserling si sentì così fiducioso da lanciare una
grossa controffensiva contro le brigate partigiane. Tutte le speranze di una imminente liberazione dell'Italia
settentrionale svanirono. Le repubbliche partigiane caddero una ad una, e la Resistenza dovette fronteggiare
la prova píú severa quando le truppe tedesche si riversarono nelle vallate e nelle colline del Piemonte e del
Veneto.
Il messaggio del generale Alexander e gli effetti nel clima italiano. I Protocolli di Roma e la sconfitta
del “vento del Nord”.
Fu questo il momento scelto dal generale Alexander, comandante in capo delle forze alleate, per annunciare
con un radiomessaggio pubblico che non bisognava attendersi una ulteriore offensiva alleata fino alla
primavera e che fino a quel momento i partigiani avrebbero fatto meglio a nascondersi. Le interpretazioni di
questo famoso e infelice messaggio sono state considerevolmente diverse. Quelle meglio disposte nei
confronti di Alexander hanno negato che egli intendesse rendere la vita piú difficile alla Resistenza, mentre
ammettono che sottovalutò l'impatto psicologico del suo annuncio sui partigiani e sui loro nemici. Quelle
piú sospettose delle intenzioni britanniche sottolineano il contesto internazionale come chiave di lettura del
comportamento di Alexander. 1 sovietici avevano recentemente permesso che «l'opposizione interna»
dell'insurrezione di Varsavia venisse annientata dai nazisti e avevano effettivamente impedito agli Alleati di
mandare aiuti. Il comportamento alleato in Italia, secondo questa interpretazione, rappresentava una
implicita ritorsione secondo il principio dell'occhio per occhio. La Resistenza doveva essere liquidata
durante l'inverno e gli Alleati non avrebbero piú avuto la preoccupazione politica d'un movimento di massa
di sinistra nel Nord.
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p. 73
Gli Alleati non riconobbero ufficialmente il Clnai, ma i partigiani si videro accordare una certa
responsabilità, diventando gli esecutori degli ordini del Supremo Comando Alleato. In cambio i dirigenti
della Resistenza fecero parecchie concessioni, Essi promisero che al momento della liberazione -avrebbero
obbedito senza discutere al comandante in capo alleato e avrebbero trasmesso al Governo Militare Alleato
«tutta l'autorità e i poteri di governo locale precedentemente assunti». Le unità partigiane avrebbero dovuto
essere smobilitate immediatamente e tutte le armi consegnate agli Alleati. Infine un generale di carriera
dell'esercito italiano, il generale Cadorna, avrebbe dovuto assumere da quel momento il comando militare
supremo nel settentrione.
I Protocolli di Roma segnarono una sostanziale sconfitta della Resistenza. Anche ammettendo la situazione
militare avversa e il pressante bisogno di aiuti finanziari, è difficile sostenere che il momento e i contenuti
dell'accordo servissero ai propositi di lungo periodo del CLNai. Gli Alleati non avevano riconosciuto il
CLNai se non in senso formalmente militare, e certamente non in quanto governo del Nord occupato, che
era stato il coerente obiettivo dell'ala sinistra della Resistenza. Tutte le possibilità di negoziare da una
posizione di forza al momento della liberazione sembravano adesso svanire: sarebbe stato assai meglio,
come ha sostenuto Quazza, attendere fino alla primavera prima di aprire trattative di carattere cosí vitale.
All'epoca vi furono forti proteste dall'interno del movimento partigiano. Il socialista Sandro Pertini denunciò
i Protocolli come «la sottomissione della Resistenza alla politica inglese ». Non sbagliava, poiché gli accordi
di Roma costituirono un momento importante in quella lunga sequela di eventi che rese impotente il “vento
del nord”.
Gli inglesi erano giustamente soddisfatti. La situazione greca, che proprio in questo periodo stava
raggiungendo il culmine, dominava e condizionava il loro modo di pensare rispetto all'Italia.
...
La situazione del Sud, 1944-45.
p. 75-76
Gli avvenimenti nel Sud, per quanto non così bene conosciuti come quelli del Nord, furono quasi altrettanto
drammatici. Le élites urbane e terriere meridionali non scelsero subito la Democrazia cristiana come partito
che le rappresentasse. Monarchici e liberali godevano ancora di un loro notevole appoggio, così come i
separatisti in Sicilia.
Il Mis (Movimento per l'indipendenza siciliana) era stato fondato da Andrea Finocchiaro Aprile e sembrò
inizialmente appoggiato dagli Alleati, che scelsero come sindaco di Palermo un grande proprietario terriero
ben conosciuto per le sue idee separatiste, Lucio Tasca. L'appello del separatismo alla ne dello sfruttamento
della Sicilia da parte del continente» e parecchi proseliti, non solo tra i piccoli coltivatori diretti.
Tuttavia la scena politica meridionale veniva dominata in misura crescente dalla Dc, a cui la Chiesa stava
offrendo un appoggio politico sempre piú convinto. In Sicilia fu di grande aiuto alla causa democristiana il
comportamento di Salvatore Aldisio, nominato alto commissario per l'isola nel luglio 1944. Utilizzando
abilmente i vasti poteri conferitigli, Aldisio riuscì a staccare dal separatismo mafiosi e proprietari terrieri,
gettando così le basi per la supremazia democristiana nell'isola.
…
I principali aspetti del Regno del Sud continuarono ad essere la miseria e la repressione., Il 19 ottobre 1944,
a Palermo l'esercito aprì il fuoco e gettò bombe a mano contro una folla di operai comunali in sciopero e di
donne con i loro bambini che protestavano contro le ingiustizie e gli abusi nel sistema di razionamento.
...
Il progetto di riforma del Ministro Gullo
p. 77
Nell'autunno 1944 riprese forza un vasto e importante movimento di lotta nelle campagne. Occupazioni
spontanee delle terre ed esperienze locali di autogoverno confluirono in una protesta maggiormente
organizzata, che traeva la propria ispirazione dalla legislazione del ministro comunista dell'Agricoltura,
Fausto Gullo. Egli cercò, con una serie di decreti che vanno dal luglio 1944 in avanti, di spezzare l'equilibrio
esistente nei rapporti di classe del Meridione rurale. Da ottimo avvocato qual era, Gullo presentò le sue
proposte come una serie di provvedimenti contingenti di scarsa importanza. Eppure, in un momento tanto
delicato per la costruzione dell'Italia futura, fu questo in realtà il solo tentativo attuato dagli esponenti
governativi della sinistra di avanzare sulla via delle riforme.
La legislazione Gullo fu molto complessa, ma i suoi aspetti principali possono essere cosí riassuntí: riforma,
dei patti agrari, in modo da garantire ai contadini almeno il 50 per cento della produzione che andava divisa;
permesso di occupazione dei terreni incolti o mal coltivati rilasciato alle cooperative agricole di produzione;
indennità ai contadini per incoraggiarli a consegnare i loro prodotti ai magazzini statali, ribattezzati granai
del popolo; proroga di tutti i patti agrari per impedire ai proprietari di sbarazzarsi nell'anno successivo dei
loro fittavoli; proibizione per legge di ogni intermediario tra contadini e proprietari, cosí da eliminare nel
Mezzogiorno agricolo figure di mediazione come i malfamati gabellotti in Sicilia o i mercanti di campagna
nel Lazio.
In questa legislazione vi erano chiaramente degli aspetti utopistici, come l'abolizione dell'intermediazione
che appariva piuttosto improbabile all'infuori di una rivoluzione socialista.
p. 78
Mentre Gullo agiva attraverso decreti governativi, Giuseppe Di Vittorio, il dirigente comunista del
ricostituito sindacato nazionale, la Cgil (Confederazione generale italiana del lavoro), promuoveva una
solerte e lungimirante strategia- sindacale. La Cgil era rinata nel giugno 1944 con il Patto di Roma, firmato
da Di Vittorio per il Pci, Achille Grandi per la Dc ed Emilio Canevari per i socialisti. Il patto dava rilievo
all'unità di tutti i lavoratori italiani senza riguardo alle opinioni politiche e alle credenze religiose », e
costituí una significativa vittoria per la politica di cooperazione tra i partiti antifascisti. La Cgil concentrò la
sua attenzione, per quanto riguardava le campagne meridionali, sulla condizione dei braccianti, cercando di
imporre due politiche tra loro strettamente legate: l'imponibile di manodopera e il sistema di collocamento.
L'imponibile era un contratto che obbligava il proprietario terriero ad assumere un certo numero di braccianti
in modo rigidamente proporzionale alla estensione della sua proprietà. Il sistema del collocamento cercava
invece di regolare il modo in cui venivano reclutati i braccianti. Il venerando- rituale con cui i caporali dei
proprietari sceglievano ogni mattina sulla piazza i lavoratori da assumere veniva cosí proibito.
...
La fine di Mussolini
p. 87
All'inizio dell'insurrezione Mussolini era ancora in città il 25 aprile egli aveva ottenuto un incontro con i
dirigenti de CIn grazie alla mediazione del cardinale Schuster. Il Duce sperava ancora nella possibilità di
trovare un accordo, ma il CIn si pronunciò chiaramente per la resa incondizionata. Totalmente
demoralizzato, Mussolini lasciò Milano dirigendosi verso la frontiera svizzera: ormai era poco piú che un
prigioniero nelle mani delle SS che lo scortavano. Camuffato da soldato tedesco, egli raggiunse una colonna
motorizzata che si dirigeva verso nord, ma il mattino del 27 aprile il loro cammino fu bloccato a Dongo dalla
52 a Brigata Garibaldi. 1 partigiani insistettero nel perquisire la colonna prima di lasciarla proseguire,
riconobbero Mussolini e lo presero prigioniero. 1 capi della Resistenza, ignorando l'esplicita richiesta dei
comandanti alleati, ordinarono immediatamente la fucilazione di Mascolini. Il suo corpo, quello dell'amante
Claretta Petacci e quelli di altri capi fascisti furono poi appesi a testa in giú in Piazzale Loreto, la stessa
piazza di Milano in cui i fascisti avevario lasciato esposti i corpi dei 15 prigionieri politici l'estate
precedente. Dopo alcune ore il nuovo prefetto di Milano, Riccardo Lombardi ordinò di porre fine al macabro
spettacolo.
Entro il 1 maggio l'intera Italia settentrionale era stata liberata. Il carattere popolare e insurrezionale della
Liberazione, che lasciò una indelebile impressione nella memoria di chi vi aveva partecipato, fu accolto
quasi ovunque con entusiasmo, ma talvolta provocò acuti timori. Ci fu un terribile regolamento di conti, e
probabilmente 12 -15 mila persone vennero fucilate nel periodo immediatamente successivo.
...
Anche gli Alleati erano preoccupati. Il loro definitivo successo militare era stato facilitato dalle insurrezioni
cittadine, ma non gradirono il livello di indipendenza con cui avevano agito gli italiani.
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L'ultima cosa che i russi desideravano in un momento in cui gli Alleati erano pronti a penetrare nella
Germania, nell'Austria e nella Cecoslovacchia più profondamente di quanto era stato concordato, era
un'azione provocatoria di qualche partito comunista occidentale.
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Gli Alleati non ebbero difficoltà a portare a termine il piano stabilito con i Protocolli di Roma. La
popolazione del Nord li accolse con riconoscenza sincera, ed essi rimasero colpiti dal livello di ordine e di
normalità che si era stabilito prima del loro arrivo.
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Gli ufficiali di collegamento alleati organizzarono il più rapidamente possibile il disarmo delle brigate
partigiane.
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Da quel momento i tribunali militari alleati inflissero pesanti condanne a chiunque venisse trovato
illegalmente in possesso di armi…
La Resistenza: un bilancio
p. 90
La Resistenza italiana fu composta probabilmente da circa centomila membri attivi, se si escludono gli
adepti dell'ultima ora, e da parecchie migliaia di persone che dettero in qualche modo il loro aiuto. 1 morti
furono 35 mila, 21 mila i mutilati e 9000 i deportati in Germania: un numero di vittime assai superiore a
quello tipico di un periodo di guerra regolare. Dopo la guerra, la commissione inglese Hewitt arrivò alla
conclusione che «senza queste vittorie partigiane non ci sarebbe stata una vittoria alleata in Italia così rapida,
così schiacciante, così poco dispendiosa.
p. 91
Il sacrificio della Resistenza non fu vano. In un momento in cui gli italiani erano disprezzati e screditati per
il consenso e l'appoggio dato al regime mussoliniano, i partigiani fecero parecchio per ripulire l'offuscata
immagine dell'Italia e per dare agli italiani nuova fiducia in se stessi, riuscendo a costruire una duratura
tradizione antifascista. Questa eredità, di cui purtroppo abusò frequentemente la retorica ufficiale, fu di
fondamentale importanza almeno in due momenti della storia della Repubblica, nei primi anni '6o e all'inizio
degli anni Settanta.
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L'aspirazione della Resistenza a una forma di democrazia più diretta e socialmente giusta, un'aspirazione
condivisa dalla maggior parte dei socialisti, dei comunisti, degli azionisti, non sarebbe stata realizzata.
Malgrado il loro eroismo, le forze che negli anni 1943-45 lottarono per il cambiamento non riuscirono a
creare una così profonda rottura con il passato.