Banche, la solfa non cambia: le colpe dei grandi

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Banche, la solfa non cambia: le colpe dei grandi
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Banche, la solfa non cambia: le colpe dei grandi ricadono sui piccoli - Linkiesta.it
Banche, la solfa non cambia: le colpe dei grandi
ricadono sui piccoli
Un’elaborazione di Unimpresa conferma che la stragrande maggioranza dei
crediti deteriorati è attribuibile a poche imprese. Che sfruttano il proprio potere
relazionale e negoziale con le banche. Il conto lo pagano le piccole e medie
imprese
di Redazione
(KAY NIETFELD/AFP/Getty Images)
KAY NIETFELD/AFP/Getty Images
3 Novembre 2016 - 12:05
Viviamo in un Paese in cui i piccoli imprenditori, ma anche le
semplici famiglie, per ottenere dei mutui hanno dovuto
sottoscrivere delle azioni. E in cui le obbligazioni subordinate
sono state distribuite a un pubblico “retail” come in nessun’altra
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parte in Europa. Per questo sono importanti le stime che
periodicamente ci ricordano quanto alla radice dei problemi delle
banche ci siano fenomeni che con i piccoli imprenditori e le
famiglie hanno poco a che fare. Dice l’ultima ricognizione di
Unimpresa sui dati di Banca d’Italia, per esempio, che il 70% delle
sofferenze è relativo a prestiti sopra il mezzo milione di euro. I
clienti interessati da tali prestiti sono poco meno di 60mila, o il
4,72% del totale (il comunicato e la tabella di Unimpresa riportata
qui sotto e le notizie di stampa hanno parlato del 2,63%, ma si
tratta di un errore di calcolo). Se si confronta il dato con delle
indagini precedenti di Unimpresa, si scopre che il peso dei
crediti deteriorati riconducibili a prestiti sopra il mezzo
milione è addirittura aumentato rispetto a due anni fa, quando
era fermo al 66 per cento.
Fonte: Unimpresa
Ora, onestà intellettuale vuole che non si possa considerare un
prestito di mezzo milione come credito a una grande impresa.
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Tuttavia, se si concentra lo sguardo sui prestiti superiori ai 5
milioni di euro, si scopre che questi da soli valgono il 35% delle
sofferenze totali, a fronte di meno dello 0,5% del totale della
clientela (quelli sopra i 25 milioni sono lo 0,05% e valgono il
12,01% delle sofferenze). Si tratta di una distribuzione che può
avere un senso statistico. Tuttavia, nell’elaborazione di due anni
fa questi grandi prestiti pesavano per un punto percentuale e
mezzo in meno, il 33,6 per cento. Le cose sono andate quindi
peggiorando.
A una conclusione simile era arrivata un’indagine svolta a luglio
dalla Cgia di Mestre, secondo la quale in termini percentuali le
variazioni di crescita maggiori verificatesi nel quinquennio
2011/2016 sono avvenute proprio nelle classi di grandezza più
alte; vale a dire in quelle riconducibili agli importi di prestito più
elevati che vengono consessi quasi esclusivamente alla migliore
clientela. Le regioni dove questo fenomeno avviene con più
gravità sono quelle del Sud, mentre le cose vanno decisamente
meglio in Veneto e Lombardia.
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Fonte: Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
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Il fenomeno negli ultimi cinque anni è peggiorato: è
sempre maggiore il peso delle sofferenze
determinato dai prestiti di maggiore entità
concessi alle imprese maggiori
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Fonte: Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
Secondo la stessa indagine, l’81% delle sofferenze era
riconducibile al primo 10% della clientela, quello che riceve il 90%
dei prestiti. La conclusione del coordinatore dell‘ufficio studi
della Cgia era stata inevitabile: «questo primo 10 per cento di
affidati, costituito quasi esclusivamente da grandi aziende, grandi
famiglie e gruppi societari, fa il bello e il cattivo tempo nei
rapporti con le banche. Sfrutta il suo potere negoziale per
ottenere gli impieghi, ma essendo poco solvibile, fa pagare il
conto agli altri che, malgrado siano buoni pagatori e costituiscano
la stragrande maggioranza della clientela, si sono visti ridurre
drasticamente l’offerta creditizia». Un’anomalia «presente solo in
Italia che i nostri organismi di controllo del credito dovrebbero
avere il coraggio di denunciare».
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Fonte: Ufficio Studi CGIA su dati Banca d’Italia
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