reflusso vescicoureterale primitivo in età evolutiva

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reflusso vescicoureterale primitivo in età evolutiva
Gennaio-Marzo 2013 • Vol. 43 • N. 169 • pp. 15-21
Urologia pediatrica
Reflusso vescicoureterale primitivo in età evolutiva:
cosa avviene dalla nascita all’adolescenza?
Simona Gerocarni Nappo, Alessandra Farina, Maria Luisa Guidotti, Paolo Caione
U.O.C. Chirurgia Urologica, Dipartimento Nefrologia-Urologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, IRCCS, Roma
Sommario
Il reflusso vescicoureterale (RVU) è un problema che il pediatra si trova ad affrontare di frequente, interessando l’1% dei bambini. A partire dagli anni Sessanta, il fenomeno del RVU è stato considerato non fisiologico e strettamente associato alla comparsa di pielonefriti e di cicatrici renali. Gli studi di fisiopatologia degli ultimi anni hanno tuttavia modificato drasticamente le nostre conoscenze sul RVU, mostrando che esiste un danno renale congenito dovuto
ad ipodisplasia, che vi è una stretta correlazione tra RVU e disfunzioni del basso apparato urinario e che la suscettibilità alle infezioni urinarie (IVU) e alle
cicatrici renali è geneticamente determinata. Molte delle questioni riguardanti il RVU sono ancor aperte: Come trattarlo? Quando e in quali pazienti trattarlo?
È possibile con il trattamento del RVU prevenire le IVU? E il trattamento è in grado di modificare il rischio di danno renale? E ancora: il RVU che vediamo
nel lattante quale evoluzione avrà nell’età scolare e nella adolescenza? Quali pazienti sono a rischio di evoluzione verso l’insufficienza renale cronica? Tali
domande non trovano ancora una risposta esaustiva e sono al momento oggetto di un vasto dibattito. Cercheremo di rispondere ad alcuni di questi quesiti.
Summary
Vesicoureteral reflux (VUR) is a problem that pediatricians often have to face, since it involves 1% of children. VUR has been traditionally linked to urinary
tract infections (UTI) and renal scars. Recent studies, however, showed the existence of congenital renal damage, probably more important than acquired
scars, a close relationship among UTI, VUR and lower urinary tract dysfunctions (LUTD), and genetic predisposition to UTIs and renal scars. Many questions
about VUT are not answered yet: How to treat? Can we prevent UTI? Can we prevent renal scars? Are there parameters that can predict the evolution of
VUR and renal function in a specific patient? The debate is still open. Recent advances in the field of physiology, diagnosis and treatment of VUR will be
presented as well as published guidelines. Special attention will be devoted to the evolution of VUR from infancy to adolescence.
Introduzione
Il reflusso vescicoureterale (RVU) è un evento dinamico: il flusso
retrogrado di urine dalla vescica nell’uretere e nella pelvi renale. È
considerato patologico nella specie umana e strettamente correlato
alla presenza di infezioni delle vie urinarie (IVU) e di danno renale.
Si calcola che dal 30 al 50% dei bambini con IVU sia affetto da RVU.
Una quota elevata di RVU va incontro spontaneamente a risoluzione senza lasciare reliquati. Tuttavia in un’altra quota di bambini, il
RVU si associa ad elevata morbidità per la comparsa di pielonefriti
ricorrenti nei primi anni di vita, e la nefropatia può evolvere verso
l’insufficienza renale cronica e l’ipertensione arteriosa. Tuttavia nella pratica clinica non è possibile correlare strettamente il grado del
reflusso con la probabilità di avere IVU, in virtù dell’ampia variabilità
clinica.
A partire dagli anni Sessanta, nessun argomento è stato oggetto di
tanta discussione come il reflusso e il danno renale ad esso associato. Tuttavia alcune delle problematiche relative alla associazione
tra reflusso, infezioni e nefropatia non sono ancora state completamente comprese, e nella recente letteratura è ancora aperto il
dibattito.
Obiettivi
Obiettivo dell’articolo è presentare le più attuali conoscenze di fisiopatologia del RVU, e discutere dei conseguenti orientamenti diagnostici e terapeutici nella pratica clinica, anche alla luce delle più
recenti linee guida presentate dalle società scientifiche internazio-
nali. Una particolare attenzione sarà rivolta alle conseguenze a lungo
termine del RVU, e al follow-up nell’età adolescenziale ed evolutiva.
Metodologia della ricerca bibliografica effettuata
Un’estesa ricerca bibliografica è stata condotta su Medline e Cochrane Database of Systematic Review sulla letteratura dal 2000 ad
oggi, utilizzando come parola chiave i termini vesicoureteral reflux,
urinary tract infection e reflux nephropathy, tutti limitati da pediatric,
child o children. Sono state preferenzialmente presi in considerazione i lavori pubblicati negli anni 2010-2012, le review e le linee guida di società scientifiche: la European Association of Urology (EUA)/
European Society for Pediatric Urology (ESPU) (Tekgul et al., 2012),
la American Urological Association (AUA) (Peters, 2010; Skoog et al,
2010), l’American Academy of Pediatrics (AAP) (Subcommittee on
UTI, 1999; Roberts, 2011; Finnell et al., 2011), il National Institute for
Health and Clincal Excellence (NICE) (www.nice.uk.org), la Society
of Fetal Urology (SFU) (Nguyen et al., 2010), la Società Italiana di
Nefrologia Pediatrica (SINP) (Ammenti et al., 2011).
Il lavoro si focalizza sul reflusso vescicoureterale primitivo, escludendo pertanto dalla trattazione il reflusso secondario a patologie
anatomiche o funzionali vescicali (valvole uretrali, vescica neurogena, ureterocele).
La diagnostica
L’ecografia renale e vescicale è la prima indagine diagnostica da
eseguire nel sospetto di uropatia: oltre alla presenza di dilatazione
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S. Gerocarni Nappo, A. Farina, M.L. Guidotti, P. Caione
delle alte vie escretrici, consente di valutare le dimensioni, il profilo
e la ecogenicità renale, la dilatazione dell’uretere, modifiche della
entità della dilatazione delle vie escretrici nel corso dell’esame e la
morfologia vescicale. Tuttavia l’ecografia ha scarsa sensibilità (30%)
e specificità (84%) nella diagnosi del RVU (Sorkhi et al., 2012).
La cistouretrografia retrograda fluoroscopica è ancora oggi l’indagine di prima scelta nella diagnosi del RVU. Il grado del reflusso
viene universalmente classificato secondo l’International Reflux Study Committee in cinque gradi (Fig. 1) (Lebowitz et al., 1985). Tuttavia
la cistouretrografia è un esame invasivo, che richiede la cateterizzazione trans-uretrale ed espone il paziente a radiazioni ionizzanti.
La cistografia sonicata utilizza l’instillazione endovescicale di un
eco-contrasto (albumina sonicata, Levovist ®, Sonovue®) per identificare il flusso retrogrado di urina verso il rene. L’esame tuttavia è
altamente operatore dipendente e ha definizione anatomica limitata
(Piaggio et al., 2003). La cistoscintigrafia diretta utilizza un radiotracciante (Tc99DTPA): a fronte di una dose di radiazioni ridotta, ha
assente definizione anatomica e meno precisa classificazione del
reflusso in gradi “lieve”, “moderato” e “severo”. La cistoscintigrafia
indiretta invece utilizza la fase minzionale della scintigrafia renale
dinamica con MAG3. L’esame evita la cateterizzazione trans-uretrale ma può essere effettuato solo in bambini che abbiano acquisito il
controllo minzionale. Tutti gli esami descritti sono nella nostra opinione da preferire nel follow-up dei bambini. La cistografia in risonanza magnetica, priva di radiazioni ionizzanti e che consente una
ottimale definizione anatomica anche dell’eventuale danno renale
associato, è per adesso limitata a situazioni sperimentali.
Altri esami diagnostici
In accordo con le recenti linee guida dell’AUA (Peters et al., 2010), i
sintomi indicativi di disfunzione vescicale devono essere accuratamente ricercati nei bambini affetti da RVU mediante studi urodinamici non invasivi (diario minzionale e uroflussometria con residuo
postminzionale), riservando l’urodinamica invasiva (cistomanometria o videourodinamica) a casi selezioni di RVU complesso.
Esistono markers sierici o urinari predittivi di RVU? Negli ultimi
anni la microalbuminuria, la beta2 microglobulina, l’n-acetil-glucosammina (NAG), i livelli urinari di interleukine, la procalcitonina e la
molecola di adesione endoteliale dei leucociti 1-ELAM1 sono stati
dimostrati elevati nei pazienti con RVU rispetto ai controlli, ma pur
dimostrando elevata sensibilità hanno scarsa specificità. In prospet-
Figura 1.
Classificazione del reflusso vescico-ureterale (International Reflux Study Commettee – 1981).
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tiva la ricerca di marcatori non invasivi che ci consenta di identificare
precocemente i pazienti affetti da RVU e/o da nefropatia ipodisplasica appare affascinante, ma ad oggi ha solo un ruolo sperimentale.
Danno renale congenito e danno acquisito
Il termine “nefropatia da reflusso” fu coniato negli anni Settanta per
definire la stretta relazione tra il reflusso e le cicatrici renali, in precedenza definite come “pielonefrite cronica”, ma è caduto oggi in
disuso alla luce delle recenti ipotesi sulla coesistenza di un danno
renale congenito di natura ipodisplasica, indipendente dalle infezioni
urinarie. La presenza di ipodisplasia renale viene di routine investigata mediante scintigrafia renale con DMSA, che ha una elevata sensibilità nel documentare sia l’interessamento parenchimale
in corso di pielonefrite acuta che la successiva evoluzione verso la
cicatrice permanente. Le lesioni postpielonefritiche hanno l’aspetto
caratteristico di aree focali di ipocaptazione, diffuse e più evidenti in
sede polare. Il recupero funzionale da parte di queste aree di deficit
focale di captazione corticale viene ritenuto possibile fino a sei mesi
dopo un episodio pielonefritico. Fino al 50% dei neonati maschi con
reflusso di alto grado, in assenza di episodi di infezione urinaria,
presenta danno renale congenito alla scintigrafia DMSA: in questi
casi il rene appare piccolo, con ipocaptazione diffusa ed eventuali
deficit focali associati.
RVU, infezioni urinarie e danno renale
Classicamente il RVU viene diagnosticato in seguito a uno o più episodi di IVU. Dal 30 al 50% dei pazienti con IVU risulta affetto da RVU.
L’assunto su cui si è basata la gestione dei pazienti con RVU negli
ultimi 50 anni è che il RVU conduca alle pielonefriti, le quali portano
al danno renale. In realtà l’interazione tra reflusso, infezioni urinarie
e nefropatia è apparsa negli ultimi anni più complessa. I bambini con
RVU sono sicuramente a rischio di sviluppare pielonefrite (rischio
relativo 1,5) e danno renale (rischio relativo 2,6) rispetto ai bambini
senza RVU (Shaik et al., 2010) e i bambini con RVU di grado ≥ III
hanno un maggiore rischio di sviluppare nefropatia rispetto a quelli
con RVU di I-II grado. Anomalie renali sono riportate globalmente
nel 21,8% dei pazienti con RVU (range 2-63%), con una media del
6.2% in RVU di I-II grado e del 47,9% nei RVU di IV-V grado (Skoog
et al., 2010). Il danno renale postpielonefritico è più frequente in
presenza di RVU (Peters et al., 2010) ed aumenta con l’aumentare
degli episodi pielonefritici.
Tuttavia si è osservato che un ruolo maggiore viene svolto anche dalla
disfunzione vescicale (LUTD): elevate pressioni endovescicali in fase
di riempimento o in fase di svuotamento per mancato rilasciamento
dello sfintere uretrale da incoordinazione possono determinare RVU
ed espongono il rene al rischio di danno anche in presenza di urine
sterili. Fino al 60% delle bambine con reflusso e infezione presenta
iperattività vescicale, caratterizzata clinicamente dalla presenza di
urgenza, frequenza minzionale e “urge incontinence”. Altri bambini
presentano invece incoordinazione vescico-sfinterica, presenza di
residuo postminzionale e stipsi (cosiddetta Dysfunctional elimination
syndrome). In pazienti con RVU la LUTD vescicale aumenta il rischio di
IVU ricorrenti, ritarda la guarigione spontanea del RVU e riduce il successo dopo trattamento endoscopico/chirurgico. L’AUA raccomanda di
investigare la presenza di disfunzione vescicale in tutti i pazienti affetti
da RVU che abbiano raggiunto il controllo minzionale (Peters, 2010).
Inoltre non è chiaro se nella eziopatogenesi della nefropatia il RVU
abbia effettivamente un ruolo principale, o se non sia piuttosto dominante la nefropatia congenita da ipodisplasia (Lee et al., 2012;
Zaffanello et al., 2011).
Reflusso vescicoureterale primitivo in età evolutiva: cosa avviene dalla nascita all’adolescenza?
Tabella II.
Flow-chart approccio Bottom-up dopo IVU.
IVU febbrile
Ecografia
Cistografia
Figura 2.
Cistografia e Scintigrafia renale DMSA in lattante di 4 mesi con segnalazione prenatale di idronefrosi e pielonefrite acuta neonatale. Alla
cistografia RVU bilaterale di V grado, alla scintigrafia aree di ipocaptazione diffuse bilateralmente.
Normali
Patologiche
Follow-up clinico
RVU
Idronefrosi
DMSA
MAG3
Quando eseguire la cistografia dopo infezione? L’approccio
bottom-up e quello top-down
Oggi vi è ampio dibattito su quando e con quali indagini diagnostiche
investigare i pazienti a rischio di reflusso vescicoureterale (Koyle et al.,
2012). Le linee guida dell’AAP del 1999 raccomandavano l’esecuzione
di cistografia nei bambini di età compresa tra i 2 e i 24 mesi dopo il
primo episodio di infezione urinaria febbrile, con successiva esecuzione di scintigrafia DMSA in caso di cistografia positiva per RVU (Subcommittee on UTI, 1999) (Fig. 2) (Tab. I). Questo approccio diagnostico
tradizionale, definito come bottom-up, è stato recentemente messo in
discussione. L’oggetto maggiore del contendere è sul ruolo del reflusso nella eziopatogenesi della nefropatia dopo infezione e se sia importante diagnosticare il RVU o non piuttosto la nefropatia. Da una visione
“nefrocentrica” e non più “vescicocentrica” è nato recentemente l’
approccio cosiddetto top-down volto ad identificare l’interessamento
renale in corso di pielonefrite acuta, la displasia renale o la lesione
renale acquisita. I propositori dell’approccio top-down raccomandano
l’esecuzione della ecografia e della scintigrafia renale DMSA nelle fase
acuta o nelle prime settimane dopo l’infezione urinaria, riservando la
cistouretrografia ad un secondo momento, solo in caso di lesioni renali scintigraficamente dimostrate o di anomalie ecografiche (Paintsil,
2012) (Tabb. II e III). All’estremo, le linee guida del NICE scoraggiano
l’impiego routinario di tecniche di diagnostica per immagini dopo il
primo episodio di infezione urinaria e consigliano l’esecuzione della
ecografia solo dopo infezioni urinarie ricorrenti o atipiche o nei lattanti
di età < 6 mesi dopo il primo episodio infettivo, e della scintigrafia
DMSA in bambini di età < 3 anni con infezioni urinarie ricorrenti o atipiche. Il RVU in assenza di nefropatia non merita terapia e nemmeno
di essere diagnosticato (Schroeder, 2011). Tuttavia recente metanalisi
(Mantadakis et al., 2011) riporta una sensibilità e una specificità della
scintigrafia DMSA per la diagnosi dei RVU pari rispettivamente al 79 e
al 53%. L’approccio top-down rischierebbe di non diagnosticare una
quota significativa di reflussi, anche di alto grado, potenzialmente a
rischio di pielonefriti ricorrenti e di significativa morbidità.
Personalmente concordiamo con l’esigenza di ridurre l’esposizione dei
bambini a radiazioni ionizzanti e in accordo con le linee guida dell’AUA
(Peters, 2012) riteniamo comunque sempre necessaria una valutazione ecografica dell’apparato urinario dopo IVU al fine di valutare una
eventuale alterazione delle corticale renale, anche in considerazione
della scarsa invasività e della assenza di radiazioni ionizzanti.
Tabella I.
Linee guida alle indagini per immagini in bambini con sospetto RVU.
Organizzazione
Indagine diagnostica iniziale
Indicazione a Cistografia
Indicazione a DMSA
European Association
of Urology/European
Society for Pediatric
Urology
Ecografia e CUM/DMSA
Prima IVU febbrile (maschi), IVU ricorrenti
(femmine)
Prima IVU febbrile
American Academy
of Pediatrics
Ecografia
IVU ricorrenti, ectasia ureterale, idronefrosi,
cicatrici renali
Non raccomandata
National Institute for
Health and Clincal
Excellence
Ecografia (IVU atipica o età < 6 m)
Se evidenza di scar a DMSA
Età < 6 m: IVU ricorrenti
Età 6 m-3a: IVU atipiche, idronefrosi o
idroureteronefrosi, familiarità
Età > 3 anni: nessuna
Prima IVU febbrile
Età < 3 a: IVU ricorrenti o atipica
Età > 3 a: IVU ricorrenti
Society of Fetal Urology
Ecografia neonatale
(2-4 sett)
Idronefrosi moderata-severa persistente in
epoca neonatale
Da: Practice parameter: the diagnosis, treatment, and evaluation of the initial urinary tract infection in febrile infants and young children. American Academy of Pediatrics.
Committee on Quality Improvement. Subcommittee on Urinary Tract Infection. Pediatrics 1999;103:843-52.
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S. Gerocarni Nappo, A. Farina, M.L. Guidotti, P. Caione
infezioni urinarie febbrili; 2) la prevenzione (se possibile) del danno
renale; 3) la riduzione della morbidità del trattamento.
Tabella III.
Flow-chart approccio Top-down dopo IVU.
IVU febbrile
DMSA
Difetto corticale/
Rene piccolo
Normale
Cistografia
Area fotopenica centrale
(idronefrosi)
Ecografia
IVU ricorrenti
No indagini
Cistografia
Reflusso vescicoureterale e idronefrosi prenatale
L’1-5% dei feti presenta idronefrosi alle ecografie di screening prenatale, potenzialmente legata a RVU. Una metanalisi della letteratura riporta una incidenza media di RVU in neonati con idronefrosi prenatale
del 16,5% (range 7-35%) (Skoog et al., 2010). L’assenza di dilatazioni
alla ecografia postnatale non esclude la presenza di RVU anche di alto
grado, a causa della fisiologica oliguria neonatale e al carattere intermittente del RVU stesso. Il RVU neonatale appare diverso rispetto al
RVU nel bambino più grande: nell’80% dei casi avviene nel maschio, è
di alto grado, associato a displasia nel 50% dei casi. Questi RVU hanno
una elevata percentuale di guarigione spontanea (30-40% dei RVU di
IV- V grado entro i 2-6 anni), tuttavia il rischio di pielonefriti acute nei
primi mesi di vita è elevato, così come il rischio di ipertensione arteriosa ed insufficienza renale cronica, dipendenti dalla ipodisplasia renale
congenita. Una creatininemia > 0,6 mg/dl e una clearance creatininica
basale < 40 ml/min sono significativamente correlata ad evoluzione
verso la compromissione della funzionalità renale (Ardissino et al.,
2004; Caione et al., 2004). Sia la SFU che la AUA raccomandano la
esecuzione della cistografia nei neonati con segnalazione prenatale di
idronefrosi di grado elevato, idroureteronefrosi o idronefrosi associata
ad anomalie vescicali (Nguyen et al., 2010).
Antibioticoprofilassi continuativa
Per 50 anni l’antibioticoprofilassi è stata il cardine della strategia terapeutica del RVU. La risoluzione spontanea può raggiungere l’80%
nel RVU di I-II grado e il 30-50% nel RVU di III-IV grado ad un followup di 4-5 anni, ma è solo del 20% nei RVU di V grado (Elder et al.,
1997). Nei bambini più grandi la percentuale di risoluzione dipende
dal grado iniziale del reflusso, dal sesso, dall’età, ed anche dalla
presenza di LUTD e di danno renale.
Lavori recenti hanno messo in dubbio la validità della antibioticoprofilassi nel ridurre il rischio di pielonefriti acute e cicatrici renali rispetto
alla semplice osservazione (Pennesi et al., 2008). Un approccio accettabile e sicuro, in casi selezionati, può essere la semplice osservazione clinica. La profilassi antibiotica continuativa ha inoltre diversi limiti:
è meno efficace nel prevenire le infezioni urinarie di quanto presunto
in passato, anche per scarsa collaborazione familiare, induce antibioticoresistenza e richiede negli anni la ripetizione di esami invasivi.
La antibioticoprofilassi continuativa viene raccomandata nei bambini di età inferiore a 1 anno con RVU e pregressa infezione e nei RVU
di III-V grado diagnosticato in seguito a screening, mentre in quelli
con reflusso di basso grado (I-II) è considerata opzionale. Alla profilassi antibiotica si raccomanda di associare il trattamento dei LUTD
mediante terapia urofarmacologica e /o riabilitativa (Peters, 2010).
Trattamento chirurgico del reflusso
La terapia chirurgica del RVU è volta a ricostruire il meccanismo valvolare alla giunzione ureterovescicale. Il successo della chirurgia open
supera il 95%. L’IRSC nel 1997 riportò una riduzione della incidenza
di pielonefriti acute dopo intervento chirurgico rispetto alla profilassi
antibiotica, ma nessuna differenza in termini di incidenza di cicatrici
renali. Numerose tecniche antireflusso sono state descritte, sia per
via intravescicale (sec. Cohen, sec. Leadbetter-Politano, sec. GlennAnderson) che per via extravescicale (sec Lich-Gregoir). (Fig. 3) Nonostante elevate percentuali di successo, la terapia chirurgica del RVU
comporta elevata morbidità, lunga degenza ospedaliera/convalescenza a domicilio, rischio di complicanze non trascurabile e modifica la
anatomia della giunzione uretero-vescicale rendendo difficili succes-
Il reflusso vescicoureterale familiare
Il RVU ha una trasmissione dominante poligenica (Puri et al, 2011). Sebbene sia presente solo nell’1-2% della popolazione generale, una recente metanalisi (Skoog et al., 2010) dimostra una incidenza del 27,4% nei
fratelli dei probandi (100% nei gemelli monozigoti) e del 35,7% nei figli.
La severità del reflusso e della nefropatia sono estremamente variabili all’interno di una singola famiglia, con espressioni fenotipiche molto
diverse. Non vi sono al momento raccomandazioni specifiche sulle modalità di controllo dei fratelli, sebbene le linee guida raccomandino che i
genitori siano informati del rischio di RVU familiare. L’AUA consiglia che
una ecografia renovescicale sia offerta ai fratelli e che la cistografia sia
eseguita in caso di anomalie ecografiche (Skoog et al., 2010).
Il trattamento del reflusso
Gli obiettivi del trattamento del RVU sono: 1) la prevenzione delle
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Figura 3.
Schema e fotografia intraoperatoria dell’intervento chirurgico open di
ureteroneocistostomia trans trigonale sec Cohen.
Reflusso vescicoureterale primitivo in età evolutiva: cosa avviene dalla nascita all’adolescenza?
sive procedure endoscopiche sulla alta via escretrice (Fonsec et al.,
2012). Allo scopo di ridurre la morbidità della chirurgia a cielo aperto,
è stata recentemente descritta la correzione chirurgica del reflusso
per via laparoscopica, sia con tecnica extravescicale che con tecnica intravescicale (pneumocystium) (Valla et al., 2009). La difficoltà di
esecuzione, i lunghi tempi operatori, la necessità di elevata esperienza
laparoscopica e la maggiore invasività rispetto al trattamento endoscopico ne hanno limitato la diffusione.
Trattamento endoscopico del reflusso
Il trattamento endoscopico prevede la ricostruzione di un meccanismo
valvolare antireflusso mediante iniezione endoscopica in sede sub
ureterale di un bulking agent, in grado elevare il tratto terminale dell’uretere. Descritto per la prima volta nel 1984 da Puri e O’Donnell, è diventato rapidamente popolare. Il materiale iniettabile ideale dovrebbe
essere sicuro, facilmente iniettabile, stabile nella sede di iniezione, di
lunga durata, biocompatibile, non antigenico e non cancerogeno. Diversi materiali sono stati utilizzati nel tempo e poi abbandonati: il PTFE
(Teflon), il Macroplastique (polidimetilsilossano), il collagene bovino,
condrociti, grasso autologo, coaptite, silicone. Negli ultimi 15 anni il
materiale principalmente utilizzato per il trattamento è stato il copolimero di destranomero in acido ialuronico (DxHA- Deflux ®), approvato
nel 2001 anche dalla Food and Drug Administration (FDA). Sono state
descritte anche diverse tecniche di iniezione endoscopica (sting, hit,
double hit) senza che questo modifichi sostanzialmente le percentuali
di successo della procedura. (Figg. 4-5) In una metanalisi che include
5527 pazienti e 8101 unità renali, il successo dopo una singola iniezione era rispettivamente del 78,5% nel I-II grado, 72% nel III, 63%
nel IV e 51% nel V grado; iniezioni successive portavano il successo
globale all’85% (Elder et al., 2006).
Nel recente studio prospettico randomizzato svedese volto a paragonare i tre bracci terapeutici di trattamento endoscopico, profilas-
Figura 5.
Aspetto in cistoscopia degli osti ureterali prima e dopo il trattamento
endoscopico. Osti refluenti e beanti (sopra), ben chiusi e sollevati dopo
l’iniezione sub ureterale (sotto).
si antibiotica e osservazione clinica senza profilassi, il trattamento
endoscopico del RVU di III-IV grado a 1-2 anni di età ha dato la
più elevata percentuale di guarigione del RVU (71%) versus 39%
e 42% degli altri bracci. Inoltre infezioni febbrili e nuove cicatrici
sono occorse più frequentemente nel gruppo in osservazione clinica
(Brandstrom et al., 2011).
Il trattamento endoscopico ha modificato in maniera radicale la gestione del RVU negli ultimi 20 anni. Sebbene non sia stata dimostrata
la superiorità di una strategia terapeutica rispetto alle altre nel prevenire il danno renale postpielonefritico, il trattamento endoscopico
presenta indiscussi vantaggi: è una tecnica di correzione rapida, con
minima morbidità, elevato successo, eseguibile in regime ambulatoriale o di day-surgery, non modifica l’anatomia della giunzione e non
inficia una eventuale successiva chirurgia ed i materiali iniettabili
attuali sono sicuri e non allergenici (Tab. IV). Nella nostra esperienza
riteniamo che debba essere considerato il trattamento di prima linea
nei RVU di II-III grado sintomatici di infezioni ricorrenti o recidivanti e
nei RVU di grado maggiore, in alternativa sia alla profilassi antibiotica che alla chirurgia (Capozza et al., 2007). Infine, il coinvolgimento
della famiglia nella decisione sul programma terapeutico del reflusso vescicoureterale è un fattore critico.
Tabella IV.
Trattamento endoscopico: vantaggi.
Risultato immediato
Morbidità minima
Procedura in regime di day-surgery
Elevata percentuale di successo
Figura 4.
Schema del trattamento endoscopico: l’iniezione del materiale in sede
sub ureterale allunga il tunnel sottomucoso rinforzando il meccanismo
valvolare antireflusso.
Non modifica l’anatomia della giunzione uretero-vescicale
Non complica successivo intervento open
Materiali iniettabili sicuri, non migranti, non allergenici e non
cancerogeni
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S. Gerocarni Nappo, A. Farina, M.L. Guidotti, P. Caione
Le conseguenze a lungo termine del RVU
Le complicanze a lungo termine del RVU e della nefropatia che si accompagna a reflusso sono ben note ma spesso sottostimate, in quanto
ad esordio insidioso e a lenta evoluzione. Esse includono l’ipertensione arteriosa, la proteinuria, l’acidosi, la poliuria, l’insufficienza renale
cronica evolutiva fino all’insufficienza renale terminale. L’ipertensione
arteriosa è riportata nel 17-30% dei pazienti pediatrici con nefropatia
e nel 34-38% degli adulti. A lungo termine il 13% dei pazienti con
nefropatia che si accompagna a reflusso sviluppa ipertensione tra i
15 ed i 30 anni. La proteinuria è riportata nel 21% degli adulti con nefropatia che si accompagna a reflusso e la microalbuminuria nel 50%
dei bambini con nefropatia (età media 9,8%). Da non sottovalutare
inoltre le potenziali complicanze della nefropatia che si accompagna a
reflusso in gravidanza: infezioni urinarie (22%), ipertensione arteriosa
(4,3%), preeclampsia (10,4%), interruzione spontanea (10,2%), parto
pretermine (24,2%) e progressione della insufficienza renale. Infine,
la nefropatia che si accompagna a reflusso è la causa di insufficienza
renale in età pediatrica dal 12 al 24% dei casi (Mattoo, 2011).
Il danno renale è causa di insufficienza renale cronica nel 12-21% dei
pazienti pediatrici (Chantler et al., 1980; Deleau et al., 1994).
Follow-up a lungo termine
I pazienti necessitano anche dopo risoluzione del RVU di un followup a lungo termine. Gli scarsi dati a disposizione dimostrano infatti
un incremento delle complicanze al protrarsi del follow-up nella vita
adulta. In assenza di sicuri fattori predittivi, la famiglia ed il paziente
devono essere informati dei rischi. Le linee guida dell’AUA raccomandano una valutazione generale con monitorizzazione di peso,
altezza, pressione arteriosa, esame urine per proteine e infezione,
annualmente per tutta l’adolescenza in presenza di nefropatia mono
o bilaterale; raccomandano che in caso di infezioni urinarie recidive
siano investigati eventuali LUTD o sia ricercato un RVU recidivo, e
che la famiglia sia resa edotta dei potenziali problemi a lungo termine, quali la comparsa di ipertensione arteriosa (specie in gravidanza), il deterioramento della funzione renale e la possibilità di ricorrenza del RVU nei fratelli o nei discendenti (Peters, 2010).
Conclusioni e prospettive future
Al momento attuale in letteratura esistono grandi controversie circa
il RVU. Le linee guida pubblicate sono contraddittorie e divergenti
nella loro raccomandazioni circa la diagnostica per immagini, le modalità di screening dei gruppi a rischio e le opzioni terapeutiche. Il
RVU appare non necessario né sufficiente a causare pielonefriti acute e nefropatia, tuttavia rimane strettamente associato con entrambe. È ipotizzabile che fattori genetici siano coinvolti nella suscettibilità individuale alle infezioni e alla nefropatia, e che il RVU sia solo
un elemento del quadro. Obiettivo della ricerca nel prossimo futuro
dovrà essere lo studio di fattori che ci consentano di identificare e
distinguere precocemente i pazienti a rischio di morbidità correlata
al RVU da quelli in cui la terapia o addirittura la diagnosi di RVU
possano essere un eccesso di zelo. È altresì necessario sempre più
che il follow-up dei pazienti pediatrici seguiti per RVU prosegua nella
vita adulta, per fornirci le chiavi corrette di interpretazione di quanto
succede nell’infanzia. In attesa che tanti aspetti si chiariscano l’algoritmo diagnostico e terapeutico del bambino con RVU deve essere
al momento modellato sul singolo paziente, sulle raccomandazioni
delle attuali linee guida.
Box di orientamento
Cosa sapevamo
Il reflusso vescicoureterale era considerato la causa principale di pielonefriti ricorrenti e danno renale.
Cosa sappiamo adesso
Il reflusso vescicoureterale è solo uno degli elementi coinvolti nella eziopatogenesi delle infezioni urinarie febbrili e del danno renale. A fronte di pazienti
a rischio di morbidità da pielonefriti e insufficienza renale cronica, ve ne sono altri che meritano la semplice osservazione clinica.
I risvolti clinici
L’iter diagnostico e terapeutico del bambino con RVU deve essere individualizzato e modulato sulla base delle linee guida pubblicate.
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Corrispondenza
Simona Gerocarni-Nappo, Dipartimento di Urologia Pediatrica, Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù”, Piazza Sant’Onofrio 4, 00165 Roma.
E-mail:[email protected].
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