Bisturi e cocaina: oltre 40 mila i medici che fanno

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Bisturi e cocaina: oltre 40 mila i medici che fanno uso di sostanze - Linkiesta.it
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Bisturi e cocaina: oltre 40 mila i medici che
fanno uso di sostanze
Dalla sala operatoria al pronto soccorso. Il dieci per cento dei medici ha
problemi di droga e alcol. La fatica e i turni più lunghi aggravano il
problema. A Torino è nato un centro per far fronte alla situazione
di Lidia Baratta
(Getty Images/Christopher Furlong)
4 Febbraio 2016 - 08:15
C’è il chirurgo che vive in sala operatoria dalle sei del mattino alle otto di sera e
che per rimanere sveglio e concentrato finisce per ricorrere alla cocaina. Fino a
diventarne dipendente. C'è l’anestesista, che per ridurre l'adrenalina una volta
tornata a casa ha trovato la soluzione nell’alcol. E anche il medico di pronto
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soccorso, che ha cominciato a “doparsi” con un farmaco stimolante per stare al
passo con i ritmi della corsia.
Droghe e alcol negli ospedali italiani sono molto più diffusi di quanto si pensi. E
con i turni massacranti ai quali sono sottoposti i medici dopo il blocco delle
assunzioni e i tagli alla sanità, «il fenomeno è cresciuto», assicura don Paolo Fini,
che da anni combatte le tossicodipendenze, e che ora insieme all’ordine dei
medici di Torino ha ideato Helper, il primo centro italiano di disintossicazione
rivolto alle professioni sanitarie. «Spesso si nega il problema per paura di
offendere la categoria professionale», dice, «ma il problema esiste e va curato».
Difficile dire quanti siano in Italia i medici dipendenti da droghe e alcolici. I
controlli ai quali viene sottoposto annualmente il personale sanitario riguardano
le condizioni di salute, non la presenza di droghe nell’organismo. L’unico studio
esistente è quello di Dianova, del 2012, che ha parlato di 43mila professionisti
colpiti su 370mila (il 10%). Solo a Torino i promotori del progetto Helper ne
hanno contati fra i 1.000 e i 1.500.
“
“Andare da un collega e dire che si fa uso di cocaina non è
semplice. Per questo servono strutture idonee che garantiscano la
privacy”
Tiziana Borsatti, responsabile del progetto Helper per l'ordine dei medici
Secondo gli studi del Talbott Recovery Campus di Atlanta, che da trent’anni
negli Usa si occupa delle dipendenze dei medici, tra l’8 al 12% del personale
sanitario presenta una patologia da abuso di alcol o correlata all’uso di sostanze
stupefacenti. In Europa, l’unico centro di questo tipo esiste in Spagna (si chiama
Paime, Programa de Atencion Integral al Mèdico Enfermo), creato nel 1998
dall’ordine dei medici di Barcellona, secondo il quale il 12% dei camici bianchi
catalani soffre di dipendenze. Un servizio simile è stato ideato anche dalla
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Federazione dei medici svizzeri, che ha dedicato una linea telefonica alle
richieste di aiuto dei colleghi.
Il centro Helper di Torino sarà il primo in Italia nel suo genere. L’ospedale
Molinette ha già dato una struttura in comodato d’uso. E ora servono solo le
risorse per assumere il personale e partire. «Curare un medico è molto difficile»,
spiega Tiziana Borsatti, responsabile del progetto per conto dell’ordine dei
medici. «Andare da un collega e dire che si fa uso di cocaina non è semplice. Per
questo servono strutture idonee che garantiscano la privacy».
I più colpiti dalle dipendenze sono chirurghi, anestesisti, medici di pronto
soccorso, psichiatri e ginecologi. Servizi “di frontiera”, alle prese con le
emergenze, che comportano forte stress emotivo e scariche adrenaliniche. E che
richiedono anche una turnazione continua: non possono esistere “buchi”. «È
chiaro quindi che se l’organico è ridotto all’osso e i turni aumentano, anche lo
stress aumenta», dice Borsatti. Così per stare col bisturi in mano anche per diecidodici ore al giorno, qualcuno ricorre al “doping” di sostanze di qualsiasi tipo. Lo
sballo non c’entra. «È un modo non funzionale di rispondere allo stress», spiega
don Paolo Fini.
In Germania, il medico Kalus Lieb in uno studio condotto a Magonza ha scoperto
che un chirurgo su cinque assumeva sostanze psicoattive legali o illegali,
mentre il 15% consumava antidepressivi. Ma in testa alla classifica dei soggetti a
rischio «ci sono anche gli infermieri», ricorda don Fini, «che sono ancora di più a
contatto con i pazienti di quanto lo siano i medici».
“
Le categorie più colpite dalle dipendenze sono chirurghi,
anestesisti, medici di pronto soccorso, psichiatri, ostetriche e
ginecologi. Servizi “di frontiera”, alle prese con le emergenze, che
comportano forte stress emotivo e scariche adrenaliniche continue
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A far crescere il rischio di sviluppare dipendenze è il carico eccessivo di stress,
che porta alla cosiddetta sindrome da burnout, la condizione di “esaurimento
emotivo” che colpisce in genere coloro che lavorano a contatto con le persone.
Medici compresi. Lo confermano i terapisti che si occupano di burnout: «Tanti
medici arrivano da noi in situazioni di forte stress, lamentando anche lo scarso
valore attribuito al loro lavoro». Tra i medici italiani la frequenza dei suicidi è
doppia rispetto al resto della popolazione, arrivando addirittura a essere quattro
volte superiore tra le donne (se confrontata con il resto della popolazione
femminile).
Le sostanze stupefacenti più usate dai camici bianchi sono cocaina e stimolanti
di vario tipo. «Questo vale soprattutto per i chirurghi», spiega Fabrizio Starace,
direttore del dipartimento di salute mentale e dipendenze patologiche dell’Asl di
Modena. «L’attività di sala operatoria, dal mattino alla sera, richiede uno sforzo
fisico, non solo psichico. Se a questo aggiungiamo che dove prima eravamo in
cento oggi siamo novanta, il rischio di sviluppare dipendenze aumenta». L’alcol, al
contrario, «viene usato per sedare una condizione di iperattività una volta tornati
a casa». Ma i medici non sono immuni neanche alla dipendenza dal gioco
d’azzardo. Perché il gioco permette di focalizzarsi su altro e staccare dallo stress
della corsia.
«Nel corso della mia carriera mi hanno segnalato diversi colleghi che
manifestavano problematicità», racconta Tiziana Borsatti, che ha alle spalle
un’esperienza da anestesista di oltre 40 anni. «Se un collega è troppo irritabile o
si addormenta in servizio perché assume psicofarmaci, tutti gli altri ne
risentono. Senza dimenticare i pericoli che un medico in preda a sostanze
stupefacenti comporta per i pazienti». In questo caso, se si compie un errore e si
scopre che il medico aveva assunto droghe, scatta il licenziamento.
«È un lavoro in cui il carico di stress è altissimo», ammette Borsatti. «Devi
sempre essere perfetto e dare tutto di te. Qualsiasi emergenza ti deve andare
bene, non puoi permetterti di sbagliare. Sei come il pilota: parti e devi
atterrare». Anche perché il rischio di una denuncia da parte dei parenti dei
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pazienti è sempre dietro l’angolo. «Devi essere pronto a difenderti. È un lavoro di
responsabilità, per questo se non gode del riposo giusto comporta un aumento
del rischio di dipendenze».
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“Devi sempre essere perfetto e dare tutto di te. Qualsiasi
emergenza ti deve andare bene, non puoi permetterti di sbagliare.
Sei come il pilota: parti e devi atterrare”
Il contatto quotidiano con sostanze di cui si può fare abuso, poi, facilita le
devianze. Anestetici, psicofarmaci o medicine per la terapia del dolore sono a
portata di mano per chi frequenta gli ospedali. «Storicamente medici e farmacisti
sono stati i primi esposti a condizioni di dipendenza per la facilità di accesso ai
farmaci», spiega Fabrizio Starace. E le sostanze di cui si finisce per abusare
«spesso vengono interpretate dai medici come “autocure” nei momenti di
stress», dice don Paolo Fini.
La ciliegina sulla torta è stata la “cura dimagrante” da 30 miliardi che la sanità ha
subito negli ultimi anni. «Di certo la carenza di personale ha fatto aumentare il
rischio di abuso di sostanze per tentare di sostenere i ritmi martellanti ai quali i
medici sono sottoposti», conferma Massimo Cozza, segretario nazionale Fp Cgil
Medici. I turni si sono raddoppiati e i carichi di stress sono cresciuti. E con loro i
casi di dipendenza da droghe e alcol. Con otto turni notturni al mese e oltre 150
ore di straordinario all’anno, ha denunciato qualche mese fa Anaao Assomed,
l’associazione dei medici dirigenti, le performance cognitive peggiorano,
provocando la cosiddetta “morte professionale”, ossia la perdita progressiva di
empatia.
Tant’è che l’Europa da anni ha avviato una procedura di infrazione contro l’Italia
per il mancato recepimento di una direttiva del 2003 che prevede almeno 11 ore
di riposo tra un turno e un altro per un massimo 48 ore settimanali in media in
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quattro mesi. Il governo italiano si è preso un anno di tempo per far fronte alle
carenze, e dal 25 novembre 2015 gli ospedali dovrebbero essere obbligati a
rispettare la norma. Dovrebbero. Perché «in assenza di fondi per procedere alle
seimila assunzioni annunciate da Renzi, si stanno già trovando gli escamotage»,
dice Cozza. Uno su tutti: i reparti vengono accorpati, e laddove prima c’erano due
medici a notte per 40 posti letto, ora si mette un solo medico per 80 pazienti.
Con la conseguenza che i medici sono più stanchi e più stressati di prima. E il
rischio di trovare la soluzione in alcol e droghe aumenta.
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