Pentecostalismo, sfera pubblica e ONG - Sapienza

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Pentecostalismo, sfera pubblica e ONG - Sapienza
Pentecostalismo, sfera pubblica e ong131
Pino Schirripa
Pentecostalismo, sfera pubblica e ong
Il caso dell’Etiopia
1. Pentecostalismo e carismatismo
Il pentecostalismo è un fenomeno che negli ultimi decenni è cresciuto
in maniera impetuosa su scala mondiale, tanto nei paesi cosiddetti in via
di sviluppo che nell’Occidente industrializzato e nei nuovi paesi capitalisti dell’Oriente.
Sulla valutazione del numero degli appartenenti alle varie denominazioni della galassia pentecostale non c’è accordo tra i vari studiosi. Di
fatto si va da una valutazione di circa 120 milioni di aderenti al pentecostalismo entro una più vasta platea di fedeli riconducibili alle espressioni
carismatiche del cristianesimo di circa 345 milioni1, a cifre ben più alte:
Barret e Johnson calcolano che l’insieme degli aderenti ai movimenti cristiani pentecostali e carismatici è di circa 520 milioni2. Queste cifre, pur
nella loro discrepanza, danno il senso di come ci si trovi di fronte a un
movimento di ampie proporzioni che, oltretutto, ha registrato negli ultimi
decenni forti tassi di crescita.
C’è da fare una precisazione di ordine terminologico. I dati qui sopra riportati si riferiscono a movimenti pentecostali e carismatici nel loro
insieme. Che differenza possiamo fare tra le due esperienze? E perché
queste, nelle statistiche, vengono poste assieme?
Normalmente quando si parla di movimenti pentecostali si vuol far
riferimento a quelle denominazioni e quei movimenti che, in qualche
modo, sono immediatamente riconducibili all’esperienza del pentecostalismo per come essa si è andata configurando dalle sue origini grazie alla
predicazione del pastore nero R. Seymour nella chiesa di Azusa street a
Los Angeles dal 1904. Si tratta quindi di movimenti e denominazioni che,
pur nella ampie differenze dottrinali e di pratiche religiose, si riconoscono
in quell’atto fondativo e condividono le basi dell’espressione della religione e della dottrina. Come si è già accennato nell’introduzione a questa
sezione tematica, i capisaldi della dottrina e della fede pentecostale pos1
P. Johnstone - J. Mandrik, Operation world. 21st Century Edition, Paternoster Press,
Carlisle 2001.
2
D.B. Barrett - T.M. Johnson, Global statistics, in S.M. Burgess - E.M. van der Mass, The
new international dictionary of Pentecostal and Charismatic movements, Zondervan, Grand
Rapids 2002, pp. 283-302.
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sono essere sintetizzati nell’idea di una religione vissuta in maniera più
diretta con una attenuazione del ruolo di mediazione sacerdotale. Il fedele
esperisce un rapporto diretto con il divino. Il termine “pentecostalismo”
richiama infatti l’esperienza di contatto diretto con lo Spirito Santo vissuta dagli apostoli durante la festa di pentecoste per come questa viene
descritta negli Atti degli Apostoli 2,1-13, e riferita anche da Paolo nella
prima lettera ai Corinzi. Sempre Paolo si sofferma sui doni, i carismi, che
gli apostoli ricevettero dallo Spirito Santo in quell’occasione: la profezia,
la preveggenza, la capacità di guarire, quella di parlare in lingue sconosciute e così via. Per i pentecostali quell’esperienza non è da considerarsi
unica: ogni fedele, se vive intensamente la sua fede e segue l’esempio
tracciato dal Cristo, può riviverla, esperendo in prima persona l’effusione
dello Spirito. Forma tangibile di ciò sono per l’appunto i carismi. Tra questi il principale, per molti versi, può essere considerato quello del parlare
in lingue, che fin dai tempi della predicazione di Seymour era considerato
il segno dell’avvenuta effusione, dunque del fatto che l’adepto potesse
essere considerato “salvato”3. L’effusione dello Spirito rappresenta una
esperienza di radicale trasformazione della persona, segnando una rottura
nella sua traiettoria esistenziale; non è un caso che, nella lingua inglese,
sia prevalsa, tra i pentecostali, l’autodesignazione di born again. Come
già segnalato nella introduzione a questa sezione tematica, tutto ciò comporta un rapporto complesso, e per molti versi contraddittorio, con le tradizioni locali4.
Se quanto detto può servire a delineare, sia pure a grandi maglie, la
variegata e multiforme galassia pentecostale, più complesso è invece dare
una definizione del carismatismo. In realtà sotto questo termine confluiscono differenti esperienze storiche. In questa sede mi riferirò a due di
esse: il carismatismo per come si è sviluppato nelle denominazioni cristiane storiche, principalmente, ma non solo, in Occidente, e le Chiese
indipendenti africane, dette appunto carismatiche.
Lo sviluppo del pentecostalismo nel corso dei decenni ha drenato, soprattutto nelle prime fasi della sua storia, fedeli alle denominazioni storiche, in primo luogo tra quanti erano in cerca di una fede vissuta in maniera
differente, sia rispetto alla mediazione pastorale che alle pratiche concrete
3
In realtà oggi, nei vari movimenti che si richiamo alla esperienza pentecostale, non c’è
una visione unitaria rispetto a questo aspetto. Se per alcuni gruppi, infatti, l’effusione dello
Spirito è di per sé una garanzia del fatto che il fedele sia sotto la protezione divina e quindi
salvo, per altri, invece, il rischio della caduta nel peccato, e dell’attacco diabolico, è comunque
presente; il fedele, pertanto, sarà salvo solo se continuerà a “camminare nel sentiero di Cristo”,
per usare una terminologia cara ai pentecostali.
4
Sulla storia e la diffusione del pentecostalismo si rimanda a: A. Anderson, An introduction
to Pentecostalism, Cambridge University Press, Cambridge 2004; P. Schirripa (ed.), Terapie
religiose. Neoliberismo, cura, cittadinanza nel pentecostalismo contemporaneo, Cisu, Roma
2012; P. Naso, Cristianesimo: Pentecostali, emi, Bologna 2013.
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del culto. Fino agli ’60 dello scorso secolo quanti si aprivano, in forme
differenti, all’interno delle denominazioni storiche alle esperienze pentecostali, venivano allontanati dalle comunità. Nel corso di quel decennio
le varie denominazioni cominciano ad accettare al proprio interno gruppi
le cui pratiche cultuali e le forme di vivere la fede richiamano fortemente
l’esperienza pentecostale; si tratta di gruppi variamente denominati ma
che ricadono dentro la vasta esperienza del rinnovamento, intendendo con
questo terminem la volontà esplicita di questi gruppi di arrivare a forme
rinnovate di vivere la fede e il rapporto con l’alterià divina. È il caso, ad
esempio, della Chiesa cattolica, il cui movimento di rinnovamento carismatico ebbe origine nell’America settentrionale nel 1967, ed è tuttora
conosciuto come Rinnovamento dello Spirito o movimento carismatico
cattolico. In realtà queste etichette racchiudono una galassia di esperienze
multiformi e dinamiche i cui confini non sono facilmente definibili5.
Nel continente africano negli ultimi decenni il rinnovamento inteso
nella sua accezione di movimenti interni alla denominazioni storiche, si è
fatto più presente. Va sottolineato però che nella letteratura sui movimenti religiosi africani con il termine “carismatico” si intende solitamente una
esperienza storica affatto differente. In effetti con il termine “Chiese carismatiche” la ricerca sociologica, antropologica e storico-religiosa suole
riferirsi alle Chiese che rappresentano di fatto lo sviluppo più recente delle Chiese di carattere sincretico sorte nel periodo coloniale come forma di
risposta – e spesso di rivolta – proprio al processo di acculturazione forzata promosso dal progetto coloniale, che nella conversione al cristianesimo
aveva uno dei suoi punti cardine. Se nel periodo coloniale tali movimenti
religiosi “di libertà e di salvezza”, per richiamare la felice espressione
di Vittorio Lanternari6, rappresentarono la risposta creativa, dal punto di
vista religioso, al processo coloniale, nel periodo successivo ampliarono
la loro presenza, caratterizzandosi come “istituti di salvezza globale”7, o
multipurpose churches, per utilizzare il termine proposto da Jean e John
Comaroff8. Tali termini sottolineano come l’attività di queste Chiese riguardi ad un tempo il benessere in questa terra e la salvezza ultramondana. Con benessere si intende l’attività terapeutica, quella più latamente di
protezione degli adepti, soprattutto dal rischio della stregoneria o degli
5
Sul movimento carismatico cattolico si veda ad esempio T.J. Csordas, The sacred self: a
cultural phenomenology of charismatic healing, University of California Press, Berkeley 1994.
Per quel che riguarda l’Italia si rimanda, tra gli altri, a V. Lanternari, Le terapie carismatiche.
Medicina popolare e scienza moderna, in «La Ricerca Folklorica» 8 (1983), pp. 83-89.
6
V. Lanternari, Movimenti religiosi di libertà e di salvezza dei popoli oppressi, Feltrinelli,
Milano, 1960.
7
P. Schirripa, Profeti in città. Etnografia di quattro chiese indipendenti del Ghana,
Editoriale progetto 2000, Cosenza 1992.
8
J. Comaroff - J.L. Comaroff, Of revelation and revolution. Christianity, colonialism and
consciousness in South Africa, The University of Chicago Press, Chicago 1991.
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attacchi del maligno, ma allo stesso tempo anche attività di altro genere,
quali la gestione di scuole o di piccole cliniche e più in generale attività
che riguardano ciò che latamente viene definita come sfera pubblica. Le
Chiese cui qui ci si riferisce si autodesignano come carismatche. Si tratta
anche in questo caso di un insieme variegato e contraddittorio, difficilmente definibile entro rigide categorie, visto che esistono forti differenze
tanto nelle pratiche cultuali, che variano fortemente, che negli elementi
di dottrina. Inoltre se pur esse si dichiarino sostanzialmente lontane dalle religoni tradizionali locali, cui spesso si oppongonoe esplicitamente,
incorporano in maniera modulata differentemente pratiche di culto ed
elementi, quali ad esempio forme specifiche di esorcismo spirituale, fortemente radicati negli orizzonti treligiosi locali. Si tratta di esperienze
effervescenti, spesso segnate da processi di fissione e di fusione che portano ad un moltiplicarsi di denominazioni, così pure ad esperienze di nuove sintesi. In effetti questo universo magmatico nel corso dei decenni si
è sempre più incontrato, e per molti versi amalgamato, con le esperienze
pentecostali che si erano affermate nel continente africano. È per questa
ragione che oggi gli studiosi preferiscono riferirsi all’insieme di queste
esperienze religiose designandole come Chiese pentecostali e carismatiche, proprio a indicare e sottolineare i tratti unitari delle due esperienze9.
2. Pentecostalismo e sfera pubblica
Questa breve introduzione vuole dare conto della complessità e delle
varie sfaccettature del fenomeno pentecostale. In effetti è per molti versi difficile, date le interne contraddizioni, definirlo come un movimento unitario. In realtà, parlando del pentecostalismo, si può dire tutto e il
contrario di tutto. Questo dipende tanto dalle differenze di ideologia, di
dottrina e di pratica tra le differenti Chiese, quanto dai peculiari sviluppi
che si sono avuti nei vari paesi. Non va dimenticato inoltre che il pentecostalismo si è sviluppato su più ondate, ognuna delle quali presenta dei
caratteri suoi propri.
In questo mio contributo vorrei analizzare l’intervento di alcune
Chiese pentecostali etiopi nella sfera pubblica. È dall’inizio del periodo
postcoloniale che questo tipo di Chiese si impegna nella sfera pubblica,
riprendendo in questo forme e pratiche portate in Africa dalle denominazioni storiche nel periodo coloniale. Ad esempio alcune si sono impegnate nel campo dell’educazione aprendo asili e scuole primarie. Non è raro
che alcune Chiese gestiscano in proprio anche delle cliniche.
9
B. Meyer, Christianity in Africa: from independent to Pentecostal-Charismatic churches,
in «Annual Review of Anthropology» 33 (2004), pp. 447-474.
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In questo caso però vorrei legare il discorso soprattutto non tanto alla
dimensione più legata all’assistenza, quanto a quella dei processi di sviluppo. Tutto ciò mi porterà a ragionare sulle Organizzazioni non Governative, principalmente su quelle che sono esplicitamente confessionali o
che, addirittura, sono filiazione diretta delle Chiese10. Ovviamente, tutto
ciò prevede che, prima di concentrarsi sul caso etiope, si faccia una breve
riflessione su due temi che, per quanto possano apparire a prima vista
distanti, sono fortemente connessi: quello delle ong, e dei loro esiti più
recenti, e quello del diffondersi dell’economia e dell’ideologia neoliberista in Africa. Si tratta di temi centrali per comprendere in che modo si
svolga l’azione dei movimenti pentecostali nella sfera pubblica.
Non deve sembrare un accostamento ardito quello tra pentecostalismo e neoliberismo. C’è una strana, forse non casuale, coincidenza tra
due fenomeni che, per molti versi, crescono in maniera impetuosa nello
stesso periodo. Molti studiosi notano come il pentecostalismo, sebbene
fosse presente nel continente già nel periodo coloniale, abbia conosciuto
un forte sviluppo negli ultimi trent’anni, che lo ha portato ad essere il
movimento cristiano con il più alto tasso di crescita e la cui proporzione
numerica fa prevedere che tra breve possa diventare il primo movimento
cristiano in termini assoluti11. E non è casuale che, parlando degli ultimi trent’anni, noi ci troviamo a parlare del periodo che segue la grande
ristrutturazione12 economica: i programmi di aggiustamento strutturale
che significano di fatto l’affermarsi su scala continentale della economia neoliberista. Si tratta di un processo che, pur con diverse modalità
nei differenti paesi, ha coinvolto l’intero continente; anche paesi che, se
guardiamo ai processi storici degli ultimi tre o quattro decenni, potevano
avere una altra storia: mi riferisco, ad esempio, al Sud-Africa del postapartheid, e al destino dell’African National Congress, che, da partito di
ispirazione socialista, è diventato oggi un partito che guida un paese in
cui l’ideologia neo-liberista è dominante, e che questo partito ha sposato e
promuove. Lo stesso si può dire dell’Etiopia dove la coalizione al governo, formata dai movimenti di guerriglia usciti vincitori dalla guerra civile,
sebbene di ispirazione socialista e marxista si è aperta al libero mercato
e, anche in questo caso, promuove una economia di stampo neoliberista,
seppur mitigata dal forte intervento statale.
Per comprendere in che modo l’economia neoliberista si sia imposta
nel continente, occorre far un breve riferimento ai piani di aggiustamento
strutturale promossi dal Fondo Monetario Internazionale.
10
Sul processo di costruzione delle ong legate alle Chiese si veda P. Gifford, Some Recent
Developments in African Christianity, in «African Affairs» 93 (1994), pp. 513-534.
11
D.B. Barrett - T. M. Johnson, Global statistics, cit.
12
Cfr. infra nota 13.
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3. I piani di aggiustamento strutturale e il nuovo ruolo delle ong
Nel corso degli anni ’80 dello scorso secolo, una serie di circostanze
economiche abbastanza rilevanti produssero su diverse economie africane una crisi di vaste proporzioni; per molti versi il volano della crisi fu
la situazione debitoria di molti Stati. Diverse le cause, tra le principali si
possono citare le grandi spese sostenute dopo l’indipendenza per la creazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo e che hanno comportato
l’indebitamento; una forte spirale inflattiva; infine, un altro dato fondamentale, che mise in ginocchio le economie, è legato all’innalzamento
dei prezzi dei prodotti petroliferi e al concomitante crollo del prezzo dei
grandi crash-crops, cioè quei prodotti di esportazione che si erano affermati durante il colonialismo, principalmente il caffè e il cacao. Crollando
i prezzi, gli Stati africani si trovarono di fronte alla impossibilità di fare
fronte ai debiti, e quindi ad una crisi generalizzata, che fu di fatto una
crisi del debito, per molti versi simile a quella che l’Europa sta vivendo in
questi anni. Per far fronte a questa situazione si trovarono costretti a fare
ricorso ai due grandi organismi sovranazionali che regolano le questioni
finanziare: la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale.
Gli organismi sovranazionali concessero nuovi aiuti in cambio di riforme strutturali che ridisegnassero gli assetti degli Stati, aprendoli al
mercato internazionale e favorendo la liberalizzazione del mercato interno. Venne perciò posta una forte enfasi allo sviluppo del settore privato
da ottenersi attraverso un abbassamento delle tasse sulla produzione, una
deregolarizzazione delle imprese private, la svalutazione monetaria, e
la privatizzazione delle aziende statali e dei servizi13. Allo stesso tempo
vennero privatizzati servizi essenziali, e imposti tagli sulle spese sociali, con conseguenze devastanti per le fasce più deboli della popolazione,
principalmente, ma non esclusivamente, per quel che riguarda il settore
sanitario14. Questi piani avevano l’obiettivo di rivitalizzare le economie
africane puntando sul settore privato e, nel contempo, su un progressivo
ritrarsi dello Stato dai settori chiave dell’economia per permettere così
forti risparmi. Se per certi versi diverse economie del continente conoscono attualmente una espansione in termini percentuali del prodotto interno
lordo, non si può dimenticare che i benefici riguardano una piccola fetta
13
La bibliografia sui piani di aggiustamento strutturale in Africa e sui suoi effetti sugli
assetti sociali e sulla vita delle popolazioni è sterminata; in questa sede rimando, dato il suo
fuoco sui pentecostali, a D. Freeman (ed.), Pentecostalism and development. Churches, NGOs
and social change in Africa, Palgrave - McMilliam, Basingstoke 2012.
14
Cfr. P. Schirripa, Ineguaglianze in salute e forme di cittadinanza, in «AM. Rivista della
Società italiana di antropologia medica» 37 (2014), pp. 59-80; J. Pfeiffer - R. Chapman, Anthropological perspectives on structural adjustment and public health, in «Annual Review of
Anthropology» 39 (2010), pp. 149-165.
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della popolazione, mentre la gran parte soffre a causa della riduzione dei
servizi pubblici e dei piani di aiuto sociale.
Il ritrarsi degli Stati dai nodi nevralgici della economia e dello sviluppo, impose un ripensamento anche le politiche di cooperazione allo
sviluppo. Se infatti fino agli anni ’70 gli attori principali erano gli Stati,
attraverso gli accordi bilaterali15, e le ong svolgevano di fatto un ruolo
sussidiario, sul finire degli anni ’80 il panorama mutò completamente.
Lo Stato non era più il fornitore esclusivo, o principale, di beni e servizi
fondamentali, quali la scuola e la sanità ad esempio, e gli spazi che così
si aprirono vennero occupati da attori sociali che prima avevano un ruolo
minore: le ong internazionali appunto, o nuove figure della società civile
africana e, prime fra tutte, le ong locali che si moltiplicarono in pochi
anni a un ritmo impressionante; nella sola Etiopia, ad esempio, si è passati
dalle 60 ong locali presenti alla fine degli anni ’80 alle quasi 2000 censite
nel 200716. Il flusso di aiuti che passa attraverso le ong diventa sempre
più importante:
«Nel 1995 c’erano almeno 29000 ong internazionali in attività, con un flusso di
aiuti canalizzato attraverso loro che era stimato intorno ai 5 miliardi di dollari; di
questi 3.5 miliardi erano diretti a ong operanti in Africa. Questa cifra rappresentava quasi un quinto degli aiuti totali destinati al continente»17.
Questi pochi dati mostrano come sia cambiato profondamente il panorama africano a cavallo degli ultimi due decenni del secolo scorso e
quali attori si siano imposti sulla scena. Prima di tornare al tema del mio
contributo, cioè al ruolo giocato dal pentecostalismo nelle ideologie e
nelle pratiche delle politiche di aiuto allo sviluppo, è bene, per dare un
quadro più esaustivo, riflettere brevemente su come siano cambiate, nei
loro scopi e nelle loro strutture, le ong in quegli anni. C’è una certa tendenza, infatti, a dare a questo tipo di organizzazioni un ruolo, e una pratica conseguente, tutto sommato fissi. Insomma le si vede al di fuori della
processualità storica e delle dinamiche sociali e politiche che investono
sia i paesi in cui si trovano ad operare, ad esempio quelli del continente
africano, che i paesi donatori, cioè quelli occidentali.
15
Per accordo bilaterale si intende quel tipo di accordo di cooperazione siglato direttamente
da due Stati, in cui uno si impegna nel finanziare opere (donatore) e a fornire gli aiuti e i
supporti attraverso le agenzie di cooperazione di Stato, l’altro (ricevente) a mettere in atto
quanto previsto. Assieme a questo tipo di cooperazione esiste quella chiamata multilaterale, in
cui gli Stati firmatari dell’accordo sono più di due.
16
Dessalegn Rahmato - Bantirgu Akalewold - Yoseph Endeshaw, CSOs/NGOs in Ethiopia:
Partners in Development and Good Governance, Report for the Ad Hoc CSO/NGO Task
Force, Addis Ababa, cit. in D. Freeman, The pentecostal ethic and the spirit of development, in
Id. (ed.), Pentecostalism and development, cit., pp. 1-38: p. 5.
17
Ibidem. Tutte le traduzioni, ove non esplicitamente indicato, sono a cura dell’autore
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Il mutato panorama qui brevemente descritto ha fatto sì che, con il ritrarsi del ruolo degli Stati, le ong diventassero uno degli attori principali
delle politiche di sviluppo e, conseguentemente, riuscissero a incanalare
buona parte dei fondi a queste dedicate. Il moltiplicarsi delle ong, così
come di altre organizzazioni riferibili a ciò che nel linguaggio dello sviluppo si suole chiamare, con un termine non scevro di ambiguità, “società
civile”, non è che uno degli elementi su cui riflettere. Il secondo è che in
molti casi si assiste a una radicale trasformazione nelle pratiche, nelle
prospettive e nella stessa struttura di molte ong. Trasformazioni che avvengono contestualmente con ciò che viene definito il neoliberal turn in
Africa. I due fenomeni non devono essere visti in maniera separata, poiché la pratica e l’attitudine neoliberista fa breccia nel mondo delle ong.
D. Freeman sintetizza bene questo mutamento:
«Prima della svolta neoliberista, le ong erano principalmente organizzazioni volontarie della società civile che definivano da se stesse i propri scopi e i propri
valori, che raccoglievano fondi dal settore pubblico e lavoravano con un alto
grado di indipendenza [...]. Dagli anni ’80 in poi molte ong sono diventate più
simili a sottocontraenti di governi e organizzazioni stranieri, che mettevano a regime le loro agende, mettendosi l’un l’altra in competizione per questo ruolo»18.
Il mutamento delle ong è evidente anche se ci si concentra sulle loro
strutture organizzative. In effetti, il modello che si sta imponendo, anche
se il panorama è ancora variegato, è quello del superamento della piccola
organizzazione di volontari, a favore di grandi strutture organizzate, con
uffici appositi per la progettazione e il fund-raising, anche quello organizzato sulla raccolta di fondi attraverso campagne di donazione su larga
scala, che gestiscono a volte notevoli quantità di denaro, e che hanno tra
i loro obblighi quello di rispondere alle aspettative, sempre più precise,
dei donatori. Insomma, da una parte si è perso quel grado di indipendenza nella progettazione e nella pratica che le caratterizzava nei decenni
precedenti, dall’altro la struttura organizzativa diventa man mano più
aziendalistica.
Occorre infine fare riferimento all’accresciuto ruolo, sul piano internazionale e nelle singole realtà locali, delle Faith-Based Organisations,
cioè di quelle organizzazioni cristiane interdenominazionali impegnate
proprio nelle politiche di sviluppo. Sebbene la presenza cristiana nelle
politiche di sviluppo sia sempre stata costante – basti pensare al ruolo delle ong cristiane e ancor di più all’impegno diretto dei missionari in questo campo –, c’è da sottolineare come il ruolo delle fbo stia diventando
sempre più importante. Si tratta di organizzazioni che spesso raccolgono
fondi per destinarle a singole ong cristiane, spesso gemmate da Chie18
Ibidem.
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se, oppure per utilizzarle in progetti propri, come ad esempio fa World
Vision in Etiopia, una delle più importanti fbo su scala internazionale.
I fondi hanno una provenienza differenziata: grandi donazioni, raccolta
capillare e, con un peso crescente, fondi di Stato o delle organizzazioni
sovranazionali.
Le fbo sono oggi attori centrali, esse però combinano il discorso
umanitario e le attività di promozione dello sviluppo con un forte zelo
proselitistico; in questo continuando l’azione classica dei missionari nel
periodo coloniale che attraverso le attività sociali e assistenziali, quali
scuole e ospedali, e attraverso azioni volte a incrementare le attività economiche avvicinavano gli individui alla religione cristiana. Questo insieme di attività non deve essere visto in modo strumentale, quanto piuttosto
un tassello essenziale nella costruzione di nuove soggettività.
In ogni caso le risorse impiegate dalle fbo nelle loro attività sono
molto ingenti, sia dal punto di vista finanziario che da quello umano. E
se non si può scindere il nesso che lega l’azione umanitaria e sociale da
quella di conversione, non si può nemmeno nascondere il legame che tali
organizzazioni hanno con la destra cristiana e con gli ambienti più radicalmente neoliberisti. Scrive Clarke:
«è sicuramente significativo il modo in cui, nelle organizzazioni evangeliche,
le attività umanitarie e quelle volte allo sviluppo si combinano con un fervente
impegno a guadagnare nuovi convertiti. Secondo Bornstein, per esempio, World
Vision è impegnata in un attivo proselitismo in Zimbabwe e i membri del loro
staff sono costretti a firmare una “dichiarazione di fede” e nelle sedi in cui si
sviluppano le attività dei progetti vengono creati dei “comitati di evangelizzazione”. Le organizzazioni evangeliche investono in questi sforzi importanti risorse
finanziarie ed umane. Nel 2001, ad esempio, si stima che 350.000 cittadini americani siano andati all’estero con le agenzie delle missioni protestanti, e che le
donazioni a queste missioni abbiano raggiunto la cifra di 3.750.000.000 dollari,
registrando un incremento del 44% in cinque anni. Infine, nei primi anni del nuovo millennio il nesso operativo tra l’amministrazione Bush e la destra cristiana
americana è diventato un aspetto fondamentale delle politiche americane di aiuto
allo sviluppo»19.
L’incremento della presenza delle fbo, e più in generale delle ong,
sia in termini di risorse umane che di numeri di progetti di sviluppo portati avanti, ridisegna il panorama dell’intervento umanitario e di sostegno
allo sviluppo in Africa. Allo stesso tempo viene fortemente modificato lo
stesso tessuto sociale legato ai servizi, che passano dalla gestione pubblica a quella privata e caritatevole.
19
G. Clarke, Agents of transformation? Donors, Faith-Based Organisations and international development, in «Third World Quarterly» 28 (2007), pp. 77-96: p. 83.
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Le Chiese, tanto le denominazioni storiche quanto le nuove realtà evangeliche e pentecostali, occupano spazi lasciati liberi dal ritrarsi
dell’intervento pubblico. Scuole, dispensari, ospedali sono ora gestiti direttamente dalle Chiese, che in tal modo occupano una posizione sempre più importante nell’ambito dei servizi primari per la popolazione. Le
scuole e gli ospedali sono di fatto due dei simboli chiave dei processi
di sviluppo per i valori che possono essere loro associati. È attraverso
questo tipo di azioni, sostitutive più che complementari, che le Chiese si
promuovono come agenti dello sviluppo e della modernizzazione. Vorrei
qui sottolineare come, in tal modo, l’idea di modernità portata avanti da
agenzie religiose metta in discussione uno dei pilastri su cui si è costruita
la modernità nel nostro Occidente, cioè il legame tra questa e il secolarismo. L’Occidente moderno si è pensato in termini secolari. Nel momento
in cui propone piani di sviluppo nei paesi poveri, ha sempre pensato tali
processi come accostamento e avvicinamento alla modernità occidentale20. Non si è trattato solo di impiantare ospedali e scuole, di esportare tecnologie; è sempre stata, invece, una operazione più complessa, che aveva
alla sua base una specifica idea di società e di istituzioni che, riflettendo il
modello occidentale, facevano del secolarismo la sua base. È questa idea
che il ruolo sempre più prominente delle Chiese come agenti di sviluppo,
in specie quelle pentecostali ma non solo, mette in discussione.
A questo proposito, è particolarmente interessante quanto scrive Jean
Comaroff:
«Nel momento in cui, sotto l’impulso delle politiche neoliberiste, molti Stati
hanno rinunciato a responsabilità significative nella gestione dell’istruzione, della salute e del welfare – in breve, a ciò che concerne la riproduzione sociale dei
loro cittadini –, le organizzazioni religiose hanno recuperato volentieri questo
ruolo. Si tratta di un ruolo che, in alcuni luoghi, non avevano mai completamente
ceduto alle grandi organizzazioni disciplinari del welfare state. La recente espansione dei servizi sociali gestiti da organizzazioni religiose rappresenta una sfida
alla separazione dei poteri che è alla base degli ideali, se non delle pratiche, della
maggior parte delle democrazie liberali del xx secolo»21.
Le organizzazioni religiose occupano quindi un ruolo importante nella gestione dei servizi sociali; allo stesso tempo si sono dotate di ong che
sono una loro diretta filiazione. Per quanto le ong di ispirazione cristiana
siano una realtà consolidata da tempo, ci troviamo di fronte, in questo
caso, a un fenomeno in parte differente. Non si tratta di organizzazioni
autonome e indipendenti che progettano le loro politiche e le loro pratiche
20
J. Comaroff - J.L. Comaroff, Introduction, in Idd. (eds.), Modernity and its malcontents.
Ritual and power in postcolonial Africa, The University of Chicago Press, Chicago - London
1993, pp. xi-xxxvii.
21
J. Comaroff, The politics of conviction. Faith on the neo-liberal frontier, in «Social
Analysis» 53 (2009), pp. 17-38: p. 20.
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in base a una prospettiva e ispirazione di natura religiosa. Si tratta invece
di organizzazioni intimamente legate alle Chiese, che di fatto le gestiscono direttamente.
Questo il quadro generale di riferimento entro cui porre alcune domande cui si cercherà di dar conto nelle prossime pagine. In che modo
l’azione e le pratiche pentecostali contribuiscono, in un contesto specifico, a forgiare nuovi tipi di soggettività che possono essere più coerenti
rispetto al modello neoliberalista? In che modo lo specifico idioma dello
sviluppo, per come esso si è forgiato dagli anni ’50 dello scorso secolo
– cioè da quando è entrato a far parte in maniera stabile del vocabolario
delle grandi agenzie sovranazionali – viene icorporato, reinterpretato e
tradotto nello specifico idioma religioso di queste Chiese?
4. Il pentecostalismo in Etiopia
Prima di riferire del caso di cui intendo occuparmi, è bene precisare
meglio, sia pur brevemente, il precipuo contesto etiope nel quale va inquadrato.
Per molti versi, quanto detto più sopra vale anche per il contesto etiope, anche se in questo caso non è appropriato parlare di un ritrarsi dello
Stato: in Etiopia lo Stato è presente e forte; la sua azione e le sue politiche
si basano sul modello di Stato sviluppista, di cui un esempio è la Cina.
Nonostante la Repubblica Federale Democratica d’Etiopia sia, dal punto
di vista costituzionale, costruita su una base federale che intende rispecchiare le specificità storiche e culturali delle popolazioni22, vi è in realtà in
forte controllo sulla gestione politica da parte del governo centrale. Certo
è, comunque, che a dispetto delle basi ideologiche marxiste dei gruppi
rivoluzionari che sono arrivati al potere dopo la guerra civile, e che tuttora governano il paese, il governo si è aperto alla economia di mercato
e alla ideologia neoliberista. Lo stato continua a costruire le infrastrutture necessarie allo sviluppo economico, così come scuole e ospedali, e a
gestire buona parte del welfare. In questi ultimi anni però si è accresciuto notevolmente il settore privato, tanto nel commercio e nell’industria
quanto nei servizi, compresi quelli educativi e sanitari. L’odierna Etiopia
è dunque un paese dinamico e che, sia pur tra molte contraddizioni e zone
d’ombra, sta conoscendo una forte espansione economica, e in cui l’apertura al libero mercato ha permesso ai privati di conquistare nuovi spazi.
Dal punto di vista che più ci interessa in questa sede, quello religioso,
la situazione si presenta abbastanza complessa, perché vi sono delle pro-
22
A. Gascon, Shining Ethiopia: l’Éthiopie post-communiste du nouveau millénaire, in
«Autrepart» 48 (2008), pp. 141-152.
142
Pino Schirripa
fonde differenze nella maniera in cui il pentecostalismo si è sviluppato in
questo paese, rispetto al resto del continente africano23.
L’Etiopia è l’unico paese dell’Africa sub-sahariana che ha una antica
tradizione cristiana: il cristianesimo è infatti arrivato nel paese nel corso
del iv secolo d.C.24. Attualmente il 41% della popolazione appartiene alla
chiesa ortodossa etiope, che è la denominazione maggioritaria tra quelle
cristiane.
In questi ultimi due decenni si è assistito a una rapida crescita del
movimento pentecostale. I dati riportati da Haustein e Fantini mostrano
come, da quanto emerge dai dati degli ultimi tre censimenti, il numero dei
membri delle Chiese protestanti e pentecostali sia raddoppiato. Stimati
intorno all’1% nel 1960, il loro numero da allora è cresciuto costantemente. Tale crescita è diventata più marcata dopo la fine della guerra civile
che ha deposto la giunta militare, e dopo che il nuovo governo, per la prima volta nella storia del paese, ha garantito una effettiva libertà di culto.
Nel 1982, prima quindi della caduta del regime, i protestanti e pentecostali rappresentavano il 5.5% della popolazione; nel 1994, quando il nuovo
governo aveva già inaugurato la nuova politica di libertà religiosa, erano
arrivati al 10.2%; infine, nell’ultimo censimento del 2007 assommavano
a 14.000.000 di individui, il 18.6%25.
Nei dati del censimento, come si è potuto notare, i pentecostali vengono conteggiati assieme ai protestanti. Ciò non è dovuto solo a una convenienza statistica: di norma in Etiopia chiunque si riferisce ai membri
delle denominazioni protestanti o pentecostali con l’appellativo di p’ente.
Per certi versi è difficile tracciare una chiara linea di demarcazione tra
loro, grazie al processo di pentecostalizzazione dei culti che è molto forte
nelle denominazioni protestanti del paese, ma anche per la peculiare storia delle diffusione del pentecostalismo nel paese.
Il pentecostalismo etiope presenta dei caratteri differenti da quello
di altri paesi africani. Esso infatti non è il frutto della predicazione di
missionari americani, terra di origine del pentecostalismo, ma è arrivato
nel paese attraverso missionari svedesi e finlandesi nel corso degli anni
’60 dello scorso secolo. Circa cento anni prima, altri missionari del nord
23
Sulla storia del pentecostalismo in Etiopia si vedano, tra gli altri: J. Haustein, Writing
religious history. The historiography of Ethiopia Pentecostalism, Harrassowitz, Wiesbaden
2011; Tibebe Eshete, The Evangelical movement in Ethiopia. Resistance and resilience, Baylor
University Press, Waco 2009.
24
Sulla storia del cristianesimo nel Corno d’Africa si vedano tra gli altri: Tibebe Eshete,
The Evangelical movement in Ethiopia, cit.; T.R. Hepner, Religion, nationalism and transnational civil society in the Eritrean diaspora, in «Identities: Gloabal studies in culutere and
power» 10 (2003), pp. 269-293; K. Tromboll, May weiny: Highland village in Eritrea, The Red
Sea press, Lawrenceville 1998.
25
J. Haustein - E. Fantini, Guest Editorial: The Ethiopian Pentecostal movement. History,
identity and current socio-political dynamics, in «PentecoStudies» 12 (2013), pp. 150-161: p.
150.
Pentecostalismo, sfera pubblica e ong143
Europa avevano introdotto nel Corno d’Africa le denominazioni protestanti. Come si vede i legami tra protestantesimo e pentecostalismo datano dall’introduzione di quest’ultimo nel paese. Tale matrice comune ha
avuto conseguenze sullo sviluppo dei due movimenti. Durante gli anni
della giunta militare, a causa della dura persecuzione cui entrambi erano
soggetti, protestanti e pentecostali spesso condividevano gli stessi spazi
e celebravano i culti nello stesso luogo. Ciò, assieme ad altre ragioni, ha
favorito lo sviluppo di una componente carismatica nelle denominazioni
protestanti. Attualmente le pratiche di culto dei pentecostali e dei protestanti sono molto simili, al punto che, assistendo a una cerimonia, non si
è mai sicuri se il culto è pentecostale o protestante26.
Durante il governo dell’imperatore Haile Selassie, entrambi i movimenti erano tollerati e l’unica confessione cristiana riconosciuta dallo
Stato era quella ortodossa; di fatto era loro riconosciuta la libertà di culto,
ma l’attività proselitistica e missionaria erano limitate ad alcune regioni
del paese. La situazione peggiorò molto durante la dittatura militare del
Derg. Nel periodo immediatamente successivo al colpo di Stato che depose l’imperatore la giunta in effetti sembrò garantire una certa libertà
religiosa, soprattutto con l’intenzione di cercare di minare le basi del consenso verso la chiesa ortodossa che era ostile al nuovo regime. Negli anni
successivi però, quando la giunta si impegnò in una battaglia ideologica
a favore del socialismo scientifico, iniziò una dura persecuzione verso i
gruppi religiosi. In quegli anni si ebbe anche un certo riavvicinamento tra
la giunta e la chiesa ortodossa, cui però era stato imposto dal regime un
nuovo patriarca, nel tentativo di non alienarsi il consenso della popolazione che era rimasta fedele alla chiesa.
Molte Chiese protestanti e pentecostali vennero chiuse e diversi pastori e fedeli arrestati. In questa situazione quanti ancora in libertà furono
costretti a riunirsi e celebrare i culti segretamente. Spesso le cerimonie
erano tenute negli stessi luoghi, di norme piccole stanze in appartamenti.
A volte il culto veniva celebrato congiuntamente. È in questo passato che
affonda le radici il senso di comunanza tra le denominazioni protestanti e
il movimento pentecostale.
Nonostante questa storia comune con le denominazioni protestanti
storiche, il movimento pentecostale etiope mantiene le caratteristiche
proprie di ogni forma di pentecostalismo: l’effusione dello Spirito, con
il conseguente dono dei carismi e principalmente quello del parlare in
lingue; la discontinuità nella traiettoria esistenziale, dovuta proprio all’ef26
Si veda a questo proposito: J. Haustein, Charismatic Renewal, Denominational Tradition
and the Transformation of Ethiopian Society, in Evangelisches Missionswerk Deutschland
(ed.), Encounter Beyond Routine. Cultural Roots, Cultural Transition, Understanding of Faith
and Cooperation in Development. International Consultation, Academy of Mission, Hamburg,
17th-23rd January 2011, emw, Hamburg 2011, pp. 45-52.
144
Pino Schirripa
fusione, che si traduce in una sostanziale rottura con il passato, individuale e storico; il conseguente rifiuto di ogni culto tradizionale, giudicato
peccaminoso.
Nel caso di studio che qui presenterò, vedremo come tali caratteristiche servono a riformulare le soggettività individuali, fabbricando persone
il cui orizzonte si presenta come coerente con quello della prospettiva
neoliberista; inoltre vedremo come tali soggettività giochino un ruolo importante nella creazione dei progetti di sviluppo.
5. Pedagogie pentecostali e progetti di sviluppo
Il caso che qui presento è tratto dal lavoro di campo che sto portando avanti dal 2011 a Mekelle, capitale dello Stato federale del Tigray,
nel nord dell’Etiopia. Nell’ultimo anno mi sono concentrato proprio sulle
ong pentecostali ed evangeliche. Più nello specifico, sulle attività mirate
ai bambini che sono legate alle iniziative internazionali di adozione a
distanza.
Mi concentrerò qui nell’analisi del lavoro portato avanti con i bambini poveri e disagiati dalla sede di Mekelle della Full Gospel’s Believers
Church of Ethiopia (Mulu Wengel Church), la più antica tra le denominazioni pentecostali presenti nel paese. Come è abbastanza comune, e non
solo in Etiopia, questa attività è legata al lavoro di una fbo, Compassion,
che per buona parte la finanzia. Si tratta di una organizzazione cristiana
interdenominazionale che concentra buona parte della sua attività nell’adozione a distanza e che ha molte sedi nei paesi occidentali, tra cui l’Italia, e gestisce, in maniera diretta o indiretta, molti progetti di assistenza
all’infanzia in diversi paesi poveri.
Il progetto di cui mi sto occupando è uno di questi. In breve, Compassion raccoglie fondi in Occidente per l’adozione a distanza di bambini. In
pratica, come è noto, un singolo individuo dona una certa quota mensile,
in genere molto contenuta, che verrà utilizzata per pagare i bisogni primari
di un bambino: dal materiale scolastico all’assistenza sanitaria e sociale.
Questo individuo viene poi informato regolarmente sul bambino, sui suoi
risultati scolastici e più in generale sulle sue attività e il suo benessere.
La scelta di quali bambini possano essere coinvolti in questi progetti
è soggetta a una serie di criteri che sono stabiliti dalla chiesa e dall’amministrazione zonale e cittadina. In Etiopia, secondo le leggi vigenti, non
è possibile alcuna discriminazione basata su genere, razza o religione;
pertanto, pur trattandosi di un progetto portato avanti dalla chiesa pentecostale, esso è aperto a tutti i bambini sotto una certa soglia di età, indifferentemente dal loro credo religioso. I criteri generali attraverso cui viene
definita la categoria di persone suscettibili di aiuto si basano su parametri
quali lo stato di sieropositività dei bambini, l’essere orfani di entrambi
Pentecostalismo, sfera pubblica e ong145
o di uno dei genitori, lo stato di povertà della famiglia. La selezione dei
bambini viene compiuta in prima istanza dall’amministrazione, su richiesta della chiesa. In breve, la chiesa richiede un certo numero di bambini
da assistere, solitamente nel quartiere in cui sorge la chiesa, e l’amministrazione procede alla selezione. C’è da dire che non sempre i bambini di
altre confessioni, specie gli ortodossi, aderiscono a i progetti pentecostali.
Uno dei punti su cui sto lavorando, ma sul quale non ho abbastanza materiale per poterne riferire in questa sede, riguarda proprio la costruzione
della categoria di bambino disagiato. In che modo cioè l’amministrazione
zonale, e per molti versi la chiesa, costruiscano i criteri attraverso cui
svolgere la selezione. Ogni criterio, se da una parte è inclusivo, dall’altra
esclude fasce di popolazione che sono comunque disagiate. Si tratta infatti di una selezione che non può essere data per scontata e che si basa su
scelte che sono ad un tempo politiche, sociali e culturali.
Fino a questo momento, mi sono concentrato principalmente sulle
attività concrete che il personale coinvolto nel progetto porta avanti con
i bambini. In breve, essi vengono aiutati per la scolarizzazione, fornendo
loro il materiale – quali libri, quaderni, penne e uniformi – e aiutandoli
nei compiti a casa; nelle ore pomeridiane, una volta sbrigati i compiti
scolastici, i bambini vengono coinvolti in attività ricreative. Ai bambini
viene anche fornita assistenza medica, pagata con i fondi del progetto27.
Ci sono due attività che i bambini svolgono nel pomeriggio, e che
fanno parte del progetto educativo, che rivestono una fondamentale importanza: lo studio della Bibbia e l’apprendimento di regole igieniche.
Per quanto possano sembrare due punti tra loro distanti, essi concorrono,
a mio avviso, nel processo di creazione di nuove soggettività.
Per quel che riguarda le regole igieniche, si tratta di fatto di regole di
base: non sputare per terra; lavarsi accuratamente le mani e altre parti del
corpo; utilizzare luoghi propri per le deiezioni, e così via. A tutta prima
sembrerebbe che si tratti di regole ovvie, tese a contrastare la possibilità
di contrarre malattie più o meno serie. In realtà, come ci ha insegnato
bene Foucault, la cura del corpo è un elemento fondamentale nei processi
di soggettivazione. Tali regole spesso contrastano con quanto i bambini
apprendono a casa. Nuove disposizioni corporee, nuovi habitus direbbe
Pierre Bourdieu, che fanno parte di un individuo affatto diverso da quello
fabbricato dalla tradizione etiope. La cura del corpo che viene proposta,
così come la postura, appartiene a un nuovo modello: quello della so27
È interessante notare che in questo caso si tratta di una assistenza medica sussidiaria e
complementare a quella cui i bambini avrebbero già diritto. Infatti in Etiopia i soggetti poveri e
i sieropositivi hanno diritto all’assistenza medica gratuita, così come ai farmaci. Si tratterebbe
quindi di un caso specifico di quella “cittadinanza sanitaria” di cui ho discusso altrove. Cfr.
P. Schirripa, La vita sociale dei farmaci. Produzione, circolazione e consumo degli oggetti
materiali della cura, Argo, Lecce 2015.
146
Pino Schirripa
cietà occidentale capitalista. Attraverso specifiche regole di igiene e di
comportamento, si crea una disposizione individuale e si addomestica il
corpo per renderlo adatto al nuovo ambiente culturale che si è affermato
nel paese.
Un processo del genere vale per lo studio della Bibbia. In realtà gli
insegnamenti impartiti nelle ore pomeridiane sono conosciuti come classi
di Etica, questo perché la legge etiope impedisce ogni discriminazione
religiosa. Poiché il programma non si rivolge solo a pentecostali, e nemmeno solamente a cristiani, poiché anche i bambini islamici posso essere
accolti, uno studio specificamente basato sull’insegnamento biblico non
sarebbe permesso. Nelle classi di Etica, in ogni caso, vengono proposti
specifici modelli di comportamento basandosi su esempi biblici. Quel
che voglio qui discutere non è tanto il surrettizio tentativo di imporre
un modello educativo cristiano, quanto vedere quale tipo di valori tali
insegnamenti propongano. In effetti gli esempi tratti dalla Bibbia vengono costretti entro una cornice particolare, in cui si esalta il valore della
competizione e del successo. La cooperazione è vista come un momento
importante non perché crea lo spirito di comunità, ma perché porta al
successo. Il problema fondamentale è sfruttare i talenti che Dio ha donato
nell’ottica di ottenere un avanzamento della propria condizione individuale. Insomma una serie di valori che sono coerenti con quelli proposti
agli adulti negli altri progetti gestiti dalla chiesa, incentrati sull’avviamento al lavoro e alle attività generatrici di debito. Progetti che si basano
anch’essi sulla promozione dei valori dell’imprenditorialità.
Si tratta di valori che riecheggiano quelli neoliberisti. Ma non possiamo fermarci a questa constatazione. In realtà questi valori vanno visti
come la base della costruzione della nuova soggettività pentecostale, in
questo caso vista all’opera in un progetto pedagogico. L’idea alla base è
quella di una crescita globale dell’individuo, che comprenda il suo rapporto con l’alterità divina così come il suo agire nel mondo. L’individuo
pentecostale è sì salvo perché ha conosciuto l’effusione dello Spirito, ma
è anche un individuo che deve agire nel mondo in senso trasformativo.
Quel che viene insegnato ha a che fare tanto con la spiritualità quanto con
l’azione produttiva. Promuovendo lo sviluppo del talento individuale, in
quanto dono di Dio, si promuove l’idea di imprenditorialità; la crescita
spirituale si sposa con i discorsi sullo sviluppo economico individuale e
del paese. Non è possibile vedere queste pedagogie come distanti e differenti dalle azioni di sviluppo promosse dalle ong di queste stesse Chiese.
Entrambi infatti riposano sull’idea di una trasformazione spirituale degli
individui che investe, ad un tempo, più piani. È quanto notava in un suo
recente articolo, proprio riflettendo sul rapporto tra pentecostalismo e sviluppo, Dena Freeman: «Noi possiamo osservare come la “trasformazione
spirituale” promossa dalle Chiese [pentecostali] non è solo un processo di
Pentecostalismo, sfera pubblica e ong147
trasformazione personale e religiosa, ma include e influenza tutte le aree
della vita dei fedeli»28.
L’idea di trasformazione è consustanziale alla conversione al pentecostalismo. Quanto scrive Freeman aggiunge qualcosa di più: l’idea che
la crescita spirituale possa condurre a una crescita più complessiva che
investe l’individuo in quanto tale. Da questo punto di vista, lo studio di
specifici precetti biblici attraverso le lezioni di Etica assume una veste
fondamentale. Anche se, infatti, nelle loro attività coi bambini i membri
della chiesa non fanno azione diretta di proselitismo e di conversione,
essi, costruendo la loro pedagogia su specifici esempi tratti dalla Bibbia,
costruiscono una nuova soggettività coerente con il modello pentecostale,
i cui punti centrali sono: l’onestà, la rettitudine, l’autosufficienza e la fiducia nelle proprie capacità, l’impegno a migliorare la propria posizione.
Da questo punto di vista anche le regole igieniche, viste come disciplina
del corpo, giocano un ruolo cruciale.
Tale concetto di trasformazione spirituale può condurci a una differente considerazione dei progetti di sviluppo portati avanti dalle ong
pentecostali ed evangeliche. In effetti essi si basano su di un modello
che sembra andare ben oltre quello condiviso solitamente dalle ong occidentali. Un modello in cui, attraverso l’idea di una crescita spirituale
complessiva della persona, si va oltre l’ideale secolare proposto di norma.
Non si tratta certo qui di discutere quanto tale dinamica si allontani
dall’ideale secolare, cosa che non avrebbe alcun senso, ma di riflettere
sulla sfida che queste attività ci lanciano.
Riprendendo ancora Dena Freeman, dobbiamo chiederci perché il
discorso pentecostale sembra avere successo proprio dove invece il discorso sviluppista, di matrice secolare, sembra fallire; poiché, al di là del
raggiungimento degli obiettivi programmati, non riesce a incidere sulla
coscienza delle persone.
Il discorso sviluppista portato avanti dalle ong classiche si presenta come un discorso esterno, nel senso che a guidare i progetti sono,
quand’anche siano coinvolte ong locali, comunque soggetti stranieri,
spesso nel ruolo di finanziatori, e che coinvolgono tecnici, quale che sia
il loro valore, che provengono dal mondo occidentale. Tali soggetti intervengono con una razionalità che è loro propria. Intervengono in quelle
realtà riproponendo una idea di sviluppo fortemente legata alla modernità
occidentale, ma una modernità che viene interpretata come intrusione,
come un qualcosa di estraneo al tessuto locale.
Per molti versi, come ho spiegato in queste pagine, anche il pentecostalismo propone, e con forza, una sua idea di modernità. Il pentecostalismo fa propria, infatti, l’idea di rottura con il passato; e ancor di più pro28
D. Freeman, Pentecostalism in a rural context: dynamics of religion and development in
Southwest Ethiopia, in «PentecoStudies» 12 (2013), pp. 231-249: p. 241.
148
Pino Schirripa
pone un modello che è quello imprenditoriale e individualistico proprio
del neoliberismo. La differenza quindi tra i due modelli discorsivi non
è nei contenuti, né nei valori veicolati. Essa risiede proprio nell’ordine
stesso del discorso: secolare l’uno, legato a un più complessivo modello
di crescita spirituale l’altro. Il primo visto come intrusivo, poiché legato all’Occidente, il secondo invece, grazie alla flessibilità e malleabilità
dell’idioma pentecostale, è vissuto come africano.
ABSTRACT
After setting the nexus between Pentecostalism and development
within the “neoliberal turn” which concerned the African continent in
the last three dacades, the paper discusses development programs which
involve Pentecostal churches and target children and their education. All
of them provide extracurricular recreational and educational activities,
as well as bible studies. These programmes are often sponsored by transnational agencies that work with Ethiopian churches, such as the Mulu
Wengel Church. The paper’s focus is on the content of educational work,
showing if one can speak of a Pentecostal pedagogy. The work carried
out in the churches aims to build a “pentecostal person” as an individual
able to cope with uncertainity of the social life. The paper engages with
the fundamental question about the relationship between the construction
of Pentecostal individuals, through precise pedagogical strategies, and
the neoliberal rhetoric of individual empowerment.
L’articolo intende fornire un quadro generale del complesso rapporto tra pentecostalismo e sviluppo per come si è configurato in Africa dopo
la “svolta neoliberlista” che ha interessato il continente negli ultimi tre
decenni. Il suo focus principale riguarda i programmi di sviluppo delle
Chiese pentecostali rivolti ai bambini e alla loro educazione. Tali programmi offrono attività extracurriculari di tipo ricreativo ed educativo,
così come studi biblici. Essi sono spesso finanziati da agenzie transnazionali e interdenominazionali che lavorano con le Chiese etiopi, quali
la Mulu Wengel Church. Il focus dell’articolo è sui contenuti del lavoro
educativo, cercando di intendere in quale modo si possa parlare di una
pedagogia pentecostale. Il lavoro portato avanti nelle Chiese mira a costruire la “persona pentecostale” come un individuo capace di muoversi
nelle incertezze della vita sociale. L’articolo quindi si confronta con la
questione della relazione tra la costruzione dell’individuo pentecostale, attraverso precise strategie pedagogiche, e la retorica neoliberale
dell’empowerment individuale.
Pentecostalismo, sfera pubblica e ong149
KEYWORDS
Etiopia, pentecostalismo, Ong, sviluppo, adozioni a sistanza
Ethiopia, Pentecostalism, Ngo, development, child-sponsorship