casaleggio“piano inglese per letta e napolitano-bis”

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casaleggio“piano inglese per letta e napolitano-bis”
Arrestato Paolo Romano, presidente del consiglio regionale campano. Anche
lui sta con Alfano, che rischia di battere il record degli inquisiti di Forza Italia
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Mercoledì 21 maggio 2014 – Anno 6 – n° 138
e 1,30 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
dc
LA RABBIA
E LA PAURA
di Antonio
Padellaro
eppe Grillo è andato da Bruno Vespa con
B
un’apparente contraddizione. Come condottiero della protesta più scatenata e più ostile
a tutto il resto della politica italiana: “O noi o
loro”. Ma anche con la faccia del leader in
grado di governare la “rabbia buona” e per
dimostrare “alla gente di una certa età che ha
un pregiudizio su di me” di non essere “né
Hitler né Stalin”. È riuscito a tenere insieme
incazzatura e senso di responsabilità? Diciamo
subito che ha fatto il pieno di ascolti, ma che
nei quattro milioni e duecentosettantamila
spettatori non c’erano solo fan del M5S o anziani da rassicurare, oppure gente incuriosita
da un evento spettacolare (il comico più dissacrante a cospetto dell’anchorman più istituzionale, comunque incalzante), perché davanti
alla tv c’erano soprattutto elettori ancora incerti che hanno aspettato lunedì sera per decidere sul da farsi. Quanti di questi Grillo ne
avrà portati dalla sua parte lo
capiremo solo la
notte del 25
maggio, ma certamente ha fatto
breccia ciò che
gli viene di più
rimproverato, e
cioè l’insofferenza urlante
verso chi ha riBeppe Grillo Dlm dotto l’Italia allo
stremo: istituzioni, ministri, banchieri, corrotti e bancarottieri, sì tutti nello stesso mazzo perché la collera non fa distinzioni.
Chi parla di mal di pancia fa finta di non capire
cosa bolle nella profondità di una nazione, in
quegli strati sociali massacrati dalla crisi che
non credono più a una parola della politica
tradizionale o nei compromessi: o noi o loro,
appunto. Quel rancore rappresenta il propellente di un movimento che alle ultime elezioni
ha raccolto quasi nove milioni di voti e non ha
tutti i torti il capo a dire che, senza il frangiflutti
grillino, la protesta avrebbe potuto esondare in
una violenza di massa. Poi ci sono quelli che
pensano di votare Grillo per dare un ultimo
segnale all’immobilismo delle classi dirigenti,
ma che lo faranno nel segreto dell’urna perché
sotto sotto sentono che esiste un rischio nel
lasciare troppo spazio a un fenomeno incontrollabile. È la paura su cui punta Renzi, convinto che il limite dei Cinque Stelle sia nella
loro stessa forza dirompente che non ha altro
programma di governo se non la conquista
stessa del governo. Il premier sa benissimo che
la sua vittoria è affidata al timore dell’avventura e dell’ignoto che suscita l’avversario, più
che agli 80 euro o agli annunci di mirabolanti
riforme. La rabbia e la paura: mai elezioni furono più emotive.
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
CASALEGGIO “PIANO INGLESE
PER LETTA E NAPOLITANO-BIS”
Il cofondatore del M5S al Fatto: “Sei giorni prima delle presidenziali l’ambasciata
britannica chiese a me e a Grillo cosa pensassimo della rielezione del presidente e
tentò di farci incontrare il futuro premier”. “Io e Beppe potremmo fare i ministri”
di Marco Travaglio
ALL’ULTIMO VOTO
ra il 10 aprile 2013, una Grillo fa il botto
settimana prima delle eleE
zioni presidenziali”, racconta
Gianroberto Casaleggio LaPresse
Gianroberto Casaleggio al Fatto: “Eravamo Grillo, io e due
nostri collaboratori. L’ambasciatore ci chiese di incontrare
Enrico Letta, allora vicesegretario del Pd, che aspettava in
un’altra stanza. Siccome rifiutammo, ci fecero salire al piano
di sopra da una scala di servizio
per pranzare con alcuni addetti
dell’ambasciata, mentre l’ambasciatore restò a pranzo al
piano di sotto con Letta. A un
certo punto l’ambasciatore o il
suo braccio destro ci domandò:
che ne pensate della rielezione
di Napolitano?”. » pag. 4 - 5
da Vespa: Renzi
ora non sta sereno
De Carolis, Palombi e Tecce » pag. 2 - 3
»L’INCHIESTA » I magistrati di Reggio Calabria: l’ex ministro “completamente asservito” a Lady Matacena
Dossier, minacce e pedinamenti:
tutti i segreti di Scajola “in love”
Nelle carte della Procura la rete dell’ex
senatore. Chiara Rizzo, estradata ieri,
lo faceva impazzire: “Mandatemi un report
su di lei”. La paura che rivelasse affari
riservati con Billè “all’Orco”, che per i pm
sarebbe Francesco Bellavista Caltagirone
Con cui la donna “aveva una relazione
extraconiugale” Fierro e Musolino » pag. 6 - 7
U di Silvia Truzzi
DALLO CHAMPAGNE
ALLE MANETTE
» pag. 7
A sinistra, Claudio Scajola. Sopra, Chiara Rizzo Matacena in manette
PROFONDO EXPO
“Noi della cupola
abbiamo chiesto
mazzette
per oltre 2 milioni”
GUERRE VATICANE
Le mille poltrone
della premiata
famiglia bresciana
Bazoli & Gitti
i può capire la “profonda
S
sorpresa” di Giovanni Bazoli, che si trova a 81 anni indagato
e perquisito perché magistratura e Consob hanno deciso di vedere chiaro nelle sue tecniche di
esercizio del potere finanziario.
Milosa » pag. 8
Meletti » pag. 11 - 14
» NEL PALLONE
Cei, chi rema contro
papa Francesco
Politi » pag. 22
Paparesta, l’arbitro
vittima di Moggi,
s’è comprato il Bari
Cardone » pag. 18
LA CATTIVERIA
Renzi: “In futuro pagheremo
le tasse con un sms”.
Berlusconi: “Io non ho campo”
» www.forum.spinoza.it
2
DI CORSA
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
R
edditi dei ministri
Mancano il premier,
Padoan e Guidi
MANCANO SOLO 24 ore alla scadenza dei termini imposti dalla legge,
ma quasi tutti i ministri del governo
Renzi (o almeno quelli che non ricoprono anche la carica di parlamentare) ancora non hanno pubblicato la
propria dichiarazione dei redditi sul
sito del dicastero. Solo un ministro su
sette (tra quelli che non siedono sugli
scranni parlamentari, per cui la pubblicazione è automatica) hanno
messo online la propria situazione
patrimoniale, come prescritto dal decreto trasparenza voluto dal governo
di Mario Monti. Eppure i novanta
giorni di tempo dall’insediamento del
il Fatto Quotidiano
governo scadranno domani: per questo c’è da prevedere una corsa contro
il tempo e non è detto che tutti ce la
facciano. Il primo della lista è proprio
il premier: la sua segreteria a Palazzo
Chigi fa sapere che “c’è ancora tempo, ma potrebbero esserci slittamenti”. Oltre a Renzi, anche il ministro
dell’Economia Pier Carlo Padoan, il
ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi, il ministro del Lavoro
Giuliano Poletti, il ministro per gli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta e il titolare dell’Ambiente Gian Luca Galletti ancora non hanno pubblicato il proprio Cud. L’unico tra i mi-
GRILLO VINCE LO SHARE
(E PREOCCUPA GLI AVVERSARI)
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SI COMPLIMENTA PER LO SHOW. PER B. È “UN ASSASSINO”
di Luca De Carolis
A
lla fine si è preso pure
un mezzo complimento dell’avversario, quello a cui aveva pronosticato una fine politica
da lupara bianca. “Da Vespa abbiamo visto due consumati professionisti, in senso buono, che
hanno fatto uno show straordinario. Certo, poi però bisogna
fare politica...”. Firmato Matteo
Renzi, diretto a Beppe Grillo.
Nel martedì del post Porta a Porta, tra numeri che raccontano di
uno share da primati e la ressa di
commenti, il capo dell’M5S
ostenta modi e parole da vincitore. Voleva parlare al pubblico
sopra i 50 anni, la tradizionale riserva di caccia di Berlusconi. E ci
è riuscito, raccogliendo davanti
alla tv milioni di persone. Pazienza per le obiezioni fitte di numeri
e dati di Vespa, chi se ne importa
degli inciampi in diretta. “È andata benissimo” assicurano dallo
staff di 5 Stelle, mentre il blog di
Grillo celebra lo share “impressionante”, “il botto”. “La nostra
gente sulla rete è contenta, e qualche altro voto lo avremo sicuramente guadagnato” riassume un
parlamentare. Deve essere anche
il sospetto di Berlusconi. Perché
di prima mattina il Caimano spara come mai aveva fatto contro
Grillo: “È un pregiudicato, un assassino che ha ucciso con colpa
tre amici”. Aggiunge: “Se non lo
pagavano in nero non faceva
spettacoli”. Un attacco senza
guantoni a chi, sbarcando da Vespa, ha invaso il suo territorio.
Grillo replica presto: “Berlusconi
dà a me dell’evasore? Faremo una
seduta spiritica, gli parlerò attraverso un medium. È un pover’uomo”. Quasi lo snobba.
Uno dei tanti corollari dell’ennesima, lunga giornata del Grillo
elettorale.
IL LEADER DELL’M5S appare
nei pressi della Camera poco
dopo le 10.30. Deve presenziare
al Restitution Day in piazza
Montecitorio: la consegna al
fondo per le pmi di un assegno
da 5 milioni e 400 mila euro, ricavati da diarie e indennità non
spese dei parlamentari (quello
Davanti all’ ascensore, si rivolge
ai commessi: “Quando verremo
qui ne licenziamo un pò di queste persone”. “Una battuta
scherzosa a un commesso con
cui ha confidenza”, stando allo
staff di M5S. “Una battuta di cattivo gusto” secondo Laura Boldrini, che condanna con nota.
La certezza è che Grillo passa
qualche minuto su un divano, a
conversare con deputati e senatori. “Da Vespa è andata bene”
ribadisce. Racconta dell’sms
della moglie, lunedì notte:
“Quelli che ti amavano ti vorranno ancora più bene, mentre
quelli che ti odiavano ti odieran-
no ancora di più”. Partono battute. “Abbiamo regalato una terza vita a Vespa” ride forte Grillo.
Pochi minuti dopo è in piazza
Montecitorio, sotto un sole equatoriale. Firma l’assegnone, si
mette in posa. Poi si concede alle
domande. Parla, a lungo: “Per noi
sarà una marcia trionfale, mentre
per Renzi questi sono gli ultimi
giorni di Pompei, lui è solo un ragazzo mandato allo sbaraglio”.
Disegna il post-voto: “Se vinciamo le elezioni europee andremo
pacificamente sotto il Quirinale
per chiedere le dimissioni del
presidente della Repubblica.
Questa presidenza è delegittima-
Grillo
e i parlamentari M5S restituiscono 5,4 milioni
dei loro stipendi davanti a
Montecitorio Ansa
RILANCIO SUL COLLE
“Se vinciamo
le Europee andremo
pacificamente sotto
il Quirinale per
chiedere le dimissioni
del capo dello Stato”
che aveva già mostrato da Vespa). Appena sceso dal taxi, si
infila a sorpresa in un bar. Le telecamere lo inseguono dentro il
locale. Lui rispunta fuori, e contrariamente alle (ultime) abitudini risponde ai cronisti. Camicia estrosa, occhiali da sole, pare
calmissimo. Lo portano negli
uffici di 5 Stelle, per un incontro
preliminare con i parlamentari.
ALLA CASSA
ta e non ce andremo più via da lì
finché non si dimette”. Da Berna,
il capo dello Stato risponderà così: “C’è libertà di parola”. Grillo
precisa: “Se si va alle Politiche
avremo già pronta la squadra di
governo”. Poi riparte, verso Pescara.
NEL POMERIGGIO è davanti al
4,
278
27,
4
8
%
MILIONI DI SHARE NEI
SPETTATORI
60 MINUTI
tribunale, assieme a Luigi Di
Maio, per la messa all’asta della
casa di un imprenditore, a cui
Equitalia avrebbe pignorato la
casa (l’ente nega in un comunicato). Folla enorme. Ma all’asta
non si presenta nessuno. E lui
annuncia: “Faremo una colletta
per pagare i debiti di quest’uomo”. Quindi sono bordate con-
tro Equitalia, di cui M5S chiede
l’abolizione con apposito ddl: “È
l’usura dell’anima, un baraccone che va chiuso. Impediremo
tutte le aste delle case pignorate”. In serata, comizio in piazza
1° maggio. Grillo sale sul palco
canticchiando un motivo blues,
suonato dal gruppo di spalla. In
maniche di camicia, attacca:
“Da Vespa non ho voluto infierire, lì hanno il pubblico pagato.
Questa è una rivoluzione felice,
sono stato da lui senza vomitare”. Scherza: “Io non su un capo,
sono solo un garante, mi rottamerete”. Esagera, ringhiando
all’operatore di Sky: “O riprendi
la folla o tiri giù la telecamera”.
Poi se la prende con il sindaco,
per i lampioni spenti: “Mascia,
Mascia, potevi lasciare un bel ricordo”. Oggi sarà a Firenze, ilcampo avversario.
Twitter @lucadecarolis
DIETRO LE QUINTE
Beppe ringiovanisce il pubblico di Vespa
di Carlo Tecce
runo Vespa gongola. Beppe Grillo pure. Il
B
siparietto di Porta a Porta, a tratti ruvido, a
tratti concitato, ha attirato un pubblico inedito
diatico. Lunedì sera, anche Berlusconi (su Rete 4)
e Renzi (su La7) si sono esibiti. L’ex Cavaliere ha
tenuto basso l’ascolto di Quinta Colonna, 4,49%,
più o meno la media della puntata. Il premier ha
spinto Piazzapulita al 4,6 durante il confronto con
Corrado Formigli.
vocato i tempi andati (non s’incrociavano in diretta da 31 anni) e l’ex comico ha offerto ai presenti
un’imitazione di Biagio Agnes, irpino, ex direttore
generale, scuola di Ciriaco De Mita: “Ha raccontato le telefonate, le raccomandazioni prima di
una diretta, diceva ‘noi ci siamo sempre stimati’...”. Appena le trattative per far sedere Grillo su
quelle tanto criticate poltroncine bianche sono cominciate, Vespa ha capito le intenzioni e le esigenze del fondatore del Movimento: “Se fosse stato distante da Renzi e dai democratici, non sarebbe
venuto. Quelli del vaffaday non bastano. Ma aveva
bisogno di sfruttare la nostra platea, composta da-
per i sessanta minuti su Rai1. Inedito perché di
quantità elevata se paragonata a una serata tradizionale o a un’ospitata di Silvio Berlusconi e QUANDO LE TELECAMERE stavano per sfumare
Matteo Renzi: 27,48% di share, 4,278 milioni di l’ultimo segmento, s’è intravista la stretta di mano,
telespettatori, picchi di quasi 5 milioni e una cre- molto naturale, fra Grillo e Vespa, sintesi simboscita costante fra ingresso e commiato. Vuol dire lica di un duello che non ha segnalato invasioni di
che il telecomando non ha ricevuto frenetici im- campo e ribellioni a un ipotetico sistema di regole
pulsi.
e di buon comportamento. Spenti gli obiettivi, VeInedito perché gli italiani che guardano Porta a spa e Grillo hanno chiacchierato
Porta, di solito in maggioranza pensionati e ca- per una decina di minuti nella
salinghe, distribuiti fra Lombardia, Campania e stanza del giornalista.
Lazio, sono ringiovaniti, un pochino, ma va re- Il conduttore ha parlato di rimgistrato: afflussi consistenti da Puglia, Molise, patriata, incontro fra professioSardegna e Veneto, in aumento la quota fra i 24 e nisti. Assieme ai collaboratori di
i 44 anni. Non esiste e non resiste il confronto con Grillo, agli autori di Porta a Porta,
l’ex Cavaliere, ultima apparizione il 24 aprile pri- a Giancarlo Leone (direttore di
ma di ritornare stasera: 1,4 milioni di italiani e Rai1), Vespa e Grillo hanno riegrafico minuto per minuto che
comincia in impennata e finisce
in caduta libera. Renzi ha anticipato Grillo di un mese, il 19 NUMERI
aprile, e si difese con un buon Aumenta la quota di spettatori
18,16% (1,8 milioni), ma il ragazzo di Firenze è sovraesposto tra i 24 e i 44 anni. Fuori onda, il comico
PROTESTA In Rai manifesti contro Renzi (giovedì a Porta a Porta)
e non provoca più l’evento me- ricorda i vecchi tempi e imita Biagio Agnes
gli indecisi, da quelli che vanno a votare all’ultimo
e hanno trascinato alla vittoria sia Romano Prodi
che Silvio Berlusconi. Direi che sono spettatori e
votanti decisivi”. All’euforico Vespa, che soltanto
un anno fa veniva premiato con il microfono di
legno dal Blog, è persino piaciuto il plastico-prigione, il castello di Lerici planato nel cortile di via
Teulada: “Non poteva entrare in studio perché dovevamo fare un colloquio giornalistico e non uno
spettacolo, così ci siamo accordati per quella soluzione, e penso che sia venuta bene”. Per raggiungere il terzo piano, Grillo ha utilizzato l’ascensore e
dunque non ha ammirato i volantini, disseminati
a ogni pianerottolo, che chiamano alla protesta
contro Renzi, che ritorna domani pomeriggio da
Vespa. Gli organizzatori temono che il presidente
del Consiglio possa nascondere un progetto per
indebolire e poi svendere la televisione pubblica.
Lo raffigurano con forchetta e coltello a gambe
levate verso le torri di Rai Way e la bavetta con la
scritta “bravo bimbo”. Uscendo da via Teulada,
Grillo ha sfiorato l’argomento Rai e ha ripetuto
che gli sprechi vanno ridotti, ma che va impedito a
Renzi l’applicazione di un disegno distruttivo,
cioè nessuna cessione di quote di Rai Way. A Grillo è bastata una notte per rivalutare Vespa, l’azienda pubblica e farsi scrutare da 4,3 milioni di italiani, tanti pensionati. Chissà se questa notte sarà
determinante per il risultato di domenica. O sarà
soltanto un bel ricordo per Bruno&Beppe.
DI CORSA
il Fatto Quotidiano
nistri non parlamentari ad avere messo tutto online è il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina
(102 mila euro). Galletti, che pure non ha ancora
pubblicato nulla, ha inviato il proprio Cud a il Fatto
Quotidiano: 137.353 euro, questo il suo reddito per
il 2013. I due membri del governo che, con ogni
probabilità, risulteranno più facoltosi sono Padoan
e Guidi. I loro ministeri, Economia e Sviluppo, han-
C
he sia affaticato è normale: gira come una
trottola da settimane.
Che questo lo renda a
volte meno brillante è fatto che
consegue direttamente dal primo. Che invece quella macchina da comizio e da tv che è Matteo Renzi - per di più da presidente del Consiglio - affrontasse una campagna elettorale non
riuscendo a dominarla e senza
dettarne l’agenda è abbastanza
sorprendente. Gli manca, ad
oggi, il colpo d’ala: il “derby tra
la paura e la speranza” non funziona. Di più: questo duello a
due con Beppe Grillo - stante la
fine del ciclo politico e antropologico di Silvio Berlusconi - finisce per penalizzarlo, soprattutto dopo lo scandalo Expo.
IERI, PER DIRE, è stato costretto
a inseguire il comico genovese
sul tema della tenuta governo:
“Non c’è mai stato in nessun
Paese europeo un collegamento
tra il risultato delle elezioni eu-
fatto
a mano
Alessio Schiesari
La solitudine di Renzi
trincerato al governo
IL PRIMO MINISTRO CANCELLA IL PD E VA ALLO SCONTRO PERSONALE
ORA PERÒ NON CONTROLLA L’AGENDA ED È SULLA DIFENSIVA: “L’ESECUTIVO
VA AVANTI IN OGNI CASO, LE ELEZIONI SONO SULL’EUROPA MICA SU DI ME”
ropee e il governo”. Queste elezioni, dice Renzi, “sono un derby tra chi crede che l’Italia debba
contare in Europa e chi crede
siano un sondaggio per la politica nazionale. Io credo che questo sondaggio lo vinciamo, ma
spero che gli italiani vadano a
votare per l’Europa”.
Eppure aver impostato tutta la
propaganda del Pd sulla sua figura di capo del governo è stata
una scelta precisa di Renzi stesso. Il titanismo dell’ex sindaco, a
cui piace rappresentarsi in guerra con l’invisibile nemico della
conservazione, funziona assai
meno se il suo bersaglio è Beppe
Grillo. La rottamazione non
funziona più: per la prima volta
la sua campagna non può basarsi soprattutto sull’attacco ai dinosauri del suo partito, non può
rifulgere sulla pochezza, la compromissione, i fallimenti altrui.
Il dinosauro, per i tempi rapidissimi della politica spettacolo, è
diventato lui: “Loro insultano,
noi governiamo”, è stato lo slogan ripetuto nei molti appuntamenti di ieri. Una roba alla Romano Prodi.
Il dato politico, alla fine, è che
nonostante non ci sia il suo nome nel simbolo del Pd - come
Renzi continua a ripetere - il
partito è scomparso dai radar:
“Con lui a Palazzo Chigi si sta
appannando, si sta destrutturando. Andando in giro trovo
gruppi di amici, ma il partito vero e proprio fatico a trovarlo”,
come dice Massimo D’Alema.
La semiologa
A MEDIASET
Renzi, ieri, con Confalonieri e la D’Urso Ansa
Lui e Bersani, d’altronde, sono
relegati a fare campagna lontano dai riflettori, alle cene di finanziamento, coi candidati sindaco, mai insieme al premier.
MATTEO RENZI è solo in cam-
pagna elettorale. Di più: le proposte del partito e le figure dei
candidati sono appannate dietro uno schema comunicativo
che punta tutto su quel che il governo ha fatto, sta facendo, farà:
è ovvio - anche visto che questo
esecutivo è nato con un accordo
di palazzo - che sia un referendum su di lui, lo stesso premier
ha fatto in modo che lo fosse. Attorno a lui - a fargli da corona e a
dimostrare che nessun uomo
può essere un’isola, ma magari
un arcipelago sì - solo la ministro Maria Elena Boschi, la vicesegretario democratica Debora Serracchiani e le cinque capo-
Carlo Freccero
“Un buon comizio
Conosce il mezzo”
anno vinto tutti e due,
H
perché Vespa ha avuto il
suo share enorme e Grillo ha
parlato a un pubblico maturo,
over 50, quello che di solito
non incontra”. Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e
teoria dei linguaggi all’Università di Bologna, non vede sconfitti nel Porta a Porta di lunedì.
Grillo è parso in difficoltà davanti alle obiezioni con numeri
e dati di Vespa.
Grillo fa spesso confusione sui
dati, perché ne ammassa tanti.
Ma proprio perché ne ha citati
tantissimi, ha prevalso l’impressione complessiva: quella
di una persona che ha studiato,
che ci ha messo il naso. Quanti
saranno andati a controllare se
una data cifra era giusta o sbagliata?
Quindi se l’è comunque cavata.
Sì, perché ha usato bene la retorica dei dati, una tecnica di
comunicazione tipica di Renzi.
3
no promesso che la pubblicazione avverrà entro i
termini stabiliti dalla legge.
Tra gli altri ministri, quello con il reddito più alto è
Federica Mogherini con 131 mila euro. Gli altri, tra
cui Lupi, Pinotti, Lorenzin e Franceschini, dichiarano tutti tra i 90 e i 105 mila euro, più o meno
l’equivalente dello stipendio da parlamentare.
di Marco Palombi
Giovanna Cosenza
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
A un certo punto, Vespa ha intimato: “Questo non è un comizio”.
Di fatto lo è stato, perché Grillo ha usato lo stile tipico del
comizio: non guardava quasi
mai in camera o in direzione
del conduttore. Si rivolgeva al
pubblico in studio, spettatori e
giornalisti, per mostrarsi senza
filtri. Nessun politico parla in
tv come ha fatto ieri Grillo.
Ha sottolineato di non aver
detto parolacce.
Nelle interviste non lo fa mai.
Usa termini forti solo sul palco, adoperando quelle che definisco parolacce da satira.
Con i giornalisti ricorre sempre a un altro registro.
C’è chi ha parlato di evento.
È stata una serata molto interessante, perché l’ospite era
sullo stesso piano del giornalista: conosceva il mezzo, la tv,
esattamente come lui. Grillo
l’ha voluto dimostrare dall’inizio, con la battuta sul pubblico
pagato da una società.
Lunedì sera Cinque Stelle ha
conquistato voti tra il pubblico
“maturo”?
Si vedrà. Le campagne elettorali si decidono nell’ultima settimana, e alle urne manca ancora qualche giorno. Grillo ha
portato a casa il risultato che
voleva, ma quantificarlo non è
davvero possibile.
LA TECNICA
Non guardava quasi mai in camera o in
direzione del conduttore. Si rivolgeva al
pubblico in studio per mostrarsi senza filtri
l.d.c.
liste donne scelte dallo stesso
one man band: Alessia Mosca
(Nordovest), Alessandra Moretti (Nordest), Simona Bonafè
(Centro), Pina Picierno (Sud) e
Caterina Chinnici (Isole). Non
proprio un cast in cui la figura
del premier rischi di essere appannata. Questa strategia, però,
è magari l’unica possibile per
non snaturare Renzi, ma di cer-
PANICO VIA SMS
Un messaggio arrivato
ieri pomeriggio a tutti
i deputati misura
l’ansia dell’ex sindaco:
“Tutti impegnati,
senza eccezioni”
to è assai rischiosa per il governo
che dirige. La sicurezza delle prime settimane ha lasciato il passo
ai dubbi. È così che si arriva al
“tra Europee e governo non c’è
alcun collegamento” scandito
ieri in tv dal premier. E pure al
“un punto sopra Grillo per noi è
comunque un successo perché
alle politiche eravamo pari”,
messo a verbale - anonimamente - da uno dei suoi. Massimo
Cacciari, ieri su Radio 24, l’ha
messa in tutt’altro modo: “Se il
Pd dovesse perdere con Grillo e
anche se ci fosse una situazione
di pareggio con il M5S è chiaro
che Renzi scomparirebbe dalla
scena”, “si aprirebbe una crisi
enorme e difficilmente governabile anche da un genio della
politica come Napolitano”.
ANCHE NEL PD disgregato,
umiliato, cancellato dal discorso
pubblico dal suo stesso capo cominciano ad essere preoccupati:
lo scambio a cui molta parte della classe dirigente ha dato silenzioso assenso tra perdita di peso
politico e successo elettorale rischia di non funzionare. Ora
qualcuno, di certo, aspetta il cadavere di Renzi sulla riva del fiume, altri semplicemente non
sanno che fare: dai sondaggi che
girano sui tavoli dei vari partiti,
infatti, sembra che Grillo abbia
smesso di pescare nel bacino del
Pd e abbia preso a farlo in quello
assai più appetibile in libera
uscita dal berlusconismo (il
crollo di Forza Italia, peraltro,
trascinerà con sé anche le raffazzonate riforme costituzionali).
Non solo: al Sud i democratici
continuano ad andare male.
Quanto siano preoccupati al
Nazareno - retto dal renzianissimo vicesegretario Lorenzo
Guerini - lo testimonia l’sms inviato ieri pomeriggio a ogni singolo parlamentare Pd: “Tutti
impegnati in campagna elettorale, senza eccezione alcuna”.
Chiude lo stesso Renzi in serata:
“Mancano quattro giorni, bisogna fare uno sforzo pazzesco”.
Esperto di tv
“Geniale, ha fatto
come Berlusconi”
è stato senza dubbio un
C’
match, anche se è stato
un dialogo tra sordi. Si è ca-
pito perché Grillo non può
andare ai talk: non può rispondere a domande che non
corrispondono ai suoi contenuti. Grillo è già fuori a quello che si intende come politiche per le larghe intese. Alle domande non si può rispondere ma solo contestare
ed è questa la cosa interessante. Ho capito anche perché Grillo si predispone al
monologo e non al dialogo”,
questa è l’impressione di Carlo Freccero, già direttore di
Rai2 e Rai4, intervenuto durante la trasmissione del sito
del Fatto. “Detto questo, io sono rimasto molto soddisfatto,
rido molto di voi giornalisti
che vi scandalizzate delle battute di Grillo, perché a forza
di contenervi è successo che il
pensiero critico si sia spento
da tempo. Ben venga Grillo
che riesce a far riavvicinare
queste tematiche al grande
pubblico. Soprattutto vorrei
dire che Grillo manca di teoria, ma nel deserto attuale
della politica anche le sue battute possono essere meritevoli”.
Hai visto Renzi in tv questi
giorni?
Ripete le stesse cose ormai da
un po’ di tempo. Si è con-
LA STRATEGIA
C’è stato senza dubbio un match, anche se è
stato un dialogo tra sordi. Si è capito perché
l’ex comico non può andare ai talk
sumato tranquillamente. Mi
sembra il figlio di Berlusconi.
Porta a Porta è stata la scelta
giusta da parte di Grillo per
tornare in televisione?
Geniale, ha copiato Berlusconi con Santoro.
Qual è la differenza tra Berlusconi da Santoro e Travaglio
e Grillo da Vespa?
Berlusconi ha giocato tutto
contro Santoro. Tanto è vero
che nella mente collettiva si è
fissato il gesto della sedia con
Travaglio. Invece Grillo da
Vespa è stato come due vecchi colleghi che si ritrovano
dopo tanto tempo e tante
schermaglie. Come il film di
Fellini sulla tv.
Ha notato che in questa campagna elettorale si rincorrono
tanto i leader in tv?
Sì, è triste e curioso perché è
una tv ancora più rinforzata e
tutti i nuovi media fanno il
coro greco della tv.
4
L’intervista
“Se vinciamo
io e Grillo
pronti a fare
i ministri”
Gianroberto
Casaleggio
di Marco Travaglio
L’
appuntamento è per le 17
di lunedì, a Milano, negli
uffici della Casaleggio Associati. Le domande sono
in parte mie e in parte raccolte sulla mia pagina Facebook (1200 in una giornata). Ecco una sintesi della lunga conversazione di due ore davanti alle telecamere de ilfattoquotidiano.it, che
oggi la metterà in Rete in versione integrale.
legge di iniziativa popolare (fuori i condannati
definitivi dal Parlamento, limite massimo di due
mandati, ripristino delle preferenze nella legge
elettorale): se Prodi e Veltroni le avessero accolte
avrebbero dato la svolta al Pd e al sistema politico.
Ma dopo il V-Day i giornali, soprattutto di sinistra, ci trattarono come una via di mezzo fra dei
mangiatori di bambini e una setta satanica.
Per me, già nella Prima Repubblica, i partiti
avevano lo stesso peccato originale di oggi: destra e sinistra erano superate, non mi riconoscevo in nessun simbolo. Però mi piacevano
alcuni personaggi politici di quel periodo, come Ugo La Malfa ed Enrico Berlinguer.
In questi dieci anni avete litigato spesso?
Gianroberto Casaleggio, per chi votava prima
che nascessero i 5Stelle?
E nella Seconda Repubblica?
Ho avuto un rapporto di stima e di collaborazione con Di Pietro. Prima che nascesse il
M5S non c’era alternativa: non perché Di Pietro fosse di destra o di sinistra, ma perché propugnava la legalità in politica. Guardi lo scandalo di Expo: dov’è la destra e dov’è la sinistra?
Uno ruba con la mano destra, l’altro con quella
sinistra. Sono tutti ambidestri e ambisinistri.
Lei s’è candidato una volta in vita sua: non in
M5S, ma – si dice – in una lista vicina a FI.
Vero che non mi candido, falso che l’abbia fatto con un berlusconiano. Lo feci a Settimo Vittone, il paese dove vivo vicino a Ivrea, in una
lista civica fondata da una persona che conoscevo e di cui mi fidavo, Vito Groccia, un signore di origini calabresi: mi chiese di entrare
in lista per dargli una mano. Non feci campagna elettorale, non avevo tempo, lavoravo a
Milano: infatti presi 6 voti. Mai sentito dire che
fosse un berlusconiano. Quando è uscita questa balla, lui era già morto, allora ho parlato
con i suoi due figli, che hanno smentito qualunque sua vicinanza, simpatia o iscrizione a
Forza Italia. È uno dei tanti presunti scoop che
i giornali hanno inventato su di me, senza verificare la veridicità della notizia. Ne ho raccolte un bel po’, di queste diffamazioni, in un
libretto: Insultatemi. Esistono gruppi pagati dai
partiti per diffondere messaggi virali contro
me e Grillo.
È la stessa accusa che molti rivolgono a voi.
Ma noi non abbiamo bisogno di farlo, perché i
nostri messaggi sono virali di per sé, dunque
veri, e si diffondono da soli. Quelli degli altri,
palesemente falsi, hanno bisogno di un supporto di truppe àscare, pagate magari 5 euro al
giorno.
Grillo quando e come l’ha conosciuto?
Dieci anni fa Beppe lesse un mio libro, Web
ergo sum, dedicato allo sviluppo della Rete nella
società. Mi chiamò e chiese di incontrarmi. Io
l’avevo visto una sera al teatro Smeraldo: entrava sul palco vestito da Savonarola e spaccava i computer. E mi ero domandato: ma con
tutta la roba che c’è da spaccare, proprio i computer? Quando lo incontrai, gli proposi di
aprire un blog, che all’epoca era ancora una
cosa per iniziati. Lui accettò e il blog partì nel
gennaio 2005.
E quando avete deciso di passare dalla Rete alla politica?
Ce l’hanno imposto la Rete e l’opinione pubblica. Il primo V-Day, l’8 settembre 2007, scatenò un’ondata di email, lettere, messaggi che
ci spingevano a entrare in politica.
Grillo però sperava ancora di cambiare il centrosinistra: consegnò a Prodi una serie di proposte programmatiche raccolte sul Web; e tentò di partecipare alle primarie del Pd.
Sì, Prodi fu molto gentile, ricevette Grillo a Palazzo Chigi, gli disse che avrebbe distribuito la
cartellina con le nostre proposte ai vari ministri e sottosegretari, poi però la cosa finì lì e non
lo sentimmo più. Era un tentativo di vedere le
loro carte: se il centrosinistra faceva proprie le
nostre idee, a noi andava bene così, non ci interessava chi le portava avanti. Ma la risposta
fu il muro: quando Beppe s’iscrisse al Pd ad
Arzachena, gli fu negato l’accesso alle primarie
con la motivazione che era ‘ostile’. Fassino gli
disse che il Pd non era un taxi e che Grillo,
volendo, poteva provare a fare un partito.
L’abbiamo accontentato. Al primo V-Day raccogliemmo 350 mila firme per tre proposte di
Quanti post del blog sono suoi e quanti di Grillo?
Sono tutti nostri. Ci sentiamo sei-sette volte al
giorno per concordarli, poi io o un mio collaboratore li scriviamo, lui li rilegge, e vanno in Rete.
Quasi mai.
Quindi qualche volta sì.
È impossibile pensarla allo stesso modo in dieci
anni.
Su che cosa avete litigato, per esempio?
Non mi viene in mente. È più facile che venga in
mente a lui.
Grillo, nel suo giro elettorale in Toscana, ha parlato di “peste rossa”: è vero, come dice Berlusconi,
che gliel’ha suggerita lei leggendo i discorsi di Hitler?
Hitler non c’entra. Da appassionato di storia, stavo leggendo un libro sulla ‘morte nera’, il flagello
che colpì l’Europa nel '300 portato dai mercanti
genovesi provenienti dalla Crimea e sbarcati a
Messina: di lì, attraverso le pulci parassite dei ratti,
la ‘peste nera’ o ‘morte nera’ dilagò in Italia e nel
continente e cambiò l’economia europea. Io l’ho
raccontata a Beppe, anche perché vedevo analogie
con l’economia attuale, e lui l’ha tirata fuori in
Toscana in versione ‘rossa’, credo pensando a disastri tipo il Montepaschi.
Le capita mai di trovarsi in imbarazzo per le sparate di Grillo?
Abbiamo provenienze, stili e linguaggi diversi.
Lui è un artista, io un manager. Ma in imbarazzo
no, non mi sono mai trovato: il suo linguaggio
non può essere regolamentato, altrimenti non potrebbe proprio parlare in pubblico.
Ma ormai Grillo è un leader politico e deve accettare di essere preso sul serio quando parla: troppo
comodo l’alibi del linguaggio comico.
Indipendentemente dal ruolo che ha, ognuno è
responsabile delle cose che dice. Ma, se usa dei
toni forti per esprimere un’opinione, bisogna
concentrarsi sull’opinione, non sul tono.
Beh, quando dice “io sono oltre Hitler”...
È una difesa verbale da chi gli dice che è come
Hitler. Abbiamo postato il discorso all’umanità di
Charlie Chaplin: anche lui era oltre Hitler.
Lei dice che si preparano dossier contro di lei: sicuro che non siano paparazzi a caccia di gossip?
Non confondiamo. A parte il fatto che fotografare
il campanello di casa mia o scrivere dove mio figlio va a scuola non è gossip, è intimidazione, e
dovrebbe essere proibito, i dossier sono altro. Io,
per esempio, ero nella lista Tavaroli (il capo della
Security di Telecom ai tempi di Tronchetti, poi
condannato a Milano, ndr): credo risalisse alla mia
vecchia esperienza in Telecom, era un ‘attenzionaggio’ per vedere se c’era qualcosa su di me. Ma
né io né Grillo abbiamo paura dei dossier. Stiamo
rompendo le palle al sistema da quasi dieci anni:
se avessimo anche un solo scheletro nell’armadio,
sarebbe già venuto fuori e noi saremmo da qualche altra parte, o in esilio o in galera. Spesso vengono create, raccolte e diffuse informazioni false
ad arte per screditarci, e questa non è opera di
ragazzini: ma di grandi gruppi editoriali.
Lei quanto guadagnava prima che nascesse il
M5S? E oggi guadagna di più o di meno?
Per me, come manager, la nascita del Movimento
è stata una sconfitta, perché un manager lavora
per fare profitti. Da quando dedico gran parte del
mio tempo al M5S, faccio meno profitti di prima.
Il M5S è nato nel 2009, e fino ad allora, pur essendo nata solo nel 2004, la Casaleggio Associati
viaggiava sul milione di euro di utili all’anno. Risultato mai più raggiunto dopo, anzi superato alla
rovescia due anni fa, nel senso che abbiamo perso
soldi. Così, pur essendo entrambi contrari, per
evitare di chiudere la società, con Beppe decidemmo obtorto collo di accogliere sul blog la pubblicità.
Che tra l’altro è veicolata da Google e da altri soggetti: noi cerchiamo di filtrarla, evitando per
esempio la pubblicità delle banche...
Però ne avete pubblicate alcune del gioco d’azzardo.
Può darsi ne sia sfuggita qualcuna, contro la nostra volontà.
La Casaleggio Associati nel 2012 registrò un utile
di 69.500 euro. Ora con la pubblicità siete risaliti:
la pubblicità viene stimata dal Sole 24 Ore in 5 euro a clic, e da Repubblica in 0,64. Secondo il Sole in
un anno avreste incassato 5-10 milioni, secondo
Repubblica 570 mila euro. Chi ha ragione?
L’ordine di grandezza è quello di Repubblica. Il Sole
non sa di che sta parlando: qualunque operatore
sa che quei dati milionari sono assurdi.
Lei ha anticipato che quest’anno, nel bilancio che
uscirà a luglio, i conti sono molto migliori del 2013.
Non sarebbe giusto pubblicare quelli del blog separati da quelli di Casaleggio Associati?
Parlare del blog è riduttivo, perché noi ci occupiamo di tutta la comunicazione in Rete del Movimento: i social media, il sito del M5S (che non
contiene pubblicità), e poi tutte le applicazioni
sviluppate e gestite da noi (la più nota è quella
delle ‘presidenziali’ per far scegliere agli iscritti il
nostro candidato al Quirinale). Ecco, tutta questa
attività è in perdita: dai 500 ai 650 mila euro. Ma
non abbiamo mai chiesto un euro né al M5S né ai
finanziamenti pubblici.
Lei è mai stato massone?
No.
Perché a un tratto avete cambiato rapporto con la
tv? Prima era morta, ora lei va dalla Annunziata e
Grillo da Vespa. Avevate preso una cantonata?
Nessuna cantonata. Penso che tv e giornali abbiano poco da vivere. Le prime sette emittenti italiane nel 2012 hanno perso 500 milioni di euro,
quest’anno è possibile che scendano a 7-800 milioni: durano finché qualcuno le finanzia. La pubblicità sta emigrando altrove, prevalentemente in
Rete. Nel medio e lungo termine la tv è condannata. Comunque la nostra repulsione non era verso la tv in quanto tale: quel che abbiamo cercato di
evitare erano i talk show dove non è chiaro di che si
parla e vince chi strilla di più. Infatti chiediamo di
poter parlare di un tema preciso, con persone mediamente competenti, altrimenti decliniamo.
Ma Vespa è l’apoteosi del vecchio talk: perché non
interpellare la Rete per questa svolta radicale?
Uno vale uno, o c’è uno che vale più di uno?
Non possiamo fare un referendum al giorno su
ogni cosa che facciamo. Sulle cose importanti è
giusto interpellare la Rete: come abbiamo appena
fatto, con l’aiuto del professor Aldo Giannuli, votando la nostra legge elettorale che presenteremo
a breve, prima delle Europee. L’hanno discussa e
votata 100 mila persone. L’Italicum se lo son scritto Renzi e Berlusconi al Nazareno, di nascosto.
La vostra è una proposta di forte impronta proporzionale: se non prendete il 51%, sarete costretti ad
allearvi con altri.
Noi non rifiutiamo le alleanze in quanto tali, ma
solo se ci obbligano a sposarci per corrispondenza
con uno che non conosciamo: io voglio vedere se
la convivenza è possibile. Prima voglio conoscere
l’altro, poi se mi piace me lo sposo. Se il mio programma è antitetico a quello dei partiti, che faccio: pur di allearmi prendo in giro i miei elettori?
Ma così gli altri partiti continueranno a mettersi
insieme e a tenervi fuori, anche se arrivate primi.
Finché spariranno. Non è che possono bloccare il
cambiamento per sempre, facendo massa critica.
Al momento è facile prevedere che, se vinceremo
le Europee con un buon margine, torneranno le
Programma? Pagamento debiti dello Stato
in 60 giorni; diminuzione della tassazione
sul reddito d’impresa con adeguamento alla media
europea; defiscalizzazione degl’investimenti;
chiusura di Equitalia; sconti per assunzioni
dei giovani under 35; diminuzione dell’Irap
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
5
SUL SITO
A destra,
Gianroberto Casaleggio e Marco
Travaglio. Il video dell’intervista
sarà trasmesso oggi sul sito
del fattoquotidiano.it Ansa
Roma. Era il 10 aprile 2013, una settimana prima
delle presidenziali. Eravamo Grillo, io e due nostri
collaboratori. L’ambasciatore ci chiese di incontrare Enrico Letta, allora vicesegretario Pd, che
aspettava in un’altra stanza. Rifiutammo. Allora
ci fecero salire al piano di sopra da una scala di
servizio per pranzare con alcuni addetti dell’ambasciata, mentre l’ambasciatore pranzava al piano di sotto con Letta. A un certo punto l’ambasciatore o il suo braccio destro ci domandò: voi
che ne pensate della rielezione di Napolitano? Poi,
quando due settimane dopo ci trovammo Napolitano rieletto e Letta presidente del Consiglio, ci
dicemmo che forse qualcosa non quadrava... È
una prova della forte influenza che i governi stranieri hanno sulle scelte politiche italiane. Non
certo solo la Germania. È una delle tante facce
della nostra perdita totale di sovranità: quella ter-
DUE ORE CON IL “GURU”
DEDICATE AI RAPPORTI
CON IL COMICO GENOVESE
(“NON LITIGHIAMO QUASI
MAI”), IL FUTURO NEL
MOVIMENTO (“RESTEREMO
FINO A QUANDO
È NECESSARIO”), I RAPPORTI
CON BERSANI, LE ACCUSE
DI AFFARISMO (“CI STO
RIMETTENDO SOLDI”)
larghe intese, anzi larghissime. Le intese extra-large. Contro di noi c’è un muro di Berlino che, anziché a Berlino, viene eretto fra Montecitorio e il
Quirinale. Per questo, se vinciamo, chiediamo
che se ne vadano sia Renzi sia Napolitano.
Molti le chiedono una certificazione indipendente
per le votazioni online tra i vostri iscritti.
È un’operazione molto complessa, che va seriamente normata, e non ha precedenti per cui è impossibile copiarla. Stiamo cercando di attivarla,
spero sarà pronta entro la fine del 2014.
Le pare bello che lo Statuto dei 5Stelle sia un atto
notarile firmato da Grillo e dal nipote avvocato?
Quando ne avrete uno meno “proprietario”?
Il nostro vero statuto è il ‘non statuto’. Lo statuto
ci fu imposto dalle leggi, noi ne avremmo fatto
volentieri a meno. Comunque sì, tutto è migliorabile, anche questo statuto burocratico.
Quando verrà il momento in cui lei e Grillo farete
qualche passo indietro e lascerete in prima fila i
vostri parlamentari?
Io e Grillo resteremo finché saremo necessari, fino a quando il Movimento non sarà più organizzato, con persone e strutture in grado di camminare con le proprie gambe. Non abbiamo mai cercato posti, altrimenti saremmo in Parlamento,
avremmo fatto accordi con Bersani & C.
Lei ha incontrato Giorgio Napolitano una sola volta. Com'è andata?
Ci ha ricevuti per un’ora e mezza, con un’accoglienza molto gentile e cortese. Mi è parso una
persona che, per capacità e razionalità, dimostra
meno anni di quelli che ha. Più un settantenne che
un novantenne. Non ha cercato di intortarci, vo-
leva capire chi siamo: ha le sue idee e le porterà
avanti fino alla fine, comunque sia.
Dopo le elezioni 2013, durante i tentativi di Bersani, poi nelle presidenziali, qualche politico l’ha mai
contattata direttamente o indirettamente?
Mai parlato con Bersani, né con suoi emissari, né
ricevuto telefonate, sms, tweet da politici.
E da Prodi e dal suo entourage?
No. Del resto il nostro candidato al Quirinale scelto dagli iscritti era Rodotà, dopo la rinuncia di
Gabanelli e Strada. C’era anche Prodi, ma in fondo. Io espressi il parere personale che chi ha avuto
incarichi politici non deve andare al Quirinale.
Lei per chi votò alle Quirinarie?
Per Gino Strada. Fu il più votato, ma rinunciò.
A quali condizioni avreste partecipato a un governo di scopo con il Pd?
A condizione che ci fossero molti punti di contatto fra il programma del Pd e quello nostro. Cosa che non era. Ma la verità è che il Pd e Berlusconi
avevano già deciso prima delle elezioni di febbraio – ben sapendo che avremmo avuto quel risultato – di mettersi insieme con le larghe intese.
Visto che il risultato fu la rielezione di Napolitano
e il governo Letta-Berlusconi, potevate appoggiare
Prodi e far saltare quel disegno restauratore.
La nostra base espresse un nome, Rodotà, che era
più che un accordo politico: era l’ex presidente del
Pds! Se non l’hanno votato loro, che dovevamo
fare di più? Ciò che io non mi aspettavo era la
rielezione di Napolitano: lui stesso aveva sempre
negato che la cosa potesse accadere.
La storia di quei giorni è stata tutta scritta?
Chissà... c’è quell’invito all’ambasciata inglese a
10 aprile 2013, una settimana prima
delle elezioni presidenziali, con Beppe
siamo all’ambasciata inglese. Al piano di sotto
c’era Letta. L’ambasciatore ci chiede: che dite
della rielezione di Napolitano? Due settimane
dopo ecco il Napolitano bis e Letta premier
ritoriale la perdemmo nel '45, quella monetaria
con l’ingresso nell’euro, quella fiscale con il fiscal
compact, quella politica negli ultimi anni. Per andare al governo dovremo vincere le Politiche in
almeno tre paesi del mondo...
Anche voi, se mai andrete al governo, dovrete fare
i conti con tutti questi poteri esteri.
È un problema nostro, ma è anche loro.
Lei rivendica tutte le espulsioni dal Movimento?
Pure quella di Federica Salsi perché voleva andare
ai talk show, ora che ci andate anche voi?
Non personalizzerei le espulsioni. Il M5S ha poche regole: chi entra sa che deve rispettarle. E poi
noi non siamo mai andati da Floris.
Era proprio necessario parafrasare Primo Levi col
fotomontaggio del cancello di Auschwitz?
Ho letto Se questo è un uomo e capisco bene la tra-
gedia, di Primo Levi e della Shoah. Ma quella rivisitazione della sua poesia non era spregiativa nei
confronti suoi né della Shoah: bensì dell’attuale
sistema partitico. Chi ha polemizzato non ha neppure letto il post. O non l’ha capito.
Via, qualche post l’avrete pure sbagliato: l’attacco
alla Gabanelli e a Rodotà, il vaffa alla Carlassare...
Quando prendete di mira qualcuno sul blog, tipo
un giornalista che magari ha scritto cazzate, e poi
quel qualcuno viene subissato di insulti e di minacce, anche di morte, non vi sentite in colpa?
Nessun senso di colpa. Di solito si tratta di persone che ci hanno diffamati.
E allora non è meglio querelarle?
Infatti molte le abbiamo anche querelate.
Perché il programma M5S non parla di Cultura?
Il programma è ancora incompleto. Via via cercheremo di coprire, coinvolgendo tutto il Movimento, tutti i settori ancora scoperti.
A Lucia Annunziata lei ha detto che la prima cosa
che farete al governo sarà un pacchetto di norme
per le piccole e medie imprese. Un po’ vago.
C’era poco tempo. L’accontento subito: attribuzione del made in Italy solo alle aziende che producono in Italia; pagamento dei debiti dello Stato
entro 60 giorni; accorpamento e semplificazione
degli adempimenti fiscali; diminuzione graduale
della tassazione sul reddito d’impresa con adeguamento alla media europea; defiscalizzazione
degl’investimenti; chiusura di Equitalia; sconti
contributivi per assunzioni dei giovani under 35;
diminuzione dell’Irap; defiscalizzazione dei redditi nei primi due anni di vita dell’impresa; collaborazione fra istituti, università e imprese con
stage ad hoc nel corso degli studi; pagamento
dell’Iva solo a fattura incassata.
Proposte che costano parecchio. E le coperture finanziarie?
La proposta, molto articolata, contiene tutte le coperture. Ma il Parlamento l’ha bocciata.
Anche il reddito di cittadinanza costa molto.
Sì, 13-17 miliardi. Lo presenteremo in Parlamento con le coperture. A partire dalla vera abolizione
delle province, che farà risparmiare miliardi. E da
altri tagli agli sprechi.
Dovreste movimentare decine di miliardi, ma siete
molto timidi sull’evasione fiscale, che ne vale
150-180 all’anno.
Non siamo affatto timidi. Noi l’evasione vogliamo combatterla severamente. Chi evade deruba
chi paga le tasse. Ma bisogna partire dai grandi
capitali, non perseguitare l’alpeggio o il kebabbaro che non fa uno scontrino, mentre si scudano
100 miliardi ai grandi evasori.
Lei ha mai subìto verifiche fiscali?
Sì, tre in cinque anni. La prima volta hanno scoperto che dovevo al fisco 54 euro, la seconda che
ne dovevo 18, la terza invece che ero a credito di
100: quindi alla fine han dovuto pagare me.
Sull’uscita dall’euro siete molto più prudenti.
L’euro è solo una risultante. Noi non siamo contro l’euro, ma contro l’applicazione attuale delle
politiche economiche e finanziarie comunitarie.
Per le Europee abbiamo un programma in sette
punti: sarà scarno, ma siamo gli unici ad averne
uno. I punti fondamentali sono gli eurobond e la
revisione del fiscal compact, che ci costringerebbe a
tagliare 40 miliardi di spesa pubblica all’anno per
20 anni. Inattuabile. Ciò detto, dobbiamo ridurre
gli sprechi di spesa pubblica e attingere ai grandi
giacimenti dell’evasione e della corruzione.
Con la Rai che volete fare?
Un’istituzione totalmente separata dai partiti,
con regole e organismi non collegati alla politica,
perché sia autonoma ma riprenda anche a svilupparsi e a fare innovazione. La Rai non è né cattiva
né buona: è la longa manus dei partiti. I quali, oltre
a farsi campagna elettorale con i rimborsi elettorali, usano la Rai per farsi propaganda gratis.
Non è che poi vincete e cacciate dalla Rai quelli
che vi hanno criticati in questi anni?
Mai. Non siamo i nuovi Silla.
Appoggerete la candidatura di Alexis Tsipras a
presidente della Commissione europea?
Tsipras è molto lontano da noi, perché ideologicamente connotato. Noi voteremo tutte le proposte, di destra o di sinistra, simili alle nostre.
Se Napolitano riuscirete a cacciarlo o si dimetterà,
per voi il candidato sarà ancora Rodotà?
Lo chiederemo ancora alla Rete.
Lei ha promesso la squadra di governo di M5S prima delle elezioni politiche, scelta con le primarie
online: quindi esclude la possibilità che entri qualche ministro esterno al Movimento?
Non lo escludo, dipende dalle figure della società
civile che si proporranno.
Il vostro premier ideale è Luigi Di Maio?
Il nome non lo conosco. Lo voteranno gli iscritti.
Sarà una persona onesta, competente e trasparente. Di Maio ha le stesse possibilità di altri, avendo
dimostrato ottime capacità in Parlamento.
Lei il ministro lo farebbe?
Dipende dal Movimento, ma perché no? Dovendo scegliere, opterei per l’Innovazione.
E Grillo?
Bisogna chiedere a lui, io lo vedrei bene ministro.
Grillo dice che, se perdete le Europee, si ritira.
Non ci credo, non è il tipo. Lo dice ogni tanto, per
stanchezza. Ma anche lui persegue l’obiettivo di
portare i 5Stelle al governo. Poi magari si ritira un
minuto dopo. Anche se lo fanno ministro...
Qual è l’asticella per parlare di vittoria del Movimento 5Stelle?
Un voto in più del Pd.
Quindi la sconfitta è un voto in meno del Pd?
Dipenderà da quanti avranno votato e dalla percentuale che avremo. Già oggi tutti gli ultimi sondaggi ci danno attorno alla percentuale delle politiche 2013, cioè al 25%. Anche con quella percentuale non potremmo certo dire di aver perso,
altrimenti Berlusconi che dovrebbe dire? Confermare il dato di un anno fa sarebbe un consolidamento importante.
È solo propaganda psicologica, o lei crede veramente che arriverete davanti al Pd?
Ci credo veramente.
6
D
ocumenti
riservati: indaga
la Procura di Roma
di Enrico
TUTTI DENTRO
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
ANCHE LA PROCURA della Repubblica
di Roma ha aperto tempo fa un fascicolo
di indagine nel quale ipotizza nei riguardi
dell’ex ministro Claudio Scajola il reato di
sottrazione di atti riservati. Lo spunto
per avviare l’indagine era stato fornito
dal ritrovamento da parte della polizia
postale di Imperia impegnata in un’in-
chiesta condotta dalla locale Procura nell’abitazione di Scajola di
documenti che sono stati poi trasferiti a Roma per competenza. Gli
accertamenti sono affidati al pubblico ministero Sergio Colaiocco
che il 18 aprile scorso ha anche
raccolto a Roma le dichiarazioni di
Scajola. Questi, secondo quanto si
è appreso, ha giustificato il possesso dei documenti per altro definiti di “scarso interesse” dallo
stesso ministro che poi avrebbe
anche attribuito la provenienza da
personale della sua segreteria. Attraverso gli accertamenti il pubbli-
il Fatto Quotidiano
co ministero Colaiocco intende accertare quale fosse la destinazione
dei documenti. Nei dossier affidati
al magistrato romano ci sono documenti che tra l’altro si riferiscono al G8 di Genova e anche all’uccisione del giuslavorista Marco
Biagi.
Fierro e Lucio Musolino
A
ffari, soldi, potere, la voglia matta di
tornare nel girone che conta della
politica e la passione per una donna.
È il micidiale mix che ha dannato
l’ex ministro Claudio Scajola. “Completamente
asservito” a Chiara Rizzo, la moglie del latitante
Amedeo Matacena. Donna affascinante, intelligente, combattiva. Una leonessa. L’ex ministro dell’Interno è pronto ad aiutarla nell’opera
di “spostamento” del marito da Dubai, dove ha
trovato un momentaneo e precario asilo, nel
più ospitale Libano. Ne asseconda le esigenze, i
bisogni, anche i capricci quando serve. Si tormenta per lei che ha una vita e relazioni spericolate. Brucia di gelosia, fino al punto da farla
seguire, controllare, pedinare. Fa raccogliere
notizie su di lei e le racchiude in un dossier.
Ingaggia una donna che vive a Bordighera e che
usa utenze telefoniche francesi, “convenzionalmente chiamata Spino”, come si legge nelle
carte dell’inchiesta della procura di Reggio Calabria, e la incarica di “curare” l’ignara Rizzo
nei suoi spostamenti in territorio francese e
monegasco. Scajola voleva sapere tutto della
donna, anche a chi fosse intestata la fiammante
Porsche Cayenne con la quale la bionda Chiara
attraversava le dorate strade di Montecarlo. Per
questo incarica un poliziotto suo amico di fare
ricerche oltre confine.
Porsche e panfili
DESTINI IN COMUNE
L’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola
e Chiara Rizzo, alias lady Matacena, alias Madame
Coppa di Champagne LaPresse / Ansa
SCAJOLA, TUTTO AMORE E DOSSIER
Quando la Spino, autrice
degli appunti per il dossier,
rivela alla segretaria di Scajola che l’auto è stata vista
più volte ferma al porto di STORIA DI AFFARI, POTERE, COSTRUTTORI, FACCENDIERI. CON LA PEDINATRICE “NOME IN CODICE SPINO”
Monaco nei pressi dell’imbarcadero dove è attraccapubblica italiana rimane al suo
to il panfilo di alcuni russi
AMEDEO MATACENA
F. BELLAVISTA CALTAGIRONE
posto. È un pezzo di ghiaccio, lei,
“poco raccomandabili”, la
invece è raggiante e telefona
gelosia dell’ex capo del ViLa frenetica attività dell’ex ministro
È lui “l’Orco” e viene “controllato”
all’Orco: “Sono uscita dall’aereo,
minale esplode. Ma non si
per “spostarlo” dalla insicura Dubai
per volere del fondatore di Forza Italia
mi hanno presa per pazza. Vieni a
tratta solo di pene d’amore.
prendermi all’aeroporto.” Diciasalla ben più accogliente Beirut
con la polizia parallela ai suoi ordini
In mezzo c’è il business, i
sette giorni dopo, Claudio Scajola
danari, gli affari di Scajola e
non ha ancora smaltito la rabbia.
dei suoi amici, particolarmente di Sergio Billé, l’ex presidente della po- trattenga una “relazione extraconiugale” con tutelare la vera identità di Bellavista Caltagi- È furioso. “Senti figliola, basta balle, basta sottentissima Confcommercio. Scajola e Billé, no- l’Orco. Una foto scattata dagli 007 della Dia il rone, facendo intendere che Francesco fosse un terfugi, su, uno dice le cose com’è, ognuno ha il
tano gli investigatori della Dia di Reggio Ca- 12 febbraio di quest’anno, ritrae Francesco Bel- altro, ancora una volta il Lefevbre D’Ovidio. coraggio delle sue posizioni nella vita, no... nellabria, hanno paura che la bella Chiara riveli lavista Caltagirone e Chiara Rizzo agli arrivi Un chiacchiericcio che fece indispettire la sua la vita”. Chiara è indispettita. “Riattacca e chiuall’Orco qualcosa di particolarmente “perico- internazionali dell’aeroporto di Fiumicino. Lui amica Marzia Lefevbre D’Ovidio, parente de la conversazione”, annotano gli agenti della
loso” per i due. Si tratta di un nome in codice in giacca sportiva di velluto e pashmina rossa, dell’armatore, fino a farle litigare ferocemente. Dia. La passione va bene, ma gli affari sono
che in un primo momento viene attribuito lei con gli occhi nascosti dietro vistosi occhiali Ed è all’Orco che la moglie di Matacena te- affari. A garantire un link col Libano è Vincenzo
all’armatore professor Francesco D’Ovidio Le- da sole. Scajola e Caltagirone, s’erano tanto lefona il 16 gennaio. È su un aereo con Claudio Speziali, calabrese e nipote dell’omonimo sefevbre, cognome noto fin dai tempi dello scan- amati, ma ai tempi della costruzione del porto Scajola i due hanno un appuntamento impor- natore del Pdl. Ha sposato una cittadina lidalo degli aerei Lockeed e di Antelope Cobbler, turistico di Imperia. Un affare da centinaia di tante a Roma per affrontare la vicenda dello banese, vive tra Beirut e Catanzaro, e nel paese
dei cedri ha ottimi rapporti con Gemayel, il
poi tutto si chiarisce. L’Orco che potrebbe far milioni di euro che travolge l’ex ministro e il spostamento in Libano di Amedeo Matacena.
leader dei cristiano maroniti. In Libano sta per
saltare gli affari dell’ex ministro e del pastic- costruttore e che nel 2010 fa scattare una ingiurare il nuovo governo, lo spostamento di
ciere di Messina, è il costruttore Francesco Bel- chiesta giudiziaria. Il politico e il re del mattone La sceneggiata sull’aereo
Matacena ora è possibile. Il 7 febbraio riceve
lavista Caltagirone. Anche per lui, come per vengono accusati di associazione a delinquere,
Chiara Rizzo, Scajola organizza una particolare tre anni dopo il gip dispone l’archiviazione per All’improvviso Chiara fa “una sceneggiata”, si- una accorata telefonata di Scajola. “Tu pensi
sorveglianza, affidandosi ai servigi del sovrin- entrambi, per Caltagirone, invece, rimane in mula una telefonata urgente della madre che la che riusciamo a farla accogliere” (la richiesta di
tendente di Polizia Michele Quero, che avrà il piedi l’accusa di truffa aggravata ai danni dello avvisa della improvvisa malattia del figlio, si asilo per Matacena). Speziali sicuro: “Sì, perché
compito di monitorarne i movimenti e gli spo- Stato. Quali siano le rivelazioni che Chiara Riz- dispera e chiede al comandante di scendere. adesso ho un interlocutore. Ho fatto tutto nei
stamenti aerei. E questa volta non sono solo zo poteva fare all’Orco, e in grado di allarmare Scajola è paonazzo dalla rabbia e dalla ver- minimi dettagli.” Tutto bene, Scajola informa
affari, perché ritorna la gelosia. Il sospetto (si Scajola e Billé, non è ancora chiaro. L’unico gogna, mentre la donna viene fatta uscire Chiara Rizzo: “Quello che doveva avvenire è
legge nelle note della Dia) è che Chiara in- dato certo è che la diabolica Chiara cerca di dall’aereo. L’ex ministro dell’Interno della Re- avvenuto, venerdì fanno il giuramento (il riLA PROCURA GENERALE RIAPRE IL CASO
di Valeria Pacelli
Altri guai in vista (Colosseo)
l giorno in cui la Dia di Reggio Calabria arrestava Claudio
I
Scajola, a Roma la Procura generale si opponeva alla decisione
del giudice Eleonora Santolini di assolvere l’ex ministro per le
vicende relative alla casa di via del Fagutale, con vista Colosseo.
Come i pm romani titolari delle indagini, Ilaria Calò e Roberto
Felici, anche il procuratore generale Otello Lupacchini ha esaminato gli atti di quel procedimento e ha scritto i motivi per i quali
si opponeva a una sentenza di assoluzione che ha definito “viziata
da illogicità e contraddittorietà della motivazione, oltre che per
travisamento del fatto”. Per il giudice Lupacchini, “il tribunale è
pervenuto a erronee conclusioni” sia nel momento in cui ha ritenuto che il fatto – contestato a Scajola – non costituisce reato, sia
per quanto riguarda “l’asserita improcedibilità dell’azione penale
per essere estinto il reato per prescrizione nei confronti di Diego
Anemone”. La storia, che costrinse l’ex parlamentare a lasciare il
ministero nel 2010, riguarda l’appartamento di circa 240 metri
quadrati, acquistato a “sua insaputa”. I magistrati romani accu-
savano Diego Anemone (prosciolto anche lui per intervenuta
prescrizione) di aver pagato parte (circa 1,1 milioni di euro su 1,7
milioni) della somma versata da Scajola nell’acquisto dell’immobile. Di questi versamenti di denaro, l’ex ministro – che intanto
era stato indagato per finanziamento illecito – aveva detto di non
sapere nulla, versione confermata dal giudice di primo grado.
CONTRO questa decisione, si è schierata anche la Procura gene-
rale. “È fuori discussione – scrive Lupacchini – infatti, o, almeno,
dovrebbe esserlo tra le persone che, per esperienza di vita, ceto
sociale, livello culturale, abituali frequentazioni e rapporti con le
istituzioni, compongono la categoria a cui va iscritto Scajola, che la
somma di 600 mila o anche 700 mila euro, non consente in alcun
caso l’acquisto di immobili residenziali di dimensioni medio-grandi, nel centro storico di Roma”. Secondo il procuratore
generale chiunque avesse comprato un immobile così grande,
avrebbe quantomeno chiesto il prezzo. Cosa che, secondo il giu-
dice, non interessava l’ex ministro
che “ha escluso di aver avanzato a
chiunque simile richiesta, ribadendo, al riguardo, ed esponendosi per questo addirittura al ridicolo, la convinzione che fosse
congruo un prezzo inferiore ad
euro 3000 per metro quadrato,
La nota vista Colosseo Ansa
somma per la quale, com’era noto
(...) sarebbe stato impossibile, all’epoca, addirittura l’acquisto di
un tugurio nella più remota periferia romana”. La Procura generale conclude : “Non vi è alcuna plausibile ragione, neanche se vi
fosse trattato del più importante e coinvolto uomo di Stato, per cui
l’acquirente di un immobile di ingente valore non dovesse presenziare a tutte le fasi della compravendita; per contro, tale manovra diversiva si giustificava in vista della precostitutzione della
prova di non aver potuto sapere ciò che accadde in sua assenza”.
il Fatto Quotidiano
TUTTI DENTRO
IN VIAGGIO CON LA LUIS VUITTON
MARSIGLIA-FIUMICINO-REGGIO CALABRIA
1740 chilometri: nonostante un viaggio così, iniziato alle 8 di stamani a Marsiglia e che si conclude a notte fonda a Reggio Calabria, e nonostante quello che la aspetta, Chiara Rizzo, ormai
ex Madame Champagne, è “contenta di essere
in Italia”. Lo aveva detto subito agli uomini della
Dia di Genova, che stamani sono andati al confine di Stato di Ponte San Luigi (Imperia) per
prenderla in carico dalla Gendarmerie francese
che l’ha prelevata alle 8.30 dal carcere delle Baumettes, a Marsiglia, dove si trovava dal 12 maggio quando il Parquet di Aix en Provence ha convalidato l’arresto avvenuto all’aeroporto di Nizza.
Chiara Rizzo è “contenta” e lo ha detto a quella
Fotografie
di Silvia Truzzi
7
stessa agente della Dia italiana che l’ha accompagnata nel lungo viaggio dal confine più a ovest
fino al confine più a sud, trasportando anche il
suo bagaglio: una Luis Vuitton. Arrivando a Ponte San Luigi aveva chiesto: “Adesso mi togliete le
manette?”, e a Fiumicino, scendendo per prima
dalla scaletta dell’aereo ha taciuto, scostandosi
appena i lunghi capelli biondi dal viso.
Lady Matacena
Dal rosso Ferrari
all’incubo manette
L’
immagine di lei che non scordiamo è
quella della Ferrari. Bionda, vaporosa, formosa vampissima, fasciata in
un paio di pantaloni di pelle, voluttuosamente distesa su un’auto di lusso: forse
Chiara Rizzo Matacena rimarrà per sempre,
nell’immaginario collettivo, la femme fatale della
Ferrari. Le foto dell’avvenente signora (figurava
tra le undici più belle del Principato di Monaco,
dove viveva) avevano fatto il giro di tutti i siti d’informazione quando, una decina di giorni fa, era
stato arrestato il suo amico, nonché ministro
dell’Interno del secondo governo Berlusconi,
Claudio Scajola.
UN AMICO, davvero carissimo, che le metteva ad-
dirittura a disposizione la scorta personale per
ferimento è al nuovo governo di Beirut, ndr).
Da questo momento possiamo considerarci
operativi.” Chiara è contenta, e l’8 aprile, parlando con Scajola, accenna, ma con scetticismo, alla lettera di Gemayel. “È autografa. Eh
cazzo, il programma è quello lì, tenetevelo
stretto è anche autografo. Eh, Ciccia”, la rassicura Scajola. Rassicurante è anche Speziali:
“Ho fatto una cosa più difficile, quella per Sergio, figurati questa.” Sergio è Billé, l’ex padre
padrone della Confcommercio, finito nel tritacarne dello scandalo dei “furbetti del quartierino.” Anche lui gode dei servigi del calabro-libanese Speziali, che il 16 gennaio, dopo
l’incontro romano con Scajola sull’affaire Matacena, lo accompagna in Libano. Qui Sergio
Billé doveva definire, notano gli uomini della
Dia, “un affare che vede coinvolto il maggiore
responsabile della banca d’affari russa in Libano”.
spostamenti più sicuri (la circostanza indignò non
poco l’opinione pubblica perché mentre lui era
ministro dell’Interno fu negata la scorta a Marco
Biagi, il giuslavorista che fu poi ucciso dalle nuove
Br). Ma nei guai fino al collo c’era anche lady Monaco, considerata dagli inquirenti “l’anello di congiunzione indispensabile” per “l’intera operazione di mascheramento” del marito Amedeo Matacena (sfuggito a un mandato di cattura per concorso esterno in associazione mafiosa), dunque
indagata e a sua volta raggiunta da un provvedimento di custodia cautelare in carcere. Ieri tutto
questo si è tradotto in altre foto, di ben diverso
sapore: la donna, che era stata arrestata all’aeroporto di Nizza domenica scorsa e aveva atteso in
carcere a Marsiglia l’esecuzione della richiesta di
estradizione, è arrivata in Italia. Le autorità francesi l’hanno condotta a Ponte
San Luigi e consegnata a un nutritissimo (forse esagerato)
schieramento di colleghi italiani. C’erano anche giornalisti, cameramen e fotografi che hanno
immortalato l’altra Chiara Rizzo, in jeans e maglietta: occhiali
scuri, molto imbarazzo, una
bottiglietta d’acqua in mano,
PREOCCUPATA
”Avrò un letto
dove dormire?
E mi daranno
da mangiare?
Sono contenta
di essere in Italia”
La scorta seminata
Quanti soldi e uomini d’affari ruotavano attorno a Scajola. L’ex ministro il 15 gennaio
semina la scorta e con la sua auto personale si
fionda a Bernareggio, provincia di Monza e
Brianza. Chiara è con lui. Lei scende dall’auto
alle 10,56 e si dirige alla “Giorgi-Marconi spa”,
dove si trattiene fino alle 13,40. Per quasi tre ore
Scajola è solo, passeggia nervosamente ma non
sale mai. A fargli compagnia, ma da lontano, gli
uomini della Dia che filmano quella scena ridicola. Chi c’era all’incontro? Uomini d’affari
già noti alle cronache degli scandali. A bordo di
un suv c’è Loredana Crippa, la moglie di Gabriele Sabatini, già finito nei guai per intestazione fittizia dei beni di Salvatore Izzo, un napoletano ritenuto “soggetto mafioso.” Sabatini
è in stretti rapporti con Paolo Berlusconi, col
quale nel 2012 vuole fare un grande affare in
Russia, la costruzione di case prefabbricate per
un miliardo di euro. Insieme volano spesso a
Mosca, sempre accompagnati da Massimo Sergio Dal Lago, altro imprenditore presente nei
discorsi della Chiara Rizzo. È un pentolone
zeppo di affari quello scoperchiato da Giuseppe
Lombardo, il pm della procura di Reggio Calabria. Tutto inizia con le tangenti di Francesco
Paolo Belsito, tesoriere della Lega di Bossi, e
con uno studio d’affari in via Durini a Milano.
Qui, al calabrese Bruno Mafrici, Amedeo Matacena chiedeva denari per “The black swan”, la
sua barca da 40 metri. Ma nelle mani di Mafrici
circolavano anche i soldi della ’ndrangheta,
quella più potente e che fin dagli anni Settanta
del secolo passato mise le mani sulla Costa Azzurra: la cosca di don Paolino De Stefano. La
’ndrangheta che ha sempre guardato agli affari
e alla politica che conta. Regista dello studio
milanese, Lino Guaglianone, un passato nei
Nar fascisti, e qui circolava anche Paolo Martino, referente milanese della ’ndrangheta dei
De Stefano.
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
una borsa da viaggio (di Louis Vuitton, nei particolari c’è Dio) al seguito. Appena ha incontrato
gli agenti italiani si è rivolta a loro così: “Voglio
stare con voi”. Poi ha chiesto di poter telefonare ai
suoi avvocati e soprattutto che le venissero tolte le
manette. Il suo viaggio è proseguito in auto fino a
Genova e poi in volo verso Roma, quindi a Reggio
Calabria. Incalzata dai cronisti a Fiumicino, ha abbassato lo sguardo e ha fatto cenno di non voler
parlare. Riferiscono le agenzie che è apparsa tiratissima, preoccupata, molto provata. E non è
difficile capire perché, se si accostano le immagini
della sua vita precedente con quelle che la ritraggono agli arresti. Niente trucco, niente abiti costosi, un passato di fasti e un futuro di guasti: passare da Rue princesse Charlotte a una prigione calabrese è un salto notevole. Le sue allarmate (e ingenue, per essere gentili) domande, al momento
dell’arresto in Francia, erano state: “Avrò un letto
dove dormire? E mi daranno da mangiare?”.
QUALCHE ANNO FA un facoltoso faccendiere
venne arrestato da un pubblico ministero piemontese: ancora prima di arrivare al carcere di
Opera, non proprio un hotel a cinque stelle, come
prima cosa chiese ai suoi legali di fargli pervenire
entro sera le pantofole di Gucci. Non gli sarebbero
mai arrivate, ma la cosa continuò a costituire motivo di grandi lamentele: per uno abituato a certi
lussi, finire dentro vuol dire essere privato della
libertà, ma anche perdere notevoli comodità, diceva l’avvocato del faccendiere. Sarebbe a dire che
il carcere è più duro per i signori che per i poveri
cristi? Naturalmente non è così: solo che i poveri
cristi, se li arrestano, non se li fila nessuno. Non ci
sono mai polemiche se vengono portati in manette in un’aula di giustizia (una su tutte quella seguita
alle immagini di Enzo Carra, ex portavoce di Forlani, immortalato in manette in piena Mani Pulite). Forse perché, nel cassetto dei ricordi, i poveri
cristi non hanno una Ferrari a Montecarlo.
IMMAGINI E INDAGINI
DAL DIVO
IN BRIANZA
ATTESA IN AUTO
L’OMAGGIO alla memoria di Andreotti
di Vincenzo Speziali e del libanese Gemayel
L’ARRIVO di Chiara Rizzo, lady Matacena,
in Brianza per il summit dei misteri
TANTA pazienza quella di Scajola, che attende
in auto per 3 ore che Chiara sbrighi i suoi affari
Al cimitero per Belzebù
Al summit dei misteri
La pazienza dell’ex ministro
Senti figliola, basta
balle e sotterfugi,
su, uno dice le cose com’è,
ognuno ha il coraggio
DOPO TRE ORE
CON “L’ORCO”
Il ritorno da Claudio
All’aeroporto di Fiumicino
FINITO il summit dei misteri in Brianza, Chiara
Rizzo ritorna da Scajola, in attesa in auto
LO SCATTO ritrae Chiara Rizzo con Francesco
Bellavista Caltagirone all’aeroporto di Fiumicino
delle sue posizioni
nella vita, no... nella vita
Claudio Scajola a Chiara Rizzo
8
COLLISIONI
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
D
ecreto Casa,
lotta agli abusivi
e deroghe a Expo
VIA LIBERA della Camera al Decreto casa. Dentro sono contenute
norme di urgenza per l’emergenza
abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015. Tra queste
ultime sono previsti 25 milioni di euro per il Comune di Milano, la deroga
per la società Expo 2015 sul Codice
degli appalti per i contratti di sponsorizzazione e le concessioni di servizi e la proroga al 2015 sempre per
il comune di Milano per curare strade e verde. Previste poi risorse per
un fondo nazionale per il sostegno
all’accesso alle abitazioni in locazione e per un altro fondo per i morosi
il Fatto Quotidiano
incolpevoli. La cedolare secca viene
ridotta del 10% per i proprietari di
immobili che affittano con canoni
concordati. Per il ministro delle Infrastrutture Lupi non si tratta del
“solito provvedimento tampone”,
ma di una legge che “affronta organicamente il problema abitativo”.
Ma a far discutere sono i provvedimenti contro chi occupa abusivamente. Contro questi hanno manifestato fuori da Montecitorio i movimenti per la casa. I due leader Luca
Fagiano e Paolo Di Vetta sono stati
ricondotti ai domiciliari, già inflitti
dopo i cortei del 12 aprile.
Il Pd è in buone mani
S’imbarca Schettino
A META DI SORRENTO L’EX COMANDANTE DEL NAUFRAGIO DELLA CONCORDIA
FA CAMPAGNA PER IL SINDACO E STRINGE MANI A BUBBICO E DEL BASSO DE CARO
di Fabrizio d’Esposito
V
Meta (Na)
otate Pd, cazzo”.
Meta è il primo
paesino della costiera sorrentina
dopo i tornanti di Punta Scutolo, che formano un belvedere strepitoso sul golfo di Napoli. Qui domenica prossima
si vota anche per le amministrative e la battaglia elettorale,
tra porta a porta e comizi e cene sulla spiaggia, ha coinvolto
il cittadino metese più noto
dell’ultimo lustro: il comandante Francesco Schettino,
quello della Concordia e
dell’Isola del
Giglio, quello
dell’inchino e
del “salga a
bordo, cazzo”. Giacca e
camicia sbottonata, Schettino non si è
limitato
a
presenziare
alle iniziative
del candidato-sindaco
del Pd, Giuseppe Tito,
ma ha rivolto
addirittura
un appello
pubblico per
farlo votare.
Un testimonial, in piena
regola. Dal sito Politica in
Penisola del
giornalista Vincenzo Califano: “In Tito non si è mai assottigliato l’entusiasmo di sentirsi utile, lo ricordo sempre
presente, dove la sola gratificazione è stata l’elemento trainante della sua irrefrenabile
attività del sapersi mettere a
disposizione degli altri. Un
giovane al servizio della comunità, e non il contrario, un
concetto pratico da lui sempre
applicato con entusiasmo”.
IL TRASPORTO di Schettino,
oggi sotto processo per il naufragio della Concordia (trentadue vittime) si spiega così.
Quando il suo nome fece il giro
del mondo, come sinonimo
dei peggiori difetti italici, il suo
paesino lo difese e Tito era in
prima fila. Ecco perché l’appello si conclude in questo modo:
“Colgo l’occasione per esprimere a tutti i Metesi indistintamente la mia sincera gratitudine per l’affetto dimostratomi in questi due anni, allo
stesso modo non posso esimermi dal sottolineare le doti
umane, che ho avuto modo di
riscontrare personalmente in
Giuseppe Tito, integrità morale e la sensibilità che lo contraddistingue assieme all’inte-
ra famiglia”. Ma l’endorsement di capitan Schettino per
il candidato sindaco del Pd è
dentro un’incredibile matrioska di autolesionismo a sinistra. Le sorprese non finiscono
mai. A Meta, infatti, il processo
di democristianizzazione del
partito renziano ha raggiunto
vette insuperabili. Il Pd si è
spaccato fra due liste civiche
(una è quella di Tito, l’altra fa
capo all’Udc) e si è scatenata
una gara per avere la benedizione ufficiale dai vertici regionali e nazionali. Risultato: non
bastasse Schettino, ai comizi di
Tito sono arrivati due impresentabili del Pd. Il primo è il
DIVISIONI
Nel piccolo paese
della penisola,
i Democratici
sono riusciti
a dividersi in due
liste contrapposte
sannita Umberto Del Basso De
Caro, ex socialista craxiano oggi sottosegretario alle Infrastrutture del governo Renzi.
Sospettato di essere tra i man-
Da sinistra: Paolucci, Bubbico, Tito e Schettino (foto da Politica in Penisola)
danti del presunto complotto
contro Nunzia De Girolamo
per la vicenda Asl di Benevento, Del Basso De Caro è indagato per la rimborsopoli della
Regione Campania: peculato.
Il secondo, invece, è il viceministro dell’Interno Filippo
Bubbico, rinviato a giudizio
per abuso d’ufficio. In un albergo sul mare, e tra gli applausi di Schettino, Bubbico ha
tenuto un pistolotto sulla sicurezza. Surreale. Con lui, anche
il deputato Massimo Paolucci,
candidato alle Europee. Ulteriore dettaglio: se Paolucci viene eletto si dimette da Montecitorio e gli subentra Anna
Maria Carloni, moglie di Antonio Bassolino. Alla fine Bubbico ha pure promesso di portare Renzi a Meta qualora Tito
dovesse vincere le amministrative. Ovviamente Schettino ci
sarà, pronto a scambiare due
chiacchiere con lui come ha
fatto con Bubbico e Paolucci.
LA CAMPANIA è il laboratorio
ideale per osservare la deriva
del Pd. La scoperta del partito
padronale è una sorta di Tana
liberi tuttiall’insegna dell’anarchia. Una volta, quando c’era il
centralismo democratico, casi
come quelli di Meta (partito
spaccato in due liste) sarebbero stati impossibili. Del resto, a
venti chilometri dalla costiera,
a Pompei, il Pd si è alleato con
Forza Italia. Si imbarca di tutto, compreso Schettino.
ANGLOSASSONE
“È vero che ha
offeso la Merkel?”
E Silvio tacque
ALLA BBC L’EX CAVALIERE NON RISPONDE
A UNA DOMANDA SULLA “CULONA INCHIAVABILE”
lla fine, ci voleva lo stile anglosassone di un giornalista
A
della Bbc per porre la domanda che nessuno aveva mai
fatto in modo diretto a Silvio Berlusconi: “Ha dato della
‘culona’ ad Angela Merkel?”. Pausa. Sorpresa. La risposta
tarda ad arrivare, B. inizia a gesticolare. Fine. Non dell’intervista, ma di quella frazione che surclassa il resto ed inizia
a fare il giro del mondo attraverso la Rete. Jeremy Paxman,
giornalista della Bbc ha ospitato il Cav nel programma Newsnight. Paxman chiede ciò che nessun giornalista italiano
aveva mai avuto l’ardire di proporre in una intervista all’ex
presidente del consiglio. Altro che domande concordate;
Berlusconi, non appena gli arriva la traduzione, sbanda,
cerca una risposta, comincia a gesticolare. Come reagire?
Soprattutto, cosa dire sulla Merkel? Paxman se la gode; non
è la prima volta che mette in difficoltà un politico, nel Regno
Unito lo conoscono per quello stile che prevede un fuoco di
fila di domande e non lascia scampo all’intervistato di turno.
Resta nella storia del giornalismo inglese un episodio del
1997, quando a Michael Howard, che era stato fino a poco
prima ministro dell’Interno, Paxman pose la stessa domanda dodici volte, a ripetizione perchè Howard rispondeva in
maniera evasiva. La responsabile comunicazione di Forza
Italia, Deborah Bergamini ha voluto rimarcare che B. non ha
provato alcun imbarazzo, quella pausa era dovuta ai tempi
tecnici della traduzione: “La risposta del Presidente è stata
che non ha ovviamente mai insultato la signora Merkel né
altri, in 20 anni di storia politica”. Ma quel video ormai è
virale. Mai fidarsi della “perfida Albione”.
val.cat.
PRONTO IL RICORSO
Green Italia si ribella alla soglia del 4%
di Giulia
Merlo
o sbarramento del 4%
L
alle elezioni europee è illegittimo e impugneremo la
proclamazione degli eletti.
L’annuncio arriva dal portavoce nazionale dei Verdi Angelo Bonelli e - assicura - “Il
ricorso verrà presentato qualunque sia il risultato elettorale”.
A sostenere l’azione legale
non c’è un avvocato qualsiasi
ma Felice Besostri, già vittorioso castigatore del Porcellum e autore del ricorso sulla
legge elettorale per le europee, rinviata alla Corte Costituzionale dal Tribunale di
Venezia. “Ha ragione chi sostiene che l’ordinanza del tribunale di Venezia non vale
per le elezioni del 25 maggio,
ma questo è vero solo se non
vengono impugnati anche i
risultati delle elezioni”. Esattamente ciò che intende fare
Green Italia. La Corte Costituzionale dovrà necessaria-
mente esprimersi e, in caso
di accoglimento della tesi di
Besostri e dei Verdi, l’esito
sarà una ridefinizione retroattiva degli eletti, sulla base di un sistema proporzionale puro. Non esiste solo un
problema di soglia elettorale,
però.
UN’ALTRA SITUAZIONE pa-
radossale che quasi sicuramente si determinerà, riguarda l’elezione del candidato
della minoranza linguistica
tedesca in Alto Adige. Si
chiama Herbert Dorfmann
ed è ricandidato al Parlamento Europeo nella lista della
Suedtiroler Volkspartei, il
partito territoriale altoatesino a maggioranza tedesca. Il
suo partito ha stipulato una
sorta di accordo tecnico con
il Partito Democratico, grazie
al quale superare la soglia di
sbarramento del 4% nel collegio nord-est, altrimenti irraggiungibile per una lista
espressione di una sola pro-
vincia. Si tratta di un vero e
proprio collegamento tra le
due liste, che comporta l’elezione praticamente automatica di Dorfmann, in forza di
una clausola nella legge elettorale, che garantisce di mandare in Europa un rappresentante della minoranza linguistica tedesca, qualora il suo
schieramento superi la soglia
del 4% e a prescindere dal numero di preferenze personali
da lui prese.
“Anche questo passaggio della legge elettorale è stato rin-
viato alla Corte Costituzionale, dal tribunale civile di Cagliari - ha spiegato Bonelli perchè l’unica minoranza
linguistica a vedersi riconosciuto il seggio certo è quella
tedesca, nonostante in Italia
non sia l’unica ad essere presente e riconosciuta dall’ordinamento”. Di conseguenza, sostengono Bonelli e Besostri, la legge elettorale europea è in contrasto con la
Costituzione italiana, perché
non garantisce uguale peso ai
votanti, ma anche con il trat-
Angelo Bonelli Ansa
CASO TRENTINO
Il candidato dell’Svp,
grazie a un accordo
col Pd, sarà eletto
per la minoranza
tedesca. Bonelli:
“Non ci sono solo loro”
tato di Lisbona, che stabilisce
che ad essere rappresentati al
Parlamento Europeo siano
direttamente i cittadini europei e non i cittadini di ogni
singolo paese membro, con
discriminazione in base al
luogo di residenza.
IL CASO DEL TRENTINO Al-
to Adige, poi, presenta un altro carattere singolare. La
Suedtiroler Volkspartei è
schierata con il Partito Popolare Europeo, il Partito Democratico, invece, sostiene il
fronte opposto, con i socialisti europei di Martin Schulz.
Con il risultato che il “popolare” Dorfmann - eletto de
facto grazie al Pd - soffierà il
posto in Parlamento all’ultimo degli eletti “socialisti” del
Pd. Un doppio dazio per il Pd
che, oltre a rinunciare ad un
eletto, vedrà anche un parlamentare tecnicamente collegato alle proprie liste passare allo schieramento politico europeo avverso.
AVANTI POPOLO
il Fatto Quotidiano
CJovane
orriere, l’Ad
evoca
l’addio di De Bortoli
di Davide Milosa
Milano
C
inque ore d’interrogatorio per aggiornare il
conto delle mazzette
(al telefono chiamate
“relazioni”) che salgono da 1,2
milioni di euro a 2,4. Parola di
Sergio Cattozzo, l’ex segretario
ligure dell’Udc, ritenuto dalla
Procura di Milano il contabile
delle tangenti al servizio della
cupola degli appalti che ha dato
l’assalto all'Expo 2015.
Cattozzo, che era già stato sentito la scorsa settimana dai pm
Claudio Gittardi e Antonio
D’Alessio, sviluppa l’impianto
accusatorio. Stando alle carte
dell’inchiesta rappresenta, infatti, la cerniera con le imprese.
Il sequestro del libro mastro
delle “stecche”
Un ruolo decisivo come dimostra il sequestro del libro mastro
delle stecche. Archivio rigorosamente scritto a mano con nomi, cognomi, cifre da spartire e
percentuali sugli appalti. Ed è
proprio su questo che ieri si è
concentrato l’interrogatorio.
Cattozzo ha chiarito molte cifre, ricalcolando la maxi-stecca
da 1,2 milioni euro svelata
dall’imprenditore vicentino
Enrico Maltauro. E così a tredici
giorni dagli arresti, la metà delle
persone coinvolte nello scandalo iniziano a collaborare.
Il primo è stato Maltauro che in
nove ore d’interrogatorio ha
confermato il sistema della cupola. Dopo di lui è toccato all’ex
manager Expo Angelo Paris
ammettere di aver turbato le gare, spiegando di averlo fatto per
ottenere coperture politiche
davanti alle pressioni dell’ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni.
Lo stesso Paris che a Gianstefano Frigerio prometteva “qualsiasi lavoro”. Paris, però, nega
di aver preso mazzette. Confermate, invece, ieri dallo stesso
Cattozzo che per i soli appalti
NEI GRANDI QUOTIDIANI internazionali c’è molto fermento, “quindi
non si esclude nessuno”, l’amministratore delegato di Rcs Pietro Scott
Jovane ha risposto così a una domanda delle trasmissione Rai 2next sul
possibile cambio di direzione al Corriere della Sera. Un modo poco velato
per far capire che l’ad non sarebbe
affatto dispiaciuto dall’addio di Ferruccio de Bortoli, dopo mesi di frizioni
sulla vendita del palazzo di via Solferino e i bonus ai manager. Jovane ha
chiarito però che “la materia della
scelta del direttore dipende dal cda”.
Tradotto: non decide da solo, l’input
EXPO DUE MILIONI
DI MAZZETTE E LA CENA
CON IL VICE DELLO IOR
LE AMMISSIONI DI CATTOZZO. NEGLI ATTI I RAPPORTI
FRA LA CUPOLA E ANGELO CALOIA, L’UOMO CHE GOVERNÒ
LA BANCA VATICANA PER VENTI ANNI DOPO L’ERA MARCINKUS
Sogin ha calcolato un tesoretto
da 1,5 milioni di euro, ai quali
vanno aggiunti 300mila euro
per lui e i 600mila promessi.
Frigerio: ho ricevuto
regalie non tangenti
Il denaro aumenta nonostante
resti ancora fuori tutta la partita
che riguarda i lavori della Città
della salute. E se lo stesso Frigerio, nell’interrogatorio davanti
al giudice Antezza, conferma di
aver ricevuto “regalie” ma non
tangenti, Cattozzo accusa e dice
che l’ex parlamentare di Forza
Italia Luigi Grillo intascava il
denaro degli imprenditori. Intanto le nuove carte dell’indagine svelano l’attività di Primo
Greganti per fare entrare le cooperative nella costruzione di
dieci padiglioni stranieri che
nasceranno sulla Piastra
dell’Expo. Il progetto, ragiona
la Finanza, è legato alle informazioni riservate che il Compagno G. ha ottenuto dallo stesso Paris durante una cena. Ma
c’è di più. Dagli atti depositati
emergono gli inediti rapporti
tra la cupola degli appalti e Angelo Caloia, l’uomo che governò lo Ior per vent’anni dopo
l’era dell’arcivescovo Marcinkus, nonché attuale numero
uno della Veneranda Fabbrica
del Duomo e presidente di alcune società del Gruppo Intesa
Sanpaolo. L’incrocio con Caloia viene pilotato da Frigerio
per garantire la carriera pubblica di Angelo Paris. È il novembre 2013 quando l’ex Dc ne parla con il manager. “Poi un’altra
persona che ti farò incontrare
che è del nostro vecchio mondo, che è un mio amico carissimo è il professor Caloia”. Paris è
molto contento: “Ah sì, ecco
quello lì mi piacerebbe molto
incontrarlo. È molto interessante”. Pochi mesi dopo, nel
gennaio 2014, Frigerio al telefono con Sergio Cattozzo illustra
lo scopo dell’appuntamento
con Caloia: “Lo vedo a pranzo,
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
IL COMPAGNO G.
Greganti voleva far
entrare le coop nella
costruzione di dieci
padiglioni stranieri
grazie alle notizie
avute da Paris
Curia milanese cioè Caloia e
con Fininvest, che li ho preparati per potenziarlo per il suo
futuro!". L’incontro, in effetti, si
concretizza ai tavolini del Westin Palace di Milano. Qui, alle
9
deve arrivare dagli azionisti (e quindi
prima di tutto dalla Fiat di John Elkann, “un’azionista di peso”). Jovane
ha poi smentito le ipotesi di fusione
tra Rcs e il gruppo editoriale del socio
Urbano Cairo così come l’interesse di
Rupert Murdoch per il gruppo, “non
mi risulta”.
CLICK
Grillo-Vespa, ha vinto
chi è stato più zitto
di Pino Corrias
ALLA FINE del monologo ha vinto quello dei due
che è stato zitto. Onore al vecchio Vespa che ha surclassato il nuovissimo (e troppo sudato, troppo agitato, troppo allarmato) Beppe Grillo. Che sembrava quello dell’ultimo banco
all’esame di maturità spinto dalla foga di mostrare all’esaminatore tutti i libri letti di corsa nell’ultima settimana - compreso uno
sulle turbine dei Boeing costruiti con la stampante 3D – che gli
stavano appesi pagina per pagina alle sinapsi, con la paura che un
colpo di vento, o uno sternuto, li facesse volare via. Grillo s’è arrampicato sull’albero dello scibile politico e non la smetteva di
scuoterlo. Cadevano frammenti decontestualizzati che transitavano dall’imminente assedio del Quirinale al remoto crack Parmalat, dalla sparizione di Renzi alla comparsa delle leggi fabbricate on line, una Norimberga fiscale per i politici, la fine di tutti i
finanziamenti, la morte di tutti i partiti, la chiusura di tutti i cantieri Expo. “E poi che si fa, un bel monocolore?” chiedeva con studiata letizia Vespa, bastando quel bullone a incasinare tutti gli ingranaggi guerrieri di Grillo. A fare della sua massima indisciplina
una minima gag già pronta per l’archivio.
13,30, c’è anche Fulvio Pravadelli, consigliere delegato Area
Amministrazione e Finanza di
Publitalia 80. E se da un lato la
cupola lavora per garantire Paris, dall’altro si ingegna per trovare una poltrona importante a
Giuseppe Nucci, ex ad di Sogin.
Grillo e la chiamata
di Guzzetti (Cariplo)
E così il 16 aprile scorso, annota
la Finanza, Grillo viene chiamato da Giuseppe Guzzetti
presidente della Fondazione
Cariplo (uno degli uomini più
potenti in Lombardia) e l’ex senatore “gli rammenta la candidatura di Nucci (...) evidenziando che l’assemblea sociale”
di Terna, società partecipata
dallo Stato, “si riunirà il prossimo 25 maggio” e quindi “i nomi bisogna presentarli entro il
25 aprile (...) io ho avuto conferma da casa Gianni nazionale
(Letta, ndr) che si spende”. Grillo chiede a Guzzetti se deve parlare della questione durante
una cena con il presidente della
Cassa depositi e prestiti a casa
dell’ex ministro Gianni De Michelis. Guzzetti lo sconsiglia dicendo che la “segnalazione è
stata fatta”. In un’altra telefonata Grillo discute con Nucci
delle nomine. Dice: “Il mio
amico di Milano (si riferisce a
Giuseppe Guzzetti) la sua parte
l’ha fatta, speriamo che qualcuno abbia spiegato a questo Presidente (Renzi) che non è Mussolini (...) Che ha diritto ma ci
sono degli altri, se no fa come
Enrico (Letta)”. Ieri il procuratore Bruti Liberati ha smentito i
pedinamenti della Finanza per
accertare se Greganti sia mai
entrato in Senato.
Nomine all’Asl di Caserta, nuovo scandalo Ncd
AI DOMICILIARI IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE, ROMANO, AVREBBE FATTO PRESSIONI SUL MANAGER DELLA STRUTTURA
di Vincenzo
Iurillo
a Procura è la stessa,
L
quella di Santa Maria Capua Vetere. L’ipotesi di reato
pure: pressioni e minacce
“politiche” per ottenere nomine di persone gradite nella
sanità casertana. È un film che
ricorda quello visto sei anni
fa, quando venne arrestata per
tentata concussione il presidente del consiglio regionale
della Campania Sandra Mastella – insieme a mezza classe
dirigente dell’Udeur - e il marito ministro della Giustizia
Clemente Mastella, furibondo, contribuì alla caduta del
governo Prodi. Ieri il remake:
è finito ai domiciliari per tentata concussione l’attuale presidente del consiglio regionale
campano, Paolo Romano, testa di lista Ncd per la circoscrizione Sud alle europee, un
ex fedelissimo del Pdl di Nicola Cosentino rimasto folgorato sulla via del partito di
Angelino Alfano. L’ufficio
retto dal procuratore capo
Corrado Lembo accusa Romano di aver provato a costringere il manager dell’Asl
di Caserta Paolo Menduni a
nominare persone da lui indicate ai vertici dell’ente sanitario, facendo riferimento al
rispetto di “accordi di natura
politica” altrimenti avrebbe
messo i bastoni tra le ruote
alla gestione dell’Asl attraverso “continui controlli”. Il Gip
Sergio Enea riassume tutta la
vicenda in un’ordinanza di 34
pagine con la quale aggrava il
Paolo Romano Ansa
titolo di reato da tentata concussione per induzione a tentata concussione per costrizione.
VIENE RICORDATA anche la
nomina di Nicoletta Tessitore
a dirigente del distretto sanitario di Capua, la città dove
Romano vive in una elegantissima villa non molto distante dal centro e ha iniziato a
costruire le sue fortune politiche. “Come ti sei permesso
di mettere quella nel mio distretto?”, avrebbe detto Ro-
LE MINACCE
Il dirigente Menduni
denuncia: doveva
“rispettare gli accordi”
altrimenti sulla sua
gestione ci sarebbero
stati “continui controlli”
mano a Menduni in una “telefonata furiosa”, secondo il
manager Asl sentito dal pm il
6 novembre 2012 che gli rivolge delle domande sulla denuncia presentata il 31 luglio
precedente. Nei mesi precedenti all’esposto, infatti, Menduni fu al centro di una serie
di critiche e di attacchi mediatici, anche piuttosto aspri e
da diverse parti politiche. Ed
anche di minacce vere e proprie, tra cui un sms piuttosto
inquietante: “abbiamo decretato la tua fine”. Ma non c’è
certezza di correlazione tra
questi episodi e le vicende
“politiche”.
È CERTO invece che a fine
maggio 2012 Romano riuscì a
far sedere intorno a un tavolo
quasi tutti i consiglieri regionali eletti nel casertano – con
l’eccezione di Angelo Polverino – per una conferenza stampa ‘contro’ Menduni. Pochissimi giorni dopo la commissione Trasparenza presieduta
da un altro casertano, il Pd Nicola Caputo, ascoltò Menduni
sulla gestione dell’Asl e gli rivolse la domanda se si era recato in Procura. Il manager rispose di no. Ma ci stava pensando e lo fece poche settimane dopo. Il 21 maggio 2012
una cimice nel suo ufficio,
piazzata per un’altra inchiesta
della Dda di Napoli su infiltrazioni camorristiche negli
appalti, registrò Menduni durante uno sfogo col direttore
sanitario Gaetano Danzi:
“Con Paolo Romano, ha sbagliato proprio alla grande,
perché tanto Romano lo mando in galera. Mi dispiace per
gli amici, però lo mando in galera. Anche perché si permettono si dire, adesso sorveglieremo sugli appalti delle Asl,
ma perché a me che me ne
frega degli appalti…”. I pm
napoletani hanno trasmesso
queste intercettazioni ambientali alla procura sammaritana, che però non ne ha fatto uso nella richiesta cautelare:
inoltre il Gip le ritiene “inutilizzabili”. Nelle carte compare invece una telefonata del 6
febbraio 2013 tra Romano e la
consigliera regionale Pdl Daniela Nugnes: un articolo ha
appena rivelato l’esistenza della denuncia e Romano si chiede se è opportuno che Menduni continui a ricoprire il
ruolo di manager Asl.
Tra gli indagati anche il consigliere regionale eletto in Idv
e poi passato nel Ncd, Eduardo Giordano, un suo collaboratore, Francesco Pecorario, e
un giornalista casertano, Giuseppe Perrotta della Gazzetta di
Caserta: è il filone che fa riferimento alla pubblicazione
di interviste e servizi allo scopo, secondo gli inquirenti, di
gettare cattiva luce sulla gestione della Asl. Ma il Gip ha
rigettato per loro le misure
cautelari. Per l’avvocato di Romano, Nicola Garofalo, “siamo di fronte a un impianto
accusatorio debole e inconsistente”.
21 MAGGIO 2014
NEL CDA DEI
CONCORRENTI
il FATTO
ECONOMICO
CONSULENZE
MILIARDARIE
LA TENTATA
SUCCESSIONE
» Bazoli è il presidente
del Consiglio di
sorveglianza di Intesa,
ma è stato a lungo anche
in quello di Ubi banca
11
» Nel 2012 il governo
Monti gli impone di
dimettersi, gli azionisti
bresciani spingono
Francesca Bazoli
» In sette anni di vita
Ubi banca ha pagato un
miliardo di consulenze,
come hanno denunciato
due senatori
IL PATRIARCA Per anni il presidente di Intesa si è
costruito la fama di ascetico padre nobile della sinistra
Ma l’inchiesta su Ubi Banca rivela la sua rete di potere
LE MILLE POLTRONE
DELLA PREMIATA
FAMIGLIA
BAZOLI & GITTI
di Giorgio Meletti
S
i può capire la “profonda sorpresa”
di Giovanni Bazoli, che si trova a 81
anni indagato e perquisito perché
magistratura e Consob hanno deciso
di vedere chiaro nelle sue tecniche di
esercizio del potere finanziario. Rivendicando di avere “sempre testimoniato nella
mia vita e nei miei comportamenti una totale e leale
osservanza delle regole e delle leggi”, il banchiere
bresciano si elegge, come d'abitudine, giudice di se
stesso per contrapporre la sua specchiata reputazione all'apparenza dei fatti. Forse ha ragione lui,
forse con le persone notoriamente per bene è inutile
richiamare regole e leggi. Si fa prima a fidarsi, a
considerare i fatti all'attenzione delle procure di
Bergamo e Milano sotto la luce del rinomato disinteresse personale, della sobrietà e della correttezza. Con queste tinte rosee due generazioni di laudatores hanno accompagnato la trentennale parabola del giurista che a metà anni 80 fu proiettato dal
suo mentore Nino Andreatta sul salvataggio del
Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, e su quel disastro ha costruito la maggiore banca italiana, Intesa Sanpaolo.
CERTO, SE BAZOLI non fosse Bazoli, i sospetti più
maliziosi si affollerebbero. Perché il professore,
mentre diventava il
più potente banchiere (e non solo) italiaDINASTIA BRESCIANA
no, non ha mai sciolto i legami con il poLa figlia Francesca doveva prendere
tere finanziario della
sua città. E c'è voluta
il suo posto nel cda, si è dovuta limitare
un'apposita legge
a una serie di poltrone nelle controllate
dell'altrettanto sobrio governo Monti
Suo marito, il super avvocato e deputato
per farlo sloggiare
dal consiglio di sorGregorio Gitti, è sempre coinvolto
veglianza di Ubi bannelle operazioni più importanti
ca, uno dei maggiori
concorrenti di Intesa. Nel 2007, quando
Ubi era appena nata dalla fusione tra Popolare di presidenza della Popolare Bergamo (oggi controlBergamo e Banca Lombarda di Brescia (di cui Bazoli lata di Ubi) ma nel consiglio è entrato suo figlio
è stato anche vicepresidente), un complicato ma- Matteo. Tra le regole non scritte vigenti nel montrimonio i gruppi di potere di due città chiave del- do Ubi Banca c’è infatti questo singolare familil'economia lombarda e italiana, fu il dominus ber- smo delle famiglie per bene, che si passano le polgamasco, Emilio Zanetti a proporre la sua elezione, trone di padre in figlio attraverso un peculiare
e qualche coraggioso azionista osò ipotizzare meccanismo di meritocrazia genetica, attraverso
qualche “potenziale conflitto di interesse”. Zanet- il quale un figlio può garantire agli azionisti lo stesti, paterno, disse: “Qualcuno può nutrire perples- so coefficiente di onestà del genitore.
In ogni caso Bazoli figlia si è accontentata di un
sità, ma mi auguro che queste vengano fugate”.
All'indomani della leggina di Monti venne a man- posto nel consiglio della controllata Banco di Brecare il notaio Giuseppe Camadini, personaggio di scia, che si è aggiunto alla vicepresidenza di Ubi
spicco del potere bresciano, legatissimo a Bazoli, Leasing. Nel luglio dell'anno scorso, quando la
insieme al quale realizzò la fusione tra Banco di Banca d'Italia ha completato l'ispezione di Ubi LeaBrescia e Credito agrario bresciano da cui nacque sing che ha portato nei giorni scorsi all'esplodere
la Banca Lombarda. L’associazione “Banca Lom- dello scandalo, Francesca Bazoli si è dimessa. Però
barda e Piemontese”, che riunisce gli azionisti bre- è rimasta nel consiglio di Ubi sistemi e servizi.
sciani di Ubi, ritenne di avere il diritto di designare
un bresciano per quel posto, in base a quell'ac- SE NON VIGESSE la presunzione di correttezza
cordo di spartizione che gli inquirenti giudicano assoluta della famiglia Bazoli, ci sarebbe da notare
“occulto” e quindi illecito. Fu prescelta Francesca che anche Gregorio Gitti, marito di Francesca e
Bazoli, avvocato bresciano, classe 1968, che ha ere- genero di Giovanni, ha i suoi incarichi nel gruppo
ditato dal padre Giovanni lo studio legale. Le pro- Ubi. È presidente di ben quattro controllate: 24-7
teste dei bergamaschi fecero saltare la successione Finance, Ubi Finance 2, Ubi Finance 3, Lombarda
ereditaria, anche se nessuno ha protestato nel Lease Finance 4. Gitti è professionista di notevole
marzo scorso, quando Emilio Zanetti ha lasciato la caratura e di ingegno multiforme. Il suo studio
legale Pavesi, Gitti, Verzoni è ben inserito nei gangli decisivi degli affari. E il nome del genero di
Bazoli spicca con frequenza nelle vicende che riguardano sia pure indirettamente il suocero. Eccolo come consulente legale nella fusione che dà
luogo alla nascita di Ubi Banca, eccolo protagonista della nascita della nuova Alitalia di Roberto
Colaninno, operazione targata Intesa Sanpaolo,
eccolo nella squadra degli advisor nella nascita di
A2A, nata dalla fusione delle due municipalizzate
elettriche di Milano e Brescia. Nel 2013 Gitti è diventato deputato, eletto nelle liste di Scelta Civica
dopo anni di militanza nel Partito democratico di
cui è stato uno dei fondatori. Alla Camera si è subito distinto, tra le altre cose, per il reddito, 3 milioni e 426 mila euro, secondo solo a quello del re
della sanità convenzionata Antonio Angelucci.
COLPISCE ANCHE, e aiuta a comprendere la sor-
presa di Bazoli per l'indagine che lo coinvolge, che
nessuna autorità abbia avuto finora niente da dire
sui rapporti della famiglia con Romain Zaleski.
Notate la stranezza: a partire dal 2012 due
senatori, Giorgio Jannone (Pdl) e Elio
Lannutti (Idv) hanno presentato
due distinti esposti alla magistratura, nei quali era scritto per filo e per segno
tutto ciò di cui la Guardia di Finanza è andata a
cercare le prove due anni dopo: per esempio il
fatto che in sette anni di
vita Ubi Banca abbia distribuito un miliardo di
euro in consulenze (legali e non).
Lannutti però ha presentato, già da anni, un
esposto anche alla procura di Milano, riguardante Intesa Sanpaolo,
con la richiesta alla procura guidata da Edmondo Bruti Liberati di verificare se con Zaleski
non sia stato commesso
il reato di “abusiva concessione del credito”.
Nessuno ha mai fatto
una piega, e si può facilmente indovinare il
perché: la reputazione
di Bazoli è stata evidentemente giudicata sufficiente a fugare ogni
sospetto. E quindi rimangono solo allo stato di apparenze scombinate alcuni fatti: che
le banche italiane abbiano prestato al finanziere franco-polacco amico di famiglia dei Bazoli
6-7 miliardi per giocare in Borsa; che con quei soldi Zaleski arrivò ad essere uno dei primi azionisti
di Intesa Sanpaolo, il primo azionista di Ubi al
momento della nascita nel 2007, il primo azionista
della Mittel, la finanziaria di cui Bazoli è stato presidente per una vita (con Gitti consulente); che
Intesa Sanpaolo abbia prestato all'amico del presidentissimo almeno 800 milioni senza pretendere garanzie reali, scavando così un buco inesorabile nei propri conti, visto che le speculazioni di
Zaleski sono andate molto male. La storia è antica:
perché se ti chiami Brambilla le banche ti fanno
fallire all’istante chiedendoti il rientro immediato
e se ti chiami Zaleski ti tengono in vita per anni
dandoti ossigeno finanziario per centinaia di milioni? Finora la magistratura non ha ritenuto che
la vicenda possa riguardare il rispetto delle leggi.
La stessa idea devono averla Bazoli e i suoi cari.
Non a caso nel 2008, alla vigilia del crac Zaleski,
Gitti ha fondato, con l’amico franco-polacco e il
suocero banchiere, la solenne Fondazione Etica,
che si propone “l’elaborazione di una nuova idea
di Paese, basata su una moderna etica pubblica”.
Ecco, l’etica è assicurata. Meno male.
Twitter@giorgiomeletti
EURO CRISI
È tornato
il complotto
dello spread
di Stefano Feltri
CI STA PROVANDO, ma neppure Silvio
Berlusconi riesce a prendersi sul serio
quando rilancia il “complotto dello
spread”. Basta vedere la sua intervista alla Bbc in cui il giornalista gli chiede se è
vero che ha chiamato Angela Merkel
“unfuckable lard ass” per ricordarsi a che
punto era arrivata la credibilità del suo
governo nel 2011. Eppure, anche uno
che conosce i numeri come Renato Brunetta continua ad accreditare la tesi della
grande congiura franco-tedesca che ha
abbattuto il Cavaliere usando i mercati.
Quello che sta succedendo in questi giorni dimostra che non servono i complotti
per spiegare le reazioni della finanza (a
volte esagerate, i banchieri sono pur
sempre uomini, ma mai assurde).
Lo spread italiano sta tornando verso i
200 punti, ieri era a 191, mentre il tasso
chiesto dal mercato per i titoli del Tesoro
a dieci anni è attorno al 3,15 per cento.
Entrambi sono in rapida ascesa ed è lecito avere qualche timore. Come ha avvertito Martin Wolf sul Financial Times,
l’attuale bonaccia attorno all’euro zona
dipende da due premesse: che il ritorno
della crescita renderà sostenibile nel lungo periodo il debito pubblico di Paesi come l’Italia e che la Bce agirà in modo determinato per calmare i
mercati (se necessario) e
INTESA
per evitare il rischio deflaAL
zione. Nessuna delle due
VERTICE
premesse è scontata: seGiovanni Bazocondo i dati Ocse di ieri, il
li, la figlia Fran- Pil italiano è calato dello
cesca e il genero
0,1 per cento nel primo
Gregorio Gitti
trimestre 2014, nell’eurovisti da Emazona è cresciuto di un minuele Fucecchi
sero 0,2. Troppo poco, la
ripresa è così lenta da essere impalpabile. E la Bce
di Mario Draghi ha creato attese enormi
per la sua riunione di giugno, o lancia
misure davvero straordinarie o i mercati
sconteranno la delusione. Non servono
teorie del complotto per spiegare l’inquietudine degli investitori.
Ma questo non significa che i complotti
non esistano. Sono molto meno politici e
più gretti di quelli immaginati da Brunetta: ieri la Commissione europea ha avviato gli accertamenti per stabilire se Crédit
Agricol, Hsbc e Jp Morgan hanno fatto
cartello per manipolare i tassi di interesse
su derivati legati all’euro. Tradotto: il sospetto è che nel pieno della crisi dell’euro
ci fossero alcune grosse banche che altervano il mercato degli strumenti che assicurano contro eventi disastrosi per guadagnare parecchio. Non c’è da stupirsi, già
un anno fa la Commissione ha comminato multe per oltre un miliardo di euro a
grandi gruppi bancari, rei confessi, per la
manipolazione dei tassi Libor e Euribor.
Questi sono i veri complotti. Le sfortune
di Berlusconi hanno spiegazioni più semplici ed evidenti come l’incompetenza.
Twitter @stefanofeltri
12
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
il FATTO ECONOMICO
GIUSEPPE BONOMI
Sanzione Consob per
l’uomo che parlò troppo
Adesso è consulente per gli aeroporti del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, ma nel novembre 2012 Giuseppe Bonomi era il
presidente (in quota Lega Nord)
della Sea, la società che gestisce Linate e Malpensa e il comune di Milano voleva a tutti i costi quotare in
Borsa. Bonomi promise che la società, dopo la quotazione, avrebbe
dato in dividendi il 70 per cento degli utili. Siccome però questa decisione non l’aveva mai presa nessuno, a un anno e mezzo di distanza
la Consob ha multato la Sea. Sanzione poco più che simbolica, 5 mila euro, anche perché quella affermazione infondata non ha danneggiato nessuno. La quotazione della
Sea fu infatti bloccata dalle proteste dell’azionista di minoranza, il
fondo F2i guidato da Vito Gamberale. Il quale è stato poi denunciato
dallo stesso Bonomi alla procura,
con l’accusa di aggiotaggio, per
aver contribuito a far saltare il collocamento in Borsa facendo uscire
sui giornali notizie negative sull’andamento della società. Ii magistrati
di Milano devono stabilire se quelle
notizie fossero vere o false, cioè se
abbiano danneggiato la Sea o salvato i risparmiatori. Per adesso la
Consob punisce Bonomi, e segna
un punto a favore di Gamberale.
di Gionata
Picchio
Q
uale imprenditore costruirebbe un mega hotel
in una località in declino
turistico e con incerte
prospettive di ripresa? Probabilmente nessuno. Eccetto forse se i soldi
non fossero suoi. Nel settore dell'energia qualcosa di simile potrebbe
accadere davvero: nonostante i consumi gas in calo, tornati ai livelli del
2002, il governo è convinto della necessità di nuove infrastrutture di import. Anche a costo di farle pagare ai
consumatori, per un onere che potrebbe raggiungere 350 milioni all'anno o più.
Negli anni 2000, quasi tutte le grandi
utility sognavano di costruire un gasdotto o un rigassificatore. Il mercato
gas era una miniera d'oro per chi riusciva a entrare: domanda in crescita e
prezzi alle stelle, complice il qua-
SPRECHI Il governo promette risparmi alle famiglie,
ma conferma tubi e infrastrutture eccessivi
per le esigenze italiane. Tanto il conto arriva a noi
GAS, LE GRANDI OPERE
INUTILI CHE PAGHEREMO
CON LA BOLLETTA
per le quali “si prevederà la possibilità di recupero garantito (anche
parziale), dei costi a carico del sistema”, ossia dei consumatori, “anche
in caso di non pieno utilizzo”. Un
principio che l'Italia è riuscita a far
passare nella dichiarazione finale del
G7: i costi di opere “necessarie per
aumentare la sicurezza degli approv-
UN ALTRO MONDO
Prima della crisi,
i rigassificatori erano un
affare d’oro, profitti milionari
garantiti: poi la domanda è
crollata, nel 2023 la domanda
sarà più bassa che nel 2003
si-monopolio Eni. Importazioni indipendenti avrebbero offerto alti
margini, ridotto un po’ i prezzi e aumentato la sicurezza delle forniture.
Così nell’arco di poco tempo una
quindicina di progetti di terminal per
gas liquido (Gnl) e una manciata di
nuovi tubi si sono accalcati sui tavoli
dei ministeri.
Il mondo dopo
la crisi è diverso
Dopo il 2008 però è cambiato tutto:
la crisi e l'espansione delle fonti rinnovabili hanno fatto crollare i con-
LA TASSA OCCULTA
L’esecutivo ha imposto al G7
il principio che se i nuovi
impianti restano inutilizzati
verranno comunque
remunerati: fino a 350 milioni
di euro a carico degli italiani
sumi. Un’offerta crescente si è riversata su un mercato che la regolazione
aveva reso più dinamico, falcidiando
prezzi e margini. Di colpo, costruire
un rigassificatore è apparso assai meno attraente, viste le incertezze su come recuperare i costi di un investimento di cui non sembra più esserci
bisogno.
Eppure il governo indica tra le priorità energetiche la realizzazione di
nuove infrastrutture per l'import, in
particolare terminali per navi metaniere. Illustrando in marzo al Senato
il programma del suo dicastero, il
ministro dello Sviluppo economico
Federica Guidi ha evidenziato la necessità di “rimuovere gli ostacoli allo
sviluppo della nostra capacità di rigassificazione per beneficiare della
rivoluzione dello shale gas” Usa (cioè
il gas estratto dalle rocce). Un concetto ribadito al vertice G7 sull’energia di Roma.
Più nei dettagli è entrato il viceministro, Claudio De Vincenti, annunciando l'emanazione a breve di un
decreto della presidenza del Consiglio per le infrastrutture “strategiche”, ossia coerenti con la Strategia
energetica (SEN) varata nel 2012 dal
governo Monti. Opere, ha spiegato,
vigionamenti, e che non possono essere costruite secondo le regole del
mercato - vi si legge - potrebbero essere sostenuti attraverso quadri regolatori o attraverso il finanziamento
pubblico”.
Le bollette quindi ripagheranno ai
proprietari una maggioranza dell’investimento, si parla di circa due terzi,
anche a impianto fermo. Il ministero
dello Sviluppo ha stimato un
extra-onere di circa 150 milioni/anno per un terminal da 8 miliardi di
metri cubi all’anno in caso di completo inutilizzo. Nella SEN si giudica
necessario almeno un impianto di
TROPPA OFFERTA Il calo
dei consumi strutturale in Italia e la
struttura del mercato del gas. Sotto,
il rigassificatore di Rovigo
Infografica di Pierpaolo Balani
questa taglia, o due se non sarà realizzato il gasdotto Albania-Italia
TAP. Se aggiungiamo il più piccolo
OLT di Livorno, già realizzato ma a
cui il ministero vuol comunque concedere il meccanismo (stima: 60 milioni all'anno), si sale a 210-360 milioni all'anno.
Ma si potrebbe andare anche oltre:
sul numero di impianti da realizzare,
Guidi si è limitata a ricordare che
attualmente quelli autorizzati sono
tre. L’unico da 8 miliardi di metri
cubi è Porto Empedocle di Enel, in
Sicilia, che potrebbe usarlo per importare Gnl dagli Stati Uniti in base a
un recente accordo. Gli altri due sono Gioia Tauro (12 miliardi di metri
cubi), in Calabria, il cui principale
socio con Iride è la Sorgenia della
famiglia De Benedetti - alle prese con
ben altri problemi di debito ma che
potrebbe vendere ad altri - e Falconara della petrolifera Api, nelle Marche.
Cattedrali nel deserto
della bassa domanda
Progetti che in base a una logica di
mercato resterebbero nel cassetto ma
che con un ritorno garantito per legge, che annulla gran parte del rischio
d'impresa, tornano interessanti. La
possibilità che restino cattedrali nel
deserto è concreta: tra i rigassificatori
esistenti, quello di Snam a Panigaglia
(La Spezia) è a riposo da oltre un
anno per i bassi consumi e perché il
mercato spinge il gas naturale liquido in Asia dove il prezzo è più alto.
Quello di Rovigo di Edison, Exxon e
Qatargas viaggia al minimo consentito dai contratti e nessuno richiede
la capacità non prenotata. Sorte toccata anche all'OLT, fermo dalla sua
inaugurazione perché nessuna impresa ne ha chiesto i servizi.
È proprio necessario farne pagare di
nuovi ai cittadini? “Dobbiamo scommettere che la domanda tornerà a
crescere”, ha notato il ministro Guidi
dopo il G7. Inoltre, secondo il ministero dello Sviluppo, le infrastrut-
21 MAGGIO 2014
13
POTERE SVEDESE Gli artigiani italiani l’avevano sottovalutata
Oggi devono accettare le sue durissime richieste per sopravvivere
IKEA, I 25 ANNI CHE HANNO
STRAVOLTO IL MADE IN ITALY
di Carlo Di Foggia
U
ture serviranno ad aumentare la sicurezza e ad “agganciare” la rivoluzione shale gas americano. Forse. Ma
le incognite sono tante.
Attualmente il gas naturale liquido
degli Stati Uniti a non avrebbe mercato né in Italia né in Europa: troppo
alto il prezzo per le depresse quotazioni nostrane. Ed è impossibile
prevedere se in futuro potranno mai
competere con quelle asiatiche. I
consumi nel 2013 si sono attestati a
70 miliardi di metri cubi, sotto il livello del 2002. Un calo almeno in
parte strutturale, perché con il boom
di eolico e solare la domanda gas delle centrali non tornerà più quella di
prima e molte industrie hanno ormai
chiuso o delocalizzato. Per il 2023
Snam stima una domanda di 74 miliardi di metri cubi, inferiore a quella
del 2003.
Il vero obiettivo
(forse) è la Russia
Quanto alla sicurezza, l'attuale capacità di importazione annua supera
già del 65per cento i consumi, il tasso
di utilizzo di tubi e rigassificatori è
appena il 54 per cento e su base giornaliera la somma tra capacità di import (329 milioni di metri cubi al
giorno) e stoccaggi (al massimo 270
milioni di metri cubi) supera il record storico di domanda (465 milioni di metri cubi) anche in caso di
stop temporaneo del gas russo.
Certo, altro discorso sarebbe se il governo avesse obiettivi davvero titanici: affrancarsi del tutto da Mosca e
da Vladimir Putin per l’energia, ad
esempio. O convertire a metano il
trasporto nazionale. Allora servirebbero infrastrutture. L’esecutivo però
non ha mai annunciato niente di
simile. Anzi, proprio mentre
vuole ridurre la nostra dipendenza dal gas russo Roma ribadisce il sostegno al
gasdotto South Stream.
Che pur approdando in
Austria anziché in Italia
quella dipendenza la rafforzerà. Un bel mix di
incertezze e contraddizioni. Troppe, verrebbe
da dire, per ipotecare centinaia di milioni dei consumatori.
n quarto
di secolo
per
un
terzo del
mercato. “Forse l’abbiamo un po’ sottovalutata...”. L’eufemismo
è di Mauro Mamoli
presidente di Federmobili, i piccoli negozi
d’arredo
schiacciati
dalla multinazionale
giallo-blu. In principio
Ikea fu un “negozio” a
Cinisello Balsamo, alle
porte di Milano. Nel
maggio 1989 il gigante
svedese ha già conquistato i grandi Paesi
d’Europa, da più di dieci anni l’ufficio acquisti
di Trezzano sul Naviglio studia il mercato e i
possibili
fornitori;
esordisce con quattromila metri quadri e
nessuno lo prende sul
serio. “Nei corsi di arredamento portarono
questo nuovo catalogo
- ricorda Mamoli prezzi bassissimi, strane linee, l’acquisto
smontato... Non c’entrava nulla con la qualità e lo stile italiano”.
Perché preoccuparsi?
A SENTIRE i commer-
cianti, ad ammazzare la
distribuzione italiana
non sono stati i clamorosi fallimenti, con
strascichi giudiziari, di
pionieri come Aiazzone e Emmelunga, ma
“l’estrema polverizzazione dell’offerta e la
confusione sugli sconti”. Ikea vale da sola
quasi il 10 per cento del
mercato, ma ha spianato la strada alla grande
distribuzione di mobili.
In meno di quindici anni, i negozi tradizionali
d’arredo hanno visto gli
acquisti calare del 35
per cento. Le proteste
sindacali per i bassi salari e i controlli invasivi
sui dipendenti, il dedalo di holding in Olanda
e fondazioni in Lussemburgo per abbattere i costi fiscali, i libri
di Daniele Martini
inchiesta e persino le rivelazioni sul passato filo-nazista e i “metodi
da Stasi” usati dal suo
leggendario fondatore
Ingvar Kamprad non
l’hanno scalfita. Ikea
piace agli italiani.
VENTICINQUE anni fa,
anche i fornitori della
piccola distribuzione
non colsero la portata
dell'evento. Dopo tutto
si trattava dei “pionieri
del mobile”, artigiani
con oltre trent’anni di
esperienza divenuti industriali di successo in
Brianza, nel Veneto e
nelle Marche. Oggi
guardano all’export. In
pochi sono riusciti a
entrare nelle grazie della potente centrale acquisti Ikea, un miliardo
di euro di commesse
(l’8,2 per cento di tutta
la merce venduta nel
mondo). Gli svedesi
hanno puntato sui distretti del nord-est, Veneto, Lombardia e
Friuli, dove acquista
più che in Svezia o
Germania. Tra Treviso, Pordenone e Gorizia, hanno sede alcuni
tra i più grandi fornitori del colosso svedese, con volumi di produzione enormi e
margini di guadagno
molto bassi. “Qui Ikea
vale il 60 per cento del
fatturato dell’intero
distretto”, spiega Fabio
Simonella, per anni responsabile della sezione legno e arredo
dell’unione industriale
di Pordenone e ad di
SinCo, impresa che faceva da terzista a un
fornitore della multinazionale. A oggi, le commesse danno lavoro a
circa 2500 persone.
Chi produce per Ikea
racconta di trattative
estenuanti, di una pressione continua per contenere i margini, in modo da avere poi prezzi
di vendita competitivi.
Si parte con i test, che
durano anni; i manager
Ikea visitano gli stabi-
COMPLEANNO
Nel maggio del 1989, Ikea
apriva il suo primo negozio
italiano a Cinesello Balsamo,
vicino a Milano. Da allora
è cambiato tutto AP / LaPresse
limenti, controllano
tutto e scelgono anche i
sub-fornitori. I contratti prevedono sempre una progressiva discesa del prezzo di fornitura. “Se un anno non
sei in grado di applicare
uno scontro del 3 per
cento sei fuori”, spiega
al Fatto un fornitore
storico di Ikea. Che è un
cliente difficile. Tre anni fa la friulana Snaidero ha interrotto i rapporti e messo in cassa
integrazione 40 dipendenti: “I margini erano
troppo bassi”, spiegarono i vertici dell’azienda di Majano.
NONOSTANTE il mas-
simo riserbo imposto
dall’azienda, si sa che i
fornitori sono 24, con
53 stabilimenti coinvolti. L’elemento base
dei mobili Ikea è il pannello di truciolare nobilitato, realizzato da
aziende come Frati, Saviola o Fantoni. Nel tre-
1,52
MILIARDI
IL FATTURATO
ANNUO IN ITALIA
vigiano, la 3B di Salgareda in 10 anni ha raddoppiato il suo fatturato (200 milioni). La
Media Profili di Mansuè - quasi 600 addetti dopo 11 anni di forniture, oggi fattura 245
milioni di euro. I veterani, dal 1997, sono
quelli di Friul Intagli un migliaio di dipendenti - che da Ikea ricava 180 milioni su 300
totali. Due anni fa è toccato al Piemonte. Nella
Regione, Ikea ha spostato la produzione di
giocattoli dalla Malesia
e dei rubinetti dalla Cina. Una delocalizzazione al contrario, salutata
dai media come il
trionfo del made in Italy,
ma che riguarda solo
due aziende. Una di
queste, la Paini di Pogno, in provincia di
Novara, è diventata il
principale fornitore di
rubinetti. Oggi ha un
fatturato di 70 milioni
di euro e 330 dipendenti, più altri 200 nelle
aziende satelliti, una
delle quali in Cina.
IL PREZZO dei prodotti
è uguale ovunque, l’eccellenza italiana sta nella tecnologia, macchine
in grado di produrre
mille pezzi l’ora. “Così
si comprimono i costi e
si batte la concorrenza.
Ma questa è industria, il
made in Italy è un’altra
cosa. Ma gli artigiani
non sono esperti di
marketing”, ammette
l’imprenditore Simonella. Dopo un quarto
di secolo, nessuno sottovaluta più Ikea. In
Lombardia, il gruppo
conta di aprire uno spazio espositivo di 130
mila metri quadri nel
comune di Rescaldina,
a Nord di Milano, ma i
commercianti della zona non ne vogliono sapere. La Confcommercio contesta anche i dati
sull’impatto, secondo il
suo ufficio studi per
840 nuovi posti di lavoro creati se ne distruggerebbero 1.085. Oggi
l’apertura di un megastore giallo-blu terrorizza i negozianti, non
solo quelli dell’arredo.
Dal 2007 al 2012 il mercato del legno e dell’arredo ha perso quasi 14
miliardi di fatturato,
4200 imprese hanno
chiuso i battenti. Il risultato è stato un salasso di 28 mila posti di lavoro. “Se il governo a
giugno scorso non fosse intervenuto con due
misure a sostegno della
domanda nazionale,
Bonus Mobili ed Ecobonus - spiegano da Federlegnoarredo - il bilancio sarebbe ancora
più drammatico”.
LA MULTINAZIONALE
di Älmhult, invece,
avanza come un caterpillar. Negli ultimi due
anni, per la prima volta
il fatturato di Ikea Italia
- 1,52 miliardi di euro ha visto il segno meno:
80 milioni persi. Conseguenze? Nessuna. A
marzo ha inaugurato il
negozio di Pisa, e a Villesse, in provincia di
Gorizia, ha fatto il salto
di qualità temuto da
tutti: un centro commerciale
totalmente
Ikea.
PIETRO CIUCCI All’Anas i dirigenti non bastano,
arruolati due pensionati per gli appalti
I
due nuovi cani da guardia dell'Anas, quelli
che dovrebbero difendere l'azienda dai
malintenzionati, non si può dire siano di primo pelo: 143 anni in due. Il più giovane ha 66
anni, è avellinese e si chiama Ciriaco D'Alessio; l'altro ha 77 anni, è originario della
provincia di Cosenza, bolognese d'adozione
e si chiama Francesco Bonparola. Entrambi
erano felicemente pensionati. Ma il presidente dell'Anas, Pietro Ciucci, che sta dandosi molto da fare per essere trasferito alle
Ferrovie, li ha voluti a tutti i costi preferendoli alle decine di dirigenti interni. Ai
due Ciucci ha riconosciuto un compenso
annuo non elevatissimo rispetto alle cifre
che circolano all'Anas, 90 mila euro ciascuno, 70 per la collaborazione e altri 20 mila di
incentivo. Però ha affidato loro un incarico di
grande responsabilità: D'Alessio e Bonparola faranno parte dell'Unità di riserva, un ufficio composto da tre dirigenti e inventato
dallo stesso Ciucci con l'obiettivo dichiarato
di tagliare le grinfie ai furbetti del mattone e
dell'asfalto. L'Unità di riserva dovrebbe esaminare le “riserve in corso d'opera”, quel sistema usato dalle ditte per battere cassa all'Anas a colpi di decine di milioni euro e che
spesso ha fatto lievitare il costo delle grandi
opere stradali in Italia. Qualsiasi pretesto è
buono per avanzare all'Anas una riserva: il
progetto giudicato non inappuntabile, il rinvenimento durante gli scavi di qualche imprevisto, una variazione del tracciato, l'aumento delle materie prime. Faccende delica-
te in cui forte è la valutazione discrezionale.
Agli occhi di Ciucci i due arzilli pensionati sono a prova di bomba. D'Alessio è un ex democristiano di area prandiniana, cioè di Giovanni Prandini, ministro dei Lavori pubblici
nella Prima Repubblica che ebbe i suoi guai
con Tangentopoli. Diventato Magistrato delle Acque di Venezia aveva seguito i lavori del
Mose, le 74 paratie mobili che dovrebbero
proteggere Venezia dall'acqua alta. E per non
sbagliare aveva deciso di non abbandonare il
sentiero del suo predecessore, Patrizio Cuccioletta, che tra le altre decisioni prese, aveva
affidato proprio al presidente dell'Anas Ciucci l'incarico di collaudatore. L'altro ripescato
è un rodato ex ispettore dell'Anas che aveva
lasciato l'azienda più di 10 anni fa.
14
il FATTO ECONOMICO
21 MAGGIO 2014
EURO La trappola nascosta nel cambio fisso
di Alberto Bagnai
ALL’ULTIMO cenacolo della Fulm, animato da Paolo
Savona e Giorgio La Malfa,
Gianni Bulgari ha fatto
un’osservazione che aveva
già sviluppato sul Corriere
della Sera del 25 marzo, e
su cui vale la pena riflettere. Secondo Bulgari, posto
che la moneta è una delle
espressioni più significative della sovranità di uno
Stato, una moneta come
l’euro, priva di un’entità
statuale di riferimento, nei
fatti coincide con un ac-
cordo di cambio fisso. Dato che gli Stati Uniti d’Europa, ipotetico “Stato” di
riferimento dell’euro, sono
un progetto antistorico e
quindi destinato al fallimento, il destino dell’euro
andrebbe valutato in base
alla stessa logica che ha
giudicato (e condannato) i
precedenti accordi di cambio fisso.
Osservazione sensata, da
corredare con un dettaglio.
In un accordo di cambio, il
cambio non è fisso per decreto divino, ma perché le
Banche centrali dei Paesi
coinvolti intervengono per
mantenerlo tale. Se un
Paese si trova in deficit di
bilancia dei pagamenti, deve fare più pagamenti
all’estero di quanti ne riceva: offre molta valuta nazionale per acquistare valuta estera, e la sua valuta
nazionale tende a deprezzarsi (legge della domanda
e dell’offerta). Perché questo non succeda, la Banca
centrale nazionale acquista
la valuta nazionale in eccesso di offerta, dando in
cambio valuta estera (le riserve ufficiali). Questo
meccanismo definisce un
segnale di stop loss, mette
un termine al tergiversare
dei politici: quando le riserve ufficiali finiscono, il
cambio non può più essere
sostenuto, la politica deve
cedere il passo al mercato,
che definisce un cambio
più in linea coi fondamentali dell’economia.
L’euro è un accordo di
cambio fisso molto particolare: la parità fra euro
italiano ed euro tedesco è
uno per definizione, quindi non deve essere difesa
drenando riserve. Questo
non significa che non ci sia
trasferimento di risorse
all’estero. Invece dei dollari o dei marchi della Banca
centrale, stiamo cedendo
all’estero le nostre migliori
aziende e i nostri giovani
migliori. Il problema è che
in questo caso non esiste
uno stop loss chiaro, non
esistono limiti al male che
politici incompetenti e collusi con interessi esteri
possono farci. Questo è il
motivo per il quale la crisi
dura da sei anni. Starà a
noi dare lo stop loss alle
prossime elezioni.
STORIA FIOM
Landini e Camusso,
uno scontro antico
di Salvatore
Cannavò
L
o scontro in Cgil tra Susanna Camusso e
Maurizio Landini ha ormai assunto le caratteristiche del feuilleton. Caratteri e strategie diverse, diversi rapporti con la politica, la cultura,
la comunicazione. Eppure, quello scontro ha una
sua precisa storia sindacale e il libro di Gianni
Rinaldini, nel quale l’autore svolge anche un ampio colloquio con l’ex direttore del manifesto,
Gabriele Polo, la ricostruisce abbastanza fedelmente. Rinaldini è il segretario generale della
Fiom che ha preceduto Landini e lo ha proposto
alla segreteria. In qualche modo ne rappresenta
il padre putativo ma, allo stesso tempo, è anche
“figlio” dell’altro importante dirigente della Fiom, per lo meno
di quella degli ultimi venti anni,
Claudio Sabattini.
IN BASSO A SINISTRA
Gabriele Polo, Gianni Rinaldini
Manni, 162 pagg, 14,00 ¤
di Mario Seminerio
L
a prima stima del Pil
del primo trimestre
dell’Eurozona, che
ha mostrato una crescita dello 0,2% a
fronte di attese doppie, è stata una doccia gelata per alcuni
paesi, ma si caratterizza anche per una
variabilità e disomogeneità ben più
elevate del solito, che quindi richiedono cautela nell’analisi. In alcuni casi,
così come accaduto per gli Stati Uniti,
hanno influito le condizioni meteo del
periodo. La Germania, ad esempio, ha
fatto lievemente meglio delle attese,
segnando un più 0,8% a fronte di attese
per un più 0,7%, grazie soprattutto al
rimbalzo dell’attività nel settore delle
costruzioni, agevolata dal clima mite,
che ha consentito l’avvio di un maggior numero di nuovi cantieri. Per l'identico motivo l'Olanda, con una contrazione trimestrale di ben l’1,4%, è
stata duramente colpita dal vero e proprio crollo di consumi domestici ed
I DATI ISTAT La crescita è smentita da tutti i dati. Ma se
la tendenza fosse confermata non resterebbe che un piano
di “as sistenza” sovranazionale. Come Grecia e Portogallo
La ripresa non esiste,
la Troika è in agguato
esportazioni di gas naturale. Discorso
in parte simile per il Portogallo, che ha
subito un fermo imprevisto delle proprie raffinerie.
Il rallentamento italiano
spiegato con il bel tempo
Riguardo il nostro paese, i dati Istat
della prima stima, a meno 0,1% contro
attese poste a +0,2%, sono assai poco
utili per trarre inferenze. Nel commento del nostro istituto di statistica,
RACCONTANO
BALLE
70%
FARINETTI, IL RILANCIO
PASSA DA UNA BUFALA
LUNEDÌ, nel corso della trasmissione PiazzaPulita, l'imprenditore renziano Osca Farinetti ha ribadito la sua ricetta per la crescita:
export, start-up e soprattutto, turismo. “Perché l'Italia ha il 70%
del patrimonio artistico mondiale”, ha spiegato. Un dato fantasioso, soprattutto perché non è
chiaro chi possa stilare classifiche
del genere. Ma i precedenti illustri non mancano, da Vittoria
PATRIMONIO CULTURALE IN
ITALIA
Brambilla (70%) a Silvio Berlusconi (50%), dall'ex ministro della Pubblica istruzione Tullio De
Mauro (75%) a Vittorio Sgarbi
(80%). È una bufala seriale. Il patrimonio culturale del mondo è
quantificabile? No, ma l'approssimazione migliore è offerta dalla
lista dei siti Unesco. L’Italia è il
Paese che ne possiede il maggior
numero: ben 49 su 981. Il 5% del
totale.
che utilizza la tripartizione “classica”
tra agricoltura, industria e servizi, si
parla solo di un “andamento negativo”
nella generazione di valore aggiunto
da parte della seconda. Ciò sembra in
contrasto con i sondaggi congiunturali sui livelli di attività manifatturiera
degli ultimi mesi, che hanno visto il
nostro paese in buon recupero. L’enigma potrebbe essere risolto considerando che nel primo trimestre dell’anno la nostra produzione industriale ha
segnato un andamento negativo a causa della vistosa contrazione della componente energia, mentre la manifattura ha confermato la ripresa. Sembra
quindi che anche da noi le condizioni
climatiche miti del primo trimestre
abbiano influito negativamente
sull’attività economica. A conferma
indiretta di tali ipotesi possiamo citare
le trimestrali non particolarmente
brillanti delle municipalizzate italiane
quotate, tutte caratterizzate da deterioramento dei conti rispetto alle attese a causa dei minori volumi venduti
nel comparto energia e riscaldamento.
Le revisioni della prima stima di Pil
aiuteranno a fare chiarezza: non bisogna impiccarsi al singolo dato, esercitandosi spesso in bizzarre divinazioni.
Gli americani, un po’ più analitici e
pragmatici di noi, hanno un modo di
dire molto efficace, riferito ai mercati
finanziari ma applicabile al’'economia
reale: non sovrainterpretare i dati. Ma
resta vero che la “ripresa” italiana sem-
Ed è a Sabattini che tutto viene ricondotto. Il
dirigente sindacale, scomparso nel 2003, viene
eletto alla guida dei metalmeccanici nel 1994
proprio quando alla testa della Cgil arriva Sergio
Cofferati. È il primo vero passaggio di testimone
dopo la storica stagione degli anni 70 e a garantirlo, non a caso, è Bruno Trentin. Con la
scomparsa, all’inizio degli anni 90, dei partiti
storici di riferimento, la Cgil si adegua al nuovo
contesto, nascono le “aree programmatiche” interne e la Fiom di Sabattini si ritaglia una identità
sulla base della “democrazia dei lavoratori” e
dell’indipendenza, concetto a cui la Fiom rimarrà in seguito strenuamente legata. È con Sabattini che si ha una sterzata radicale e si avvia
una fase di conflitto anche con la Cgil di Cofferati che però non si traduce mai in aperta
contraddizione. La forza della ricomposizione,
come al congresso del 1996, ha sempre la meglio, favorita anche da anni in cui, tra Genova
2001 e il Circo Massimo del 2002, le piazze
vedono un grande protagonista politico della
Cgil. Quando Cofferati lascia il timone al suo
successore, Guglielmo Epifani, la dialettica si
farà scontro aperto. Con Epifani prima, e Camusso poi, si verificherà anche la novità-Marchionne e, quindi, la segreteria di Landini. “La
Cgil è ormai un’altra cosa”, scrive Rinaldini. La
cui ricostruzione è amara, fatta di rimpianti e
qualche pentimento ma confida ancora nel futuro del sindacato.
plicemente non esiste.
Sarebbe sicuramente ingeneroso imputare al governo Renzi (in carica per
meno della metà del periodo), l’ambiguo dato di Pil del primo trimestre. Di
certo, parlando di forzature interpretative, nelle scorse settimane abbiamo
visto numerose cheerleader del premier
esibirsi in fantasiose causalità tra la
presunta scossa di fiducia e l’andamento (ad esempio) di dati manifatturieri che semplicemente ci mettevano in linea col resto dell’Eurozona. Ma
tant’è, in questo paese vige la regola del
pensiero magico in politica, quello per
cui le correlazioni diventano immediatamente rapporti di causa ed effetto, buoni per un dibattito politico che,
dopo aver toccato il fondo, ha cominciato a scavare vigorosamente tra vivisezioni canine, dittatori-mostri del
passato, dentiere ai pensionati e pensioni alle casalinghe e imponenti riforme strutturali che sinora vivono solo
nella mente di chi le ha proposte.
Mercati nervosi
in attesa della bolla cinese
La congiuntura globale appare ancora
molto fragile. Il nervosismo dei mercati finanziari, con i maggiori indici
azionari che da inizio anno sono cresciuti mediamente poco, si alimenta
della perdurante incertezza sul rischio
che la Cina veda lo scoppio della sua
bolla creditizia ed immobiliare. Vi sono poi aree di crisi regionale come
quella ucraina, in cui l’Europa potreb-
be essere risucchiata. Il recente, forte,
ribasso dei rendimenti sui titoli governativi degli Stati Uniti, malgrado la Federal Reserve stia progressivamente
rimuovendo lo stimolo monetario
non convenzionale e si discuta sulla
data di avvio del rialzo dei tassi ufficiali, indica che il mercato sta diventando progressivamente scettico circa
la possibilità di una ripresa vibrante.
Da uno scenario base che potrebbe
quindi diventare di crescita molto anemica, o da quello negativo che vede un
crash cinese o altri eventi sistemici, il
nostro paese avrebbe solo da perdere.
Già oggi la stima di una nostra crescita
reale dello 0,8% e nominale dell’1,7% è
posta a serio rischio. In condizioni di
bassa crescita del Pil, reale e (soprattutto) nominale, l’andamento del nostro rapporto di indebitamento rischia
di andare fuori controllo. Gli investitori internazionali, che sinora sono accorsi a comprare attivi italiani, potrebbero scoprire che esiste un rischio di
sostenibilità del nostro debito, invertendo drammaticamente la tendenza.
Se ciò accadesse, potrebbe rendersi necessario un programma di assistenza
sovranazionale del tutto simile ai memorandum utilizzati per Grecia, Portogallo ed Irlanda, magari nella nuova
forma di “accordo contrattuale bilaterale” con la Commissione di Bruxelles.
Stiamo camminando su un sentiero
molto stretto, sarebbe utile averne
consapevolezza, ad ogni livello.
Twitter @Phastidio
ALL’ITALIANA
il Fatto Quotidiano
R
oma, sentito
Schulmers, il giudice
che accusò il Colle
LA PROCURA DI ROMA ha interrogato ieri
Robert Schulmers, il magistrato iscritto nel registro degli indagati per calunnia e offesa al
capo dello Stato. La vicenda riguarda le accuse
lanciate dallo stesso Schulmers per aver subito
una serie di “ingerenze” nel procedimento contabile sull'amministrazione della provincia autonoma di Bolzano guidata dall'esponente del-
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
la Svp, Luis Durnwalder. Robert Schulmers ha
tirato in ballo il Colle per alcune presunte pressioni sulla Corte dei conti finalizzate ad alleggerire la posizione del governatore altoatesino Luis Durnwalder.
Questi era finito sotto inchiesta della procura
regionale che gli contestava l'uso illecito di
fondi provinciali.
15
Schulmers parlò di queste presunte pressioni
in alcune email, inviate all’Associazione nazionale magistrati contabili.
Qui denunciava anche le ingerenze, a suo dire,
subite dal suo superiore Salvatore Nottola nelle indagini che disturbavano il presidente della
Provincia autonoma di Bolzano Luis Durnwalder.
IOR, BERTONE E I 15 MILIONI
ALLA SOCIETÀ DI BERNABEI
UN GIORNALE TEDESCO ACCUSA: “INDAGINI SULL’EX SEGRETARIO PER IL PRESTITO
ALLA LUXVIDE DELL’EX DIRETTORE RAI”. IL VATICANO: “NESSUNA INCHIESTA”
di Marco Lillo
L
a notizia pubblicata dal giornale tedesco Bild Zeitung
ieri mattina è di
quelle che lasciano il segno:
l’ex segretario di stato Tarcisio Bertone, l’uomo forte del
pontificato di Benedetto
XVI, sarebbe indagato
dall’autorità giudiziaria vaticana. L’indagine per malversazione riguarderebbe - sempre
secondo il quotidiano popolare
tedesco - un’obbligazione convertibile da 15 milioni di euro
per la società di produzione televisiva Lux Vide, che fattura 40
milioni producendo tra l’altro
Don Matteo e in passato i telefilm sulle vite dei Santi e sulla
Bibbia. Fondata da Ettore Bernabei, storico direttore generale
della Rai, oggi presidente onorario a 92 anni, la Lux Vide fattura 40 milioni di euro all’anno
ed è controllata dalla famiglia
che detiene il 52 per cento attraverso una holding londinese.
L’indagine giudiziaria interna
al Vaticano di cui parla la Bild
forse non c’è ma la storia del buco da 15 milioni nei conti dello
IOR per colpa di questa operazione è vera.
IL FATTO nel settembre 2013 ha
pubblicato un carteggio segreto
risalente al dicembre 2010 sulla
Lux Vide. La mail sequestrate a
Gotti Tedeschi da parte dei CArabinieri del NOE dimostravano
le pressioni di Tarcisio Bertone e
del suo consigliere più ascoltato,
Marco Simeon, allora direttore
di RAI Vaticano, per convincere
Ettore Gotti Tedeschi a comprare per 20 milioni una quota del
CARTE SEGRETE
Già nel 2010 il porporato
e Marco Simeon
cercavano di convincere
il presidente Gotti
Tedeschi a comprare
una quota della società
20-25 per cento della Luxvide. Il
Fatto aveva pubblicato la mail di
Simeon che - forte dell’appoggio
di Bertone e del presidente di
Mediobanca di allora, Cesare
Geronzi - scriveva a Gotti: “dopo
aver chiesto parere al Presidente
Geronzi, Ti sottopongo l'ipotesi
di ricorrere al Cardinale ed al
c.d.a. affinchè ti autorizzino ad
avviare la trattativa di acquisto
quote per una somma non superiore ai 20 milioni di euro, per
l'acquisto di una partecipazione
non inferiore al 25 per cento”. Il
Fatto aveva pubblicato la risposta di Gotti a Bertone: “il valore
richiesto per Lux Vide non è
frutto di vere valutazioni di mercato o economico finanziarie
bensì è il frutto di transazioni
passate di compravendita”. In
pratica il prezzo della quota
era stato fissato dai Bernabei
per evitare perdite all’uscita
del loro socio: Banca Intesa.
Per Gotti: “il valore reale di
mercato sarebbe molto più
basso”. A maggio del 2012 il
Consiglio di Sovrintendenza
fa fuori il presidente dello
IOR e a dicembre 2012 lo
IOR decapitato, sotto l’ala
protettrice di Bertone, sborsa
15 milioni di euro per sottoscrivere un prestito convertibile in
azioni della Movie Invest Ltd dei
Bernabei, che controlla il 52 per
cento della Luxvide.
L’OPERAZIONE oggetto della
presunta indagine giudiziaria
del Vaticano (non confermata)
è proprio quella alla quale si era
opposto Gotti Tedeschi nel dicembre 2010 e che era stata svelata dal Fatto nel settembre scorso. Nessuno può dire oggi: ‘non
avevo capito’ o ‘non sapevo’. Ernst Von Freyberg è nominato
presidente solo a febbraio 2013.
Si accorge dell’esistenza nella tesoreria dello IOR delle obbligazioni Movie Invest che e nel dicembre del 2013 le sbologna
gratis alla Fondazione Scienza e
Fede del cardinale Angelo Ravasi, destinata a diventare azionista della Lux Vide con una quota
del 17 per cento superiore a
quella del banchiere Pellegrino
Capaldo e quasi pari a quella di
Tarak Ben Ammar, amico di
Berlusconi. Bertone ha avuto
buon gioco a smentire ieri mattina: “Nessuna accusa di malversazione a mio carico. Sono
tranquillo. La convenzione dello Ior con Lux Vide è stata discussa e approvata dalla commissione cardinalizia di vigilan-
za e dal consiglio di sovrintendenza nella riunione del 4 dicembre 2013”. Con qualche ora
di ritardo è arrivata anche la
smentita di Padre Federico
Lombardi, direttore della Sala
Stampa Vaticana: “non vi è in
corso alcuna indagine penale da
parte della magistratura vaticana a carico del Cardinale Tarcisio Bertone”. Esclusa l’esistenza
di un inchiesta da parte del promotore di giustizia, ‘il pm del
Papa’ impersonato dall’avvocato Gian Piero Milano, resta un
dubbio sull’esistenza di un fascicolo all’AIF, l’Autorità di Informazione Finanziaria diretta da
René Brulhart che lunedì nel
corso della conferenza stampa
aveva risposto con un ‘no comment’ alla domanda sull’esistenza di un’indagine su Bertone da
parte dell’autore del servizio. Intanto Luca e Matilde Bernabei
ricordano che la Luxvide fattura
40 milioni e che il Vaticano
qualcosa ha ancora in mano: “la
quota azionaria trasferita è pari
a circa il 17 per cento del capitale
sociale”. Anche se non c’è un’indagine penale resta un fatto: lo
IOR, per colpa dell’operazione
voluta da Tarcisio Bertone a beneficio di Luxvide, avrà 15 milioni di utili in meno da girare al
Papa che li avrebbe probabilmente impiegati meglio in opere benefiche piuttosto che in telefilm. Certo a rileggere oggi le
cronache del dicembre del 2013
non si trova traccia di un’opposizione all’operazione Luxvide.
Anzi sui giornali alla vigilia di
Natale si parlò di un incontro di
Bergoglio con i Bernabei per conoscere meglio Luxvide. Francesco quel giorno disse: “non
voglio una fiction su di me”.
Farmaci Ansa
CASO NOVARTIS
Il Consiglio di Stato:
sì all’uso dell’Avastin
ACCOLTO IL RICORSO DEL VENETO CONTRO IL TAR
CHE SOSPENDEVA IL FARMACO MENO COSTOSO
di Chiara
Daina
ovartis non ha più scuse. Prima la multa dell’Antitrust
N
da 180 milioni di euro con l’accusa di aver creato un
cartello con la ditta Roche per favorire l’uso del Lucentis, il
farmaco più caro per la cura della maculopatia (mille euro
per iniezione), al posto dell’Avastin (20 euro per iniezione).
Poi l’attesissimo parere del Consiglio superiore di Sanità
arrivato lo scorso 15 maggio, secondo cui i farmaci Avastin e
Lucentis sono del tutto equivalenti sul piano dell’efficacia e
della sicurezza nella terapia della degenerazione maculare
senile. E due giorni fa la mazzata finale: il Consiglio di Stato
si è schierato contro il gigante svizzero accogliendo il ricorso
proposto dal Veneto contro la sentenza del Tar che sospendeva la delibera regionale per l’uso di Avastin come richiesto
dalla ditta produttrice del Lucentis. Per ora l’ordinanza del
Tar è stata solo sospesa.
LA SENTENZA FINALE è attesa il 17 luglio. “Dovendo per
forza usare il Lucentis il Veneto ha subito aggravio di costi di
15,2 milioni di euro – spiega il presidente della Regione Luca
Zaia - per i quali chiederemo il risarcimento non appena la
Procura Generale della Corte dei Conti si sarà espressa
sull’ipotesi, che noi condividiamo, dell’esistenza di un pesante danno erariale”. Intanto, l’assessore regionale alla Sanità Luca Coletto valuta la possibilità di reintrodurre immediatamente la somministrazione dell’Avastin. “Chiederemo al ministro Lorenzin di riattiva la delibera della Giunta
alla luce del nuovo decreto sulle droghe e i farmaci off label”.
Cioè il provvedimento convertito in legge una settimana fa
dopo il voto favorevole di Camera e Senato, e che tra le altre
cose stabilisce che l’uso off label di una molecola è consentito
anche per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata quando viene immenso in commercio dall’Aifa. Dal
canto suo, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha promesso che fra un mese Avastin sarà off-label. Vedremo cosa
avverrà.
“Su Mastrapasqua non avete indagato”
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA HA DECISO DI AVOCARE L’INCHIESTA SUGLI IMMOBILI INPS: COINVOLTI ANCHE ROMEO E TRONCHETTI
di Valeria Pacelli
oche attività di indagini che non
P
hanno dato fondo a possibilità in
vestigative. Sono queste le motivazioni
che hanno spinto la procura generale
della Corte d’Appello di Roma ad avocare l’inchiesta sulla gestione del patrimonio immobiliare dell’Inps, sfilandola alla Procura di Roma. Dopo due opposizioni alle richieste di archiviazione
del pm romano Antonio Pioletti, la procura di Roma perde l’inchiesta - che vedeva indagato anche l’ex presidente Inps Antonio Mastrapasqua - sulla gestione di oltre 13mila palazzi affidata senza
gara, prima nel 2006 e, per proroga, nel 2010, a tre società private. Ossia, la Prelios di Marco
Tronchetti Provera, la Romeo
Gestioni dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, condannato a tre anni in appello
per corruzione, e la Sovigest .
Queste società avevano ricevuto dei
contratti di gestione degli immobili Inps, prorogati con un decreto del giugno
del 2010, segnalato poi dal magistrato
delegato al controllo dell’Inps, Antonio
Ferrara. Sul caso sta indagando la Corte
dei Conti che ha valutato come la gestione degli immobili fosse in perdita:
oltre 100 milioni di euro in quattro anni. Le carte poi sono arrivate alla procura di Roma che ha iscritto Mastrapasqua e altre cinque persone, tra cui
Tronchetti Provera e Romeo per abuso
d’ufficio, falso e truffa perchè nelle qualità da loro rivestite “adottavano la determina del 25 giugno 2010 con la quale
venivano prorogati (a favore delle citate
società) i contratti di gestione degli immobili Inps così intenzionalmente procurandosi un ingiusto vantaggio patrimoniale e altresì, con raggiri e artifizi
consistiti nell’aver formato falsi atti
pubblici, inducevano in errore l’Inps
(..), per procurarsi un ingiusto profitto
con corrispondente danno per l’ente”.
POCHI MESI dopo l’iscrizione, a feb-
braio 2010, il pm titolare dell’indagine
chiede l’archiviazione perchè “non
avendo riscontrato un danno all’Inps,
doveva ritenersi insussistente l’ipotesi
di reato”. Il gip Aldo Morgigni respinge
e gli atti ritornano a
Pioletti. A settembre
2013, arriva la seconda
IL BUCO
richiesta di archiviazione e il pm ribadisce
L’appalto “incriminato”è quello sulla gestione
che nessun vantaggio
dei palazzi dell’ente, su cui indaga pure la Corte
economico era derivadei conti. Il pm aveva chiesto 2 volte di archiviare
to dalle proroghe dei
contratti alle tre società. Stavolta a non
accertare queste motivazioni è il gip Rosaria Monaco che rigetta la richiesta del
magistrato.
A questo punto sul caso interviene addirittura la procura generale della Corte
d’Appello, che definisce la richiesta di
archiviazione “controversa”, togliendo
l’ indagine alla procura di Roma. Scrive
il procuratore generale Otello Lupacchini: “L’esercizio del potere de quo agitur (ossia di avocazione, ndr) appare nel
caso di specie doveroso, in quanto se per
un verso già il gip ha rigettato richiesta
di archiviazione disponendo l’acquisizione di nuove prove, per altro verso la
‘complessa attività di indagine della
guardai di finanza’ compiuta a seguito
della citata ordinanza non ha dato fondo alle possibili attività investigative”.
Per il procuratore generale quindi non
sono state fatte le dovute indagini: pochi
atti e nessun interrogatorio.
Twitter: @PacelliValeria
16
ALTRI MONDI
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
USA IL60ENNE CHE FA CAUSA AL MONDO
Anton Purisima, 62 anni, ha presentato una citazione record al tribunale di Manhattan: chiede
un risarcimento a 32 zeri, equivalente a tutto
il denaro in circolazione sul pianeta. La causa è
per tutti i danni subiti nella sua esistenza,
dal panettiere agli aeroporti. Ansa
RUSSIA 5 CONDANNE PER L’OMICIDIO POLITKOVSKAIA
I 5 imputati per l’omicidio di Anna Politkovskaia sono stati dichiarati colpevoli nel terzo processo sull’uccisione della giornalista russa sgradita al Cremlino: 4 per aver organizzato l’agguato sotto casa
della reporter il 7 ottobre 2006. Il 5° è l'esecutore materiale. Ansa
Haftar, l’uomo della Cia
per debellare gli islamici
Mattatoio Nigeria
EX DI GHEDDAFI NEL GOLPE DEL ‘69, ESILIATO E ‘ARRUOLATO’ DA OBAMA, TORNA NEL
2011. VUOLE SCONFIGGERE LA ‘FRATELLANZA MUSULMANA’ , COME AL-SISI IN EGITTO
di Alessandro Oppes
M
isterioso. Contraddittorio. Inquietante. Come
la storia stessa
della Libia. Per questo l’irruzione sulla scena – improvvisa
ma non del tutto inattesa – di
un personaggio come il generale in pensione Khalifa Haftar,
se solleva dubbi e preoccupazioni, tuttavia aggiunge poco al
clima di caos permanente del
paese. E la sua stessa rassicurazione, dopo l’assalto al Parlamento di Tripoli, di non voler
“realizzare un colpo di Stato o
pianificare la conquista del potere”, né tranquillizza né chiarisce le sue reali intenzioni.
Perché in una nazione dagli
equilibri precari, di fatto senza
Stato, parlare di golpe può apparire persino un nonsenso. A
tal punto che quando, nel febbraio scorso, fece la sua prima
mossa lanciando su Internet
un video in cui annunciava
“un’iniziativa” che avrebbe dovuto portare alla sospensione
del governo di transizione, non
accadde nulla. Non lo misero
agli arresti, come accade di
norma in questi casi in qualsiasi Stato le cui istituzioni fun-
zionino.
DA ALLORA, Haftar ha avuto
tutto il tempo di raccogliere le
forze, di cercare alleanze (probabilmente anche all’estero) e
di preparare l’offensiva – la cosiddetta operazione “al-Karama” (dignità) – lanciata prima a
Bengasi, venerdì scorso, e poi
nella capitale. Con almeno un
obiettivo chiaro: quello di “ripulire la Libia dai gruppi terroristici”. Spazzare via le milizie
integraliste, mettere fuori gioco
i Fratelli musulmani che, ha
spiegato ieri in un’intervista al
quotidiano Al-Sharq Al-Awsat,
“in Egitto sono responsabili
dell’arrivo di estremisti in Libia”. Da qui l’ipotesi che voglia
non solo emulare, ma cercare
un’alleanza con il nuovo uomo
forte del Cairo (e prossimo presidente), Abdel Fattah al-Sisi,
nemico giurato dei Fratelli. A
quell’area, peraltro, appartiene
il nuovo giovane premier
Ahmed Miitig, nominato due
settimane fa dal Parlamento in
una controversa votazione, ma
non ancora entrato in carica.
Nel mirino di Haftar, di sicuro
ci sono gli islamisti di Ansar al
Sharia, organizzazione affiliata
ad Al Qaeda, e della Brigata 17
DECINE DI MORTI NEL DOPPIO ATTENTATO A JOS
Potrebbero salire a 200 le vittime del duplice attentato
avvenuto nella zona commerciale di Jos, uno dei
capoluoghi del nord della Nigeria. I responsabili
sarebbero gli estremisti islamici di Boko Haram LaPresse
febbraio. Ma i veri obiettivi del
generale in pensione sono tanto confusi quanto oscura è la
sua biografia. Formato all’accademia militare di Bengasi, e poi
nell’ex Unione Sovietica, Khalifa Haftar fu accanto a Ghed-
CROCIATA
L’ex generale Haftar che guida le principali milizie
laiche delle città-Stato libiche contro i gruppi islamici e mezzi blindati nel centro di Tripoli LaPresse
GAS, PETROLIO E GUERRE
L’Eni e la faida
per il rubinetto libico
di Alessio
Schiesari
l parlamento libico va in fiamme, ma la proI
duzione di gas e petrolio no. Non ancora, almeno. E questa è una buona notizia per gli in-
teressi di Eni che coincidono, almeno in parte, con
quelli italiani. Dal 2010 (l’ultimo anno in cui
Gheddafi è alla guida del Paese) al 2013 la produzione del cane a sei zampe è scesa da 273 mila a
228 mila barili di olio equivalente, l’unità di misura che tiene insieme gas e petrolio. Un calo, ma
non un tracollo. Questo perché l’azienda italiana
ha concentrato la produzione nelle aree occidentali in Tripolitania, quelle relativamente più stabili, nonostante l’80 per cento degli idrocarburi
del Paese si trovino a est, in Cirenaica, la zona
dove è più forte la penetrazione delle milizie islamiste.
Il cordone che lega Roma e Tripoli è antico (103
anni, inizia con la conquista del 1911) ma soprattutto molto lungo. Per la precisione 520 chilometri, quelli del gasdotto Greenstream, che collega il giacimento offshore di Bahr Essalam e quello di Wafa (situato nel deserto, vicino al confine
con l'Algeria) con le coste siciliane. Di qui passano
5,7 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, una
fetta consistente dei totali 61 importati ogni anno
dall’Italia. E, situazione politica permettendo, potrebbe aumentare nei prossimi anni, perché l’Italia potrebbe avere bisogno di bilanciare il peso
della Russia (che oggi fornisce la metà del metano
importato), e perché i pozzi di Eni non
stanno funzionando a pieno regime. Due
sono fermi (Elphant in Tripolitania e Abu
Attifel in Cirenaica) a causa di “rivendicazioni economiche e sociali”. Eppure
Eni rimane il primo estrattore di gas e
petrolio del Paese, molto davanti agli spagnoli Repsol.
9%
DELL’IMPORT
locali. È il 1959 quando
Enrico Mattei prova per la
prima volta a conquistare
un permesso di esplorazione nell’ex colonia. Per farlo
dovrà sfidare gli americani
di Esso, già presenti a Tripoli. Alla guida del Paese
c’era ancora re Idris Al Sanussi, ma il vero colpo di
NEL 2011, quando il governo di Sarkozy
fortuna per Eni arriva dieci
decise di appoggiare gli insorti in Cireanni dopo, quando il conaica e di sponsorizzare l’intervento militare occidentale, gran parte degli osserlonnello Muammar Ghedvatori internazionali videro dietro quella
dafi depone il sovrano. La
scelta la longa manus di Total, decisa a
prima mossa del rais è
recuperare terreno (e giacimenti) nei conquella di nazionalizzare
fronti dell’azienda italiana. Non è andata
tutte le risorse petrolifere.
così, e anzi la crescente instabilità nelle
Le altre compagnie sono
zone orientali minaccia soprattutto i com- UN QUINTO
costrette ad andarsene, Eni
petitor del cane a sei zampe, ad esempio i Questo il calo degli
invece trova un accordo,
tedeschi di Rwe. La favorevole disposisul momento doloroso (la
zione logistica dei giacimenti ha permesso approvvigionamenti cessione del 50 per cento
a Eni di mantenere il proprio personale dopo la caduta
dei giacimenti alla neonata
(considerando le consociate, circa 3 mila del colonnello
Noc, la compagnia statale
persone, di cui solo un’esigua minoranza
libica) ma che sul lungo
italiani) nel Paese nordafricano, mentre
periodo si rivelerà vincenaltre compagnie, come gli algerini di Sote. Nonostante Ustica,
natrach, hanno già fatto i bagagli per tornare a Lockerbie e la guerra del 2011, in Libia Eni è di
casa.
casa. Per questo è importante che il Paese non
Merito anche della profonda rete di rapporti in- precipiti nel caos, soprattutto ora che la crisi ucraitessuta nel corso di più di mezzo secolo con i ras na mette a rischio il rapporto con Mosca.
ITALIANO
228 mila
BARILI
ALL’ANNO
dafi nei giorni del golpe del ’69
che rovesciò la monarchia di re
Idris. Ma non tardò a diventare
il nemico numero uno del Raìs.
Fu a causa della fallimentare
guerra con il Ciad (voluta da
Tripoli per punire l’alleanza di
N’Djamena con la Francia e gli
Usa): quando il generale venne
catturato, il regime della Jamahiriya lo scaricò. Ci pensò
l’America di Reagan – il presidente che definiva Gheddafi un
“cane rabbioso” – a trarlo in salvo e a offrirgli asilo politico. Per
vent’anni ha vissuto in Virginia, a due passi dal quartier generale della Cia a Langley. Inevitabile il sospetto che abbia
collaborato con i servizi segreti
Usa. Secondo il Washington
Post, Haftar ha anche preso la
cittadinanza Usa e alle elezioni
politiche del 2008 ha votato per
Barack Obama. Gli ultimi anni
della sua permanenza Usa sono
stati agiati: la sua ultima casa a
Washington, situata vicino a
un country club, è da poco stata
venduta per oltre 600 mila dollari. Poi, nel 2011, il ritorno in
patria, con un ruolo di primo
piano nel movimento insurrezionale: è portavoce dell’esercito ribelle, partecipa alla battaglia del Golfo della Sirte e alla
terza battaglia di Brega. In difesa del popolo libico? O di chi
altri?
Ieri intanto la Commissione
elettorale libica ha annunciato
nuove elezioni per ilparlamento che dovrebbero tenersi il
prossimo 25 giugno.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
THAILANDIA IMPOSTA LA LEGGE MARZIALE
Il capo di Stato maggiore thailandese, Prayuth
Chan-ocha, ha imposto la legge marziale. Da ieri
le strade di Bangkok sono presidiate dai militari e
una decina di media sono state chiusi. Questo
l’epilogo della crisi politica iniziata a novembre,
che ha provocato 28 morti e 800 feriti. LaPresse
FRANCIA PERSE 2.000 PROVETTE DI SARS
In Francia le autorità sanitarie locali hanno ordinato la sospensione delle attività del prestigioso laboratorio Institut Pasteur, dopo che l’istituto parigino ha reso noto di aver perso oltre
2.000 provette che contenevano il virus respiratorio Sars. Ansia
L’
Londra
IL MINISTRO conservatore
della Difesa, Andrew Murrison, ha definito l’immagine
“nauseante” e l’idea di tirare in
ballo i morti, in una situazione
completamente diversa e per di
più nel centenario della guerra,
è andata di traverso anche a parecchi simpatizzanti di Nigel
Farage, reduce da un’altra gaffe
quando in un’intervista radiofonica ha detto che non vorrebbe avere dei vicini di casa rumeni. Coperto di insulti e accusato di razzismo, Farage ha
fatto una semi-retromarcia, ma
ieri il nuovo scivolone, dal quale hanno preso le distanze i suoi
stessi candidati, come Chris
Wood che su Twitter scrive:
“Questi uomini e queste donne
sono morti combattendo contro qualcosa di completamente
diverso. E nessuno sa cosa
avrebbero pensato della situazione di oggi. Forse avrebbero
solo sognato di vivere in pace
come facciamo noi oggi”.
COSÌ FAN TUTTI
‘EFFETTO-GRILLO’ PER IL LEADER NAZIONALISTA BRITANNICO CHE PUÒ SUPERARE
LABURISTI E CONSERVATORI, NONOSTANTE ESAGERAZIONI E CATTIVO GUSTO
L’Ukip è considerato la cartina
di tornasole di queste elezioni:
se dovesse superare i conservatori e i laburisti, sarebbe un terremoto mai visto prima in
Gran Bretagna. Fanno gaffe
imbarazzanti (a ottobre uno
dei parlamentari più scalmanati disse che le alluvioni erano
un castigo di Dio contro i matrimoni gay voluti da Came-
25 deputati per fare
gruppo o non si conta
EROI BELLICI
Distribuito un volantino
con le foto delle croci
dei soldati morti nella
Prima guerra mondiale
per salvare il paese
dagli invasori stranieri
ron), sono molto popolari: alcuni sondaggi li danno in testa,
altri secondi e altri ancora terzi.
Quindi si conclude che i sondaggi non servono a niente per
fare previsioni. Di fatto, l’Ukip
e il suo pittoresco capo, Nigel
Farage, intercettano i sentimenti di paura della classe media, che ama la caccia, la birra
Nigel Farage, leader dell’Ukip, fondato
nel 1993 e il manifesto con le croci della
guerra mondiale LaPresse
ed è fortemente euroscettica.
I conservatori di Cameron li
disprezzano apertamente (“basta con questa campagna
dell’odio” ha detto il premier)
ma stanno molto attenti perché
i temi dell’Ukip sono molto
sentiti anche dai loro elettori.
Mentre il leader laburista Ed
Miliband, nonostante abbia ar-
Il fronte degli inquisiti
che non mollano
dalla Spagna alla Romania
di Andrea Valdambrini
Bruxelles
C
17
FARAGE, IL GAFFEUR RAZZISTA
CHE SBARAGLIA LE URNE
di Caterina Soffici
ultima sparata potrebbe costare cara
all’Ukip, il partito
indipendentista
inglese, che i sondaggi danno
in costante ascesa da mesi. Ieri
è stato pubblicato un volantino
con una grande foto in bianco
e nero di un cimitero di guerra
di soldati inglesi morti in Francia durante la Grande guerra.
La scritta recita: “Hanno combattuto e sono morti per mantenere la Gran Bretagna libera
da invasioni e dal controllo
delle potenze straniere”. Poi a
lettere cubitali: “Non lasciate
che il loro sacrificio sia vano.
Vota Ukip. Per loro, per la libertà, per la Gran Bretagna”.
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
orrotti, inquisiti, condannati. Non sono soltanto da noi gli eurodeputati con qualche
guaio con la giustizia. Sia tra gli ex che tra i candidati, di sorprese se ne trovano a tutte le latitudini e sotto tutte le bandiere politiche.
Tra i parlamentari attualmente in carica, e ricandidati
nella
prossima tornata
elettorale, il lituano
Viktor Uspaskich è
stato più volte processato per frode e
nel 2013 condannato a 4 anni di prigione dal tribunale di
Vilnius. L’europarlamento gli ha tolto
l’immunità un due
occasioni. Eppure
Ernst Strasser LaPresse Uspaskich, ex leader
del partito laburista
nel suo Paese, iscritto al gruppo liberale a Strasburgo, e al momento indagato per uso improprio di fondi pubblici, corre di nuovo per riconquistare un seggio in Europa. Guai con i soldi
pubblici anche per il popolare spagnolo Ramon
Valcarel, il cui caso giudiziario è comunque stato da poco archiviato. Di altro genere, invece, i
problemi con la giustizia di Miloslav Ransdorf,
eletto con il Partito Comunista della Repubblica
Ceca. Ransdorf è noto in patria soprattutto per
aver accumulato oltre 600.000 euro di debiti e
per essere stato varie volte beccato a guidare in
stato di ebbrezza. Problemi con le (proprie) finanze anche per Nick Griffin, esponente
dell’estrema destra britannica, che ha dichiarato
bancarotta. Come Ransdorf ha fatto sapere che
si ricandiderà.
Ancor più eclatanti i casi di due ex, l’austriaco
Ernst Strasser e lo sloveno Zoran Thaler. Il primo è stato condannato lo scorso anno a 4 anni
per aver accettato tangenti. I lobbisti che gli chiedevano di difendere i loro interessi in cambio di
una mazzetta annuale da 100.000 euro erano in
realtà giornalisti del Sunday Times. Strasser ha
provato a difendersi in tribunale dicendo: “Avevo capito che erano falsi lobbisti, volevo solo vedere dove volevano arrivare”. Il giudice però
non sembra avergli creduto e l’eurodeputato austriaco si è dimesso nel 2011. Coinvolto nello
stesso scandalo del 2011 anche lo sloveno Thaler, che pochi mesi fa un tribunale di Lubiana ha
condannato a 2 anni e mezzo di carcere. Se Thaler, come Strasser, si è almeno dimesso, c’è da
dire che altri due eurodeputati “corrotti” dai falsi lobbisti, non hanno lasciato il loro seggio. Si
tratta dello spagnolo Pablo Zalba Bidegain e del
romeno Adrian Severin.
Poi ci sono i guai giudiziari futuri ma già prevedibili. Dalla Germania, dove la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la soglia di
sbarramento, potrebbero arrivare i neonazisti di
piccoli partiti come Rep o Npd con qualche accusa o processo in corso. Lo stesso potrebbe succedere con i possibili arrivi di eletti dell’ungherese Jobbik o dei greci Alba di Dorata.
@andreavaldambri
ruolato come consigliere il mago di Obama, David Axelrod,
non ne azzecca una: ieri in
un’intervista televisiva ha detto
che in casa sua si spendono 70
sterline a settimana in alimenti,
quando la media nazionale è
100. La reazione di critiche e
sfottò è stata più violenta di
quella al manifesto dell’Ukip.
LA CARICA DEI 3 MILA
PER FORMARE un gruppo parlamentare a Strasburgo servono minimo
25 eletti provenienti da 7
differenti Paesi (sui 28 attuali dell’Unione europea). Non c’è una regola di
tempo: i gruppi si possono
formare o dissolvere in
qualsiasi momento della
legislatura, che dura 5 anni. Per partecipare alla prima seduta plenaria il 1° luglio i gruppi dovranno essere formati al più tardi
entro il 19 giugno. Non è
un obbligo iscriversi, ma
all’Europarlamento essere inseriti in un gruppo è
essenziale, perché in caso contrario non si è relatori di leggi in
commissione a Bruxelles e si finisce a parlare per ultimi in
plenaria a Strasburgo – dunque si è irrilevanti.
Nel Parlamento uscente i 766 deputati (754 eletti nel 2009
più quelli della Croazia, entrata nel 2013) erano divisi in 7
gruppi: Popolari (275), Socialisti e Democratici (195), Liberal-democratici (85) i tre più grandi. I non iscritti erano 29, tra
cui due italiani: Franco Bonanini, eletto come indipendente e il
leghista Mario Borghezio, espulso l’anno scorso da Europe for
Freedom and Democracy guidato dall’inglese Nigel Farage.
And. Val.
L’esercito dei lobbisti
pronto all’assedio
del nuovo Parlamento
Bruxelles
anche e finanza, grandi aziende farmaceuB
tiche, colossi dell’industria alimentare o
del tabacco, ma anche giganti della tecnologia e
del web come Google, Yahoo o Apple. Sono circa 3.000 le cosiddette lobby – o forse sarebbe più
chiaro chiamarle ‘gruppi di interesse’ - che fanno pressione sull’Europa e sulle sue strutture
legislative, parlamento per primo,
che regolano la vita
di mezzo miliardo
di consumatori nel
Vecchio Continente. Attraverso la presenza di un esercito
di lobbisti, stimati
in circa 30.000 dal
Corporate Europe
Observatory, le lobby provano a modiAnsa
ficare l’iter di una
legge, soprattutto
nel passaggio decisivo, quello attraverso le commissioni parlamentari di Bruxelles. E ci riescono, a quanto sembra, in circa il 75% dei casi.
Ufficialmente questi gruppi di interessi agiscono presentando dossier agli eurodeputati, organizzando convegni informativi, cene, aperitivi. I regali che un tempo venivano fatti ai parlamentari sono stati vietati già da un po’ dopo
una serie di scandali. Esiste il cosiddetto “registro della trasparenza”, attraverso cui l’attività
dei gruppi di interesse dovrebbe venire alla luce.
Ma perché l’iscrizione al registro è solo facoltativa?
È ciò che si chiedono a Transparency International
ong che si batte per una maggiore chiarezza del
rapporto tra politica e affari. “Il Parlamento non
è riuscito a convincere le altre istituzioni europee dell’obbligatorietà del registro. Per questo
noi cittadini non possiamo mai sapere quando
un eurodeputato ha un incontro con i lobbisti, o
quali imput riceve da parte sua”, spiega Ronny
Patz dell’ufficio di Transparency a Bruxelles.
“DA PARTE NOSTRA abbiamo invece chiesto
l’introduzione di un’‘impronta’ che possa tracciare il percorso” che va dal lobbista al legislatore. I gruppi di interesse, continua Ronny, esistono in tutto il mondo, e fare lobby non è un
male di per sé. Ammesso però che si tratti di
un’attività svolta in modo etico e il più possibile
controllabile. Per questo servono regole: “Le nostre ricerche mostrano come rimangono significativi i rischi di corruzione. La causa risiede
nella mancanza di regole precise riguardo alle
lobby come anche in un’assenza di supervisione
dei conflitti di interesse dei i parlamentari.
Insomma, il malaffare è presente nei singoli parlamenti nazionali come in quello europeo”, non
si scappa. Tra l’altro Strasburgo è diventata tanto
più bersaglio dei gruppi di interesse quanto più,
durante gli anni, ha accresciuto il proprio potere.
E come ha detto Heter Grabbe di Open Society –
la fondazione di Soros – c’è il rischio che l’europarlamento assomigli maledettamente da vicino a una congrega di lobbisti.
And. Val.
18
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
PAUL MCCARTNEY SOSPENDE
PER MALATTIA IL TOUR IN GIAPPONE
L’ex Beatle Paul McCartney, 71 anni,
ha dovuto cancellare anche gli ultimi
concerti in Giappone a causa di un virus
influenzale. Saltate le date di Tokyo e Osaka
UFFICIALE LA SEPARAZIONE
TRA BUFFON E ALENA SEREDOVA
BOUHANNI A SALSOMAGGIORE
FIRMA LA SUA TERZA TAPPA AL GIRO
Questa volta non è una voce: Alena
Seredova e Gianluigi Buffon si sono separati.
E da tempo. È il portiere della Juventus stesso
a confermarlo in un’intervista a Sky Sport
SECONDO
Nacer Bouhanni si gode il terzo successo nel
Giro d’Italia. Il corridore si è imposto sul
traguardo di Salsomaggiore in volata con dieci
centesimi di vantaggio su Giacomo Nizzolo
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
Ora è fatta, si sono comprati la Bari
DOPO UNA CAMPAGNA VIRALE, L’EX ARBITRO PAPARESTA STACCA UN ASSEGNO DA 4,8 MILIONI E SI AGGIUDICA IL TITOLO SPORTIVO. PER CONTO
DI CHI È ANCORA UN MISTERO, MA PER L’ENTUSIASMO DEI TIFOSI, CHE RIEMPIONO LO STADIO E SOGNANO I PLAY-OFF PER LA SERIE A, È SUFFICIENTE
Q
di Pierluigi G. Cardone
ui non ci sono “carogne”, trattative
Stato-ultras e puzza di polvere da
sparo. Qui c'è una storia di pallone,
perché a chiamarlo calcio il senso
cambia eccome. Soprattutto, c'è una
città del Sud, con la sua gente e la sua
squadra. Anzi. C'è una squadra che,
trovatasi d’un tratto senza proprietario (fino a ieri, quando Gianluca
Paparesta si è aggiudicato l’asta per il
titolo sportivo), ha riconquistato
l’unico, vero padrone: la città e la sua
gente. Perché a Bari, prima dei fenomeni sul web e dei miracoli sul
campo, è successo questo: che a marzo, dopo 37 anni (e almeno 20 di contestazione), un patron mai veramente amato, ha deciso di far fallire la sua
creatura. Ma il funerale è diventato
matrimonio: è morto il Bari, è rinata
la Bari.
Perché per i tifosi la squadra è femmina e l’amore per i colori una cosa
autentica. Scene da un manicomio. I
giocatori, che fino a ieri lottavano per
non retrocedere in Lega Pro, hanno
inanellato una serie impressionante
INTERMEDIARI
di risultati positivi: in
13 partite, due pareggi,
una sconfitta e 10 vittorie (di cui le ultime cinque consecutive). Di
più. Scene da un manicomio, atto secondo. Lo
stadio San Nicola, che
prima di Bari-Lanciano
(8 marzo) a stento riusciva a raggiungere i
duemila spettatori, dal
VENERDÌ I NOMI
match con gli abruzzesi
è tornato a riempirsi di
Dietro l’affare forse
un entusiasmo inarrestabile: nelle ultime cingli irlandesi di MP&Silva,
que gare, i paganti sono
azienda con ricavi da 600
stati poco più di 160 mila. Polverizzati tutti i remilioni l’anno nel campo
cord del campionato di
Serie B, nonché numeri
del commercio dei diritti
da far invidia a molti
televisivi sportivi
club di A.
Il San Nicola lunedì sera durante Bari-Cittadella 1-0 con quasi 40 mila tifosi. In alto, Gianluca Paparesta LaPresse
Lunedì sera l’ultimo capitolo di un romanzo
ancora da terminare: con il Cittadella vano” gli spalti. Altri tempi, specie ora collette per le trasferte in aereo (ma tv). Semi deserta la prima asta per il
erano in 36 mila, ma c’è chi giura che che il San Nicola sembra quasi troppo spesso anche in treno, che costa me- titolo sportivo (l’ex arbitro Paparesta
fossero ben oltre i 40 mila (l'arte del piccolo. Eppure, nonostante festa e no), cene e viveri offerti. Un fenome- c’era, i soldi dei “suoi” indiani non
“portoghese”, nel tacco d'Italia, è ben fasti, fino a ieri la Bari non la voleva no quasi sociale. Tanto che alcuni proprio), deserta la seconda. A un
praticata). E la Bari ha vinto, ancora nessuno. I curatori fallimentari han- fruttivendoli, nei giorni più difficili e passo dal baratro, il fenomeno sociale
no fatto i salti mortali per gestire l’or- più belli, offrivano sconti su verdura e è diventato virale. Oltre 20 mila i selfie
una volta.
dinaria amministrazione. A quella affini a chi si presentava in bottega col sulla pagina Facebook di #compratelabari, trend topic su Twitter per giorCORSI E RICORSI: nel 2002, proprio straordinaria ci ha pensato la città: i biglietto della partita successiva.
contro i padovani, il record negativo calciatori, senza neanche la possibi- Scene da manicomio, atto finale. Ma ni: da volti noti e meno noti, ex caldi paganti, appena 51. Tradotto: se lità di lanciare le maglie ai tifosi dopo il Bari continuava a non volerlo nes- ciatori e giornalisti l'appello a salvare
andavi allo stadio con l’amante, ri- le vittorie (magazzini vuoti e nessuna suno, anche con 40 mila paganti al il Galletto. Una moda. E qualcosa si è
schiavi che tua moglie ti scoprisse possibilità di nuovi acquisti), sono seguito e a un passo da giocarsi la pro- sbloccato. Ieri la chiusura del cerchio,
perché le tv non potevano non inqua- stati adottati da alcuni suppor- mozione (che sull’unghia garantireb- perché quella squadra, quei tifosi e
drare i pochi temerari che “affolla- ters-imprenditori: albergo pagato, be fino a 20 milioni di euro in diritti quel sogno chiamato Serie A è diventato improvvisamente un affare. Dal
nulla, sono spuntate tre cordate pronte a sborsare. Quattro con l’aggiunta
del clan Paparesta, che dopo proclami
e slogan in favor di telecamera ha deciso di agire nell’ombra. E ha avuto
ragione.
Vendesi Bologna, Guaraldi
in viaggio con il capo ultras
di Luca
Pisapia
Mods: collettivo da sempre orientato all’estrema destra e tra i più
n viaggio con l’ultrà. Nonostan- attivi proprio nelle contestazioni a
te il presidente del Bologna Guaraldi. Cominciate in estate doGuaraldi abbia continuato a negare po lo smantellamento della squache all’incontro di venerdì con Za- dra, le proteste dei tifosi sono dunetti (il signor Segafredo) fosse pre- rate tutto l’anno prima di culmisente un capo tifoso della curva nare a maggio con un’incursione di
emiliana, dopo le prime indiscre- ignoti proprio nel giardino della
zioni lo stesso gruppo ultras “Beata villa del presidente. Cosa abbia
Gioventù” ne ha confermato la pre- spinto quindi Guaraldi, al termine
senza su Facebook.
di un’annata disaIl terzo uomo, che
strosa, vissuta tra
le contestazioni e
ha viaggiato in
SOTTO TUTELA
macchina da Bolomalamente finita
gna a Treviso con
con la retrocessioIl presidente nega
ne in B, a presenGuaraldi, inizialmente presentato
tarsi a casa del
la partecipazione
come suo collabopossibile e finora
di Christian Frabboni
ratore, è in realtà
unico acquirente
del Bologna in
Christian Frabbodi “Beata Gioventù”alla
ni, veterinario di
compagnia di un
43 anni e leader del
capo tifoso, è cosa
trattativa, ma il gruppo
gruppo nato dalle
ignota. E anche
lo smentisce su Facebook piuttosto inspieceneri degli storici
I
gabile in un momento storico in
cui, dopo gli eventi di Coppa Italia,
la lente della pubblica opinione è
focalizzata sul tifo organizzato.
Certo, come spiegano i Beata Gioventù e come ribadisce Frabboni
intervistato da ilfattoquotidiano.it,
ora i tifosi sono rinfrancati dall’idea
di una possibile cessione del club a
Zanetti.
MA FORSE BASTAVA un comuni-
cato stampa a cose fatte, invece che
un viaggio in macchina insieme,
che contribuisce a rafforzare ipotesi
su rapporti tra tifoseria organizzata
e società che vanno ben al di là della
consuetudine. La situazione del Bologna è davvero in bilico. Dopo gli
anni dei Menarini, la parentesi di
Porcedda e l’intervento delle banche, un gruppo d’imprenditori cittadini tra cui lo stesso Zanetti ha
rilevato la società. Il signor Segafredo però, pur mantenendo il con-
Albano Guaraldi LaPresse
trollo del 20% circa delle quote, si è
presto allontanato lasciando il club
nelle mani di Guaraldi, con Gianni
Morandi nel ruolo di presidente
onorario. Ma a Guaraldi sono mancati fin da subito soldi e capacità per
gestire il club, che ha cominciato un
declino culminato nella retrocessione. Ora l’unica salvezza potrebbe
essere la volontà di Zanetti di investire nuovamente, ma che debba
essere il capo di una tifoseria a saperlo per primo, partecipando
all’incontro, non ha alcun senso:
anche perché, quando a Bologna si
è tentata la via dell’azionariato popolare, la risposta dei tifosi è stata
molto tiepida.
NON HA FATTO l’indiano: l’asta, la
terza, se l’è aggiudicata lui. A 4,8 milioni di euro e dopo 13 rilanci. Alle
sue spalle, si dice, la società irlandese
MP&Silva, il cui business (ricavi da
600 milioni l’anno) deriva dalla commercializzazione dei diritti televisivi
di sport in tutto il mondo. A quanto
pare (dopo la scottatura iniziale, il riserbo rimane la regola) soldi e progetti veri, magari legati anche allo sviluppo dell’area del San Nicola, che
nelle intenzioni del vecchio e del
prossimo sindaco (si vota domenica)
non sarà più cattedrale nel deserto,
ma possibile fonte di guadagno.
Paparesta sarà il presidente: ci ha
messo faccia e impegno. Per il portafogli ripassare venerdì, quando ci
sarà il rogito notarile e i nomi degli
investitori dovranno per forza esser
ufficializzati. Salvatore della patria
esterovestito? Anche San Nicola, il
patrono della città, veniva da Myra,
Turchia. Che poi, per i non cristiani, il
suo nome è legato al mito di Babbo
Natale resta solo un dettaglio. Ma non
ditelo ai tifosi del Bari.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
19
Il romanzo che non piace
a mister Cesare Prandelli
LA FIGC DIFFIDA L’EDITORE CHIARELETTERE DAL PUBBLICARE “PER FAVORE NON DITE NIENTE”
DI MARCO CIRIELLO, LIBERAMENTE ISPIRATO ALLA BIOGRAFIA DEL CT DELLA NAZIONALE
di Elisabetta Ambrosi
E
gregi Signori, vi
scriviamo per conto della Federazione Italia Giuoco
Calcio e del Commissario Tecnico della squadra nazionale,
Signor Cesare Prandelli, in
merito alla notizia della prossima pubblicazione di un romanzo dal titolo Per favore non
dite niente di Marco Ciriello
che, per Vostra stessa ammissione, sarebbe ispirato alla vita
del Signor Cesare Prandelli”.
Inizia così la lettera dello studio Gallavotti Bernardini&Partners arrivata pochi
giorni fa, nell’imminenza
dell’uscita del libro, sulla scrivania di Lorenzo Fazio, editore
di Chiarelettere. Una diffida
verso qualsiasi utilizzo del nome di Cesare Prandelli, “o anche solo accostamento della
sua figura al romanzo del Signor Ciriello o alle iniziative di
comunicazione e di lancio del
libro”, che sarebbero da considerare “illecite”. Con tanto di
avvertimento di possibili azioni volte al ritiro dal mercato del
libro o risarcimento del danno
“qualora il libro fosse lesivo del
nome o della reputazione del
Signor Prandelli”.
PECCATO, però, che nel romanzo di Marco Ciriello, giornalista e scrittore, del nome di
Prandelli non ci sia traccia (vi si
fa invece riferimento nella
quarta di copertina e nella fascetta, che per il momento ha
anche la foto dello stesso Prandelli). Il libro fa parte, infatti,
della collana Narrazioni, la
stessa dove sono stati di recente
pubblicati i romanzi di Luca
Rastello, I Buoni, e quello di Luca Bisignani, Il Direttore, a loro
volta oggetto di polemiche per i
presunti riferimenti alla figura
di Don Ciotti per Rastello e De
Bortoli per Bisignani. La differenza, in questo caso, è che il
protagonista del libro, Marco, è
un eroe positivo: “L’allenatore
della nazionale è rappresentato
come una persona vera, che ha
il coraggio di essere sempre se
stesso, anche di fronte al dolore
della malattia della moglie”,
scrive Lorenzo Fazio nella lettera inviata in risposta allo studio legale. In cui, facendo riferimento a Limonov di Carrère,
ma anche al ritratto di Frank
Sinatra di Gay Telese e al film Il
Divo di Sorrentino, chiarisce
che il “libro resta la storia di
Marco, non di Cesare, è un romanzo non un’inchiesta: dunque perché attaccarlo?”.
I motivi della lettera si fanno
ancora meno chiari in considerazione del fatto che, come
scrive lo stesso Fazio e come
conferma l’autore (che ha inviato messaggi allo stesso Prandelli), il libro è stato inviato in
anteprima a febbraio, perché
l’allenatore potesse leggerlo,
della Figc, che io non nomino
mai nel libro e non capisco cosa
c’entrino, l’avessero letto non
l’avrebbero scambiata, come
hanno fatto, per una biografia
non autorizzata, e anzi si sarebbero accorti della delicatezza
con cui parlo del personaggio.
Che è persino migliore di quello reale, tanto che il mio allenatore avrebbe di sicuro, ad
esempio, rinunciato a Chiellini
ai Mondiali. Davvero questa
storia è l’archetipo del potere
italiano che prima ti dà un calcio in faccia, poi ti chiede cosa
volevi”.
aiutato il fatto che Prandelli ne
viene fuori come un uomo che,
in un mondo come quello del
calcio, riesce a prendersi cura
dei propri sentimenti”, risponde Fazio, confermando la scelta
di mandare il libro in libreria
con la fascetta. “Ma il problema
riguarda la funzione della letteratura: il romanzo, rispetto
all’inchiesta giudiziaria, consente di allargare la possibilità
di raccontare una storia. È un
bene o no? Questo dovrebbe
essere l’oggetto di discussione,
non la polemica sul libro”.
MA TORNANDO a Chiarelet-
PER FAVORE
NON DITE
NIENTE
M. Ciriello
Chiarelettere
12,90 ¤
tere: perché utilizzare esplicitamente il nome di Prandelli in
un libro positivo, e invece negare ogni riferimento a Ciotti o
De Bortoli in quelli di Rastello
o Bisignani? “Ovviamente ci ha
FINZIONI E REALTÀ
Il protagonista del libro
è un personaggio positivo,
ma ogni accostamento,
secondo i legali
della Federazione, sarà
da considerarsi “illecito”
mentre l’ufficio stampa Chiarelettere ha cercato più volte
quello di Prandelli e della Figc,
senza mai ottenere risposta.
“Una vicenda surreale, proprio
nei giorni in cui si discute del
film di Ferrara su Strauss
Kahn”, spiega divertito Marco
Ciriello al telefono. “Il libro è
nato leggendo la storia di Prandelli, che però è completamente trasfigurata, tanto che il protagonista allena all’estero ed è
la somma di vari personaggi
calcistici, tra cui Agostino Di
Bartolomei. La mia polizza di
assicurazione è esattamente ciò
che ho scritto, perché se quelli
OBIETTIVO
MONDIALE
Prandelli guiderà l’Italia in Brasile tra meno
di un mese LaPresse
La festa del Parma dopo la qualificazione in Europa League LaPresse
IRPEF E DINTORNI
Perché il Parma
rischia l’Europa
stato un finale di camÈ
pionato drammatico,
con le lacrime di Cerci per
aver sbagliato il rigore che
avrebbe regalato la qualificazione in Europa League al
Torino anziché al Parma. Ma
ora il rigore dei bilanci potrebbe ribaltare la situazione.
Quando la Figc ha diramato
l’elenco delle società cui è stata concessa la licenza Uefa
per la partecipazione alle
Coppe europee della prossima stagione, il Parma non
c’era. Il casus belli è una quota
Irpef di 300 mila euro non
pagata dalla società emiliana.
Per questo la Seconda Commissione licenze Uefa della
Figc, che ogni decisione in
merito spetta alle federazioni
nazionali che poi riferiscono
alla Uefa, al momento di stilare le liste non ha inserito i
ducali. Ora il Parma ha tempo due giorni per presentare
un ricorso che sarà dibattuto
il 28 maggio dall’Alta Corte
di Giustizia del Coni, nel caso
fosse respinto sarà il Torino,
che ha ottenuto la sua licenza, a entrare in Europa League, cominciando dal terzo
turno preliminare di fine luglio. Con un buon auspicio,
lo scorso anno la federazione
spagnola non concesse la licenza al Rayo Vallecano e al
suo posto è entrato il Siviglia,
che ha poi vinto la competizione la scorsa settimana allo Juventus Stadium di Torino. In tutto questo però, è
anche interessante soffermarsi su quell’Irpef da 300
mila euro non pagata, perché
mette in luce quella che è poi
la gestione corrente degli affari di una società di Serie A.
Come spiega lo stesso ds dei
ducali Leonardi, la tassa non
pagata è sugli incentivi
all’esodo che il Parma ha corrisposto in questa stagione a
una decina di suoi calciatori
mandati in prestito nelle categorie inferiori. Se infatti la
nuova società non ha i mezzi
economici per versare lo stipendio minimo corrisposto
da un club di Serie A, tocca
alla società di provenienza
colmare la differenza.
E SU QUESTA differenza, ap-
punto, il Parma non avrebbe
pagato l’Irpef. Ora, come aveva scritto a settembre Martin
Samuel, la rosa del Parma è
composta da quasi duecento
giocatori, su Wikipedia inglese se ne trovano più di un
centinaio. Un numero inaudito. “Il Parma non ha soldi,
ma un piano – scriveva l’editorialista del Daily Mail –. Reclutano giocatori per poi girarli nelle società satellite. Se
va bene prendono il dividendo, altrimenti niente, come si
fa per il bestiame. Se il 30%
del bestiame porta profitto è
un successo, ma il restante
70% rimane un numero”. Sarebbe una beffa se proprio la
gestione di questo “bestiame”
impedisse al club di partecipare a una remunerativa
competizione internazionale.
@ellepuntopi
Cannes, l’ora dei top & flop d’autore
NAOMI KAWASE E I FRATELLI DARDENNE IN POLE PER LA PALMA D’ORO. DELUDONO Z. YIMOU E L’ESORDIO DI R. GOSLING ALLA REGIA
di Federico Pontiggia
Cannes
C
annes, si fa sul serio: Naomi Kawase e i fratelli Dardenne incassano applausi e
puntano alla Palma. Per i registi belgi non è una novità: due
quelle già in bacheca, per Rosetta (1999) e L’enfant (2005).
Ancora a secco la regista nipponica, scoperta proprio sulla
Croisette nel ’97 con la Caméra
d’Or a Suzaku, Grand Prix nel
2009 con Mogari no Mori: “Dopo questi riconoscimenti, non
c’è che la Palma d’Oro. Senza
alcun dubbio, Still the Water è il
mio capolavoro, ed è la prima
volta che lo dico”. Insomma,
come si traduce in giapponese
“mettere le mani avanti”? Ma
parrebbe proprio l’anno della
Kawase, una aficionada ricambiata della Croisette, e la presidente di giuria Jane Campion
non dovrebbe ignorare il suo
delicato romanzo di formazio-
ne, ambientato sull’isola di
Amami – un’altra richiesta
d’attenzione? – e spiritualmente allacciato alla storia d’amore
di due adolescenti, Kyoko e
l’incantevole Kaito. La palpebra vacilla, ma tenere gli occhi
aperti – la nostra fila alla sala
Debussy era la bella addormentata – paga. Still the Water è
quel che Terrence Malick
avrebbe voluto intendere con
The Tree of Life e To the Wonder,
ma con una sostanziale differenza: è un film riuscito, un
poema visivo e animista che
congiunge mare, cielo, terra
senza santini new age, l’iconografia massimalista e la programmaticità
oleografica
dell’americano.
QUI C’È LA VITA, lo Sturm und
Drang, la fusione panica con la
Natura che passa dallo sgozzamento di una capra, dall’accompagnamento musicale verso la morte, dalla ritualità di
passaggio, con Kyoko e Kaito
che scampano al tifone per
nuotare nudi e liberi in un nuovo L’Atalante: siamo vicini a Le
meraviglie della Rohrwacher,
vedremo che deciderà Madame
Campion.
Se sarà femmina, la 67esima
Palma, loro ci sono, altrimenti
il turco bello ed estenuante
Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan o Mr. Turner di un altro impalmato (Segreti e bugie, 1996),
l’inglese Mike Leigh, che rac-
contando il pittore fa mirabilmente art pour l’artiste. Oppure i soliti Dardenne, che con
Two Days, One Night incastrano
la Sandra di Marion Cotillard
tra padrone e colleghi: riduzione dell’organico a sue spese oppure la rinuncia al proprio bonus, per che voteranno i compagni di fabbrica? Pare un interrogativo da elezioni europee,
ma i Dardenne spianano la Via
Crucis della precarietà senza rinunciare alla speranza: “Abbia-
Naomi Kawase LaPresse
L’OMAGGIO
Sulla Croisette sbarca
anche Sophia Loren, con
“Matrimonio all’italiana”
in versione restaurata
e con “Voce umana”
del figlio Edoardo Ponti
mo provato a raccontare come
la solidarietà che incontra Sandra e il sostegno del marito trasformino questa donna, che alla fine può dire ‘mi sono battuta, ora sono felice’. Sì, pensiamo si possa essere solidali ancora oggi: almeno, il film afferma questo”. Ma come?
LA RADICALITÀ stilistica di
Rosetta & Co. non abita più qui:
i fratelli si son dati una calmata,
Il ragazzo con la bicicletta ha
fatto scuola, l’iterazione dei colloqui di Sandra con i colleghi è
tutto, la doppia iperbole barbiturico-coniugale ce la saremmo
risparmiata. Ma sono ancora
loro, e sono ancora da premio.
È tramonto, viceversa, per il cinese Zhang Yimou, che nonostante nome e cognome, più
l’avvenente Gong Li, lascia semivuoto il Grand Théatre Lumière per Gui Lai (Fuori Concorso): quest’anno la Cina non
è di casa, non è di Cannes. Fuo-
chi d’artificio a Un Certain Regard: ressa e spintoni per l’esor-
dio alla regia del divo Ryan Gosling, che in Lost River mette la
fidanzata Eva Mendes, la maggiorata Christina Hendricks,
qualche plateale scopiazzatura
(Nicolas Winding Refn, e come
altrimenti?) e troppa carne –
Barbara Steele – al fuoco. Della
serie, vorrei ma non posso: provaci ancora Ryan, ma prima un
bagno d’humilité.
Nel caso, può rivolgersi a Wim
Wenders che gira a quattr’occhi con il figlio del fotografo
star Salgado The Salt of the Earth:
nulla da eccepire, coppia d’assi.
Ma noi abbiamo la regina di
cuori Sophia Loren, che sulla
Croisette cala il tris: Matrimonio
all’Italiana restaurato, Voce umana del figlio Edoardo Ponti e
oggi la Master Class. Nel nome
di Mastroianni, che giganteggia
sul poster del festival: “Che bello che c’è anche lui!”. Sì, Marcello Cannes Here!
20
SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
il Fatto Quotidiano
WASSILY
KANDINSKY “L’artista
come sciamano”
Vercelli
ARTE
Un Kandinsky
non convenzionale
“L’ARTISTA COME SCIAMANO”, UNA FELICE
INTUIZIONE ALLO SPAZIO DELL’ARCA DI VERCELLI
di Claudia Colasanti
N
on troppo ma buono: tra le formule –
rispetto alle proposte espositive e museali – che occorre per lasciarci
alle spalle lo stallo e lo sfascio di
gran parte delle istituzioni culturali italiane. Così come questa
mostra, concisa e illuminante:
Wassily Kandinsky. L’artista come
FUMETTO
sciamano, presso lo spazio
dell’Arca di Vercelli, nata da
una brillante intuizione e divenuta, grazie ai pezzi esposti e
all’originale itinerario, più di
una certezza. Ventidue tele di
Kandinsky e alcuni dipinti di
maestri dell’avanguardia, provenienti da otto musei russi, ma
soprattutto la presenza di un
corposo e davvero splendido
nucleo di oggetti rituali delle
di Stefano
Feltri
Sulla scacchiera
steampunk
©SCACCO ALLA REGINA
di Giovanni Di Gregorio, Alessia Fattore, Maurizio Di Vincenzo, Le storie 19, Sergio Bonelli editore, 114
pagg., 3,50 euro
LA COLLANA LE STORIE resta il migliore
esperimento della Bonelli di questi anni: ogni
mese un romanzo a fumetti di 114 pagine nel
formato del fumetto popolare in bianco e nero, personaggi sempre diversi, nessun filo
conduttore se non l’ambizione della qualità.
Non sarà un prodotto per le masse, più legate
alle icone come Tex e Zagor, ma spesso Le
Storie ospitano l’eccellenza bonelliana. “Scacco alla regina” è
sicuramente uno dei volumi più riusciti della collana: sceneggiatura del bravo Giovanni Di Gregorio, disegni di Alessia
Fattore e Maurizio Di Vincenzo. Le atmosfere sono quelle del
genere steampunk (una sottobranca della fantascienza, diciannovesimo secolo, pistoni, macchinari, tecnologia retrò),
ma l’ambientazione è precisa: Londra, 1851. L’espediente narrativo è la partita a scacchi, non tra l’eroe e la morte, come nel
“Settimo sigillo” di Bergman, ma tra uomo e macchina. Lo
scacchista Wilhelm Fiehedrssen e Adam, un gigantesco au-
tradizioni popolari e sciamaniche praticate nelle sterminate
regioni siberiane (prestito della
Fondazione Sergio Poggianella
di Rovereto).
L’artista russo, padre mondiale
dell'astrattismo – più di ogni altro rappresentò la cerniera fra
Occidente e Oriente – fu ispirato dalla cultura rurale e dalle
pratiche sciamaniche della
Steppa per il suo immaginario
pittorico. La formazione del
grande artista crebbe all’interno di una corrente culturale
presente in Russia per tutto
l’Ottocento, volta a ricercare
nella cultura primitiva e folclorica del mondo contadino le radici della vera civiltà russa.
DI TALE UNIVERSO esoterico,
contrapposto al razionalismo
europeo, facevano parte le favole e le canzoni popolari trasmesse oralmente fin dal Medioevo e
riprese poi in letteratura da Dostoevskj. Si tratta degli stessi anni in cui Kandinsky visse fra
Monaco e la Russia, e nei quali
studiò etnoantropologia, tra il
1901 e il 1922 (anno in cui abbandonò la Russia sovietica). Il
percorso che lo condusse
all’astrazione era cominciato
proprio così, con gli studi del diritto nelle tradizioni delle sterminate campagne della Russia,
TEATRO
di Camilla
fra le lontane popolazioni della
Vologda, in Siberia.
Antiche tradizioni del nord del
paese dove poi l’artista viaggiò,
annotando canzoni e proverbi
popolari, preghiere e formule
magiche; e disegnando anche i
dettagli dell’arredamento delle
case di legno e altri oggetti d’uso
quotidiano. Iniziò in seguito la
sua collezione di manufatti popolari, che gli permise di appro-
Tagliabue
L’anti-Edipo
di Pasolini
©Affabulazione
di Pier Paolo Pasolini
Milano, Teatro Out Off, fino al 1° giugno
TRA IL 1966 E IL 1969, mentre i giovani di
mezzo mondo scendono in piazza a contestare i loro padri padroni, Pier Paolo Pasolini, sempre profetico e bastiancontrario,
sforna “Affabulazione”, una pièce in versi
liberi che irride “il conformismo del Figlio
ribelle”, la sua abulia, la sua refrattarietà e il
suo totale disinteresse al parricidio. Di contro, in questa vicenda senza tempo e senza
fine, il Padre prova un’attrazione morbosa e
incestuosa nei confronti dell’acerbo ragazzo, dai capelli smerigliati d’oro come un aitante e libidinoso marinaio. Così va in scena
la storia dei padri che divorano i figli, e dei
figli che se ne fregano di tutto, evanescenti
e inconsapevoli persino della propria provocante bellezza: l’autore imbastisce una
tragedia onirica e anti-edipica, attingendo
PATRIMONIO ALL’ITALIANA
al suo repertorio classico e intessendo abilmente argomenti politici, lingua poetica,
immaginario mitico e fascinazioni erotiche.
Protagonista è un’altolocata famiglia milanese: quei borghesi illuminati che si “tradiscono per tradizione” e “pregano come
se si drogassero”. Ma le ossessioni del patriarca faranno presto deflagrare l’idillio
conformista: per il poeta corsaro amore fa
rima soltanto con orrore…
Non è facile maneggiare con cura l’incandescente e pruriginoso materiale pasoliniano, mantenendone al contempo grazia e potenza, eppure il regista Lorenzo
Loris allestisce uno spettacolo pudico e
commovente, di rara delicatezza pur
nell’angoscia e scabrosità di trama e contenuti. Bravi gli attori: il febbricitante Padre di Roberto Trifirò; la dolente Madre di
Annina Pedrini; i deliziosi Alberto Patriarca e Sara Marconi, nei panni del Figlio e
della sua Ragazza; l’allucinata Negro-
di Tomaso
mante di Monica Bonomi e lo straordinario, struggente Umberto Ceriani, cui
tocca l’aspro ruolo dell’Ombra di Sofocle,
quasi un alter ego di Pasolini stesso, quel
vate osceno a cui il cuore si “induriva come un membro”.
Montanari
Vespa, pifferaio d’arte renziana
toma prodigioso capace di compiere una mossa ogni sei ore
e, sostiene il suo inventore, di battere il migliore cervello
biologico. Ma ogni volta che sulla scacchiera un pezzo cade,
qualche suo omologo muore nel mondo reale. Ed è chiaro
cosa potrebbe succedere alla regina. La tensione della partita
viene esasperata dall’indagine sugli omicidi, con le mosse
lente e implacabili dell’automa a scandirne il ritmo. Come in
ogni giallo che funziona, il lettore perde subito interesse a
scoprire chi è il colpevole e si gode il crescendo di disperazione dei personaggi, il dilemma etico dello scacchista (interrompere la sfida per salvare vite o sottrarsi al ricatto e
vincere?), la psicosi che travolge Londra. Un fumetto bonelliano fluido nella narrazione e curatissimo nei disegni, con
tutte le caratteristiche di eccellenza della casa (chiarezza,
precisione, avventura) senza quelle sbavature e pesantezze
che talvolta zavorrano le storie dei personaggi più noti, nel
tentativo di renderle digeribili anche al lettore meno attento.
fondire la cultura dei sirieni, vivendo quasi in simbiosi con le
pratiche popolari derivanti dalle
antiche ritualità sciamaniche.
La convinzione di Kandinsky
che, sia nella vita sia nell'arte, lo
spirituale debba dominare sulla
vita materiale formò la sua percezione del mondo già alla fine
degli Anni Ottanta, ovvero il
momento in cui capì che per trasporre sulla tela l'anima non fosse necessario raffigurare oggetti
e volti. Bastava il colore, la forma, la combinazione e il ritmo
per esprimere stati d’animo ed
emozioni provenienti sia
dall’esterno che dal profondo
dello spirito. Così, nella mostra
– non convenzionale – di Vercelli è possibile vedere bastoni
sciamanici con l'impugnatura a
forma di testa di cavallo o incredibili grembiuli mongoli imbottiti di feticci, frange, campanelli
di ferro, specchietti, o ancora
tamburi rituali le cui ombre dipinte e i simboli paiono idealmente trasformarsi nelle agili
forme che ballano nei dipinti del
maestro russo. La struttura decorativa dei magici costumi rituali si trasforma in composizioni astratte, in cui l’energia vitale diventa un gioioso movimento di danza.
NEL DERBY entomologico (copyright di Aldo Grasso) della televisione italiana, la maggioranza delle osservazioni e delle paure si addensano intorno a Grillo.
Laddove non mi pare vi sia alcun
dubbio che ad oggi sia stato Vespa a fare incalcolabilmente più
danni alla democrazia italiana. E
anche per il futuro, a me fa più
paura Vespa di Grillo: se non altro per la sua mostruosa abilità
nell'imporre l'ordine del giorno
del potere alla (maggioritaria)
parte fossile dell'opinione pubblica. Qui rileva l'articolo che Vespa ha dedicato alle soprintendenze sul Quotidiano Nazionale
del 3 maggio scorso: eloquente
fin dal titolo, “Il mostro burocratico”. Non sazio della lode
(“Matteo Renzi ha deciso un ragionevole accorpamento delle
soprintendenze in modo da ridurre il numero di referenti con
cui discutere”), come una geisha
del potere dalla sensitività sovrumana, Vespa precede i più innominabili desideri del giovane
premier: “Ma saranno disciplinati anche i loro poteri? E i tempi
entro i quali esercitarli? Il problema della burocrazia italiana è
infatti il sovraffollamento di uffici”. Con un turnover bloccato
da decenni, organici al lumicino e
nessun mezzo, il problema delle
soprintendenze è proprio l'affollamento. E i temibili poteri sarebbero le pistole ad acqua con
cui i soprintendenti arginano le
lobbies del cemento, armate di
missili terra-aria.
Segue un inno alla mercificazio-
ne che fa sembrare Tremonti un
francescano: “Il manager dei
musei immaginato da Renzi
avrà le mani libere nel vendere il
prodotto cultura o dovrà scontrarsi ogni giorno con un rispettabile architetto o critico che sa
tutto di un’opera d’arte, ma non
riesce a cavarne un centesimo?”.
Maniliberismo, ecco il nome del
renzismo da grande. E il giovane
e vergine Bruno Vespa è proprio
il più indicato menestrello di
questo stilnovo. Spettacolare
l'inizio dell'articolo: “Dopo aver
imposto il prestito di alcuni pezzi eccezionali del Rinascimento
italiano per una grande mostra
a Londra negli anni Trenta, Benito Mussolini disse che avrebbe preferito farsi cavare tutti i
denti piuttosto che discutere
ancora una volta con i soprintendenti. Ed era Mussolini”.
Niente in confronto a Renzi.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
21
GIORGIA MELONI
Ospite lunedì sera
di Lily Gruber a “ 8 e 1/2”, La7 Ansa
ONDA SU ONDA
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
L’ingegnere tra Scalfari
e la torta di Rai Way
di Loris Mazzetti
enzi e De Benedetti, un matriR
monio che si è celebrato domenica sulle colonne di Repubblica con
la benedizione di Scalfari: “Bisogna
votare per Renzi e per Schulz”. Siamo sicuri che dietro all’operazione
di privatizzazione di Rai Way non ci
sia un possibile interesse dell’ingegnere? Rai Way possiede e gestisce
gli impianti e la rete di trasmissione
della tv pubblica: 23 sedi, 2.300 postazioni, 1.800 strutture tra queste
150 torri che superano i 50 metri di
altezza, con un utile netto nel 2013 di
11,8 milioni di euro. Roberto Fico
del M5S, presidente della Commissione di Vigilanza Rai, si è detto contrario perché fatta, come suggerita
da Renzi, l’operazione rischierebbe
di svendere un patrimonio pubblico. Anche il movimento dei lavoratori Rai “Indignerai” si è dichiarato
contrario denunciando l’ambiguità
del premier: da una parte sostiene
che la politica non deve interferire,
dall’altra dà il via libera, per legge, ad
un’operazione che ricalcherebbe i
criteri di quella del 2001, quando la
Rai stava per cedere alla Crown Castle il 49% di Rai Way, operazione
poi impedita dal ministro Gasparri
su ordine di Berlusconi. Da allora è
cambiato il mondo tecnologico, è
arrivata la digitalizzazione, e sono
cambiate anche le direttive dell’Ue:
la società che gestisce le torri e distribuisce il segnale andrebbe scorporata da quella che produce i contenuti, cioè i programmi.
L’ITALIA è l’unico paese in Europa a
non averlo ancora fatto. Prima di
pensare a privatizzarla, Rai Way andrebbe adeguatamente valorizzata
come asset strategico, cosa che in
questi ultimi dieci anni non è avvenuto perché la Rai è stata asservita
agli interessi dell’ex Cavaliere, infatti
la società del servizio pubblico oggi
vale solo 600 milioni, nettamente
meno rispetto alla valutazione del
2001, mentre la società che gestisce
gli impianti di Mediaset, Elettronica
Industriale, che nel 2011 si è fusa con
DMT, quotata in borsa, vale 1 miliardo e 100 milioni, quasi il doppio
di Rai Way pur essendo strutturalmente inferiore. Chi non partecipa al
dibattito è De Bendetti, a lui interessano i fatti non le parole. L’ingegnere
ha capito che è sulla rete che in questo momento passa il vero business,
infatti sta attendendo il via libera
dall’Agcom per inserirsi sul mercato
dopo aver fuso la sua Rete A con TI
Media di Telecom (la società che
controlla la rete trasmissiva de La7 e
Mtv è già quotata in borsa. Insieme le
due società arrivano a 5 multiplex
come la Rai. Un’operazione da 400
milioni che ha dato il via al primo
operatore indipendente nel dt.
Le sparate della Meloni
e i numeri di Farinetti
di Luigi Galella
i informi”. L'imperativo di Lilli
Gruber – che suggestivamente, alS
meno per noi che le amiamo, sempre ci
ricorda le frasi celebri di Totò – è per
Giorgia Meloni. Durante la puntata di 8
e mezzo (La7, lunedì, 20.30), che la vedeva contrapposta a un'esponente della
lista Tsipras, la Meloni chiariva e argomentava, con velocissima, veemente loquela, com'è solita fare da quando non
ha più incarichi di governo e parla come
se mai ne avesse ricoperti. Sembrava
molto informata, perché questo accade
quando si forniscono cifre e dati con
facile sicumera, ma Lilli Gruber era di
altro avviso e l’ha bacchettata con tono
seccato, prima di lanciare la pubblicità.
IL TEMA del contendere erano le tasse
che si pagano in Svezia e in Germania,
che secondo la leader di “Fratelli d'Italia” sono molto più basse di quelle italiane; per la Gruber invece le cose stanno
diversamente; da qui l’invito a documentarsi, rivolto alla sua giovane ospite.
In effetti la natura del medium è tale che
chiunque può sparare un numero e pen-
sare di farla franca. Dopo pochi istanti,
nel panta rei del mezzo televisivo, nessuno se ne ricorderà più.
La risposta tranchant di Lilli Gruber,
che ha lasciato in sospeso chi delle due
avesse torto o ragione, può essere uno
spunto per un suggerimento: l’idea di
dotare di un accorgimento elettronico i
talk politici e di informazione; una sorta
di moviola in campo, che metta subito
in evidenza dove sia la verità: una strumentazione che controlli la veridicità
delle affermazioni. Un sapientino,
un’autorità elettronica, contro maestrini e maestrine incauti. Nel prosieguo
della serata, sulla stessa rete, abbiamo
poi ascoltato altre cifre. Una in particolare, veramente enorme, lanciata
dall’imprenditore Oscar Farinetti, ospite di Corrado Formigli a Piazzapulita.
L’argomento era l’Expo e la necessità di
incrementare il turismo in Italia, che negli Anni 70 ci vedeva al primo posto del
mondo, mentre oggi siamo quinti, superati anche dalla Spagna. Questi, i primi numeri di Farinetti, che a primo acchito non sembrano infondati. Ma il
creatore di Eataly non si è fermato qui e
ha rivelato poi che la sola Manhattan
Gli ascolti
di lunedì
PARTITA DEL CUORE 2014
Spettatori 4,16 mln Share 15,15%
PORTA A PORTA
Spettatori 3,16 mln Share 23,75%
batte i visitatori di tutta l’Italia. Bum, diremmo a naso, senza nemmeno controllare il sapientino. Ma come? Metti
insieme Venezia, Roma, Firenze, Pompei e tutto il resto della penisola e la sola
New York pensa di batterci? E le file chilometriche ai musei vaticani? E le spiagge estive dell’Adriatico invase da mezza
Germania? Ma Farinetti è pazzo?
NO, PER QUANTO possa sembrare strano, i pazzi siamo noi, noi italiani. E lui ha
ragione. Fra il 2002 e il 2013, mentre il
Paese si dibatteva nella più acuta crisi di
crescita, l’incremento dei turisti nella
“città che non dorme mai” è stato del
54%: circa 20 milioni. E l’anno scorso si
è raggiunta, appunto, la cifra record di
54 milioni di visitatori, 8 in più di quelli
stimati in tutta Italia. Bravo Oscar. Le
sue iperboli impressionano, per la loro
apparente assurdità, ma purtroppo la
realtà, da noi, riesce a tenere insieme verità e inverosimiglianza. In quanto alla
Meloni, no. Almeno, riguardo alla Svezia, la tassazione supera quella italiana.
Ciò che è divertente è che lì i politici,
non è una battuta, fanno a gara a chi ne
promette di più. Di tasse.
GRANDE FRATELLO 13
Spettatori 4,3 mln Share 19,93%
PIAZZAPULITA
Spettatori 1,15 mln Share 4,49%
22
SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
il Fatto Quotidiano
IL BADANTE
NON SOLO LA CEI
Guerre vaticane
intorno al Papa
di Marco
Politi
B
asta ripercorrere
alla moviola la
lunga teoria di
volti
vescovili
preoccupati, perplessi, tesi e
a tratti irritati, che sono apparsi sugli schermi televisivi
mentre il pontefice parlava
alla Cei, per capire che il 19
maggio è stata una giornata
fuori dall’ordinario nella
storia dell’episcopato italiano. Chi ha seguito Giovanni
Paolo II, Benedetto XVI,
Francesco nei loro viaggi in
Italia e all’estero conosce bene il rombo di un applauso
scrosciante. Lunedì non se
ne coglieva traccia nell’aula
del Sinodo. L’applauso finale
in parecchi settori dell’emiciclo si è limitato al minimo
sindacale.
È UN SEGNALE d’allarme.
Molti media, drogati dalla
campagna elettorale, hanno
piegato in chiave italiana
l’appello papale a non cedere
al “catastrofismo” quasi che
Bergoglio volesse tirare la
volata al giovane Renzi. Non
è così. Papa Francesco si riferiva all’“emergenza storica” della miseria e del precariato crescenti in tutto il
pianeta, sottolineando l’esigenza che i vescovi nella stagione attuale non si fermino
al piano “pur nobile” delle
idee, ma sappiano entrare
nella realtà con gesti concreti
per dare un contribuito a
trovare vie d’uscita da una situazione – globale – che
SENZA PRECEDENTI
I volti preoccupati
durante l’incontro
episcopale
la dicono lunga sul clima
intorno alle riforme
volute da Francesco
schiaccia sempre più la maggioranza degli esseri umani.
Prima ancora dell’aspetto
sociale, tuttavia, la “predica”
del papa argentino si è indirizzata ai vescovi in carne e
ossa, al loro modo di presentarsi, al loro modo di agire,
alla loro attitudine o meno di
creare comunità intorno a sé,
valorizzando il ruolo dei laici
e la presenza delle donne e
dei giovani.
È chiaro che il pontefice venuto “dalla fine del mondo”
chiede alle gerarchie italiane
una gigantesca operazione di
riconversione, uno sforzo
grandioso per abbandonare
ogni tentazione di sentirsi
“potentati” nella loro realtà
sociale (piccoli, medi o grandi non importa) allo scopo di
porsi di fronte all’umanità
contemporanea semplicemente nella veste di discepoli
di Cristo. “Il vostro annuncio sia cadenzato dall’elo-
Guardie svizzere in Vaticano LaPresse
quenza dei gesti”, ha esclamato. Ribadendo subito dopo: “Mi raccomando: l’eloquenza dei gesti”. Come dire
che senza la testimonianza
concreta di una diversità di
vita e di azioni l’annuncio
della Buona Novella non arriva.
Evidentemente
nell’anno
trascorso Francesco non ha
avvertito nell’episcopato una
prontezza a seguirlo. Semmai ha colto una filiale inerzia nel dirgli pubblicamente
sempre di sì, rimanendo fissi
sulle proprie posizioni abitudinarie. Questo spiega l’irritazione del pontefice, tradottasi nella decisione senza
precedenti di non limitarsi –
come facevano i suoi predecessori – a indicare dietro le
quinte la linea al presidente
della Cei, suggerendogli gli
accenti da far risuonare nella
relazione introduttiva, ma di
arrivare a prendere la parola
subito all’inizio dell’assemblea dei vescovi per mostrare
chiaramente l’orizzonte in
cui muoversi.
NON È STATA un’operazione
indolore. L’assenza di qualsiasi riconoscimento al lavoro svolto dalla conferenza
episcopale, l’insistito elenco
degli errori (le “tentazioni”)
da cui i vescovi italiani sono
chiamati ad emendarsi, sono
fattori destinati a loro volta a
suscitare irritazione negli
ambienti prelatizi. E ad alimentare la sorda opposizione di quei settori vescovili e
cardinalizi, che nutrono la
guerriglia antipapale del
“Foglio” e di una massa di siti
web contrari al papato argentino, accusato di semplicismo, demagogia e scarsa
profondità teologica.
Una guerra sotterranea è in
corso in Vaticano e nella
Chiesa universale intorno al
progetto di riforme di Francesco. La palese dissonanza
prodottasi tra il papa e una
parte della conferenza episcopale italiana rappresenta
una novità nel panorama ecclesiale. Certamente non
gradevole. Certamente in
grado di rendere più ostacolato il processo di riforma.
L’andamento del dibattito
mostrerà quanti saranno in
concreto i vescovi in seno alla Cei, pronti a spendersi per
appoggiare e realizzare i
cambiamenti profondi ri-
chiesti da Francesco. Rispetto a decadi precedenti il cardinale Bagnasco ha cercato
senza dubbio di governare la
Cei in maniera meno autoritaria, ma qui serve – Francesco lo esige – un soffio di
libertà di dibattito e di proposte, tipico della stagione
del concilio Vaticano II, che
l’attuale struttura della Cei
finora non ha consentito.
Ieri ha preso la parola il cardinale-presidente Bagnasco.
Non è sfuggito che a proposito della futura modalità di
scelta del presidente egli abbia aperto uno spiraglio a
correzioni o eventualmente a
“forme nuove” rispetto alla
chiusura dei mesi scorsi.
La vecchia proposta prevedeva che il presidente, dopo
un sondaggio fra tutti i vescovi, venga sempre scelto
dal pontefice. L’assemblea
avrà il coraggio di arrivare a
una vera e propria elezione?
La lunga marcia
di Beppe “Mao” Grillo
di Oliviero Beha
NON C’È DAVVERO bisogno di essere un “tifoso” (la
virgolettatura è solo uno scrupolo…) di Beppe Grillo e del
M5S per affermare che loro le
elezioni le hanno già vinte, comunque vada. Certo, elettoralmente e politicamente in
senso stretto un conto è che
quello di Grillo diventi il primo
partito, un altro che segua il
Pd renziano, presumibilmente
comunque non di molto, nella
disintegrazione postuma del
centrodestra. Ma se il termine
“politica” ha ancora un etimo
profondo, anche se continuamente svilito da coloro che la
praticano, bisogna riconoscere che con la performance sulla rete ammiraglia dell’azienda pubblica da un pezzo privatizzata per bande più o meno larghe, Grillo ha maoescamente quasi completato la
sua lunga marcia cominciata
sette anni fa. Sono così preciso perché c’ero, quando con
Elio Veltri nel maggio del
2007 varammo un manifesto
per la riforma della politica e
la sua traduzione operativa in
una Lista Civica Nazionale,
manifesto firmato da Beppe e
Fo e Franca Rame, Tabucchi,
Travaglio e Barbacetto ecc.
ecc. Poi vennero i “vaffa day” e
le prime rappresentanze locali, fino al boom delle Politiche
del febbraio 2013. All’epoca
era un comico prestato alla
politica, adesso, anche se intermittentemente per fortuna
rinuncia a prendersi sul serio,
è lo spauracchio di un intiero
sistema che lo dipinge da un
pezzo e sempre di più nella
sua crescita come un tribuno
dell’antipolitica. Senza rendersi conto che è esattamente
questo il punto su cui si regge
n
tutto il seguito sociale e politico di Grillo, ossia mettere a
nudo il più possibile il suo antagonismo a “questa politica”
che nel frattempo, lungo i sudati sette anni, ci ha ridotti come Paese e come popolo sul
lastrico. Potevano almeno
sforzarsi e chiamarla “ante-politica”, avrebbero evitato di autoconnotarsi nel peggio e per la scesa… Anche il
derby tra i recensori dell’esibizione di Beppe da Vespa pare di poco momento, se rapportato ai risultati raggiunti
da Grillo che aveva comunque
tutti contro, almeno all’inizio.
Naturalmente da un paio
d’anni c’è chi si sta arrampicando pure maldestramente
sul carro del presunto o temuto vincitore, secondo i detta-
IL FAVORITO
Da Vespa il leader
M5S ha completato
un percorso iniziato
7 anni fa. Comunque
vadano le elezioni,
lui le sue le ha già vinte
Beppe Grillo da Vespa Ansa
mi di Flaiano. L’unico vero deterrente nei confronti del M5S
era affidato al terribilismo di
Grillo, ai rischi che comporta
un “salto nel vuoto”, alla paura
dell’ignoto subito rivestito del
populismo del passato e
dell’autoritarismo anche un
po’ straccione che tra l’altro la
storia dice piacerci, e parecchio… Ancora e sempre autolesionismo sistematico dei
consunti padroni del vapore. E
infatti, durante un Porta a Porta che ha folgorato l’Auditel
cui il “mostro” ha partecipato
per raggiungere le fasce più
anziane di elettori (e quindi
credo/spero di cittadini), per
rendersi conto bastava spegnere l’audio, operazione che
in passato ci ha dato la soddisfazione di vedere nei tg e
nei programmi i veri “mostri”.
LA TV È FACCE, si è sempre
detto: da una parte il solito
Vespa rotto a tutto e unto ma
non del Signore, che evocava
perfettamente il nostro recente passato e il sistema che
ci ha ridotti così, e dall’altra un
detonatore imborghesito ma
sincero della incazzatura nazionale. Pieno di contraddizioni, certo, ma “innocente”
per il passato. Con il merito di
aver comunque incanalato la
rabbia in una forma politicissima padroneggiando la violenza. Senza bacchette magiche, è vero, che comunque
non ha nessuno, sull’orlo di un
baratro economico sintetizzato da tutti gli indicatori e un
buco nero culturale di cui non
si parla mai. Per questo, comunque vada alle Europee,
Grillo ha già vinto: perché non
è un’invenzione del momento,
ma uno specchio in cui riflettere un’immagine che non ci
piace.
n
PIOVONO PIETRE
Due contendenti, una sola
logica: da seconda media
di Alessandro Robecchi
uò essere anche divertente sedersi su
P
un sasso, in alta montagna, e vedere
due stambecchi che si prendono allegra-
mente a cornate per il controllo di un cocuzzolo. Ma questo solo se siete in un documentario sulla natura, o in vacanza, per
cui a un certo punto spegnete la tivù, oppure raccattate lo zaino e tornate a casa.
Qui, invece, la battaglia dei due stambecchi
avviene per il controllo di un territorio che
sarebbe anche nostro, intesi come italiani,
e ha dei tratti peculiari assai sgradevoli.
La polarizzazione della campagna elettorale tra i due schieramenti principali (il Pd
renziano e il movimento grillino) nasconde infatti (parola sbagliata: non lo nasconde affatto) qualcosa di profondamente autoritario, la certezza che il dubbio non sia
utile. Insomma: i due stambecchi non si
limitano a offrire il loro affannato spettacolino, ma pretendono adesione incondizionata, tifo da ultras e arruolamento volontario. L’esercito grillino ha certezze
granitiche e incrollabili. Strano davvero
per un movimento post-ideologico che dice un po’ tutto e il contrario di tutto, che
propone (vagamente, va detto) un totale
ridisegno della società che in condizioni
storiche normali richiederebbe anni, idee,
uomini di immenso spessore e altre cosucce che evidentemente mancano. Eppure.
Eppure chi non ci sta, chi
non ci crede è nemico,
con il corollario di insulti e contumelie che conosciamo (è la superficie, certo, ma viene voglia di fermarsi lì). Un
impianto autoritario, insomma, forte del vecchio e frusto concetto del
“chi non è con noi è contro di noi”.
no: o ci stai o sei nemico.
O ci credi o tifi disastro.
Si aggiunge alla competizione tra i due stambecchi, e ne è un portato ovvio, il richiamo alla “vittoria” come unica cosa
che conta. Vinciamo noi,
no, vinciamo noi. Insomma, lotta maschia e scontro di ego dove il dubbio
rompe solo le balle, la
complessità è considerata una seccatura e la logica binaria (dentro/fuori, vincere/perdere)
è l’unica che conta. Bene. Piccolo appello
personale. Chi si è stancato di assistere alla
lotta a cornate può guardarsi intorno: magari il cocuzzolo offre piccole, minoritarie,
addirittura perdenti ma più dignitose forme di vita. Forse non egualmente potenti,
più aduse a frequentare il dubbio, più “sostenibili” e che non chiedono arruolamenti. Ecco. Guardarsi in giro, l’Europa e l’Italia sono abbastanza grandi, ci sono anche
altre idee, altre visioni del mondo, altri codici di comportamento che non pretendono adesione fideistica, adorazione del capo
o sanguinosi insulti a chi non ci sta o non ci
crede. La biodiversità è anche questo. Meglio sostenerla, prima che restino solo
stambecchi rabbiosi.
A CORNATE
Renzi e l’ex comico
genovese hanno
in comune una cosa:
chi non è con loro
non vale un accidente
Una noia colossale
alla parte dell’altro
D
stambecco, la cosa non è molto diversa. L’affermazione renziana (più volte ri-
petuta) che chi non sta con questo governo
non sta con l’Italia è un sillogismo molto
caro ai regimi autoritari. L’opposizione
(chi non crede alle ricette di chi governa)
non è considerata parte di una dialettica
politica, ma viene relegata tout court a “nemica della patria”. O stai con Matteo o sei
contro l’Italia, è il succo (al netto delle parole d’ordine da seconda media, tipo gufi e
rosiconi, che valgono come gli zombie
dell’altra parte, speculari anche in questo,
gli stambecchi), ed è un succo acido e indigeribile. Per esempio uno potrebbe pensare che flessibilizzare ancor più il lavoro
non faccia bene al paese, posizione legittima. O che governare insieme ad Alfano e
Giovanardi non sia un toccasana. Invece
@AlRobecchi
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
23
MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
Ambasciatore Bosio,
abbandonato in carcere
Caro ministro Mogherini,
sono un giornalista italiano che da oltre 30 anni vive
in Asia (principalmente in
Giappone). Vorrei parlare
della vicenda di Daniele
Bosio, ambasciatore italiano in Turkmenistan attualmente “sospeso dal
servizio” a seguito del suo
arresto, il 5 aprile 2014, nei
pressi di Manila. I reati che
avrebbe commesso sono
abuso e traffico di minori.
Come gravi sono le accuse
contro i due marò: omicidio, quanto meno colposo. Nel primo caso, sembra prevalere la presunzione di colpevolezza, nel
secondo quella di innocenza. Per non parlare del
trattamento: Bosio a marcire in una cella di 30 metri
quadri con 80 persone, i
marò ospitati presso una
foresteria della nostra ambasciata a New Delhi. Mi
appello a lei, ministro, non
come giornalista, ma come semplice cittadino italiano all’estero, preoccupato per la frequente inefficienza, superficialità e
incompetenza con le quali
le nostre autorità diplomatiche “assistono” i nostri connazionali che si
trovano nei guai all’estero.
Mentre molti condannati
possono usufruire delle
norme previste dalla Convenzione di Strasburgo e
da ulteriori accordi bilaterali per l’espiazione della
pena nel paese di origine, i
detenuti in attesa di giudizio sono, di fatto, abbandonati al caso. Ed è esattamente quello che è successo all’ambasciatore Bosio,
che pur non è uno sprovveduto e che un buon avvocato avrebbe potuto
permetterselo. Peccato
che ci abbia messo quasi
una settimana, prima di
trovarlo, perché quello
suggeritogli dall’Ambasciata era una civilista, che
si è limitata a suggerirgli di
firmare tutto quello che gli
chiedeva la polizia. Bosio
ha così firmato un foglio
pressoché illegibile che in
realtà conteneva la rinuncia all’habeas corpus. In
oltre 40 giorni di detenzione Bosio è stato visitato so-
lo 2 volte dal suo collega
accreditato a Manila,
Massimo Roscigno. La sua
salute è peggiorata, al punto che il giudice si è visto
costretto a disporne il ricovero in ospedale. Nel caso specifico, Bosio ha giustamente chiamato l’unità
di crisi, che gli ha dato tre
numeri. Quello dell’ambasciatore Massimo Roscigno, che squillava a
vuoto, quello del suo vice,
che era in vacanza, e quello
di un terzo funzionario,
responsabile del consolato, che aveva cessato le sue
funzioni da oltre un anno.
Restava il telefonino di
sulle pressioni dirette/indirette, minacce e sanzioni non funziona. Guai a
spingere contro un angolo
nazioni che dopo anni di
colonialismo si sono date
leggi e procedure formalmente ineccepibili. Né
l’India né le Filippine sono
paesi barbari e incivili e
più che stabilire chi ha torto o ragione sarebbe più
utile puntare sul negoziato diretto. Con Paesi come
l’India e le Filippine, da
sempre innamorati e comunque
rispettosi
dell’Italia, sarebbe stato
tutto più facile.
Poveglia,
l’isola
che non c’è più
CARO COLOMBO, abbiamo appena
appreso che un’isola veneziana, con i
resti di un bel palazzo che potrà diventare un grande albergo, è appena stata
venduta nella laguna di Venezia. Ma
l’Italia si può vendere?
Marcella
TUTTO L'EVENTO è strano, dal momento in cui c'è stato l'annuncio che l'isola sarebbe stata venduta all'asta, alla
risposta, generosa ma per forza inadeguata, di un gruppo di volontariato che
ha tentato di raccogliere fondi per vincere l'asta (e che ha raccolto un po' più di
160 mila euro). Ma strana è anche la
vendita affrettata dell'isola, ceduta a un
ben intenzionato privato per mezzo milione di euro, ovvero per il costo di un appartamento non lussuoso a Venezia. Come accade nella strana vita delle notizie
italiane, non c'è niente prima (nessuno
ha saputo in tempo e non c'è stata una
discussione politica da parte di nessuno,
sindaco di Venezia incluso) e non c'è
niente dopo, nel senso che non sappiamo
(e a quanto pare nessuno è interessato ad
accertare) che cosa succede quando un
privato diventa proprietario di un pezzo
sia pure piccolo di Paese, ovvero di un
frammento della Repubblica. Il territorio è ancora responsabilità e area di
competenza del sindaco, del prefetto?
Polizia e carabinieri, a parte gli eventua-
Pio d’Emilia
la vignetta
emergenza. Peccato che,
per ammissione dello stesso ambasciatore Roscigno, il funzionario di turno lo spegne “ad una certa
ora” della sera per non dover poi recuperare le ore
notturne. Non è abbastanza per avviare una immediata indagine? Il ministro
dovrebbe adoperarsi per
risolvere al più presto il
problema dell’inadeguatezza delle strutture e delle
risorse preposte alla tutela
dei cittadini italiani arrestati all’estero. Un problema più volte denunciato
sia da Amnesty International che da associazioni
nazionali come “Prigionieri del Silenzio”. L’internazionalizzione dei casi –
e mi riferisco anche a quello dei marò – puntando
Appello ai candidati,
ambiente prima di tutto
A tutti i candidati che in
queste settimane ci hanno
chiesto il voto, chiediamo
di non rassegnarsi a un
ruolo di testimonianza.
Per quello è più adatta la
società che non i Parlamenti. Da loro sono pretese azioni pragmatiche di
cambiamento, per le quali
sono autorizzati a fare politica, cioè a praticare anche l’arte del compromesso nei confronti di chi non
la pensa esattamente come loro. Purché qualche
risultato sia raggiunto. Le
affermazioni di principio
sono importanti, ma stanno a monte e vanno seguite dalla concretezza di pratiche utili alla riconversione verso nuovi modelli di
sviluppo sostenibile. Sono
necessari per l’Europa, per
le regioni, per i comuni:
ogni livello deve prendersi
cura del futuro e di chi verrà dopo di noi. Non si tratta della transizione economica che ha ormai decretato il fallimento dei modelli vigenti; parliamo di
quella ecologica, a cominciare dai cambiamenti climatici, primi lievi sintomi
di un malessere che ci riserva ben più preoccupanti conseguenze. Non ne
abbiamo sentito parlare in
campagna elettorale. Ed è
un compito che non può
essere assolto dalla sparuta e boicottata compagine
dei Verdi che in Italia
nemmeno ci è dato sapere
sia una delle possibili scelte per l’Europa. Solo tor-
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Consiglio di Amministrazione:
Luca D’Aprile, Peter Gomez,
Marco Tarò, Marco Travaglio
Il “buffo”, il “buffone”
e il vero pericolo
li mandati della magistratura, possono
andarci e verificare quello che si fa nell'isola che non c'è più? O è “territorio altro”? Non so se si può dire “straniero”,
però perché vendi un'isola a un privato
se tutto rimane come prima? Per esempio ci dicono che le regole e i vincoli comunali, lagunari e marittimi e le norme
sulle costruzioni restano in vigore. Possibile? Non ci vuole un trattato? E quelle
sul traffico da e per l'isola? Sono domande allo stesso tempo banali ed essenziali,
se è vero che il ministro Padoan (accento
sulla prima sillaba) pensa che la cosiddetta cartolarizzazione sia una buona
fonte (vendere un parco o una piazza)
ogni volta che manca all'ultimo momento la copertura di qualche nuova idea. Il
punto è se una volta avvenuta la vendita,
lo Stato c'è o non c'è. Se c'è, chi ha venduto che cosa? È come comprare una casa con dentro mobili e abitanti. Certo, si
chiama nuda proprietà, e si fa solo in certe circostanze, non, per esempio, con inquilini giovani e numerosi in casa. In
ogni caso, la nuda proprietà è una transazione privata, con i suoi diritti e le sue
regole. Ma in questo caso? L'isola, come
pezzo di territorio italiano, c'è ancora o
non c'è più?
Berlusconi definisce Grillo “pericoloso” e lo paragona ai peggiori dittatori
della storia. Renzi rintuzza: “Non votate per i buffoni”. Questi sono gli argomenti politici delle due
anime del partito unico.
L’ex Cavaliere ha inventato il porcellum, ha depenalizzato il falso in bilancio e ha dimezzato i tempi
di prescrizione dei reati finanziari. Ma chi, allora, è
davvero pericoloso? Matteo Renzi confonde una
persona buffa con un buffone. Aveva promesso a
Letta due anni di legislatura e agli italiani di fare le riforme costituzionali in 60
giorni. Promette tutto a
tutti, ma non è buffo.
Francesco Degni
DIRITTO DI REPLICA
Il nostro giornale, come i lettori ricorderanno, con una serie di articoli pubblicati nei
mesi scorsi si è occupato di vicende che hanno interessato alcune
società controllate dalla S.p.A. Banco di Desio e della Brianza, e loro dipendenti. Ne è insorta una controversia
con S.p.A. Banco di
Desio e della Brianza,
che si è conclusa amichevolmente con il riconoscimento che nella vicenda non si è registrata nessuna responsabilità.
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n. 42
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nando a porre al centro
dell’attenzione e del dibattito politico il futuro della
Terra sarà possibile evitare un collasso dell’umanità sempre più probabile e
vicino.
Melquiades
Expo, la “cricca” cresce
all’ombra dell’impunità
L’adeguamento al sistema di una parte delle persone che operavano nella
costruzione dell’Expo ha
permesso che la Città della salute venga costruita
su terreni avvelenati e che
il polo ospedaliero nasca
sulla ex area della Falk.
Maltauro afferma di essere stato costretto a pagare
1,2 milioni per adeguarsi
al sistema. Queste cose
accadono perché c’è la
certezza di diventare ricchi impunemente. La
prescrizione, oltre ad essere stata accorciata, continua a operare anche una
volta iniziato il processo.
La Germania ha 8500 corrotti in carcere, la Francia
6500. L’Italia, la nazione
più corrotta (60 miliardi
annui) ha però solo undici responsabili di questo
reato in galera. Eppure si
sente già parlare di provvedimenti che alleggeriranno la presenza nelle
carceri, d’altronde è l’Europa a chiedercelo. Bacone sosteneva che “chi non
applica nuovi rimedi deve essere pronto a nuovi
mali, perché il tempo è il
più grande degli innovatori”.
Marco Grasso
Riguardo all’articolo pubblicato a pagina 13 il
19/05/2014, sulle politiche
della Val di Susa e più precisamente sul contesto del
comune di Venaus, ribadiamo la nostra contrarietà alla costruzione del Treno ad alta velocità, come
descritto nel nostro programma elettorale.
Stefano Castaldini
Lista civica Venaus
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