Il governo si svegli o perderemo il treno dell`Industria 4.0 linkiesta.it

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Il governo si svegli o perderemo il treno dell`Industria 4.0 linkiesta.it
Articolo pubblicato sul sito linkiesta.it
Estrazione : 18/05/2015 18:39:49
Categoria : Attualità
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Il governo si svegli o perderemo il treno dell’Industria 4.0
La nuova industria interconnessa è perfetta per la flessibilità delle Pmi italiane.
Ma senza formazione e investimenti rischiamo di rimanere indietro
Partita a biliardino tra umani e macchina allo stand Pilz della fiera Sps di Parma (Fabrizio Patti /
Linkiesta) Da una parte due umani, dall’altra un robot.
Nella partita a biliardino che si disputa nello stand della Pilz la partita è quasi in pareggio: 5 a 3 per
il robot.
Ma è solo un’illusione.
«Lo abbiamo programmato al livello due su sei», ci spiegano dall’azienda tedesca, una delle star
della fiera dell’automazione Sps, a Parma .
«Quando siamo saliti al livello 5, abbiamo sfidato la nazionale tedesca di biliardino e ha stravinto il
robot».
È solo l’immagine più spettacolare dei progressi di visione, elaborazione di informazioni, e abilità
tecnica che ha raggiunto l’automazione applicata alle fabbriche.
Tutto attorno, sui due padiglioni della fiera, si vedono macchine che impacchettano, afferrano,
avvitano, contano.
Poi ci sono le star, per fare colore: il canguro robot che salta, l’androide che suona il piano
(costruito a mano da un ragazzo italiano, in realtà la semplice evoluzione dei vecchi pianoforti a
rullo) e Yumi , il robot con due braccia della Abb, che in fiera avvita e che nel supermercato del
futuro dell’Expo prende la frutta e le scatole dagli scaffali.
La buona notizia che viene dalla fiera (organizzata da Messe Frankfurt e che quest’anno registra
un +11% di visitatori, giunti a 23.450) è che l’Italia è pienamente parte del boom dell’automazione.
Le imprese italiane del settore hanno visto il fatturato complessivo crescere del 5% nel 2014 .
Dalla federazione Anie di Confindustria dicono che il primo trimestre del 2015 è iniziato molto bene
e che le previsioni per l’anno in corso sono di chiudere con una salita del 5-10 per cento.
LEGGI ANCHE Questa crescita, ci dice Roberto Maietti, presidente della società di consulenza
Masai e direttore del magazine sull’automazione City Life, è stata anticiclica grazie all’80% di
export e grazie alla capacità delle imprese italiane di integrare la meccanica e la parte elettronica
ed elettromeccanica.
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Giusto per dare un’idea, questa capacità ci pone al secondo posto nel mondo per livello di export nel
settore dell’automazione industriale, subito dopo la Germania, che peraltro è il nostro primo mercato.
Proprio il confronto con la Germania deve, tuttavia, accendere qualche campanello d’allarme e non
farci sedere troppo sugli allori.
La parola chiave è “ Industrie 4.0 ”: con essa si intende la definizione che a Berlino hanno dato della
nuova industria fatta di macchinari che dialogano tra loro, si aggiornano e ricevono informazioni da
remoto, spesso attraverso sistemi cloud.
Un tipo di connettività che permette una maggiore flessibilità , tempi di reazione minimi, minori
sprechi e una produzione sempre più su misura .
Le conseguenze sono dirompenti e vanno dalla possibilità di un ritorno in Occidente delle fabbriche
grazie all’aumento del tasso di automazione (ma anche, al contrario, una più semplice
delocalizzazione) alla trasformazione radicale del lavoro degli operai .
LEGGI ANCHE Oggi la consapevolezza delle imprese italiane sui temi dell’Industria 4.0 non è
paragonabile a quella delle imprese tedesche, che, come documentato alla fiera TechtextilTexprocess di Francoforte, è elevatissima e parte centrale della comunicazione dei gruppi maggiori.
«È vero, c’è meno consapevolezza - dice a Linkiesta Donald Wich , amministratore delegato di
Messe Frankfurt Italia -.
Noi come fiera cerchiamo di essere un ponte tra le due realtà economiche».
Il comitato scientifico di Sps Parma, guidato da Carlo Marchisio, così come la federazione di
categoria Anie, stanno cominciando a fare formazione.
«La cosa che deve essere chiara - dice Wich - è che le imprese italiane hanno tutte le caratteristiche
per questa nuova produzione C2B (dal consumatore all’azienda, ndr ), dove è il consumatore che
determina le caratteristiche del prodotto.
Questo anche perché la nuova industria si applica anche alle Pmi, che hanno la flessibilità
necessaria per introdurre le novità all’interno».
La Germania questo fenomeno ha invece scelto di governarlo.
«Il termine Industrie 4.0 nasce in Germania ed è un sistema che si è creato attraverso la
collaborazione del governo, delle industrie e di centri di ricerca», spiega Wich.
«Lo scopo è stato quello di capire gli scenari futuri e far sì che tra 20 anni l’industria tedesca sia
competitiva nei confronti di quella cinese e americana.
I processi sono d’altra parte irreversibili: se non si investe nelle nuove tecnologie è inevitabile che la
produzione si sposti verso Paesi terzi».
Per arrivare all’obiettivo sono stati creati dei gruppi di concertazione, in cui alcune informazioni
vengono condivise tra i soggetti.
Tra i temi affrontati dal gruppo, aggiunge Maietti, ci sono stati i cambiamenti nell’offerta formativa e
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nei contratti di lavoro , sia dal punto di vista della sicurezza sia da quelli della privacy, visto il sempre
maggiore ricorso a sistemi di visione avanzata da parte delle macchine.
Se cercate qualcosa di simile in Italia, non la troverete.
« Ormai siamo abituati al disinteresse del governo verso il nostro settore - dice Marco Vecchio,
segretario di Anie Automazione, associazione di Confindutria all’interno della federazione delle
imprese elettrotecniche ed elettroniche -.
L’unica cosa che chiediamo è che non ci mettano bastoni tra le ruote».
La lontananza del governo è lamentata da diversi interlocutori, a taccuini aperti e ancor di più chiusi.
LEGGI ANCHE Quello che le imprese chiedono è soprattutto che le istituzioni ripensino all’istruzione
e alla formazione continua di tipo tecnico.
« Non è vero che l’automazione porti via il lavoro , lo dico da 20 anni - aggiunge Maietti -.
Ma è indubbio che cambi completamente il profilo del lavoratore».
Un confronto tra i sistemi tedesco e italiano viene da Luca Bogo, amministratore di Pilz Italia, una
società che in Germania è stata una delle più coinvolte nei tavoli con il governo di Berlino e con gli
istituti di ricerca.
«È sbagliato pensare che le novità dell’Industria 4.0 siano solo di carattere tecnico.
Il cambiamento principale è di tipo socio-demografico.
Ci sarà un’evoluzione della tipologia di lavoratore e sono necessarie nuove figure».
In Germania, aggiunge, «le università stanno cambiando pelle , a costo di andare contro la loro forza
tradizionale: quella di essere molto pratiche e creare dei garzoni di bottega pronti per le aziende.
Ora stanno diventando più simili alle università americane».
In Italia, nota, «si sente molto la vicinanza tra il mondo accademico e quello del lavoro.
Questo anche in atenei di eccellenza come i politecnici di Milano e Torino e università come quelle
di Padova e Bologna».
Secondo Anie e le altre sigle del settore bisogna insistere più sugli Its, gli Istituti tecnici superiori.
Mutuati da un’esperienza simile tedesca, sono stati introdotti dal governo italiano nel 2013, dopo
essere nati sulla carta nel 2008.
Si sono affiancati agli Ifts, che durano un anno (dopo il diploma) e che, essendo soggetti a bando,
nascono e muoino.
La differenza con gli Its la spiega Raffaele Crippa, direttore dell’Its Lombardia Meccatronica, un
istituto gestito dai salesiani specializzato in automazione industriale.
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«Gli Its durano due anni e richiedono, per nascere, delle fondazioni.
La nostra comprende 40 partner, tra le migliore scuole superiori tecniche di Milano e della
Lombardia, università, aziende, tra cui figurano Abb, Bosch, Mitsubishi e Alstom» e varie
associazioni confindustriali lombarde.
Per ora ci sono due classi, una a Sesto San Giovanni e una a Bergamo, con 45 allievi (selezionati
tra 80 aspiranti).
Il costo per il biennio, spiega Crippa, è di 1.500 euro, ma ci sono delle agevolazioni che permettono
di non pagare il secondo anno.
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