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L`efficacia della pianificazione strategica di area vasta per lo
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Pianificazione strategica di area vasta e sviluppo di nuovi modelli di governo del territorio
L’efficacia della pianificazione strategica di area vasta per lo sviluppo di nuovi
modelli di governo del territorio
Federico Rotondo
Ricercatore di Economia aziendale, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, Dipartimento di Scienze dei Linguaggi,
Università degli Studi di Sassari
Sommario: 1. Modelli di pianificazione strategica nelle amministrazioni pubbliche. – 2. Le relazioni inter-istituzionali nel
processo di pianificazione. – 3. Obiettivi della ricerca e metodologia. – 4. L’esperienza della Regione Autonoma della
Sardegna. – 5. Considerazioni conclusive.
Negli ultimi anni diverse amministrazioni locali hanno avviato percorsi di pianificazione strategica
integrata con la finalità di edificare un progetto di sviluppo condiviso su cui fondare il recupero
o l’accrescimento della competitività territoriale. Attraverso un’indagine empirica condotta su un
contesto regionale privo di precedenti simili iniziative, si intende far luce sulla conformità delle
esperienze maturate alle finalità riconducibili alle teorie della public governance. Lo studio, in particolare, mira a verificare, con riferimento alle realtà oggetto di indagine, l’efficacia dello strumento in
termini di superamento dell’approccio burocratico e dirigistico dei processi decisionali tradizionali
e di promozione di nuovi modelli di governo fondati sull’apertura e sulla partecipazione sociale.
In the last years local governments, together with other public and private actors, have started
strategic planning processes aimed at recovering or increasing the competitiveness of urban areas.
Through an empirical investigation carried out on an Italian Regional context without any previous
experience of city strategic planning, the paper intends to shed light on the adherence of the experiences to the typical principles of the public governance paradigm. Within the limits of the selected
sample, this research study has the objective of verifying the effectiveness of the managerial tool
in breaking the bureaucratic top-down approach of traditional decision-making processes and in
promoting new governing models based on social participation.
Parole chiave: Pianificazione strategica integrata – Public governance – Relazioni inter-istituzionali
Key words: Integrated strategic planning – Public governance – Inter-institutional relationships
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1. Modelli di pianificazione strategica nelle amministrazioni
pubbliche
A distanza di oltre un trentennio dalle prime esperienze di pianificazione
strategica delle città a livello europeo e di qualche anno in meno rispetto
alla diffusione della pratica sul territorio italiano risultano ben chiare le
motivazioni che ne hanno condotto all’introduzione (Cavenago 2004;
Albrechts 2006; Mazzara 2006; Rur-Censis 2007).
A prescindere dalla spinta iniziale delle singole iniziative, alla funzione
di pianificazione strategica in ambito pubblico è stata, infatti, riconosciuta
la valenza principale di promuovere la competitività dei territori (Krugman
1996; Perulli 2000; Camagni 2002; Perulli e Garavaglia 2006). Quanto
e più delle imprese, infatti, le amministrazioni pubbliche hanno dovuto
fronteggiare le profonde trasformazioni di ordine economico e sociale
associate alla globalizzazione e alla diffusione delle tecnologie informatiche, che hanno fatto emergere l’importanza assoluta di variabili quali
la conoscenza, le relazioni e l’innovazione per scongiurare il declino dei
territori (Cersosimo 2003).
L’evoluzione del contesto esterno ha condotto ad un concomitante ripensamento dei modelli tradizionali di governo, e indicato nell’apertura,
nella partecipazione e nella predisposizione di processi di apprendimento
collettivo gli elementi indispensabili per l’efficacia dell’azione pubblica (Meneguzzo 1995). In tal senso, il corpus di studi del New Public Management
(Hood 1991; Stewart e Walsh 1992), criticato sovente per il tendenziale
orientamento alla dimensione interna e al breve termine, è stato gradualmente integrato con una serie di contributi riconducibili alle teorie della Public
Governance, che si sono concentrate sulle partnership di tipo reticolare
(Kooiman 1993; Osborne e Gaebler 2002; Meneguzzo e Cepiku 2006;
Longo 2006) costituite da attori pubblici e privati che insieme collaborano
e decidono su temi di interesse comune (Bekke et al. 1995; Rhodes 1996;
Borgonovi 2002). La governance viene quindi a coincidere con un nuovo
modello di governo basato sul consenso e la partecipazione degli attori
aderenti al network, e i suoi fattori di successo con la capacità di costruire
fiducia, aprire canali informativi, creare un senso del futuro tra i partecipanti
incentivati alla collaborazione (Kooiman 1993; Klijn e Koppenjan 2000;
Jackson e Stainsby 2000).
Nuove forme di pianificazione integrata, affiancate agli strumenti di
pianificazione istituzionale, sono state tra le soluzioni più frequenti individuate dalle amministrazioni per esercitare la funzione di governo in contesti
territoriali complessi (Giovanelli 2008). Tali modalità di gestione strategica,
insieme ad altri strumenti di programmazione e controllo di tipo concertato,
testimoniano l’accresciuta importanza di instaurare processi decisionali
interattivi per intraprendere percorsi di sviluppo sostenibile di medio-lungo
periodo (Mulazzani e Romolini 2006; Storlazzi 2006). Le amministrazioni,
peraltro, hanno potuto conservare un ruolo centrale attraverso la promozione
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e la guida dei processi (Commissione Europea 2001; Pattaro 2008).
Il concetto di piano strategico accolto nel presente studio, pertanto, viene
a coincidere con il prodotto finale di un processo complesso fondato sui
caratteri dell’integrazione e della partecipazione, tramite il quale una molteplicità di attori sviluppano consapevolmente una serie di attività congiunte
in vista, secondo la classica prospettiva harvardiana, di un determinato
obiettivo futuro (Andrews 1971; Invernizzi 2008).
Come sottolineato in precedenti studi, la pianificazione strategica ha
attraversato tre fasi principali: dai “piani di struttura” degli anni Sessanta
e Settanta, si è passati ai piani di derivazione aziendale importati dal
Nord America negli anni Ottanta e quindi ai piani cosiddetti di “terza
generazione” (Gibelli 1996), cui sarebbero riconducibili le più recenti
esperienze delle città italiane (Albrechts 2003; Perulli 2004; Camagni e
Gibelli 2005).
Nella diversità degli approcci, la dottrina ha riconosciuto l’esistenza
di alcuni elementi ricorrenti, tra cui lo scostamento tra teoria e prassi per
quanto attiene alla capacità di mantenere la tensione partecipativa nel
lungo periodo, all’integrazione con i piani e i programmi tradizionali e alla
maturità dei sistemi di programmazione e controllo implementati (Cavenago
e Trivellato 2007; Pugliese 2007). Ancora, in merito alla sostenibilità, si
è riscontrato un livello di compliance altamente variabile alle indicazioni
provenienti dalla Comunità europea e dal Governo italiano (Mazzara
et al. 2010), in modo simile alle problematiche incontrate sotto il profilo
dell’armonizzazione contabile (Giovanelli 2006). La sostanziale difficoltà
nel governo delle relazioni è stata in parte attribuita, invece, al frequente
cambiamento del soggetto che prima avvia, poi governa e implementa il
piano (Botti e Vesci 2009). È stato da tempo evidenziato, d’altra parte, come
la sola costituzione della rete non garantisca l’interesse collettivo laddove
non si riesca a definire gli interessi rilevanti, individuare le caratteristiche
del network e progettare efficaci assetti organizzativi e strumenti di governo
(Longo 2006).
In considerazione delle criticità emerse è bene ricordare come l’obiettivo
più rilevante del piano strategico sia di tipo sociale e si leghi alla capacità
di edificare o rafforzare, intorno alla “visione condivisa”, il senso di identità
della cittadinanza e di rigenerare la fiducia nell’azione pubblica (Albrechts
2003; Camagni 2003; Salzano 2003). Non sempre la pianificazione strategica, pertanto, si è rivelata uno strumento efficace per l’introduzione di nuovi
modelli di governo, ed una delle principali lacune evidenziate dalla dottrina
riguarda proprio la mancanza di un framework di valutazione del piano
come strumento di governance (Mazzara 2006; Cavenago e Trivellato 2007).
2. Le relazioni inter-istituzionali nel processo di pianificazione
Sono passati più di dieci anni dal marzo del 2000, quando i capi di Stato
e di governo dei Paesi dell’Unione Europea hanno sottoscritto la cosiddetta
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“Strategia di Lisbona”, nella quale fissavano l’ambizioso obiettivo di rendere
l’economia europea la più competitiva del mondo facendo leva sui concetti
di sostenibilità, occupazione e coesione.
Nel frattempo, pur avendo riconosciuto la città quale luogo privilegiato
della crescita economica, del lavoro e dell’innovazione, non è stata propriamente sviluppata una politica urbana comunitaria. L’importanza di interventi
rivolti al contesto urbano, sottolineata inizialmente durante i Consigli informali di Rotterdam e Bristol e quindi nel “Report on the urban dimension in the
context of enlargement” del 2005, si è comunque trasformata gradualmente
in un elemento centrale della più ampia Politica Regionale Europea e in
specifiche indicazioni nella Politica di Coesione 2007-2013. (1)
Tra i principi cardine fissati dall’Unione con riferimento allo sviluppo
urbano si distingue quello dell’integrazione, declinato in diverse dimensioni. Si tratta anzitutto di un’integrazione tematica, rivolta al coordinamento
delle diverse politiche e progetti settoriali, poi sociale ed inter-istituzionale,
attinente alle relazioni tra cittadini, attori socio-economici ed enti di vario
livello, e quindi finanziaria, rivolta all’utilizzo simultaneo di fondi pubblici
e privati. Ancora più importante appare l’accento sull’integrazione territoriale, affinché i programmi di sviluppo vadano oltre i confini fisici della
città per abbracciare i comuni e i territori limitrofi insieme ai quali vengono
costituiti veri e propri sistemi locali. Il territorio, in tal senso, copre uno
spazio più ampio rispetto ai limiti formali dell’amministrazione, poiché ci
si concentra sugli aspetti relazionali e funzionali che si instaurano a livello
di area vasta, ritenuti i veri driver del vantaggio economico (Karlsson e
Olsson 2006).
La promozione di percorsi di pianificazione di area vasta si caratterizza
per la possibilità di condensare grandi indirizzi di intervento, sotto il profilo
economico, sociale ed ambientale, in un’ottica di medio-lungo termine,
coerentemente con i principi dello sviluppo sostenibile (Gibelli 2003).
Un approccio di questo tipo, al tempo stesso, pone nuove e rilevanti
problematiche di governance, in primis di tipo inter-istituzionale, in relazione
all’insieme di regole, responsabilità e legami che connotano l’integrazione
tra i diversi livelli di intervento pubblico (Fici 2004; Catturi 2006). Ai pericoli
“burocratici” insiti nell’esistenza di più livelli di governo, che determina l’esigenza di sviluppare politiche congiunte, si aggiunge, infatti, la necessità di
comporre gli obiettivi, non sempre coincidenti, in capo alle amministrazioni
locali che insistono sull’area vasta.
La capacità di evitare la sovrapposizione di competenze e responsabilità a livello territoriale diviene cruciale per superare la complessità del
processo decisionale, coinvolgere il più ampio numero di attori economici e
1 Cfr.: Commission of the European Communities, Brussels, 13 luglio 2006, Communication
from the Commission to the Council and Parliament: Cohesion Policy and cities: the urban contribution to growth and jobs in the regions, (com(2006)385def); Commissione Europea, Direzione generale della Politica regionale, La nuova politica di coesione a partire dal 2007, Inforegio, Nota sintetica 2004.
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sociali nelle scelte della programmazione e implementare politiche efficaci
per perseguire una comune finalità di sviluppo. La previsione di adeguati
modelli di governance costituisce pertanto un presupposto fondamentale
della pianificazione strategica integrata (Fadda 2003).
3. Obiettivi della ricerca e metodologia
Alla luce della diffusione dei processi di pianificazione strategica promossi
dall’Unione Europea e fondati sulla collaborazione tra diversi piani istituzionali, il lavoro si prefigge di approfondire la reale natura dell’iniziativa,
in termini di coerenza tra le finalità generali e le modalità operative ed
organizzative sviluppate. Considerati gli elementi cardine del modello di
governo della public governance, quali il contemperamento degli interessi
e la partecipazione di una pluralità di stakeholder che insieme decidono e
cooperano per raggiungere finalità comuni (Rhodes 1996; Klijn e Koppenjan
2000), l’obiettivo principale risiede, infatti, nella verifica di conformità tra
tali principi e le esperienze di pianificazione strategica maturate sui territori
analizzati.
Sulla base della letteratura di riferimento (Jackson e Stainsby 2000;
Albrecths 2003; Longo 2006; Mazzara 2006; Cavenago e Trivellato
2007; Pugliese 2007), si ipotizza che la programmazione integrata possa
rappresentare una soluzione efficace per la promozione di nuove modalità
di governo basate sull’apertura sociale in relazione alla presenza delle
seguenti condizioni:
- la responsabilizzazione di una pluralità di soggetti pubblici e privati;
- il raccordo tra il momento strategico e quello operativo;
- la predisposizione di strumenti di gestione manageriale che alimentino costantemente la tensione partecipativa lungo tutta la durata del
processo.
L’approfondimento degli aspetti precedenti si rivela fondamentale per
stabilire se la pratica vada ad inserirsi, in modo pieno o parziale, tra gli
strumenti funzionali allo sviluppo di una governance pubblica intesa quale
reale superamento del modello di government, ed individuare le eventuali
criticità che possono condizionarne l’esito finale a livello di area vasta. Gli
obiettivi specifici del lavoro si possono pertanto sintetizzare nelle risposte
ai seguenti interrogativi:
- in quale relazione si pone lo strumento della pianificazione strategica
rispetto ai piani di tipo normativo-burocratico? Ci si chiede cioè se
le nuove esperienze rappresentino un affinamento, un’integrazione,
una prosecuzione od un avanzamento delle logiche di pianificazione
tradizionale.
- La pianificazione strategica ha davvero una funzione sociale o persegue le finalità tipiche dei processi decisionali di tipo gerarchico e
centralizzato?
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Pertanto lo studio, il cui potenziale interpretativo, è bene ribadirlo,
ha esclusivo valore all’interno del contesto analizzato, consente nondimeno di riflettere su quale tipo di efficacia debba essere riconosciuta
allo strumento.
Da un punto di vista metodologico, al fine di attenuare le differenze di
contesto di cui risentono le esperienze di pianificazione strategica, si è scelto
di selezionare ambiti territoriali omogenei in relazione al quadro socioeconomico generale, alla fase di sviluppo della pratica e di conseguenza
alle cause che ne hanno indotto l’introduzione.
Le caratteristiche dell’oggetto di studio, fenomeno contemporaneo in
corso di svolgimento i cui contorni, per giunta, appaiono non chiaramente
evidenti, hanno inoltre motivato la scelta di condurre un’indagine empirica
fondata sulla tecnica del multiple-case study, in parte esplorativo e in parte
esplicativo. Il costante riferimento alle teorie della public governance nelle
fasi di raccolta ed elaborazione dei dati, così come l’aver fatto affidamento
su fonti informative multiple, hanno infatti consentito di rafforzare l’analisi
tramite il riconoscimento delle condizioni che consentono il verificarsi del
fenomeno e la possibilità di interpretarne le traiettorie assunte in diversi
contesti (Eisenhardt 1989; Yin 1994).
I casi selezionati, in particolare, riguardano percorsi di pianificazione
strategica avviati all’interno del contesto regionale sardo sfruttando le
opportunità concesse dalla programmazione comunitaria 2000-2006.
Ciò ha consentito in primo luogo di appianare buona parte delle differenze associate al contesto macro-economico e sociale, poiché all’epoca
la Sardegna rientrava tra le regioni dell’Obiettivo 1 individuate dalla
Commissione europea, ossia le aree in ritardo di sviluppo economico. (2)
In secondo luogo ha permesso di raffrontare processi di pianificazione
strategica mossi dalle medesime motivazioni, tra cui principalmente la
possibilità di accedere ai finanziamenti, ed equiparabili per stadio di
sviluppo, in quanto avviati in maniera concomitante su territori privi di
precedenti simili esperienze. Al fine di condurre un’analisi più approfondita sulle relazioni di governance multi-livello e orizzontale, si è scelto
quindi di concentrarsi sui processi di pianificazione strategica di area
vasta portati avanti dai Comuni di Cagliari, Carbonia, Oristano, Nuoro
e Sassari in qualità di capofila, che si sono affiancati alle 34 esperienze
di pianificazione strategica comunale.
I dati sono stati raccolti, nel periodo compreso tra il giugno 2009 ed
il giugno 2010, attraverso l’analisi documentale, l’osservazione diretta ed
una serie di interviste semi-strutturate ai responsabili della programmazione
regionale e alle segreterie dei piani strategici.
2 Ai sensi del Regolamento 1260/1999 del Consiglio venivano identificate come Obiettivo 1 le aree in cui il Pil pro-capite regionale, espresso in parità di potere d’acquisto, risultava essere, sulla base della media degli ultimi tre anni disponibili, inferiore al 75% della media comunitaria.
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4. L’esperienza della Regione Autonoma della Sardegna
L’avvio del percorso di pianificazione strategica sotto l’impulso comunitario
Se nel Trattato di Roma del 1957 già si accennava alla necessità di garantire lo sviluppo armonioso della Comunità europea, è l’Atto Unico europeo
del 1986 a trasformare la coesione economica e sociale in un obiettivo
cardine, ed il successivo Trattato di Maastricht a riconoscerla esplicitamente
tra le politiche comunitarie. (3)
La politica di coesione, da questo momento, diviene l’espressione della
solidarietà tra gli Stati membri poiché finalizzata a promuovere lo sviluppo
equilibrato, armonioso e sostenibile dell’Unione europea (UE) attraverso
l’istituzione di appositi strumenti finanziari. Nel periodo 2000-2006, in
particolare, la priorità principale della politica di coesione dell’UE è costituita dal recupero delle regioni più svantaggiate, quelle dell’Obiettivo 1.
Lo Stato italiano, per tali regioni, elabora il Quadro Comunitario di Sostegno (Q.C.S.), articolato in assi prioritari ed attuato mediante i cosiddetti
Programmi operativi. (4) Il Piano operativo regionale (P.O.R.) Sardegna, in
coerenza con il Q.C.S., ripartisce le risorse finanziarie in 7 assi prioritari
che descrivono la strategia perseguita e le priorità di intervento. (5) L’aggiornamento del documento, nel dicembre del 2004, pone grande enfasi
ai nuovi modelli di governo urbano con la previsione, nella misura 5.1
“Politiche Urbane”, linea d’intervento 5.1e), del finanziamento di strumenti
di governance innovativi. (6) Nel settembre 2004, inoltre, con la delibera n.
20/04 per la ripartizione delle risorse del Fondo aree sottoutilizzate (F.A.S.)
il CIPE destina, per il periodo 2004-2007, una riserva di 207 milioni di
euro ad interventi nelle città e nelle aree metropolitane del Mezzogiorno.
La Regione Autonoma della Sardegna coglie pertanto l’occasione
costituita dalle risorse P.O.R. e F.A.S. per promuovere l’avvio di iniziative
di pianificazione strategica, e fissa i tempi e le modalità per accedere ai
finanziamenti. Il riferimento principale per la redazione del documento è
costituito dalle Linee Guida elaborate dal Ministero delle Infrastrutture e
Trasporti insieme al Ministero dell’Economia e delle Finanze, cui si aggiunge il documento predisposto dal Centro Regionale di Programmazione e
dalla Direzione della Pianificazione Urbanistica e Territoriale (7) (tabella 1).
3 Artt. 158/162, Trattato sull’Unione Europea (noto come Trattato di Maastricht), 1992.
4 Nello specifico 7 Programmi operativi nazionali (P.O.N.) e 7 Programmi operativi regionali (P.O.R.). Cfr.: Decisione della Commissione europea n. C (2000) 2050.
5 Cfr.: Decisione della Commissione europea n. C (2000) 2359.
6 Il Complemento di Programmazione del POR Sardegna stabilisce, infatti, che “(…) si promuoveranno nuove pratiche di governance e pianificazione dello sviluppo urbano, mediante il finanziamento della redazione di ‘Piani Strategici’ nei centri urbani maggiori dell’Isola”.
7 Cfr.: Tavolo Inter-istituzionale per la “Riserva Aree Urbane” del F.A.S., I Piani Strategici per
le città e aree metropolitane – Priorità e Criteri – Orientamenti, 2005; Regione Autonoma
della Sardegna, Assessorato degli Enti locali, Finanze e Urbanistica, Pianificazione Strategica, Documento integrativo delle linee guida in materia di pianificazione strategica, Cagliari, 24 ottobre 2005.
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Tabella 1 – Le prescrizioni delle linee guida ministeriali e regionali
Linee guida
ministeriali
(MIT / MEF)
Obiettivi
Elementi fondanti
• Potenziamento aree
metropolitane e sistemi
territoriali per migliorarne
la competitività
• Sviluppo territorio emergente del Mezzogiorno
• Incremento della sicurezza e della vivibilità
• Disegno di sviluppo sostenibile
di medio-lungo termine
• Promozione da parte del
comune leader
• Meccanismi di raccordo con i
piani “tradizionali” di comune
e provincia
• Processo partecipativo
Natura
piano strategico
Linee guida
regionali
(RAS)
Nuovo strumento
di governance intesa
come azione che ricerca
soluzioni differenziate
attraverso il coinvolgimento
di una pluralità di soggetti
e attori locali
Elementi
di valutazione
• Qualità della proposta
tecnica e istituzionale
• Co-finanziamento e
partecipazione dei
soggetti locali
• Articolazione e dettaglio del budget
Elementi fondanti
Contenuti
• Documenti di indirizzo strategico
• Costruzione quadro conoscitivo
• Definizione contesto locale e
partenariato
• Costruzione della squadra
• Mobilitazione settori dell’amministrazione
• Rinnovamento logica di governo
• Struttura organizzativa
• Attività di visioning
• Costruzione reti di
cooperazione
• Comunicazione
• Strumenti di gestione
del processo
• Rapporto con le altre
pianificazioni
In coerenza con gli obiettivi prioritari fissati dal Ministero sono state cinque le esperienze di pianificazione strategica di area vasta, quelle dei “poli
di sviluppo urbano” di Cagliari e Sassari, e quelle dei “sistemi territoriali
urbani” di Nuoro, Oristano e Carbonia. (8)
Gli elementi costitutivi dei piani strategici inter-comunali
Appare importante, in via preliminare, indagare le premesse e le peculiarità
dei percorsi analizzati. Preme anzitutto sottolineare come solo nei casi di
Cagliari e Sassari tutti i comuni dell’area vasta abbiano redatto i piani
strategici comunali prima del sovra-comunale, mentre negli altri tre casi solo
i comuni capofila abbiano portato avanti esperienze individuali. Le prime
due realtà rappresentano d’altra parte i casi più complessi, per maturità
del sistema socio-economico, dimensione e specificità territoriali. È bene
ricordare come il contesto sardo, prima di questo momento, fosse privo
di una cultura della pianificazione strategica. Questi sono anche alcuni
dei motivi che spiegano le difficoltà incontrate nel contesto cagliaritano,
l’unico sistema a non aver ancora portato a termine il processo. Ad essi
si sommano i tempi molto stretti per accedere ai finanziamenti e l’ordine
richiesto per la presentazione dei piani, ossia prima i comunali e poi il
8 Tra gli obiettivi prioritari si segnala il “sostenere la valorizzazione degli ambiti urbani e territoriali di area vasta, orientando particolarmente la propria azione di accompagnamento
delle città, impegnate nella costruzione e nella attuazione del Piano strategico, in favore della ottimizzazione delle esternalità generate dai processi di potenziamento infrastrutturale dello spazio europeo”. Cfr.: Tavolo F.A.S., op. cit., 2005.
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sovra-comunale, cui si lega la problematicità di sintetizzare un disegno
unitario di sviluppo.
L’orizzonte temporale, eccetto il caso di Oristano, e gli obiettivi dei
processi avviati si dimostrano coerenti con le linee guida emanate a livello
nazionale e regionale, che riconoscono nella pianificazione strategica un
disegno politico di sviluppo condiviso in una prospettiva di medio-lungo
termine (tabella 2).
Tabella 2 – Caratteristiche delle aree vaste e obiettivi della pianificazione
Area
vasta
Comuni
Abitanti
Orizzonte
Inizio/fine
processo
Obiettivo
CAGLIARI
(CA)
16
419.000
10 anni
2005/-
Potenziare la competitività del territorio
mediante strategie operative condivise
SASSARI
(SS)
7
222.990
10/12 anni
2006/2008
Realizzare una visione di sviluppo del
territorio dalla forte carica innovativa
NUORO
(NU)
12
74.071
12/15 anni
2005/2007
Sviluppare il sistema territoriale facendo
leva sulla “massa critica”
ORISTANO
(OR)
10
65.719
5/7 anni
2005/2007
Sviluppare il territorio e modificare i
processi di governance
2005/2008
Riprogettare il sistema produttivo per avviare un processo di crescita economica
duraturo e sostenibile
SULCIS
(CI)
16
82.258
10/15 anni
La tabella 3, riferita agli attori del piano e alle relative funzioni, evidenzia alcune interessanti caratteristiche delle reti relazionali sviluppate.
In generale, secondo quanto prescritto, il processo è stato promosso da
tutti i comuni delle aree interessate previa sottoscrizione di appositi Protocolli d’Intesa, ma nel corso dei lavori è emersa la crescente centralità
del comune leader.
Le amministrazioni, in particolare, hanno assunto la funzione di
indirizzo strategico e gestito operativamente il processo attraverso la
costituzione di uffici tecnici intercomunali volti al coordinamento di soggetti e azioni. Nel caso di Sassari e Cagliari è stato forte l’ancoraggio
alle esperienze comunali, da cui è derivata la composizione dei comitati
tecnico-scientifici e dei tavoli tecnici. Negli altri tre casi è emerso il ruolo
preminente delle agenzie private, società di consulenza aventi competenze
tecnico-professionali e collaudata esperienza nella pratica, che hanno
assunto il ruolo, sovente equiparabile a quello del comitato scientifico, di
garante della metodologia.
Le scelte compiute in fase di attuazione dicono molto sull’evoluzione dello strumento. In tutti i casi è stato istituito un organo compartecipato avente
spesso una struttura fisica e composto da figure dedicate. In nessuno, tuttavia, l’iniziativa ha mantenuto carattere permanente. Concluso il processo
di pianificazione, i singoli uffici sono stati smantellati andando talvolta ad
incardinarsi all’interno di uffici già esistenti, allargando i propri orizzonti
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Tabella 3 – Organi e funzioni dei processi di pianificazione strategica
Area
vasta
Promozione
Metodologia
Indirizzo
strategico
Gestione
del processo
CA
Tutti i comuni
Comitato
tecnico-scientifico
Forum dei Sindaci
Tavolo tecnico
intercomunale
SS
Tutti i comuni
Comitato
tecnico-scientifico
Comitato
tecnico-scientifico
Ufficio
di coordinamento
Ufficio programmazione comune
capofila
NU
Tutti i comuni
Forum
dei Sindaci,
agenzia privata
Forum dei Sindaci
Comitato tecnico
integrativo
Ufficio programmazione comune
capofila
OR
Tutti i comuni
Agenzia privata
Comitato Guida
Ufficio
coordinamento
e gestione
CI
Tutti i comuni
Amministrazioni
e agenzia privata
Amministrazioni
comunali
Ufficio del Piano
Attuazione
Uffici comune
capofila
Ufficio programmazione politiche
comunitarie comune
capofila
Ufficio pianificazione e controllo
comune capofila
e assumendo perciò una nuova denominazione oppure semplicemente
restituendo le professionalità prese a prestito dagli uffici specifici. La fase
di attuazione del processo appare pertanto essersi concentrata all’interno
del comune leader, che ha assunto su di sé le responsabilità e gli oneri di
gestione dell’attività. (9) Alcuni aspetti appaiono controversi. Se è vero che
le competenze specifiche risiedono nei singoli uffici e che i funzionari che
hanno partecipato ai lavori programmatori hanno potuto portare in tali
uffici una nuova mentalità, lo scioglimento dell’organismo simboleggia il
rischio del progressivo allentamento della tensione partecipativa, in primis
fra gli stessi comuni aderenti, e della transitorietà del processo.
Le relazioni inter-istituzionali
Il processo di pianificazione strategica inter-comunale ha promosso l’intensificarsi delle relazioni orizzontali tra le amministrazioni locali. Nei casi
di Cagliari e Sassari il legame è stato rafforzato dalla condivisione dei
modelli organizzativi e metodologici implementati a livello comunale, e
dal confronto concomitante su tematiche parallele quali i Piani urbani della
mobilità (P.U.M.). (10) Desta perplessità, invece, la scelta di procedere, nel
caso del Sulcis, ad una pianificazione di area vasta senza la collaborazione
9 In fase di predisposizione del piano era invece stata stabilita tra i comuni una base di compartecipazione in termini finanziari e professionali.
10 In fase preliminare in entrambi i contesti si è puntato su un coordinamento organizzativo
seguendo l’esperienza dei piani strategici comunali. Nel caso di Sassari, tre comuni si erano
rivolti alla stessa agenzia privata ed avevano adottato la medesima metodologia. Nel caso
di Cagliari, sei comuni, divisi in due terzetti, si erano rivolti alla stessa agenzia e quattro avevano seguito lo stesso percorso metodologico.
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del Comune di Iglesias, capoluogo di provincia insieme a Carbonia, che
ha predisposto unicamente il piano strategico comunale.
Coerentemente con quanto richiesto, nei casi di Cagliari, Sassari, Oristano e del Sulcis si è scelto di effettuare in via preliminare una puntuale
disamina di tutte le iniziative di programmazione ricadenti sul territorio.
Sebbene, tuttavia, le linee guida prescrivessero l’individuazione di specifici meccanismi di raccordo con la strumentazione urbanistica provinciale
e comunale, ed affidassero alla Regione la funzione di monitoraggio,
non è asseribile una relazione stabile e codificata tra le due tipologie di
strumenti. Per quanto il Piano urbanistico comunale (P.U.C.) si caratterizzi
per la natura strettamente tecnica, è stata comunque rilevante, a detta dei
responsabili, l’interazione con le nuove forme di pianificazione integrata, anche se il collegamento deve principalmente ricercarsi a livello di
orientamento strategico. (11) Tuttavia, non giova certamente alla coerenza
tra i due strumenti, e all’apporto che le nuove logiche di pianificazione
potrebbero offrire nell’ottica del superamento dell’approccio normativoburocratico, la lacunosa definizione di obiettivi, tempi e risorse di cui
risentono i piani strategici. Senza la previsione di indicatori di questo tipo
appare, infatti, arduo il tentativo di declinare linee strategiche in specifici
interventi fisico-spaziali.
Più di un dubbio suscita inoltre lo scollamento esistente tra la pianificazione strategica sovra-comunale e quella provinciale. La Provincia appare,
infatti, un interlocutore imprescindibile insieme al quale tracciare le linee di
sviluppo del territorio, in ragione della visione d’insieme e della funzione di
contemperamento degli interessi generali che trascendono gli stessi confini
dell’area vasta. Solo nel caso di Cagliari, tuttavia, la Provincia ha fornito
un supporto tangibile in tutte le fasi del processo.
La partecipazione degli stakeholder al processo decisionale
Se per semplicità scindiamo il processo di pianificazione in quattro fasi
conseguenti, dalla diagnosi alla sintesi (tabella 4), notiamo come la partecipazione della comunità e delle professionalità del territorio assuma rilievo
nella sola fase della discussione. Agli attori istituzionali, politici e tecnici, e
al comitato tecnico-scientifico spettano, infatti, le principali responsabilità
di analisi del territorio e quindi di fissazione delle linee strategiche su cui
avviare un confronto allargato alla cittadinanza.
11 La totalità degli intervistati sottolinea il costante riferimento agli indirizzi strategici del Piano, visibile ad esempio, nel caso di Sassari, nelle modifiche attuate dal P.U.C. alla viabilità
del centro storico.
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Tabella 4 – Il coinvolgimento degli attori nelle diverse fasi
Area
vasta
Attori e modalità di coinvolgimento
Sintesi
Criterio
selezione
stakeholder
Attori istituzionali e
attori locali (Tavoli
territoriali d’area
e Tavoli tematici,
Conferenza
strategica)
Forum dei
Sindaci,
Tavolo tecnico
Rappresentatività
interessi collettivi,
interesse nel progetto
Comitato
tecnico-scientifico
e specialisti
Testimoni privilegiati,
comunità (EASW)*
Attori
istituzionali
(GOOP)**
Conoscenze
e competenze
specifiche, interesse
nel progetto
Attori istituzionali
Attori istituzionali e
attori locali (Tavoli
tematici, Conferenze,
Forum comunali)
Attori
istituzionali
Competenze
e interesse
nel progetto
Attori
istituzionali
Rappresentatività
interessi collettivi,
interesse nel progetto
Comitato
tecnicoscientifico
Rappresentatività
interessi collettivi,
interesse nel progetto
Diagnosi
Linee
strategiche
CA
Attori istituzionali
e testimoni
privilegiati
(interviste),
Comitato
tecnico-scientifico
Attori istituzionali
e attori locali
(Tavoli territoriali
d’area e Tavoli
tematici)
SS
Comitato
tecnico-scientifico
e specialisti
NU
Attori istituzionali
Discussione
OR
Attori istituzionali
Attori istituzionali
Attori locali
(Tavolo strategico,
settimana strategica,
questionari)
CI
Comitato
tecnico-scientifico
Comitato
tecnico-scientifico
Attori istituzionali e
attori locali (Tavoli
tematici, Forum dello
sviluppo)
* EASW = European Awareness Scenario Workshop
** GOOP = Goal Oriented Project Planning
Si discosta l’esperienza cagliaritana nella quale, sia in fase preliminare che di diagnosi, alla visuale istituzionale è stata affiancata quella
degli attori privilegiati del mondo economico e sociale. Tralasciando
le esperienze comunali, i bassi numeri sulla partecipazione degli attori
socio-economici nelle sedi di discussione sovra-comunale, quali tavoli
tematici, laboratori e giornate workshop, sottolineano il tentativo fallito
di sensibilizzare la cittadinanza sul valore dell’iniziativa e di conseguenza attivarla nel processo di edificazione di una visione condivisa (12)
(tabella 5).
12 L’approfondimento dei processi di pianificazione strategica comunale nelle aree vaste di
Cagliari e Sassari rivela infatti l’esiguo numero di comuni che hanno davvero privilegiato il
coinvolgimento degli stakeholder. Dai lacunosi dati disponibili, emergono i casi positivi di
Sassari e Stintino, così come di Cagliari, Assemini, Elmas e Capoterra. Ai dati sulla partecipazione di area vasta andrebbero invece aggiunti, se fossero noti, i numeri dei partecipanti
alle conferenze di lancio e di presentazione finale.
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Tabella 5 – La partecipazione a livello di area vasta e l’utilizzo di internet
Area vasta
Attori coinvolti
Totali
Sito internet
% su area vasta
CA
1.088
Dedicato
Informazione
Interattività
0,05%
SÌ
scarsa
ottima
SS
122
0,26%
NO
ottima
scarsa
NU
400
0,54%
SÌ
ottima
media
OR
216
0,33%
SÌ
ottima
scarsa
CI
147
0,18%
SÌ
ottima
scarsa
Si ripresenta pertanto l’annoso dibattito sul presunto antagonismo tra
democraticità ed efficacia del processo decisionale. Prendendo atto della
necessità di rendere fluente un percorso articolato, privilegiando il momento
concertativo tra tecnici e amministrazioni in fase di avvio e prevedendo
momenti di chiusura al fine di sintetizzare le indicazioni emerse, non può
che ricevere un giudizio negativo la tendenziale scarsa attenzione alla fase
di ascolto della comunità. Appare insomma squilibrato, seppur rispondente
all’esigenza di accorciare i tempi, il rapporto tra il criterio principale di
selezione degli interlocutori, ossia la rappresentatività degli interessi collettivi,
e la volontà di ricevere il contributo libero di una collettività scarsamente
sollecitata.
La sostanziale uni-direzionalità delle informazioni fornite dalle amministrazioni si scontra con alcuni elementi fondamentali della pianificazione
strategica esposti nelle linee guida, quali le attività continue di comunicazione e di confronto con la città. (13) La funzione di comunicazione viene
esercitata, ancora una volta, dall’Ufficio del Piano e i contatti con gli attori
del territorio affidati principalmente a siti internet dedicati all’iniziativa. I
portali, in generale, si presentano ricchi di informazioni, documenti e report
ma scarsamente interattivi. (14)
L’incapacità di stabilire legami stabili, d’altra parte, emerge con forza
laddove si vada a valutare lo stato di implementazione dei piani sovracomunali ed il concorso offerto dalla sfera privata. A circa due anni dalla
chiusura del documento, anzitutto, si rileva un basso grado di realizzazione
della notevole quantità di assi strategici, politiche e progetti previsti nei piani.
È interessante notare inoltre come tra i criteri di selezione dei progetti non
venga mai indicato il grado di condivisione degli stakeholder. Sebbene risulti
difficile quantificare lo stato di avanzamento dei lavori, data l’assenza di una
tempistica e di indicatori fisico-tecnici, i piani si trovano ancora, mediamente,
nella prima fase di sviluppo. Anche nelle realtà, come Oristano e Nuoro,
13 Avrebbe potuto supplire a tale criticità la previsione di un piano della comunicazione che
consentisse il monitoraggio dei lavori e la possibilità per la collettività di fornire un contributo costante.
14 Delle stesse lacune risentono, ove previsti, i portali dei piani strategici comunali. I Comuni di Cagliari e Nuoro sembrano aver riposto la maggior attenzione alla fase di ascolto
e incentivazione, attraverso la possibilità di inviare e ricevere informazioni tramite mail-box.
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che presentano un 30-40% di progetti realizzati, si evidenzia peraltro uno
sviluppo disarticolato e dall’impatto poco significativo in termini di indicatori
economici e percezione di miglioramento da parte della cittadinanza. Ciò
che colpisce maggiormente risiede tuttavia nel ruolo decisamente marginale
rivestito dal settore privato, il cui peso in termini di responsabilità operative
e di compartecipazione finanziaria è stato del tutto irrilevante. (15)
Gli strumenti di gestione del processo
La maturità dei processi di pianificazione strategica di area vasta, ossia
la reale efficacia nel favorire nuove forme di governance territoriale, non
può che valutarsi, in ultimo, con riferimento allo sviluppo di adeguati strumenti di gestione manageriale. In considerazione dell’orizzonte temporale
delle scelte strategiche, dei diversi piani dell’ordinamento coinvolti nonché
dell’apertura verso i contributi della società, si rende, infatti, indispensabile
la predisposizione di meccanismi di raccordo tra il momento strategico e
il momento operativo. In tal senso, emerge l’importanza di un controllo
del processo preventivo, concomitante e consuntivo, al fine di riallineare
costantemente gli interessi coinvolti, ridefinire, ove necessario, le finalità
strategiche e ri-orientare i comportamenti attesi.
A livello regionale, successivamente all’emanazione di linee guida, la
scelta è stata quella di richiedere un piano metodologico-operativo e un
piano economico-amministrativo per accedere alle risorse finanziarie. Durante il processo di elaborazione la Regione ha inoltre promosso una serie
di incontri territoriali e richiesto report a scadenze prestabilite per verificare
l’andamento dei processi. In sede di valutazione, invece, la commissione
inter-assessoriale appositamente costituita, forse anche in ragione della
novità dello strumento, ha optato per un approccio flessibile, concedendo
una serie di proroghe alla presentazione finale e fornendo indicazioni
integrative alle linee guida senza entrare nel merito dei contenuti. Di fatto,
non è stato respinto alcun piano.
A livello di area vasta, in nessuna delle esperienze sarde, nonostante
le dichiarazioni d’intenti, è stato creato un organismo di monitoraggio e
valutazione del piano, magari composto, come previsto nelle linee guida,
da un comitato di cittadini. La funzione viene svolta, in maniera incurante
dell’imprescindibile carattere di indipendenza che dovrebbe connotarne
l’azione, dall’Ufficio del Piano. Lo stesso organo, in definitiva, assomma su
di sé la funzione di attuazione, comunicazione e accountability del processo
di pianificazione strategica.
In generale, ancora, appare disarticolato il reporting sullo stato di attuazione delle azioni previste. I documenti, se predisposti, non hanno spesso una
tempistica precisa, sono rivolti unicamente all’interno dell’amministrazione
15 È sintomatico, d’altronde, il fatto che, diversamente da quanto indicato nelle linee guida,
il documento sia stato approvato ufficialmente unicamente dalla sfera pubblica e mai da associazioni e organismi di rappresentanza privata, per la verità mai costituiti.
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leader e si inseriscono piuttosto all’interno della rendicontazione istituzionale. D’altra parte non sono stati individuati né i responsabili operativi del
progetto, né indicatori quali-quantitativi che potessero guidare la misurazione
di quanto fatto, e quando sono stati individuati, come nel caso di Oristano,
non sono mai stati utilizzati.
Un altro elemento cardine richiamato nelle linee guida attiene, infine,
alla necessità di un aggiornamento periodico degli indirizzi stabiliti e
conseguente rinnovo della loro sottoscrizione. Dato lo scarso livello di implementazione e la relativa giovinezza dei piani strategici, tuttavia, quanto
previsto nelle intenzioni non ha ancora trovato attuazione e l’attività degli
organi incaricati di tale compito, come il Gruppo Politico Locale composto
dai sindaci nel caso del Sulcis, è rimasta unicamente sulla carta. La già accennata mancata assunzione formale di responsabilità da parte dei privati,
infine, non ha potuto che acuire la debolezza del momento del controllo.
5. Considerazioni conclusive
La ricerca ha consentito di approfondire la reale natura dei recenti percorsi
di pianificazione strategica sovra-comunale intrapresi su contesti privi di
precedenti simili iniziative. L’indagine ha evidenziato la non perfetta coincidenza tra gli elementi cardine del modello della public governance e le
esperienze maturate sul territorio.
Il rispetto delle condizioni che possono consentire alla pianificazione
strategica di divenire uno strumento utile all’instaurarsi di nuove modalità
di governo metropolitano fondate sul consenso e la condivisione appare,
infatti ostacolato da una serie di criticità riscontrate nello sviluppo pratico
dell’iniziativa.
Per quanto attiene alla capacità di attivazione e responsabilizzazione
di una pluralità di attori, emerge anzitutto la criticità dei rapporti interistituzionali. Appare, infatti, decisiva la piena assunzione dei ruoli che
investono le amministrazioni pubbliche ai diversi livelli. In tal senso l’ente
regionale, lungi dal fungere da mero tramite tra piano comunitario e locale
per accedere alle risorse finanziarie, dovrebbe spingere maggiormente sulle
funzioni di coordinamento e monitoraggio, sia economico che metodologico,
del processo. Appare inoltre imprescindibile un maggiore coinvolgimento
delle province, la cui rappresentanza dei più vasti sistemi su cui insistono le
aree sovra-comunali impone non la sovrapposizione, ma l’armonizzazione
degli interventi pianificatori. I rischi dell’appesantimento burocratico dei
processi decisionali e della frammentazione degli interventi istituzionali,
vengono inoltre accresciuti dalle difficoltà di garantire il necessario raccordo tra la gestione strategica e la gestione operativa lungo il percorso della
pianificazione. Le maggiori criticità risiedono in primo luogo nella mancata
assunzione di responsabilità di natura operativa, nelle distinte fasi, da parte
delle amministrazioni comunali che condividono il progetto di sviluppo; in
secondo luogo nella scarsa attenzione dedicata alla previsione di efficaci
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meccanismi di raccordo tra gli strumenti ordinari di governo del territorio,
quali i piani urbanistici, e i piani strategici. Ciò consente di fornire una prima
risposta ad uno degli specifici interrogativi posti in capo alla ricerca. Le
esperienze avviate sui territori oggetto d’indagine, al momento, più che aver
spinto alla concreta adozione di un approccio strategico di lungo termine
nella funzione politica, sembrano essersi conformate, in parte integrandole,
alle logiche e agli strumenti tradizionali di tipo normativo-burocratico.
In via generale, la principale causa dell’astrattezza delle iniziative
sembra risiedere nel limitato sviluppo di adeguati strumenti di gestione
manageriale, indicato tra le principali condizioni di efficacia. A tale
lacuna, per rispondere al secondo interrogativo specifico, si connette la
sostanziale incapacità di assolvere alla funzione sociale che dovrebbe
qualificare la pianificazione strategica, ovvero la creazione di un modello di governo fondato sulla costruzione partecipata di una visione di
sviluppo condivisa e flessibile. I tentativi falliti di promuovere relazioni
stabili, aprire canali informativi multi-direzionali e responsabilizzare il
mondo economico e sociale rivelano, infatti, un processo ancora troppo
centralizzato, poco in linea con i principi della public governance. È bene
sottolineare, peraltro, come il risultato non sia generalizzabile in considerazione di una tempistica che non ha certo favorito il pieno esplicarsi di
tutte le potenzialità dello strumento, poiché tendenzialmente orientata al
reperimento di risorse finanziarie. L’effetto è risultato inoltre amplificato
da un contesto vergine sotto il profilo di precedenti esperienze di pianificazione strategica. Il beneficio più rilevante, per contro, pare associato
all’aver favorito, per la prima volta, l’intensificazione del dialogo e delle
relazioni inter-istituzionali, su cui potrà germogliare l’edificazione di un
disegno unitario di sviluppo competitivo.
I risultati emersi, non generalizzabili, suggeriscono infine quale futura
traiettoria di ricerca l’estensione dell’analisi a contesti caratterizzati da
pratiche di pianificazione strategica maggiormente consolidate e spinte
da motivazioni differenti. Le tendenze evidenziate limitatamente ai casi
selezionati forniscono altresì una preziosa base di comparazione al fine di
individuare l’effettiva presenza di caratteri comuni e soluzioni efficaci allo
sviluppo delle logiche della public governance.
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