La via del latte, fra Trebiciano e Trieste

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La via del latte, fra Trebiciano e Trieste
La via del latte, fra Trebiciano e Trieste
Il percorso
La "via del latte" collegava la località di Trebiciano a Trieste e se ne ha notizia già dal XIV
secolo, quando veniva percorso da chi si recava a Trieste per lavoro o piccolo commercio.
L'aumento della popolazione nelle zone Carsiche immediatamente a ridosso del ciglione
sovrastante Trieste aveva visto il considerevole aumento delle attività legate all'allevamento
del bestiame, sia ovino che bovino, con conseguente produzione di lana, formaggio e latte, che
trovavano il loro naturale canale di distribuzione nella vicina città.
Dalla metà del XIX secolo il latte divenne uno fra i prodotti più trattati negli scambi
commerciali fra le località del Carso e Trieste e per il suo trasporto in città gli allevatori si
servivano delle donne, che percorrevano la via a piedi o, se più fortunate, a dorso d'asino.
L'uso del sentiero è andato via via diminuendo fino a cessare completamente alla metà degli
anni Quaranta del secolo scorso, sia perché la manutenzione delle strade principali consentiva
di utilizzare biciclette opportunamente attrezzate, sia perché venne istituito un servizio di
trasporto pubblico e, infine, perché venne realizzata una moderna centrale del latte che
raccoglieva il prodotto direttamente dagli allevatori sull'altipiano e provvedeva
autonomamente alla distribuzione a Trieste.
Negli anni Cinquanta, con la costruzione della strada 202 (la cosiddetta camionale) la via perse
definitivamente ogni funzione commerciale e cadde in totale abbandono.
Le donne del latte
Il lavoro di queste donne era pesante, senza soste nell'arco della giornata, e non si limitava al
solo trasporto del latte: si alzavano la mattina presto, mungevano le vacche, preparavano i
cesti che fungevano da contenitori, camminavano con il peso sulla testa fino alla città, spesso
scalze e poco vestite per le rigide temperature invernali dell’altipiano carsico.
Nel primo pomeriggio tornavano a casa, ripercorrendo in salita il sentiero, dove le attendeva il
lavoro casalingo: lavavano gli attrezzi, facevano le pulizie e accudivano la famiglia.
Le condizioni di povertà diffusa dell'epoca, oltre che il tipo stesso di prodotto da commerciare,
da mungere quotidianamente, ma anche deperibile, costringeva queste donne a recarsi a
Trieste ogni giorno dell'anno, in qualsiasi condizione climatica.
I problemi legati alla sfera personale o familiare (malattia, prole, ecc.) venivano risolti grazie
alla solidarietà che si instaurava all'interno dei nuclei familiari o delle piccole comunità del
Carso; ne conseguiva che spesso una donna si rendeva disponibile a trasportare e vendere
anche latte non proprio ma di parenti o compaesani impossibilitati a recarsi a Trieste.
Per chi non disponeva di un carretto o di un asino, il peso da trasportare sulla testa poteva
essere considerevole, infatti, le ceste che contenevano i prodotti avevano una capienza di 30
litri circa.
La via assolveva anche una funzione sociale in quanto era un luogo di incontro fra donne di vari
villaggi del Carso che, anziché percorrere altri sentieri (anche più brevi) o viaggiare da sole,
preferivano recarsi a Trieste per questa via pur di farlo in gruppo.
L’attività e gli attrezzi
Ogni “donna del latte” aveva i suoi clienti in un specifico rione e spesso la vendita avveniva
porta a porta. I clienti erano sia italiani che sloveni e, di solito, acquistavano 1 - 2 litri di latte
a famiglia.
Per poter svolgere questa attività bisognava essere in possesso di un permesso speciale e i
controlli da parte della Guardia di Finanza erano rigidi: controllavano la licenza, verificavano
che dal latte non fosse stata tolta la panna e che il nome sulla targa del vaso corrispondesse a
quello della venditrice.
Per poter portare sulla testa un vaso contenente fino a 30 litri di latte senza farsi male "le
donne del latte" utilizzavano il "cercine", ovvero un cerchio di pezzi di stoffa imbottito che
poteva essere sostituito da un semplice fazzoletto ripieno di erba e paglia.
I primi vasi erano di latta, sostituiti successivamente da quelli in alluminio; avevano una targa
con il nome della proprietà e un beccuccio per poter travasare il latte al momento della
vendita. La quantità di latte venduta veniva misurata con un specifico dosatore.
Chi possedeva un asino per il trasporto del latte usava la "Bisaccia", una sella in legno con due
grandi tasche ai lati, che contenevano i vasi con il latte.
Giuliano Petrarulo
Università di Trieste
Informazioni tratte da:
www.trst.it