casaleggio“piano inglese per letta e napolitano-bis”
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casaleggio“piano inglese per letta e napolitano-bis”
Arrestato Paolo Romano, presidente del consiglio regionale campano. Anche lui sta con Alfano, che rischia di battere il record degli inquisiti di Forza Italia y(7HC0D7*KSTKKQ( +&!z!,!$!= Mercoledì 21 maggio 2014 – Anno 6 – n° 138 e 1,30 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 dc LA RABBIA E LA PAURA di Antonio Padellaro eppe Grillo è andato da Bruno Vespa con B un’apparente contraddizione. Come condottiero della protesta più scatenata e più ostile a tutto il resto della politica italiana: “O noi o loro”. Ma anche con la faccia del leader in grado di governare la “rabbia buona” e per dimostrare “alla gente di una certa età che ha un pregiudizio su di me” di non essere “né Hitler né Stalin”. È riuscito a tenere insieme incazzatura e senso di responsabilità? Diciamo subito che ha fatto il pieno di ascolti, ma che nei quattro milioni e duecentosettantamila spettatori non c’erano solo fan del M5S o anziani da rassicurare, oppure gente incuriosita da un evento spettacolare (il comico più dissacrante a cospetto dell’anchorman più istituzionale, comunque incalzante), perché davanti alla tv c’erano soprattutto elettori ancora incerti che hanno aspettato lunedì sera per decidere sul da farsi. Quanti di questi Grillo ne avrà portati dalla sua parte lo capiremo solo la notte del 25 maggio, ma certamente ha fatto breccia ciò che gli viene di più rimproverato, e cioè l’insofferenza urlante verso chi ha riBeppe Grillo Dlm dotto l’Italia allo stremo: istituzioni, ministri, banchieri, corrotti e bancarottieri, sì tutti nello stesso mazzo perché la collera non fa distinzioni. Chi parla di mal di pancia fa finta di non capire cosa bolle nella profondità di una nazione, in quegli strati sociali massacrati dalla crisi che non credono più a una parola della politica tradizionale o nei compromessi: o noi o loro, appunto. Quel rancore rappresenta il propellente di un movimento che alle ultime elezioni ha raccolto quasi nove milioni di voti e non ha tutti i torti il capo a dire che, senza il frangiflutti grillino, la protesta avrebbe potuto esondare in una violenza di massa. Poi ci sono quelli che pensano di votare Grillo per dare un ultimo segnale all’immobilismo delle classi dirigenti, ma che lo faranno nel segreto dell’urna perché sotto sotto sentono che esiste un rischio nel lasciare troppo spazio a un fenomeno incontrollabile. È la paura su cui punta Renzi, convinto che il limite dei Cinque Stelle sia nella loro stessa forza dirompente che non ha altro programma di governo se non la conquista stessa del governo. Il premier sa benissimo che la sua vittoria è affidata al timore dell’avventura e dell’ignoto che suscita l’avversario, più che agli 80 euro o agli annunci di mirabolanti riforme. La rabbia e la paura: mai elezioni furono più emotive. Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 CASALEGGIO “PIANO INGLESE PER LETTA E NAPOLITANO-BIS” Il cofondatore del M5S al Fatto: “Sei giorni prima delle presidenziali l’ambasciata britannica chiese a me e a Grillo cosa pensassimo della rielezione del presidente e tentò di farci incontrare il futuro premier”. “Io e Beppe potremmo fare i ministri” di Marco Travaglio ALL’ULTIMO VOTO ra il 10 aprile 2013, una Grillo fa il botto settimana prima delle eleE zioni presidenziali”, racconta Gianroberto Casaleggio LaPresse Gianroberto Casaleggio al Fatto: “Eravamo Grillo, io e due nostri collaboratori. L’ambasciatore ci chiese di incontrare Enrico Letta, allora vicesegretario del Pd, che aspettava in un’altra stanza. Siccome rifiutammo, ci fecero salire al piano di sopra da una scala di servizio per pranzare con alcuni addetti dell’ambasciata, mentre l’ambasciatore restò a pranzo al piano di sotto con Letta. A un certo punto l’ambasciatore o il suo braccio destro ci domandò: che ne pensate della rielezione di Napolitano?”. » pag. 4 - 5 da Vespa: Renzi ora non sta sereno De Carolis, Palombi e Tecce » pag. 2 - 3 »L’INCHIESTA » I magistrati di Reggio Calabria: l’ex ministro “completamente asservito” a Lady Matacena Dossier, minacce e pedinamenti: tutti i segreti di Scajola “in love” Nelle carte della Procura la rete dell’ex senatore. Chiara Rizzo, estradata ieri, lo faceva impazzire: “Mandatemi un report su di lei”. La paura che rivelasse affari riservati con Billè “all’Orco”, che per i pm sarebbe Francesco Bellavista Caltagirone Con cui la donna “aveva una relazione extraconiugale” Fierro e Musolino » pag. 6 - 7 U di Silvia Truzzi DALLO CHAMPAGNE ALLE MANETTE » pag. 7 A sinistra, Claudio Scajola. Sopra, Chiara Rizzo Matacena in manette PROFONDO EXPO “Noi della cupola abbiamo chiesto mazzette per oltre 2 milioni” GUERRE VATICANE Le mille poltrone della premiata famiglia bresciana Bazoli & Gitti i può capire la “profonda S sorpresa” di Giovanni Bazoli, che si trova a 81 anni indagato e perquisito perché magistratura e Consob hanno deciso di vedere chiaro nelle sue tecniche di esercizio del potere finanziario. Milosa » pag. 8 Meletti » pag. 11 - 14 » NEL PALLONE Cei, chi rema contro papa Francesco Politi » pag. 22 Paparesta, l’arbitro vittima di Moggi, s’è comprato il Bari Cardone » pag. 18 LA CATTIVERIA Renzi: “In futuro pagheremo le tasse con un sms”. Berlusconi: “Io non ho campo” » www.forum.spinoza.it 2 DI CORSA MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 R edditi dei ministri Mancano il premier, Padoan e Guidi MANCANO SOLO 24 ore alla scadenza dei termini imposti dalla legge, ma quasi tutti i ministri del governo Renzi (o almeno quelli che non ricoprono anche la carica di parlamentare) ancora non hanno pubblicato la propria dichiarazione dei redditi sul sito del dicastero. Solo un ministro su sette (tra quelli che non siedono sugli scranni parlamentari, per cui la pubblicazione è automatica) hanno messo online la propria situazione patrimoniale, come prescritto dal decreto trasparenza voluto dal governo di Mario Monti. Eppure i novanta giorni di tempo dall’insediamento del il Fatto Quotidiano governo scadranno domani: per questo c’è da prevedere una corsa contro il tempo e non è detto che tutti ce la facciano. Il primo della lista è proprio il premier: la sua segreteria a Palazzo Chigi fa sapere che “c’è ancora tempo, ma potrebbero esserci slittamenti”. Oltre a Renzi, anche il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il ministro allo Sviluppo economico Federica Guidi, il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, il ministro per gli Affari Regionali Maria Carmela Lanzetta e il titolare dell’Ambiente Gian Luca Galletti ancora non hanno pubblicato il proprio Cud. L’unico tra i mi- GRILLO VINCE LO SHARE (E PREOCCUPA GLI AVVERSARI) IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO SI COMPLIMENTA PER LO SHOW. PER B. È “UN ASSASSINO” di Luca De Carolis A lla fine si è preso pure un mezzo complimento dell’avversario, quello a cui aveva pronosticato una fine politica da lupara bianca. “Da Vespa abbiamo visto due consumati professionisti, in senso buono, che hanno fatto uno show straordinario. Certo, poi però bisogna fare politica...”. Firmato Matteo Renzi, diretto a Beppe Grillo. Nel martedì del post Porta a Porta, tra numeri che raccontano di uno share da primati e la ressa di commenti, il capo dell’M5S ostenta modi e parole da vincitore. Voleva parlare al pubblico sopra i 50 anni, la tradizionale riserva di caccia di Berlusconi. E ci è riuscito, raccogliendo davanti alla tv milioni di persone. Pazienza per le obiezioni fitte di numeri e dati di Vespa, chi se ne importa degli inciampi in diretta. “È andata benissimo” assicurano dallo staff di 5 Stelle, mentre il blog di Grillo celebra lo share “impressionante”, “il botto”. “La nostra gente sulla rete è contenta, e qualche altro voto lo avremo sicuramente guadagnato” riassume un parlamentare. Deve essere anche il sospetto di Berlusconi. Perché di prima mattina il Caimano spara come mai aveva fatto contro Grillo: “È un pregiudicato, un assassino che ha ucciso con colpa tre amici”. Aggiunge: “Se non lo pagavano in nero non faceva spettacoli”. Un attacco senza guantoni a chi, sbarcando da Vespa, ha invaso il suo territorio. Grillo replica presto: “Berlusconi dà a me dell’evasore? Faremo una seduta spiritica, gli parlerò attraverso un medium. È un pover’uomo”. Quasi lo snobba. Uno dei tanti corollari dell’ennesima, lunga giornata del Grillo elettorale. IL LEADER DELL’M5S appare nei pressi della Camera poco dopo le 10.30. Deve presenziare al Restitution Day in piazza Montecitorio: la consegna al fondo per le pmi di un assegno da 5 milioni e 400 mila euro, ricavati da diarie e indennità non spese dei parlamentari (quello Davanti all’ ascensore, si rivolge ai commessi: “Quando verremo qui ne licenziamo un pò di queste persone”. “Una battuta scherzosa a un commesso con cui ha confidenza”, stando allo staff di M5S. “Una battuta di cattivo gusto” secondo Laura Boldrini, che condanna con nota. La certezza è che Grillo passa qualche minuto su un divano, a conversare con deputati e senatori. “Da Vespa è andata bene” ribadisce. Racconta dell’sms della moglie, lunedì notte: “Quelli che ti amavano ti vorranno ancora più bene, mentre quelli che ti odiavano ti odieran- no ancora di più”. Partono battute. “Abbiamo regalato una terza vita a Vespa” ride forte Grillo. Pochi minuti dopo è in piazza Montecitorio, sotto un sole equatoriale. Firma l’assegnone, si mette in posa. Poi si concede alle domande. Parla, a lungo: “Per noi sarà una marcia trionfale, mentre per Renzi questi sono gli ultimi giorni di Pompei, lui è solo un ragazzo mandato allo sbaraglio”. Disegna il post-voto: “Se vinciamo le elezioni europee andremo pacificamente sotto il Quirinale per chiedere le dimissioni del presidente della Repubblica. Questa presidenza è delegittima- Grillo e i parlamentari M5S restituiscono 5,4 milioni dei loro stipendi davanti a Montecitorio Ansa RILANCIO SUL COLLE “Se vinciamo le Europee andremo pacificamente sotto il Quirinale per chiedere le dimissioni del capo dello Stato” che aveva già mostrato da Vespa). Appena sceso dal taxi, si infila a sorpresa in un bar. Le telecamere lo inseguono dentro il locale. Lui rispunta fuori, e contrariamente alle (ultime) abitudini risponde ai cronisti. Camicia estrosa, occhiali da sole, pare calmissimo. Lo portano negli uffici di 5 Stelle, per un incontro preliminare con i parlamentari. ALLA CASSA ta e non ce andremo più via da lì finché non si dimette”. Da Berna, il capo dello Stato risponderà così: “C’è libertà di parola”. Grillo precisa: “Se si va alle Politiche avremo già pronta la squadra di governo”. Poi riparte, verso Pescara. NEL POMERIGGIO è davanti al 4, 278 27, 4 8 % MILIONI DI SHARE NEI SPETTATORI 60 MINUTI tribunale, assieme a Luigi Di Maio, per la messa all’asta della casa di un imprenditore, a cui Equitalia avrebbe pignorato la casa (l’ente nega in un comunicato). Folla enorme. Ma all’asta non si presenta nessuno. E lui annuncia: “Faremo una colletta per pagare i debiti di quest’uomo”. Quindi sono bordate con- tro Equitalia, di cui M5S chiede l’abolizione con apposito ddl: “È l’usura dell’anima, un baraccone che va chiuso. Impediremo tutte le aste delle case pignorate”. In serata, comizio in piazza 1° maggio. Grillo sale sul palco canticchiando un motivo blues, suonato dal gruppo di spalla. In maniche di camicia, attacca: “Da Vespa non ho voluto infierire, lì hanno il pubblico pagato. Questa è una rivoluzione felice, sono stato da lui senza vomitare”. Scherza: “Io non su un capo, sono solo un garante, mi rottamerete”. Esagera, ringhiando all’operatore di Sky: “O riprendi la folla o tiri giù la telecamera”. Poi se la prende con il sindaco, per i lampioni spenti: “Mascia, Mascia, potevi lasciare un bel ricordo”. Oggi sarà a Firenze, ilcampo avversario. Twitter @lucadecarolis DIETRO LE QUINTE Beppe ringiovanisce il pubblico di Vespa di Carlo Tecce runo Vespa gongola. Beppe Grillo pure. Il B siparietto di Porta a Porta, a tratti ruvido, a tratti concitato, ha attirato un pubblico inedito diatico. Lunedì sera, anche Berlusconi (su Rete 4) e Renzi (su La7) si sono esibiti. L’ex Cavaliere ha tenuto basso l’ascolto di Quinta Colonna, 4,49%, più o meno la media della puntata. Il premier ha spinto Piazzapulita al 4,6 durante il confronto con Corrado Formigli. vocato i tempi andati (non s’incrociavano in diretta da 31 anni) e l’ex comico ha offerto ai presenti un’imitazione di Biagio Agnes, irpino, ex direttore generale, scuola di Ciriaco De Mita: “Ha raccontato le telefonate, le raccomandazioni prima di una diretta, diceva ‘noi ci siamo sempre stimati’...”. Appena le trattative per far sedere Grillo su quelle tanto criticate poltroncine bianche sono cominciate, Vespa ha capito le intenzioni e le esigenze del fondatore del Movimento: “Se fosse stato distante da Renzi e dai democratici, non sarebbe venuto. Quelli del vaffaday non bastano. Ma aveva bisogno di sfruttare la nostra platea, composta da- per i sessanta minuti su Rai1. Inedito perché di quantità elevata se paragonata a una serata tradizionale o a un’ospitata di Silvio Berlusconi e QUANDO LE TELECAMERE stavano per sfumare Matteo Renzi: 27,48% di share, 4,278 milioni di l’ultimo segmento, s’è intravista la stretta di mano, telespettatori, picchi di quasi 5 milioni e una cre- molto naturale, fra Grillo e Vespa, sintesi simboscita costante fra ingresso e commiato. Vuol dire lica di un duello che non ha segnalato invasioni di che il telecomando non ha ricevuto frenetici im- campo e ribellioni a un ipotetico sistema di regole pulsi. e di buon comportamento. Spenti gli obiettivi, VeInedito perché gli italiani che guardano Porta a spa e Grillo hanno chiacchierato Porta, di solito in maggioranza pensionati e ca- per una decina di minuti nella salinghe, distribuiti fra Lombardia, Campania e stanza del giornalista. Lazio, sono ringiovaniti, un pochino, ma va re- Il conduttore ha parlato di rimgistrato: afflussi consistenti da Puglia, Molise, patriata, incontro fra professioSardegna e Veneto, in aumento la quota fra i 24 e nisti. Assieme ai collaboratori di i 44 anni. Non esiste e non resiste il confronto con Grillo, agli autori di Porta a Porta, l’ex Cavaliere, ultima apparizione il 24 aprile pri- a Giancarlo Leone (direttore di ma di ritornare stasera: 1,4 milioni di italiani e Rai1), Vespa e Grillo hanno riegrafico minuto per minuto che comincia in impennata e finisce in caduta libera. Renzi ha anticipato Grillo di un mese, il 19 NUMERI aprile, e si difese con un buon Aumenta la quota di spettatori 18,16% (1,8 milioni), ma il ragazzo di Firenze è sovraesposto tra i 24 e i 44 anni. Fuori onda, il comico PROTESTA In Rai manifesti contro Renzi (giovedì a Porta a Porta) e non provoca più l’evento me- ricorda i vecchi tempi e imita Biagio Agnes gli indecisi, da quelli che vanno a votare all’ultimo e hanno trascinato alla vittoria sia Romano Prodi che Silvio Berlusconi. Direi che sono spettatori e votanti decisivi”. All’euforico Vespa, che soltanto un anno fa veniva premiato con il microfono di legno dal Blog, è persino piaciuto il plastico-prigione, il castello di Lerici planato nel cortile di via Teulada: “Non poteva entrare in studio perché dovevamo fare un colloquio giornalistico e non uno spettacolo, così ci siamo accordati per quella soluzione, e penso che sia venuta bene”. Per raggiungere il terzo piano, Grillo ha utilizzato l’ascensore e dunque non ha ammirato i volantini, disseminati a ogni pianerottolo, che chiamano alla protesta contro Renzi, che ritorna domani pomeriggio da Vespa. Gli organizzatori temono che il presidente del Consiglio possa nascondere un progetto per indebolire e poi svendere la televisione pubblica. Lo raffigurano con forchetta e coltello a gambe levate verso le torri di Rai Way e la bavetta con la scritta “bravo bimbo”. Uscendo da via Teulada, Grillo ha sfiorato l’argomento Rai e ha ripetuto che gli sprechi vanno ridotti, ma che va impedito a Renzi l’applicazione di un disegno distruttivo, cioè nessuna cessione di quote di Rai Way. A Grillo è bastata una notte per rivalutare Vespa, l’azienda pubblica e farsi scrutare da 4,3 milioni di italiani, tanti pensionati. Chissà se questa notte sarà determinante per il risultato di domenica. O sarà soltanto un bel ricordo per Bruno&Beppe. DI CORSA il Fatto Quotidiano nistri non parlamentari ad avere messo tutto online è il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina (102 mila euro). Galletti, che pure non ha ancora pubblicato nulla, ha inviato il proprio Cud a il Fatto Quotidiano: 137.353 euro, questo il suo reddito per il 2013. I due membri del governo che, con ogni probabilità, risulteranno più facoltosi sono Padoan e Guidi. I loro ministeri, Economia e Sviluppo, han- C he sia affaticato è normale: gira come una trottola da settimane. Che questo lo renda a volte meno brillante è fatto che consegue direttamente dal primo. Che invece quella macchina da comizio e da tv che è Matteo Renzi - per di più da presidente del Consiglio - affrontasse una campagna elettorale non riuscendo a dominarla e senza dettarne l’agenda è abbastanza sorprendente. Gli manca, ad oggi, il colpo d’ala: il “derby tra la paura e la speranza” non funziona. Di più: questo duello a due con Beppe Grillo - stante la fine del ciclo politico e antropologico di Silvio Berlusconi - finisce per penalizzarlo, soprattutto dopo lo scandalo Expo. IERI, PER DIRE, è stato costretto a inseguire il comico genovese sul tema della tenuta governo: “Non c’è mai stato in nessun Paese europeo un collegamento tra il risultato delle elezioni eu- fatto a mano Alessio Schiesari La solitudine di Renzi trincerato al governo IL PRIMO MINISTRO CANCELLA IL PD E VA ALLO SCONTRO PERSONALE ORA PERÒ NON CONTROLLA L’AGENDA ED È SULLA DIFENSIVA: “L’ESECUTIVO VA AVANTI IN OGNI CASO, LE ELEZIONI SONO SULL’EUROPA MICA SU DI ME” ropee e il governo”. Queste elezioni, dice Renzi, “sono un derby tra chi crede che l’Italia debba contare in Europa e chi crede siano un sondaggio per la politica nazionale. Io credo che questo sondaggio lo vinciamo, ma spero che gli italiani vadano a votare per l’Europa”. Eppure aver impostato tutta la propaganda del Pd sulla sua figura di capo del governo è stata una scelta precisa di Renzi stesso. Il titanismo dell’ex sindaco, a cui piace rappresentarsi in guerra con l’invisibile nemico della conservazione, funziona assai meno se il suo bersaglio è Beppe Grillo. La rottamazione non funziona più: per la prima volta la sua campagna non può basarsi soprattutto sull’attacco ai dinosauri del suo partito, non può rifulgere sulla pochezza, la compromissione, i fallimenti altrui. Il dinosauro, per i tempi rapidissimi della politica spettacolo, è diventato lui: “Loro insultano, noi governiamo”, è stato lo slogan ripetuto nei molti appuntamenti di ieri. Una roba alla Romano Prodi. Il dato politico, alla fine, è che nonostante non ci sia il suo nome nel simbolo del Pd - come Renzi continua a ripetere - il partito è scomparso dai radar: “Con lui a Palazzo Chigi si sta appannando, si sta destrutturando. Andando in giro trovo gruppi di amici, ma il partito vero e proprio fatico a trovarlo”, come dice Massimo D’Alema. La semiologa A MEDIASET Renzi, ieri, con Confalonieri e la D’Urso Ansa Lui e Bersani, d’altronde, sono relegati a fare campagna lontano dai riflettori, alle cene di finanziamento, coi candidati sindaco, mai insieme al premier. MATTEO RENZI è solo in cam- pagna elettorale. Di più: le proposte del partito e le figure dei candidati sono appannate dietro uno schema comunicativo che punta tutto su quel che il governo ha fatto, sta facendo, farà: è ovvio - anche visto che questo esecutivo è nato con un accordo di palazzo - che sia un referendum su di lui, lo stesso premier ha fatto in modo che lo fosse. Attorno a lui - a fargli da corona e a dimostrare che nessun uomo può essere un’isola, ma magari un arcipelago sì - solo la ministro Maria Elena Boschi, la vicesegretario democratica Debora Serracchiani e le cinque capo- Carlo Freccero “Un buon comizio Conosce il mezzo” anno vinto tutti e due, H perché Vespa ha avuto il suo share enorme e Grillo ha parlato a un pubblico maturo, over 50, quello che di solito non incontra”. Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e teoria dei linguaggi all’Università di Bologna, non vede sconfitti nel Porta a Porta di lunedì. Grillo è parso in difficoltà davanti alle obiezioni con numeri e dati di Vespa. Grillo fa spesso confusione sui dati, perché ne ammassa tanti. Ma proprio perché ne ha citati tantissimi, ha prevalso l’impressione complessiva: quella di una persona che ha studiato, che ci ha messo il naso. Quanti saranno andati a controllare se una data cifra era giusta o sbagliata? Quindi se l’è comunque cavata. Sì, perché ha usato bene la retorica dei dati, una tecnica di comunicazione tipica di Renzi. 3 no promesso che la pubblicazione avverrà entro i termini stabiliti dalla legge. Tra gli altri ministri, quello con il reddito più alto è Federica Mogherini con 131 mila euro. Gli altri, tra cui Lupi, Pinotti, Lorenzin e Franceschini, dichiarano tutti tra i 90 e i 105 mila euro, più o meno l’equivalente dello stipendio da parlamentare. di Marco Palombi Giovanna Cosenza MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 A un certo punto, Vespa ha intimato: “Questo non è un comizio”. Di fatto lo è stato, perché Grillo ha usato lo stile tipico del comizio: non guardava quasi mai in camera o in direzione del conduttore. Si rivolgeva al pubblico in studio, spettatori e giornalisti, per mostrarsi senza filtri. Nessun politico parla in tv come ha fatto ieri Grillo. Ha sottolineato di non aver detto parolacce. Nelle interviste non lo fa mai. Usa termini forti solo sul palco, adoperando quelle che definisco parolacce da satira. Con i giornalisti ricorre sempre a un altro registro. C’è chi ha parlato di evento. È stata una serata molto interessante, perché l’ospite era sullo stesso piano del giornalista: conosceva il mezzo, la tv, esattamente come lui. Grillo l’ha voluto dimostrare dall’inizio, con la battuta sul pubblico pagato da una società. Lunedì sera Cinque Stelle ha conquistato voti tra il pubblico “maturo”? Si vedrà. Le campagne elettorali si decidono nell’ultima settimana, e alle urne manca ancora qualche giorno. Grillo ha portato a casa il risultato che voleva, ma quantificarlo non è davvero possibile. LA TECNICA Non guardava quasi mai in camera o in direzione del conduttore. Si rivolgeva al pubblico in studio per mostrarsi senza filtri l.d.c. liste donne scelte dallo stesso one man band: Alessia Mosca (Nordovest), Alessandra Moretti (Nordest), Simona Bonafè (Centro), Pina Picierno (Sud) e Caterina Chinnici (Isole). Non proprio un cast in cui la figura del premier rischi di essere appannata. Questa strategia, però, è magari l’unica possibile per non snaturare Renzi, ma di cer- PANICO VIA SMS Un messaggio arrivato ieri pomeriggio a tutti i deputati misura l’ansia dell’ex sindaco: “Tutti impegnati, senza eccezioni” to è assai rischiosa per il governo che dirige. La sicurezza delle prime settimane ha lasciato il passo ai dubbi. È così che si arriva al “tra Europee e governo non c’è alcun collegamento” scandito ieri in tv dal premier. E pure al “un punto sopra Grillo per noi è comunque un successo perché alle politiche eravamo pari”, messo a verbale - anonimamente - da uno dei suoi. Massimo Cacciari, ieri su Radio 24, l’ha messa in tutt’altro modo: “Se il Pd dovesse perdere con Grillo e anche se ci fosse una situazione di pareggio con il M5S è chiaro che Renzi scomparirebbe dalla scena”, “si aprirebbe una crisi enorme e difficilmente governabile anche da un genio della politica come Napolitano”. ANCHE NEL PD disgregato, umiliato, cancellato dal discorso pubblico dal suo stesso capo cominciano ad essere preoccupati: lo scambio a cui molta parte della classe dirigente ha dato silenzioso assenso tra perdita di peso politico e successo elettorale rischia di non funzionare. Ora qualcuno, di certo, aspetta il cadavere di Renzi sulla riva del fiume, altri semplicemente non sanno che fare: dai sondaggi che girano sui tavoli dei vari partiti, infatti, sembra che Grillo abbia smesso di pescare nel bacino del Pd e abbia preso a farlo in quello assai più appetibile in libera uscita dal berlusconismo (il crollo di Forza Italia, peraltro, trascinerà con sé anche le raffazzonate riforme costituzionali). Non solo: al Sud i democratici continuano ad andare male. Quanto siano preoccupati al Nazareno - retto dal renzianissimo vicesegretario Lorenzo Guerini - lo testimonia l’sms inviato ieri pomeriggio a ogni singolo parlamentare Pd: “Tutti impegnati in campagna elettorale, senza eccezione alcuna”. Chiude lo stesso Renzi in serata: “Mancano quattro giorni, bisogna fare uno sforzo pazzesco”. Esperto di tv “Geniale, ha fatto come Berlusconi” è stato senza dubbio un C’ match, anche se è stato un dialogo tra sordi. Si è ca- pito perché Grillo non può andare ai talk: non può rispondere a domande che non corrispondono ai suoi contenuti. Grillo è già fuori a quello che si intende come politiche per le larghe intese. Alle domande non si può rispondere ma solo contestare ed è questa la cosa interessante. Ho capito anche perché Grillo si predispone al monologo e non al dialogo”, questa è l’impressione di Carlo Freccero, già direttore di Rai2 e Rai4, intervenuto durante la trasmissione del sito del Fatto. “Detto questo, io sono rimasto molto soddisfatto, rido molto di voi giornalisti che vi scandalizzate delle battute di Grillo, perché a forza di contenervi è successo che il pensiero critico si sia spento da tempo. Ben venga Grillo che riesce a far riavvicinare queste tematiche al grande pubblico. Soprattutto vorrei dire che Grillo manca di teoria, ma nel deserto attuale della politica anche le sue battute possono essere meritevoli”. Hai visto Renzi in tv questi giorni? Ripete le stesse cose ormai da un po’ di tempo. Si è con- LA STRATEGIA C’è stato senza dubbio un match, anche se è stato un dialogo tra sordi. Si è capito perché l’ex comico non può andare ai talk sumato tranquillamente. Mi sembra il figlio di Berlusconi. Porta a Porta è stata la scelta giusta da parte di Grillo per tornare in televisione? Geniale, ha copiato Berlusconi con Santoro. Qual è la differenza tra Berlusconi da Santoro e Travaglio e Grillo da Vespa? Berlusconi ha giocato tutto contro Santoro. Tanto è vero che nella mente collettiva si è fissato il gesto della sedia con Travaglio. Invece Grillo da Vespa è stato come due vecchi colleghi che si ritrovano dopo tanto tempo e tante schermaglie. Come il film di Fellini sulla tv. Ha notato che in questa campagna elettorale si rincorrono tanto i leader in tv? Sì, è triste e curioso perché è una tv ancora più rinforzata e tutti i nuovi media fanno il coro greco della tv. 4 L’intervista “Se vinciamo io e Grillo pronti a fare i ministri” Gianroberto Casaleggio di Marco Travaglio L’ appuntamento è per le 17 di lunedì, a Milano, negli uffici della Casaleggio Associati. Le domande sono in parte mie e in parte raccolte sulla mia pagina Facebook (1200 in una giornata). Ecco una sintesi della lunga conversazione di due ore davanti alle telecamere de ilfattoquotidiano.it, che oggi la metterà in Rete in versione integrale. legge di iniziativa popolare (fuori i condannati definitivi dal Parlamento, limite massimo di due mandati, ripristino delle preferenze nella legge elettorale): se Prodi e Veltroni le avessero accolte avrebbero dato la svolta al Pd e al sistema politico. Ma dopo il V-Day i giornali, soprattutto di sinistra, ci trattarono come una via di mezzo fra dei mangiatori di bambini e una setta satanica. Per me, già nella Prima Repubblica, i partiti avevano lo stesso peccato originale di oggi: destra e sinistra erano superate, non mi riconoscevo in nessun simbolo. Però mi piacevano alcuni personaggi politici di quel periodo, come Ugo La Malfa ed Enrico Berlinguer. In questi dieci anni avete litigato spesso? Gianroberto Casaleggio, per chi votava prima che nascessero i 5Stelle? E nella Seconda Repubblica? Ho avuto un rapporto di stima e di collaborazione con Di Pietro. Prima che nascesse il M5S non c’era alternativa: non perché Di Pietro fosse di destra o di sinistra, ma perché propugnava la legalità in politica. Guardi lo scandalo di Expo: dov’è la destra e dov’è la sinistra? Uno ruba con la mano destra, l’altro con quella sinistra. Sono tutti ambidestri e ambisinistri. Lei s’è candidato una volta in vita sua: non in M5S, ma – si dice – in una lista vicina a FI. Vero che non mi candido, falso che l’abbia fatto con un berlusconiano. Lo feci a Settimo Vittone, il paese dove vivo vicino a Ivrea, in una lista civica fondata da una persona che conoscevo e di cui mi fidavo, Vito Groccia, un signore di origini calabresi: mi chiese di entrare in lista per dargli una mano. Non feci campagna elettorale, non avevo tempo, lavoravo a Milano: infatti presi 6 voti. Mai sentito dire che fosse un berlusconiano. Quando è uscita questa balla, lui era già morto, allora ho parlato con i suoi due figli, che hanno smentito qualunque sua vicinanza, simpatia o iscrizione a Forza Italia. È uno dei tanti presunti scoop che i giornali hanno inventato su di me, senza verificare la veridicità della notizia. Ne ho raccolte un bel po’, di queste diffamazioni, in un libretto: Insultatemi. Esistono gruppi pagati dai partiti per diffondere messaggi virali contro me e Grillo. È la stessa accusa che molti rivolgono a voi. Ma noi non abbiamo bisogno di farlo, perché i nostri messaggi sono virali di per sé, dunque veri, e si diffondono da soli. Quelli degli altri, palesemente falsi, hanno bisogno di un supporto di truppe àscare, pagate magari 5 euro al giorno. Grillo quando e come l’ha conosciuto? Dieci anni fa Beppe lesse un mio libro, Web ergo sum, dedicato allo sviluppo della Rete nella società. Mi chiamò e chiese di incontrarmi. Io l’avevo visto una sera al teatro Smeraldo: entrava sul palco vestito da Savonarola e spaccava i computer. E mi ero domandato: ma con tutta la roba che c’è da spaccare, proprio i computer? Quando lo incontrai, gli proposi di aprire un blog, che all’epoca era ancora una cosa per iniziati. Lui accettò e il blog partì nel gennaio 2005. E quando avete deciso di passare dalla Rete alla politica? Ce l’hanno imposto la Rete e l’opinione pubblica. Il primo V-Day, l’8 settembre 2007, scatenò un’ondata di email, lettere, messaggi che ci spingevano a entrare in politica. Grillo però sperava ancora di cambiare il centrosinistra: consegnò a Prodi una serie di proposte programmatiche raccolte sul Web; e tentò di partecipare alle primarie del Pd. Sì, Prodi fu molto gentile, ricevette Grillo a Palazzo Chigi, gli disse che avrebbe distribuito la cartellina con le nostre proposte ai vari ministri e sottosegretari, poi però la cosa finì lì e non lo sentimmo più. Era un tentativo di vedere le loro carte: se il centrosinistra faceva proprie le nostre idee, a noi andava bene così, non ci interessava chi le portava avanti. Ma la risposta fu il muro: quando Beppe s’iscrisse al Pd ad Arzachena, gli fu negato l’accesso alle primarie con la motivazione che era ‘ostile’. Fassino gli disse che il Pd non era un taxi e che Grillo, volendo, poteva provare a fare un partito. L’abbiamo accontentato. Al primo V-Day raccogliemmo 350 mila firme per tre proposte di Quanti post del blog sono suoi e quanti di Grillo? Sono tutti nostri. Ci sentiamo sei-sette volte al giorno per concordarli, poi io o un mio collaboratore li scriviamo, lui li rilegge, e vanno in Rete. Quasi mai. Quindi qualche volta sì. È impossibile pensarla allo stesso modo in dieci anni. Su che cosa avete litigato, per esempio? Non mi viene in mente. È più facile che venga in mente a lui. Grillo, nel suo giro elettorale in Toscana, ha parlato di “peste rossa”: è vero, come dice Berlusconi, che gliel’ha suggerita lei leggendo i discorsi di Hitler? Hitler non c’entra. Da appassionato di storia, stavo leggendo un libro sulla ‘morte nera’, il flagello che colpì l’Europa nel '300 portato dai mercanti genovesi provenienti dalla Crimea e sbarcati a Messina: di lì, attraverso le pulci parassite dei ratti, la ‘peste nera’ o ‘morte nera’ dilagò in Italia e nel continente e cambiò l’economia europea. Io l’ho raccontata a Beppe, anche perché vedevo analogie con l’economia attuale, e lui l’ha tirata fuori in Toscana in versione ‘rossa’, credo pensando a disastri tipo il Montepaschi. Le capita mai di trovarsi in imbarazzo per le sparate di Grillo? Abbiamo provenienze, stili e linguaggi diversi. Lui è un artista, io un manager. Ma in imbarazzo no, non mi sono mai trovato: il suo linguaggio non può essere regolamentato, altrimenti non potrebbe proprio parlare in pubblico. Ma ormai Grillo è un leader politico e deve accettare di essere preso sul serio quando parla: troppo comodo l’alibi del linguaggio comico. Indipendentemente dal ruolo che ha, ognuno è responsabile delle cose che dice. Ma, se usa dei toni forti per esprimere un’opinione, bisogna concentrarsi sull’opinione, non sul tono. Beh, quando dice “io sono oltre Hitler”... È una difesa verbale da chi gli dice che è come Hitler. Abbiamo postato il discorso all’umanità di Charlie Chaplin: anche lui era oltre Hitler. Lei dice che si preparano dossier contro di lei: sicuro che non siano paparazzi a caccia di gossip? Non confondiamo. A parte il fatto che fotografare il campanello di casa mia o scrivere dove mio figlio va a scuola non è gossip, è intimidazione, e dovrebbe essere proibito, i dossier sono altro. Io, per esempio, ero nella lista Tavaroli (il capo della Security di Telecom ai tempi di Tronchetti, poi condannato a Milano, ndr): credo risalisse alla mia vecchia esperienza in Telecom, era un ‘attenzionaggio’ per vedere se c’era qualcosa su di me. Ma né io né Grillo abbiamo paura dei dossier. Stiamo rompendo le palle al sistema da quasi dieci anni: se avessimo anche un solo scheletro nell’armadio, sarebbe già venuto fuori e noi saremmo da qualche altra parte, o in esilio o in galera. Spesso vengono create, raccolte e diffuse informazioni false ad arte per screditarci, e questa non è opera di ragazzini: ma di grandi gruppi editoriali. Lei quanto guadagnava prima che nascesse il M5S? E oggi guadagna di più o di meno? Per me, come manager, la nascita del Movimento è stata una sconfitta, perché un manager lavora per fare profitti. Da quando dedico gran parte del mio tempo al M5S, faccio meno profitti di prima. Il M5S è nato nel 2009, e fino ad allora, pur essendo nata solo nel 2004, la Casaleggio Associati viaggiava sul milione di euro di utili all’anno. Risultato mai più raggiunto dopo, anzi superato alla rovescia due anni fa, nel senso che abbiamo perso soldi. Così, pur essendo entrambi contrari, per evitare di chiudere la società, con Beppe decidemmo obtorto collo di accogliere sul blog la pubblicità. Che tra l’altro è veicolata da Google e da altri soggetti: noi cerchiamo di filtrarla, evitando per esempio la pubblicità delle banche... Però ne avete pubblicate alcune del gioco d’azzardo. Può darsi ne sia sfuggita qualcuna, contro la nostra volontà. La Casaleggio Associati nel 2012 registrò un utile di 69.500 euro. Ora con la pubblicità siete risaliti: la pubblicità viene stimata dal Sole 24 Ore in 5 euro a clic, e da Repubblica in 0,64. Secondo il Sole in un anno avreste incassato 5-10 milioni, secondo Repubblica 570 mila euro. Chi ha ragione? L’ordine di grandezza è quello di Repubblica. Il Sole non sa di che sta parlando: qualunque operatore sa che quei dati milionari sono assurdi. Lei ha anticipato che quest’anno, nel bilancio che uscirà a luglio, i conti sono molto migliori del 2013. Non sarebbe giusto pubblicare quelli del blog separati da quelli di Casaleggio Associati? Parlare del blog è riduttivo, perché noi ci occupiamo di tutta la comunicazione in Rete del Movimento: i social media, il sito del M5S (che non contiene pubblicità), e poi tutte le applicazioni sviluppate e gestite da noi (la più nota è quella delle ‘presidenziali’ per far scegliere agli iscritti il nostro candidato al Quirinale). Ecco, tutta questa attività è in perdita: dai 500 ai 650 mila euro. Ma non abbiamo mai chiesto un euro né al M5S né ai finanziamenti pubblici. Lei è mai stato massone? No. Perché a un tratto avete cambiato rapporto con la tv? Prima era morta, ora lei va dalla Annunziata e Grillo da Vespa. Avevate preso una cantonata? Nessuna cantonata. Penso che tv e giornali abbiano poco da vivere. Le prime sette emittenti italiane nel 2012 hanno perso 500 milioni di euro, quest’anno è possibile che scendano a 7-800 milioni: durano finché qualcuno le finanzia. La pubblicità sta emigrando altrove, prevalentemente in Rete. Nel medio e lungo termine la tv è condannata. Comunque la nostra repulsione non era verso la tv in quanto tale: quel che abbiamo cercato di evitare erano i talk show dove non è chiaro di che si parla e vince chi strilla di più. Infatti chiediamo di poter parlare di un tema preciso, con persone mediamente competenti, altrimenti decliniamo. Ma Vespa è l’apoteosi del vecchio talk: perché non interpellare la Rete per questa svolta radicale? Uno vale uno, o c’è uno che vale più di uno? Non possiamo fare un referendum al giorno su ogni cosa che facciamo. Sulle cose importanti è giusto interpellare la Rete: come abbiamo appena fatto, con l’aiuto del professor Aldo Giannuli, votando la nostra legge elettorale che presenteremo a breve, prima delle Europee. L’hanno discussa e votata 100 mila persone. L’Italicum se lo son scritto Renzi e Berlusconi al Nazareno, di nascosto. La vostra è una proposta di forte impronta proporzionale: se non prendete il 51%, sarete costretti ad allearvi con altri. Noi non rifiutiamo le alleanze in quanto tali, ma solo se ci obbligano a sposarci per corrispondenza con uno che non conosciamo: io voglio vedere se la convivenza è possibile. Prima voglio conoscere l’altro, poi se mi piace me lo sposo. Se il mio programma è antitetico a quello dei partiti, che faccio: pur di allearmi prendo in giro i miei elettori? Ma così gli altri partiti continueranno a mettersi insieme e a tenervi fuori, anche se arrivate primi. Finché spariranno. Non è che possono bloccare il cambiamento per sempre, facendo massa critica. Al momento è facile prevedere che, se vinceremo le Europee con un buon margine, torneranno le Programma? Pagamento debiti dello Stato in 60 giorni; diminuzione della tassazione sul reddito d’impresa con adeguamento alla media europea; defiscalizzazione degl’investimenti; chiusura di Equitalia; sconti per assunzioni dei giovani under 35; diminuzione dell’Irap il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 5 SUL SITO A destra, Gianroberto Casaleggio e Marco Travaglio. Il video dell’intervista sarà trasmesso oggi sul sito del fattoquotidiano.it Ansa Roma. Era il 10 aprile 2013, una settimana prima delle presidenziali. Eravamo Grillo, io e due nostri collaboratori. L’ambasciatore ci chiese di incontrare Enrico Letta, allora vicesegretario Pd, che aspettava in un’altra stanza. Rifiutammo. Allora ci fecero salire al piano di sopra da una scala di servizio per pranzare con alcuni addetti dell’ambasciata, mentre l’ambasciatore pranzava al piano di sotto con Letta. A un certo punto l’ambasciatore o il suo braccio destro ci domandò: voi che ne pensate della rielezione di Napolitano? Poi, quando due settimane dopo ci trovammo Napolitano rieletto e Letta presidente del Consiglio, ci dicemmo che forse qualcosa non quadrava... È una prova della forte influenza che i governi stranieri hanno sulle scelte politiche italiane. Non certo solo la Germania. È una delle tante facce della nostra perdita totale di sovranità: quella ter- DUE ORE CON IL “GURU” DEDICATE AI RAPPORTI CON IL COMICO GENOVESE (“NON LITIGHIAMO QUASI MAI”), IL FUTURO NEL MOVIMENTO (“RESTEREMO FINO A QUANDO È NECESSARIO”), I RAPPORTI CON BERSANI, LE ACCUSE DI AFFARISMO (“CI STO RIMETTENDO SOLDI”) larghe intese, anzi larghissime. Le intese extra-large. Contro di noi c’è un muro di Berlino che, anziché a Berlino, viene eretto fra Montecitorio e il Quirinale. Per questo, se vinciamo, chiediamo che se ne vadano sia Renzi sia Napolitano. Molti le chiedono una certificazione indipendente per le votazioni online tra i vostri iscritti. È un’operazione molto complessa, che va seriamente normata, e non ha precedenti per cui è impossibile copiarla. Stiamo cercando di attivarla, spero sarà pronta entro la fine del 2014. Le pare bello che lo Statuto dei 5Stelle sia un atto notarile firmato da Grillo e dal nipote avvocato? Quando ne avrete uno meno “proprietario”? Il nostro vero statuto è il ‘non statuto’. Lo statuto ci fu imposto dalle leggi, noi ne avremmo fatto volentieri a meno. Comunque sì, tutto è migliorabile, anche questo statuto burocratico. Quando verrà il momento in cui lei e Grillo farete qualche passo indietro e lascerete in prima fila i vostri parlamentari? Io e Grillo resteremo finché saremo necessari, fino a quando il Movimento non sarà più organizzato, con persone e strutture in grado di camminare con le proprie gambe. Non abbiamo mai cercato posti, altrimenti saremmo in Parlamento, avremmo fatto accordi con Bersani & C. Lei ha incontrato Giorgio Napolitano una sola volta. Com'è andata? Ci ha ricevuti per un’ora e mezza, con un’accoglienza molto gentile e cortese. Mi è parso una persona che, per capacità e razionalità, dimostra meno anni di quelli che ha. Più un settantenne che un novantenne. Non ha cercato di intortarci, vo- leva capire chi siamo: ha le sue idee e le porterà avanti fino alla fine, comunque sia. Dopo le elezioni 2013, durante i tentativi di Bersani, poi nelle presidenziali, qualche politico l’ha mai contattata direttamente o indirettamente? Mai parlato con Bersani, né con suoi emissari, né ricevuto telefonate, sms, tweet da politici. E da Prodi e dal suo entourage? No. Del resto il nostro candidato al Quirinale scelto dagli iscritti era Rodotà, dopo la rinuncia di Gabanelli e Strada. C’era anche Prodi, ma in fondo. Io espressi il parere personale che chi ha avuto incarichi politici non deve andare al Quirinale. Lei per chi votò alle Quirinarie? Per Gino Strada. Fu il più votato, ma rinunciò. A quali condizioni avreste partecipato a un governo di scopo con il Pd? A condizione che ci fossero molti punti di contatto fra il programma del Pd e quello nostro. Cosa che non era. Ma la verità è che il Pd e Berlusconi avevano già deciso prima delle elezioni di febbraio – ben sapendo che avremmo avuto quel risultato – di mettersi insieme con le larghe intese. Visto che il risultato fu la rielezione di Napolitano e il governo Letta-Berlusconi, potevate appoggiare Prodi e far saltare quel disegno restauratore. La nostra base espresse un nome, Rodotà, che era più che un accordo politico: era l’ex presidente del Pds! Se non l’hanno votato loro, che dovevamo fare di più? Ciò che io non mi aspettavo era la rielezione di Napolitano: lui stesso aveva sempre negato che la cosa potesse accadere. La storia di quei giorni è stata tutta scritta? Chissà... c’è quell’invito all’ambasciata inglese a 10 aprile 2013, una settimana prima delle elezioni presidenziali, con Beppe siamo all’ambasciata inglese. Al piano di sotto c’era Letta. L’ambasciatore ci chiede: che dite della rielezione di Napolitano? Due settimane dopo ecco il Napolitano bis e Letta premier ritoriale la perdemmo nel '45, quella monetaria con l’ingresso nell’euro, quella fiscale con il fiscal compact, quella politica negli ultimi anni. Per andare al governo dovremo vincere le Politiche in almeno tre paesi del mondo... Anche voi, se mai andrete al governo, dovrete fare i conti con tutti questi poteri esteri. È un problema nostro, ma è anche loro. Lei rivendica tutte le espulsioni dal Movimento? Pure quella di Federica Salsi perché voleva andare ai talk show, ora che ci andate anche voi? Non personalizzerei le espulsioni. Il M5S ha poche regole: chi entra sa che deve rispettarle. E poi noi non siamo mai andati da Floris. Era proprio necessario parafrasare Primo Levi col fotomontaggio del cancello di Auschwitz? Ho letto Se questo è un uomo e capisco bene la tra- gedia, di Primo Levi e della Shoah. Ma quella rivisitazione della sua poesia non era spregiativa nei confronti suoi né della Shoah: bensì dell’attuale sistema partitico. Chi ha polemizzato non ha neppure letto il post. O non l’ha capito. Via, qualche post l’avrete pure sbagliato: l’attacco alla Gabanelli e a Rodotà, il vaffa alla Carlassare... Quando prendete di mira qualcuno sul blog, tipo un giornalista che magari ha scritto cazzate, e poi quel qualcuno viene subissato di insulti e di minacce, anche di morte, non vi sentite in colpa? Nessun senso di colpa. Di solito si tratta di persone che ci hanno diffamati. E allora non è meglio querelarle? Infatti molte le abbiamo anche querelate. Perché il programma M5S non parla di Cultura? Il programma è ancora incompleto. Via via cercheremo di coprire, coinvolgendo tutto il Movimento, tutti i settori ancora scoperti. A Lucia Annunziata lei ha detto che la prima cosa che farete al governo sarà un pacchetto di norme per le piccole e medie imprese. Un po’ vago. C’era poco tempo. L’accontento subito: attribuzione del made in Italy solo alle aziende che producono in Italia; pagamento dei debiti dello Stato entro 60 giorni; accorpamento e semplificazione degli adempimenti fiscali; diminuzione graduale della tassazione sul reddito d’impresa con adeguamento alla media europea; defiscalizzazione degl’investimenti; chiusura di Equitalia; sconti contributivi per assunzioni dei giovani under 35; diminuzione dell’Irap; defiscalizzazione dei redditi nei primi due anni di vita dell’impresa; collaborazione fra istituti, università e imprese con stage ad hoc nel corso degli studi; pagamento dell’Iva solo a fattura incassata. Proposte che costano parecchio. E le coperture finanziarie? La proposta, molto articolata, contiene tutte le coperture. Ma il Parlamento l’ha bocciata. Anche il reddito di cittadinanza costa molto. Sì, 13-17 miliardi. Lo presenteremo in Parlamento con le coperture. A partire dalla vera abolizione delle province, che farà risparmiare miliardi. E da altri tagli agli sprechi. Dovreste movimentare decine di miliardi, ma siete molto timidi sull’evasione fiscale, che ne vale 150-180 all’anno. Non siamo affatto timidi. Noi l’evasione vogliamo combatterla severamente. Chi evade deruba chi paga le tasse. Ma bisogna partire dai grandi capitali, non perseguitare l’alpeggio o il kebabbaro che non fa uno scontrino, mentre si scudano 100 miliardi ai grandi evasori. Lei ha mai subìto verifiche fiscali? Sì, tre in cinque anni. La prima volta hanno scoperto che dovevo al fisco 54 euro, la seconda che ne dovevo 18, la terza invece che ero a credito di 100: quindi alla fine han dovuto pagare me. Sull’uscita dall’euro siete molto più prudenti. L’euro è solo una risultante. Noi non siamo contro l’euro, ma contro l’applicazione attuale delle politiche economiche e finanziarie comunitarie. Per le Europee abbiamo un programma in sette punti: sarà scarno, ma siamo gli unici ad averne uno. I punti fondamentali sono gli eurobond e la revisione del fiscal compact, che ci costringerebbe a tagliare 40 miliardi di spesa pubblica all’anno per 20 anni. Inattuabile. Ciò detto, dobbiamo ridurre gli sprechi di spesa pubblica e attingere ai grandi giacimenti dell’evasione e della corruzione. Con la Rai che volete fare? Un’istituzione totalmente separata dai partiti, con regole e organismi non collegati alla politica, perché sia autonoma ma riprenda anche a svilupparsi e a fare innovazione. La Rai non è né cattiva né buona: è la longa manus dei partiti. I quali, oltre a farsi campagna elettorale con i rimborsi elettorali, usano la Rai per farsi propaganda gratis. Non è che poi vincete e cacciate dalla Rai quelli che vi hanno criticati in questi anni? Mai. Non siamo i nuovi Silla. Appoggerete la candidatura di Alexis Tsipras a presidente della Commissione europea? Tsipras è molto lontano da noi, perché ideologicamente connotato. Noi voteremo tutte le proposte, di destra o di sinistra, simili alle nostre. Se Napolitano riuscirete a cacciarlo o si dimetterà, per voi il candidato sarà ancora Rodotà? Lo chiederemo ancora alla Rete. Lei ha promesso la squadra di governo di M5S prima delle elezioni politiche, scelta con le primarie online: quindi esclude la possibilità che entri qualche ministro esterno al Movimento? Non lo escludo, dipende dalle figure della società civile che si proporranno. Il vostro premier ideale è Luigi Di Maio? Il nome non lo conosco. Lo voteranno gli iscritti. Sarà una persona onesta, competente e trasparente. Di Maio ha le stesse possibilità di altri, avendo dimostrato ottime capacità in Parlamento. Lei il ministro lo farebbe? Dipende dal Movimento, ma perché no? Dovendo scegliere, opterei per l’Innovazione. E Grillo? Bisogna chiedere a lui, io lo vedrei bene ministro. Grillo dice che, se perdete le Europee, si ritira. Non ci credo, non è il tipo. Lo dice ogni tanto, per stanchezza. Ma anche lui persegue l’obiettivo di portare i 5Stelle al governo. Poi magari si ritira un minuto dopo. Anche se lo fanno ministro... Qual è l’asticella per parlare di vittoria del Movimento 5Stelle? Un voto in più del Pd. Quindi la sconfitta è un voto in meno del Pd? Dipenderà da quanti avranno votato e dalla percentuale che avremo. Già oggi tutti gli ultimi sondaggi ci danno attorno alla percentuale delle politiche 2013, cioè al 25%. Anche con quella percentuale non potremmo certo dire di aver perso, altrimenti Berlusconi che dovrebbe dire? Confermare il dato di un anno fa sarebbe un consolidamento importante. È solo propaganda psicologica, o lei crede veramente che arriverete davanti al Pd? Ci credo veramente. 6 D ocumenti riservati: indaga la Procura di Roma di Enrico TUTTI DENTRO MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 ANCHE LA PROCURA della Repubblica di Roma ha aperto tempo fa un fascicolo di indagine nel quale ipotizza nei riguardi dell’ex ministro Claudio Scajola il reato di sottrazione di atti riservati. Lo spunto per avviare l’indagine era stato fornito dal ritrovamento da parte della polizia postale di Imperia impegnata in un’in- chiesta condotta dalla locale Procura nell’abitazione di Scajola di documenti che sono stati poi trasferiti a Roma per competenza. Gli accertamenti sono affidati al pubblico ministero Sergio Colaiocco che il 18 aprile scorso ha anche raccolto a Roma le dichiarazioni di Scajola. Questi, secondo quanto si è appreso, ha giustificato il possesso dei documenti per altro definiti di “scarso interesse” dallo stesso ministro che poi avrebbe anche attribuito la provenienza da personale della sua segreteria. Attraverso gli accertamenti il pubbli- il Fatto Quotidiano co ministero Colaiocco intende accertare quale fosse la destinazione dei documenti. Nei dossier affidati al magistrato romano ci sono documenti che tra l’altro si riferiscono al G8 di Genova e anche all’uccisione del giuslavorista Marco Biagi. Fierro e Lucio Musolino A ffari, soldi, potere, la voglia matta di tornare nel girone che conta della politica e la passione per una donna. È il micidiale mix che ha dannato l’ex ministro Claudio Scajola. “Completamente asservito” a Chiara Rizzo, la moglie del latitante Amedeo Matacena. Donna affascinante, intelligente, combattiva. Una leonessa. L’ex ministro dell’Interno è pronto ad aiutarla nell’opera di “spostamento” del marito da Dubai, dove ha trovato un momentaneo e precario asilo, nel più ospitale Libano. Ne asseconda le esigenze, i bisogni, anche i capricci quando serve. Si tormenta per lei che ha una vita e relazioni spericolate. Brucia di gelosia, fino al punto da farla seguire, controllare, pedinare. Fa raccogliere notizie su di lei e le racchiude in un dossier. Ingaggia una donna che vive a Bordighera e che usa utenze telefoniche francesi, “convenzionalmente chiamata Spino”, come si legge nelle carte dell’inchiesta della procura di Reggio Calabria, e la incarica di “curare” l’ignara Rizzo nei suoi spostamenti in territorio francese e monegasco. Scajola voleva sapere tutto della donna, anche a chi fosse intestata la fiammante Porsche Cayenne con la quale la bionda Chiara attraversava le dorate strade di Montecarlo. Per questo incarica un poliziotto suo amico di fare ricerche oltre confine. Porsche e panfili DESTINI IN COMUNE L’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola e Chiara Rizzo, alias lady Matacena, alias Madame Coppa di Champagne LaPresse / Ansa SCAJOLA, TUTTO AMORE E DOSSIER Quando la Spino, autrice degli appunti per il dossier, rivela alla segretaria di Scajola che l’auto è stata vista più volte ferma al porto di STORIA DI AFFARI, POTERE, COSTRUTTORI, FACCENDIERI. CON LA PEDINATRICE “NOME IN CODICE SPINO” Monaco nei pressi dell’imbarcadero dove è attraccapubblica italiana rimane al suo to il panfilo di alcuni russi AMEDEO MATACENA F. BELLAVISTA CALTAGIRONE posto. È un pezzo di ghiaccio, lei, “poco raccomandabili”, la invece è raggiante e telefona gelosia dell’ex capo del ViLa frenetica attività dell’ex ministro È lui “l’Orco” e viene “controllato” all’Orco: “Sono uscita dall’aereo, minale esplode. Ma non si per “spostarlo” dalla insicura Dubai per volere del fondatore di Forza Italia mi hanno presa per pazza. Vieni a tratta solo di pene d’amore. prendermi all’aeroporto.” Diciasalla ben più accogliente Beirut con la polizia parallela ai suoi ordini In mezzo c’è il business, i sette giorni dopo, Claudio Scajola danari, gli affari di Scajola e non ha ancora smaltito la rabbia. dei suoi amici, particolarmente di Sergio Billé, l’ex presidente della po- trattenga una “relazione extraconiugale” con tutelare la vera identità di Bellavista Caltagi- È furioso. “Senti figliola, basta balle, basta sottentissima Confcommercio. Scajola e Billé, no- l’Orco. Una foto scattata dagli 007 della Dia il rone, facendo intendere che Francesco fosse un terfugi, su, uno dice le cose com’è, ognuno ha il tano gli investigatori della Dia di Reggio Ca- 12 febbraio di quest’anno, ritrae Francesco Bel- altro, ancora una volta il Lefevbre D’Ovidio. coraggio delle sue posizioni nella vita, no... nellabria, hanno paura che la bella Chiara riveli lavista Caltagirone e Chiara Rizzo agli arrivi Un chiacchiericcio che fece indispettire la sua la vita”. Chiara è indispettita. “Riattacca e chiuall’Orco qualcosa di particolarmente “perico- internazionali dell’aeroporto di Fiumicino. Lui amica Marzia Lefevbre D’Ovidio, parente de la conversazione”, annotano gli agenti della loso” per i due. Si tratta di un nome in codice in giacca sportiva di velluto e pashmina rossa, dell’armatore, fino a farle litigare ferocemente. Dia. La passione va bene, ma gli affari sono che in un primo momento viene attribuito lei con gli occhi nascosti dietro vistosi occhiali Ed è all’Orco che la moglie di Matacena te- affari. A garantire un link col Libano è Vincenzo all’armatore professor Francesco D’Ovidio Le- da sole. Scajola e Caltagirone, s’erano tanto lefona il 16 gennaio. È su un aereo con Claudio Speziali, calabrese e nipote dell’omonimo sefevbre, cognome noto fin dai tempi dello scan- amati, ma ai tempi della costruzione del porto Scajola i due hanno un appuntamento impor- natore del Pdl. Ha sposato una cittadina lidalo degli aerei Lockeed e di Antelope Cobbler, turistico di Imperia. Un affare da centinaia di tante a Roma per affrontare la vicenda dello banese, vive tra Beirut e Catanzaro, e nel paese dei cedri ha ottimi rapporti con Gemayel, il poi tutto si chiarisce. L’Orco che potrebbe far milioni di euro che travolge l’ex ministro e il spostamento in Libano di Amedeo Matacena. leader dei cristiano maroniti. In Libano sta per saltare gli affari dell’ex ministro e del pastic- costruttore e che nel 2010 fa scattare una ingiurare il nuovo governo, lo spostamento di ciere di Messina, è il costruttore Francesco Bel- chiesta giudiziaria. Il politico e il re del mattone La sceneggiata sull’aereo Matacena ora è possibile. Il 7 febbraio riceve lavista Caltagirone. Anche per lui, come per vengono accusati di associazione a delinquere, Chiara Rizzo, Scajola organizza una particolare tre anni dopo il gip dispone l’archiviazione per All’improvviso Chiara fa “una sceneggiata”, si- una accorata telefonata di Scajola. “Tu pensi sorveglianza, affidandosi ai servigi del sovrin- entrambi, per Caltagirone, invece, rimane in mula una telefonata urgente della madre che la che riusciamo a farla accogliere” (la richiesta di tendente di Polizia Michele Quero, che avrà il piedi l’accusa di truffa aggravata ai danni dello avvisa della improvvisa malattia del figlio, si asilo per Matacena). Speziali sicuro: “Sì, perché compito di monitorarne i movimenti e gli spo- Stato. Quali siano le rivelazioni che Chiara Riz- dispera e chiede al comandante di scendere. adesso ho un interlocutore. Ho fatto tutto nei stamenti aerei. E questa volta non sono solo zo poteva fare all’Orco, e in grado di allarmare Scajola è paonazzo dalla rabbia e dalla ver- minimi dettagli.” Tutto bene, Scajola informa affari, perché ritorna la gelosia. Il sospetto (si Scajola e Billé, non è ancora chiaro. L’unico gogna, mentre la donna viene fatta uscire Chiara Rizzo: “Quello che doveva avvenire è legge nelle note della Dia) è che Chiara in- dato certo è che la diabolica Chiara cerca di dall’aereo. L’ex ministro dell’Interno della Re- avvenuto, venerdì fanno il giuramento (il riLA PROCURA GENERALE RIAPRE IL CASO di Valeria Pacelli Altri guai in vista (Colosseo) l giorno in cui la Dia di Reggio Calabria arrestava Claudio I Scajola, a Roma la Procura generale si opponeva alla decisione del giudice Eleonora Santolini di assolvere l’ex ministro per le vicende relative alla casa di via del Fagutale, con vista Colosseo. Come i pm romani titolari delle indagini, Ilaria Calò e Roberto Felici, anche il procuratore generale Otello Lupacchini ha esaminato gli atti di quel procedimento e ha scritto i motivi per i quali si opponeva a una sentenza di assoluzione che ha definito “viziata da illogicità e contraddittorietà della motivazione, oltre che per travisamento del fatto”. Per il giudice Lupacchini, “il tribunale è pervenuto a erronee conclusioni” sia nel momento in cui ha ritenuto che il fatto – contestato a Scajola – non costituisce reato, sia per quanto riguarda “l’asserita improcedibilità dell’azione penale per essere estinto il reato per prescrizione nei confronti di Diego Anemone”. La storia, che costrinse l’ex parlamentare a lasciare il ministero nel 2010, riguarda l’appartamento di circa 240 metri quadrati, acquistato a “sua insaputa”. I magistrati romani accu- savano Diego Anemone (prosciolto anche lui per intervenuta prescrizione) di aver pagato parte (circa 1,1 milioni di euro su 1,7 milioni) della somma versata da Scajola nell’acquisto dell’immobile. Di questi versamenti di denaro, l’ex ministro – che intanto era stato indagato per finanziamento illecito – aveva detto di non sapere nulla, versione confermata dal giudice di primo grado. CONTRO questa decisione, si è schierata anche la Procura gene- rale. “È fuori discussione – scrive Lupacchini – infatti, o, almeno, dovrebbe esserlo tra le persone che, per esperienza di vita, ceto sociale, livello culturale, abituali frequentazioni e rapporti con le istituzioni, compongono la categoria a cui va iscritto Scajola, che la somma di 600 mila o anche 700 mila euro, non consente in alcun caso l’acquisto di immobili residenziali di dimensioni medio-grandi, nel centro storico di Roma”. Secondo il procuratore generale chiunque avesse comprato un immobile così grande, avrebbe quantomeno chiesto il prezzo. Cosa che, secondo il giu- dice, non interessava l’ex ministro che “ha escluso di aver avanzato a chiunque simile richiesta, ribadendo, al riguardo, ed esponendosi per questo addirittura al ridicolo, la convinzione che fosse congruo un prezzo inferiore ad euro 3000 per metro quadrato, La nota vista Colosseo Ansa somma per la quale, com’era noto (...) sarebbe stato impossibile, all’epoca, addirittura l’acquisto di un tugurio nella più remota periferia romana”. La Procura generale conclude : “Non vi è alcuna plausibile ragione, neanche se vi fosse trattato del più importante e coinvolto uomo di Stato, per cui l’acquirente di un immobile di ingente valore non dovesse presenziare a tutte le fasi della compravendita; per contro, tale manovra diversiva si giustificava in vista della precostitutzione della prova di non aver potuto sapere ciò che accadde in sua assenza”. il Fatto Quotidiano TUTTI DENTRO IN VIAGGIO CON LA LUIS VUITTON MARSIGLIA-FIUMICINO-REGGIO CALABRIA 1740 chilometri: nonostante un viaggio così, iniziato alle 8 di stamani a Marsiglia e che si conclude a notte fonda a Reggio Calabria, e nonostante quello che la aspetta, Chiara Rizzo, ormai ex Madame Champagne, è “contenta di essere in Italia”. Lo aveva detto subito agli uomini della Dia di Genova, che stamani sono andati al confine di Stato di Ponte San Luigi (Imperia) per prenderla in carico dalla Gendarmerie francese che l’ha prelevata alle 8.30 dal carcere delle Baumettes, a Marsiglia, dove si trovava dal 12 maggio quando il Parquet di Aix en Provence ha convalidato l’arresto avvenuto all’aeroporto di Nizza. Chiara Rizzo è “contenta” e lo ha detto a quella Fotografie di Silvia Truzzi 7 stessa agente della Dia italiana che l’ha accompagnata nel lungo viaggio dal confine più a ovest fino al confine più a sud, trasportando anche il suo bagaglio: una Luis Vuitton. Arrivando a Ponte San Luigi aveva chiesto: “Adesso mi togliete le manette?”, e a Fiumicino, scendendo per prima dalla scaletta dell’aereo ha taciuto, scostandosi appena i lunghi capelli biondi dal viso. Lady Matacena Dal rosso Ferrari all’incubo manette L’ immagine di lei che non scordiamo è quella della Ferrari. Bionda, vaporosa, formosa vampissima, fasciata in un paio di pantaloni di pelle, voluttuosamente distesa su un’auto di lusso: forse Chiara Rizzo Matacena rimarrà per sempre, nell’immaginario collettivo, la femme fatale della Ferrari. Le foto dell’avvenente signora (figurava tra le undici più belle del Principato di Monaco, dove viveva) avevano fatto il giro di tutti i siti d’informazione quando, una decina di giorni fa, era stato arrestato il suo amico, nonché ministro dell’Interno del secondo governo Berlusconi, Claudio Scajola. UN AMICO, davvero carissimo, che le metteva ad- dirittura a disposizione la scorta personale per ferimento è al nuovo governo di Beirut, ndr). Da questo momento possiamo considerarci operativi.” Chiara è contenta, e l’8 aprile, parlando con Scajola, accenna, ma con scetticismo, alla lettera di Gemayel. “È autografa. Eh cazzo, il programma è quello lì, tenetevelo stretto è anche autografo. Eh, Ciccia”, la rassicura Scajola. Rassicurante è anche Speziali: “Ho fatto una cosa più difficile, quella per Sergio, figurati questa.” Sergio è Billé, l’ex padre padrone della Confcommercio, finito nel tritacarne dello scandalo dei “furbetti del quartierino.” Anche lui gode dei servigi del calabro-libanese Speziali, che il 16 gennaio, dopo l’incontro romano con Scajola sull’affaire Matacena, lo accompagna in Libano. Qui Sergio Billé doveva definire, notano gli uomini della Dia, “un affare che vede coinvolto il maggiore responsabile della banca d’affari russa in Libano”. spostamenti più sicuri (la circostanza indignò non poco l’opinione pubblica perché mentre lui era ministro dell’Interno fu negata la scorta a Marco Biagi, il giuslavorista che fu poi ucciso dalle nuove Br). Ma nei guai fino al collo c’era anche lady Monaco, considerata dagli inquirenti “l’anello di congiunzione indispensabile” per “l’intera operazione di mascheramento” del marito Amedeo Matacena (sfuggito a un mandato di cattura per concorso esterno in associazione mafiosa), dunque indagata e a sua volta raggiunta da un provvedimento di custodia cautelare in carcere. Ieri tutto questo si è tradotto in altre foto, di ben diverso sapore: la donna, che era stata arrestata all’aeroporto di Nizza domenica scorsa e aveva atteso in carcere a Marsiglia l’esecuzione della richiesta di estradizione, è arrivata in Italia. Le autorità francesi l’hanno condotta a Ponte San Luigi e consegnata a un nutritissimo (forse esagerato) schieramento di colleghi italiani. C’erano anche giornalisti, cameramen e fotografi che hanno immortalato l’altra Chiara Rizzo, in jeans e maglietta: occhiali scuri, molto imbarazzo, una bottiglietta d’acqua in mano, PREOCCUPATA ”Avrò un letto dove dormire? E mi daranno da mangiare? Sono contenta di essere in Italia” La scorta seminata Quanti soldi e uomini d’affari ruotavano attorno a Scajola. L’ex ministro il 15 gennaio semina la scorta e con la sua auto personale si fionda a Bernareggio, provincia di Monza e Brianza. Chiara è con lui. Lei scende dall’auto alle 10,56 e si dirige alla “Giorgi-Marconi spa”, dove si trattiene fino alle 13,40. Per quasi tre ore Scajola è solo, passeggia nervosamente ma non sale mai. A fargli compagnia, ma da lontano, gli uomini della Dia che filmano quella scena ridicola. Chi c’era all’incontro? Uomini d’affari già noti alle cronache degli scandali. A bordo di un suv c’è Loredana Crippa, la moglie di Gabriele Sabatini, già finito nei guai per intestazione fittizia dei beni di Salvatore Izzo, un napoletano ritenuto “soggetto mafioso.” Sabatini è in stretti rapporti con Paolo Berlusconi, col quale nel 2012 vuole fare un grande affare in Russia, la costruzione di case prefabbricate per un miliardo di euro. Insieme volano spesso a Mosca, sempre accompagnati da Massimo Sergio Dal Lago, altro imprenditore presente nei discorsi della Chiara Rizzo. È un pentolone zeppo di affari quello scoperchiato da Giuseppe Lombardo, il pm della procura di Reggio Calabria. Tutto inizia con le tangenti di Francesco Paolo Belsito, tesoriere della Lega di Bossi, e con uno studio d’affari in via Durini a Milano. Qui, al calabrese Bruno Mafrici, Amedeo Matacena chiedeva denari per “The black swan”, la sua barca da 40 metri. Ma nelle mani di Mafrici circolavano anche i soldi della ’ndrangheta, quella più potente e che fin dagli anni Settanta del secolo passato mise le mani sulla Costa Azzurra: la cosca di don Paolino De Stefano. La ’ndrangheta che ha sempre guardato agli affari e alla politica che conta. Regista dello studio milanese, Lino Guaglianone, un passato nei Nar fascisti, e qui circolava anche Paolo Martino, referente milanese della ’ndrangheta dei De Stefano. MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 una borsa da viaggio (di Louis Vuitton, nei particolari c’è Dio) al seguito. Appena ha incontrato gli agenti italiani si è rivolta a loro così: “Voglio stare con voi”. Poi ha chiesto di poter telefonare ai suoi avvocati e soprattutto che le venissero tolte le manette. Il suo viaggio è proseguito in auto fino a Genova e poi in volo verso Roma, quindi a Reggio Calabria. Incalzata dai cronisti a Fiumicino, ha abbassato lo sguardo e ha fatto cenno di non voler parlare. Riferiscono le agenzie che è apparsa tiratissima, preoccupata, molto provata. E non è difficile capire perché, se si accostano le immagini della sua vita precedente con quelle che la ritraggono agli arresti. Niente trucco, niente abiti costosi, un passato di fasti e un futuro di guasti: passare da Rue princesse Charlotte a una prigione calabrese è un salto notevole. Le sue allarmate (e ingenue, per essere gentili) domande, al momento dell’arresto in Francia, erano state: “Avrò un letto dove dormire? E mi daranno da mangiare?”. QUALCHE ANNO FA un facoltoso faccendiere venne arrestato da un pubblico ministero piemontese: ancora prima di arrivare al carcere di Opera, non proprio un hotel a cinque stelle, come prima cosa chiese ai suoi legali di fargli pervenire entro sera le pantofole di Gucci. Non gli sarebbero mai arrivate, ma la cosa continuò a costituire motivo di grandi lamentele: per uno abituato a certi lussi, finire dentro vuol dire essere privato della libertà, ma anche perdere notevoli comodità, diceva l’avvocato del faccendiere. Sarebbe a dire che il carcere è più duro per i signori che per i poveri cristi? Naturalmente non è così: solo che i poveri cristi, se li arrestano, non se li fila nessuno. Non ci sono mai polemiche se vengono portati in manette in un’aula di giustizia (una su tutte quella seguita alle immagini di Enzo Carra, ex portavoce di Forlani, immortalato in manette in piena Mani Pulite). Forse perché, nel cassetto dei ricordi, i poveri cristi non hanno una Ferrari a Montecarlo. IMMAGINI E INDAGINI DAL DIVO IN BRIANZA ATTESA IN AUTO L’OMAGGIO alla memoria di Andreotti di Vincenzo Speziali e del libanese Gemayel L’ARRIVO di Chiara Rizzo, lady Matacena, in Brianza per il summit dei misteri TANTA pazienza quella di Scajola, che attende in auto per 3 ore che Chiara sbrighi i suoi affari Al cimitero per Belzebù Al summit dei misteri La pazienza dell’ex ministro Senti figliola, basta balle e sotterfugi, su, uno dice le cose com’è, ognuno ha il coraggio DOPO TRE ORE CON “L’ORCO” Il ritorno da Claudio All’aeroporto di Fiumicino FINITO il summit dei misteri in Brianza, Chiara Rizzo ritorna da Scajola, in attesa in auto LO SCATTO ritrae Chiara Rizzo con Francesco Bellavista Caltagirone all’aeroporto di Fiumicino delle sue posizioni nella vita, no... nella vita Claudio Scajola a Chiara Rizzo 8 COLLISIONI MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 D ecreto Casa, lotta agli abusivi e deroghe a Expo VIA LIBERA della Camera al Decreto casa. Dentro sono contenute norme di urgenza per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015. Tra queste ultime sono previsti 25 milioni di euro per il Comune di Milano, la deroga per la società Expo 2015 sul Codice degli appalti per i contratti di sponsorizzazione e le concessioni di servizi e la proroga al 2015 sempre per il comune di Milano per curare strade e verde. Previste poi risorse per un fondo nazionale per il sostegno all’accesso alle abitazioni in locazione e per un altro fondo per i morosi il Fatto Quotidiano incolpevoli. La cedolare secca viene ridotta del 10% per i proprietari di immobili che affittano con canoni concordati. Per il ministro delle Infrastrutture Lupi non si tratta del “solito provvedimento tampone”, ma di una legge che “affronta organicamente il problema abitativo”. Ma a far discutere sono i provvedimenti contro chi occupa abusivamente. Contro questi hanno manifestato fuori da Montecitorio i movimenti per la casa. I due leader Luca Fagiano e Paolo Di Vetta sono stati ricondotti ai domiciliari, già inflitti dopo i cortei del 12 aprile. Il Pd è in buone mani S’imbarca Schettino A META DI SORRENTO L’EX COMANDANTE DEL NAUFRAGIO DELLA CONCORDIA FA CAMPAGNA PER IL SINDACO E STRINGE MANI A BUBBICO E DEL BASSO DE CARO di Fabrizio d’Esposito V Meta (Na) otate Pd, cazzo”. Meta è il primo paesino della costiera sorrentina dopo i tornanti di Punta Scutolo, che formano un belvedere strepitoso sul golfo di Napoli. Qui domenica prossima si vota anche per le amministrative e la battaglia elettorale, tra porta a porta e comizi e cene sulla spiaggia, ha coinvolto il cittadino metese più noto dell’ultimo lustro: il comandante Francesco Schettino, quello della Concordia e dell’Isola del Giglio, quello dell’inchino e del “salga a bordo, cazzo”. Giacca e camicia sbottonata, Schettino non si è limitato a presenziare alle iniziative del candidato-sindaco del Pd, Giuseppe Tito, ma ha rivolto addirittura un appello pubblico per farlo votare. Un testimonial, in piena regola. Dal sito Politica in Penisola del giornalista Vincenzo Califano: “In Tito non si è mai assottigliato l’entusiasmo di sentirsi utile, lo ricordo sempre presente, dove la sola gratificazione è stata l’elemento trainante della sua irrefrenabile attività del sapersi mettere a disposizione degli altri. Un giovane al servizio della comunità, e non il contrario, un concetto pratico da lui sempre applicato con entusiasmo”. IL TRASPORTO di Schettino, oggi sotto processo per il naufragio della Concordia (trentadue vittime) si spiega così. Quando il suo nome fece il giro del mondo, come sinonimo dei peggiori difetti italici, il suo paesino lo difese e Tito era in prima fila. Ecco perché l’appello si conclude in questo modo: “Colgo l’occasione per esprimere a tutti i Metesi indistintamente la mia sincera gratitudine per l’affetto dimostratomi in questi due anni, allo stesso modo non posso esimermi dal sottolineare le doti umane, che ho avuto modo di riscontrare personalmente in Giuseppe Tito, integrità morale e la sensibilità che lo contraddistingue assieme all’inte- ra famiglia”. Ma l’endorsement di capitan Schettino per il candidato sindaco del Pd è dentro un’incredibile matrioska di autolesionismo a sinistra. Le sorprese non finiscono mai. A Meta, infatti, il processo di democristianizzazione del partito renziano ha raggiunto vette insuperabili. Il Pd si è spaccato fra due liste civiche (una è quella di Tito, l’altra fa capo all’Udc) e si è scatenata una gara per avere la benedizione ufficiale dai vertici regionali e nazionali. Risultato: non bastasse Schettino, ai comizi di Tito sono arrivati due impresentabili del Pd. Il primo è il DIVISIONI Nel piccolo paese della penisola, i Democratici sono riusciti a dividersi in due liste contrapposte sannita Umberto Del Basso De Caro, ex socialista craxiano oggi sottosegretario alle Infrastrutture del governo Renzi. Sospettato di essere tra i man- Da sinistra: Paolucci, Bubbico, Tito e Schettino (foto da Politica in Penisola) danti del presunto complotto contro Nunzia De Girolamo per la vicenda Asl di Benevento, Del Basso De Caro è indagato per la rimborsopoli della Regione Campania: peculato. Il secondo, invece, è il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, rinviato a giudizio per abuso d’ufficio. In un albergo sul mare, e tra gli applausi di Schettino, Bubbico ha tenuto un pistolotto sulla sicurezza. Surreale. Con lui, anche il deputato Massimo Paolucci, candidato alle Europee. Ulteriore dettaglio: se Paolucci viene eletto si dimette da Montecitorio e gli subentra Anna Maria Carloni, moglie di Antonio Bassolino. Alla fine Bubbico ha pure promesso di portare Renzi a Meta qualora Tito dovesse vincere le amministrative. Ovviamente Schettino ci sarà, pronto a scambiare due chiacchiere con lui come ha fatto con Bubbico e Paolucci. LA CAMPANIA è il laboratorio ideale per osservare la deriva del Pd. La scoperta del partito padronale è una sorta di Tana liberi tuttiall’insegna dell’anarchia. Una volta, quando c’era il centralismo democratico, casi come quelli di Meta (partito spaccato in due liste) sarebbero stati impossibili. Del resto, a venti chilometri dalla costiera, a Pompei, il Pd si è alleato con Forza Italia. Si imbarca di tutto, compreso Schettino. ANGLOSASSONE “È vero che ha offeso la Merkel?” E Silvio tacque ALLA BBC L’EX CAVALIERE NON RISPONDE A UNA DOMANDA SULLA “CULONA INCHIAVABILE” lla fine, ci voleva lo stile anglosassone di un giornalista A della Bbc per porre la domanda che nessuno aveva mai fatto in modo diretto a Silvio Berlusconi: “Ha dato della ‘culona’ ad Angela Merkel?”. Pausa. Sorpresa. La risposta tarda ad arrivare, B. inizia a gesticolare. Fine. Non dell’intervista, ma di quella frazione che surclassa il resto ed inizia a fare il giro del mondo attraverso la Rete. Jeremy Paxman, giornalista della Bbc ha ospitato il Cav nel programma Newsnight. Paxman chiede ciò che nessun giornalista italiano aveva mai avuto l’ardire di proporre in una intervista all’ex presidente del consiglio. Altro che domande concordate; Berlusconi, non appena gli arriva la traduzione, sbanda, cerca una risposta, comincia a gesticolare. Come reagire? Soprattutto, cosa dire sulla Merkel? Paxman se la gode; non è la prima volta che mette in difficoltà un politico, nel Regno Unito lo conoscono per quello stile che prevede un fuoco di fila di domande e non lascia scampo all’intervistato di turno. Resta nella storia del giornalismo inglese un episodio del 1997, quando a Michael Howard, che era stato fino a poco prima ministro dell’Interno, Paxman pose la stessa domanda dodici volte, a ripetizione perchè Howard rispondeva in maniera evasiva. La responsabile comunicazione di Forza Italia, Deborah Bergamini ha voluto rimarcare che B. non ha provato alcun imbarazzo, quella pausa era dovuta ai tempi tecnici della traduzione: “La risposta del Presidente è stata che non ha ovviamente mai insultato la signora Merkel né altri, in 20 anni di storia politica”. Ma quel video ormai è virale. Mai fidarsi della “perfida Albione”. val.cat. PRONTO IL RICORSO Green Italia si ribella alla soglia del 4% di Giulia Merlo o sbarramento del 4% L alle elezioni europee è illegittimo e impugneremo la proclamazione degli eletti. L’annuncio arriva dal portavoce nazionale dei Verdi Angelo Bonelli e - assicura - “Il ricorso verrà presentato qualunque sia il risultato elettorale”. A sostenere l’azione legale non c’è un avvocato qualsiasi ma Felice Besostri, già vittorioso castigatore del Porcellum e autore del ricorso sulla legge elettorale per le europee, rinviata alla Corte Costituzionale dal Tribunale di Venezia. “Ha ragione chi sostiene che l’ordinanza del tribunale di Venezia non vale per le elezioni del 25 maggio, ma questo è vero solo se non vengono impugnati anche i risultati delle elezioni”. Esattamente ciò che intende fare Green Italia. La Corte Costituzionale dovrà necessaria- mente esprimersi e, in caso di accoglimento della tesi di Besostri e dei Verdi, l’esito sarà una ridefinizione retroattiva degli eletti, sulla base di un sistema proporzionale puro. Non esiste solo un problema di soglia elettorale, però. UN’ALTRA SITUAZIONE pa- radossale che quasi sicuramente si determinerà, riguarda l’elezione del candidato della minoranza linguistica tedesca in Alto Adige. Si chiama Herbert Dorfmann ed è ricandidato al Parlamento Europeo nella lista della Suedtiroler Volkspartei, il partito territoriale altoatesino a maggioranza tedesca. Il suo partito ha stipulato una sorta di accordo tecnico con il Partito Democratico, grazie al quale superare la soglia di sbarramento del 4% nel collegio nord-est, altrimenti irraggiungibile per una lista espressione di una sola pro- vincia. Si tratta di un vero e proprio collegamento tra le due liste, che comporta l’elezione praticamente automatica di Dorfmann, in forza di una clausola nella legge elettorale, che garantisce di mandare in Europa un rappresentante della minoranza linguistica tedesca, qualora il suo schieramento superi la soglia del 4% e a prescindere dal numero di preferenze personali da lui prese. “Anche questo passaggio della legge elettorale è stato rin- viato alla Corte Costituzionale, dal tribunale civile di Cagliari - ha spiegato Bonelli perchè l’unica minoranza linguistica a vedersi riconosciuto il seggio certo è quella tedesca, nonostante in Italia non sia l’unica ad essere presente e riconosciuta dall’ordinamento”. Di conseguenza, sostengono Bonelli e Besostri, la legge elettorale europea è in contrasto con la Costituzione italiana, perché non garantisce uguale peso ai votanti, ma anche con il trat- Angelo Bonelli Ansa CASO TRENTINO Il candidato dell’Svp, grazie a un accordo col Pd, sarà eletto per la minoranza tedesca. Bonelli: “Non ci sono solo loro” tato di Lisbona, che stabilisce che ad essere rappresentati al Parlamento Europeo siano direttamente i cittadini europei e non i cittadini di ogni singolo paese membro, con discriminazione in base al luogo di residenza. IL CASO DEL TRENTINO Al- to Adige, poi, presenta un altro carattere singolare. La Suedtiroler Volkspartei è schierata con il Partito Popolare Europeo, il Partito Democratico, invece, sostiene il fronte opposto, con i socialisti europei di Martin Schulz. Con il risultato che il “popolare” Dorfmann - eletto de facto grazie al Pd - soffierà il posto in Parlamento all’ultimo degli eletti “socialisti” del Pd. Un doppio dazio per il Pd che, oltre a rinunciare ad un eletto, vedrà anche un parlamentare tecnicamente collegato alle proprie liste passare allo schieramento politico europeo avverso. AVANTI POPOLO il Fatto Quotidiano CJovane orriere, l’Ad evoca l’addio di De Bortoli di Davide Milosa Milano C inque ore d’interrogatorio per aggiornare il conto delle mazzette (al telefono chiamate “relazioni”) che salgono da 1,2 milioni di euro a 2,4. Parola di Sergio Cattozzo, l’ex segretario ligure dell’Udc, ritenuto dalla Procura di Milano il contabile delle tangenti al servizio della cupola degli appalti che ha dato l’assalto all'Expo 2015. Cattozzo, che era già stato sentito la scorsa settimana dai pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio, sviluppa l’impianto accusatorio. Stando alle carte dell’inchiesta rappresenta, infatti, la cerniera con le imprese. Il sequestro del libro mastro delle “stecche” Un ruolo decisivo come dimostra il sequestro del libro mastro delle stecche. Archivio rigorosamente scritto a mano con nomi, cognomi, cifre da spartire e percentuali sugli appalti. Ed è proprio su questo che ieri si è concentrato l’interrogatorio. Cattozzo ha chiarito molte cifre, ricalcolando la maxi-stecca da 1,2 milioni euro svelata dall’imprenditore vicentino Enrico Maltauro. E così a tredici giorni dagli arresti, la metà delle persone coinvolte nello scandalo iniziano a collaborare. Il primo è stato Maltauro che in nove ore d’interrogatorio ha confermato il sistema della cupola. Dopo di lui è toccato all’ex manager Expo Angelo Paris ammettere di aver turbato le gare, spiegando di averlo fatto per ottenere coperture politiche davanti alle pressioni dell’ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde Antonio Rognoni. Lo stesso Paris che a Gianstefano Frigerio prometteva “qualsiasi lavoro”. Paris, però, nega di aver preso mazzette. Confermate, invece, ieri dallo stesso Cattozzo che per i soli appalti NEI GRANDI QUOTIDIANI internazionali c’è molto fermento, “quindi non si esclude nessuno”, l’amministratore delegato di Rcs Pietro Scott Jovane ha risposto così a una domanda delle trasmissione Rai 2next sul possibile cambio di direzione al Corriere della Sera. Un modo poco velato per far capire che l’ad non sarebbe affatto dispiaciuto dall’addio di Ferruccio de Bortoli, dopo mesi di frizioni sulla vendita del palazzo di via Solferino e i bonus ai manager. Jovane ha chiarito però che “la materia della scelta del direttore dipende dal cda”. Tradotto: non decide da solo, l’input EXPO DUE MILIONI DI MAZZETTE E LA CENA CON IL VICE DELLO IOR LE AMMISSIONI DI CATTOZZO. NEGLI ATTI I RAPPORTI FRA LA CUPOLA E ANGELO CALOIA, L’UOMO CHE GOVERNÒ LA BANCA VATICANA PER VENTI ANNI DOPO L’ERA MARCINKUS Sogin ha calcolato un tesoretto da 1,5 milioni di euro, ai quali vanno aggiunti 300mila euro per lui e i 600mila promessi. Frigerio: ho ricevuto regalie non tangenti Il denaro aumenta nonostante resti ancora fuori tutta la partita che riguarda i lavori della Città della salute. E se lo stesso Frigerio, nell’interrogatorio davanti al giudice Antezza, conferma di aver ricevuto “regalie” ma non tangenti, Cattozzo accusa e dice che l’ex parlamentare di Forza Italia Luigi Grillo intascava il denaro degli imprenditori. Intanto le nuove carte dell’indagine svelano l’attività di Primo Greganti per fare entrare le cooperative nella costruzione di dieci padiglioni stranieri che nasceranno sulla Piastra dell’Expo. Il progetto, ragiona la Finanza, è legato alle informazioni riservate che il Compagno G. ha ottenuto dallo stesso Paris durante una cena. Ma c’è di più. Dagli atti depositati emergono gli inediti rapporti tra la cupola degli appalti e Angelo Caloia, l’uomo che governò lo Ior per vent’anni dopo l’era dell’arcivescovo Marcinkus, nonché attuale numero uno della Veneranda Fabbrica del Duomo e presidente di alcune società del Gruppo Intesa Sanpaolo. L’incrocio con Caloia viene pilotato da Frigerio per garantire la carriera pubblica di Angelo Paris. È il novembre 2013 quando l’ex Dc ne parla con il manager. “Poi un’altra persona che ti farò incontrare che è del nostro vecchio mondo, che è un mio amico carissimo è il professor Caloia”. Paris è molto contento: “Ah sì, ecco quello lì mi piacerebbe molto incontrarlo. È molto interessante”. Pochi mesi dopo, nel gennaio 2014, Frigerio al telefono con Sergio Cattozzo illustra lo scopo dell’appuntamento con Caloia: “Lo vedo a pranzo, MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 IL COMPAGNO G. Greganti voleva far entrare le coop nella costruzione di dieci padiglioni stranieri grazie alle notizie avute da Paris Curia milanese cioè Caloia e con Fininvest, che li ho preparati per potenziarlo per il suo futuro!". L’incontro, in effetti, si concretizza ai tavolini del Westin Palace di Milano. Qui, alle 9 deve arrivare dagli azionisti (e quindi prima di tutto dalla Fiat di John Elkann, “un’azionista di peso”). Jovane ha poi smentito le ipotesi di fusione tra Rcs e il gruppo editoriale del socio Urbano Cairo così come l’interesse di Rupert Murdoch per il gruppo, “non mi risulta”. CLICK Grillo-Vespa, ha vinto chi è stato più zitto di Pino Corrias ALLA FINE del monologo ha vinto quello dei due che è stato zitto. Onore al vecchio Vespa che ha surclassato il nuovissimo (e troppo sudato, troppo agitato, troppo allarmato) Beppe Grillo. Che sembrava quello dell’ultimo banco all’esame di maturità spinto dalla foga di mostrare all’esaminatore tutti i libri letti di corsa nell’ultima settimana - compreso uno sulle turbine dei Boeing costruiti con la stampante 3D – che gli stavano appesi pagina per pagina alle sinapsi, con la paura che un colpo di vento, o uno sternuto, li facesse volare via. Grillo s’è arrampicato sull’albero dello scibile politico e non la smetteva di scuoterlo. Cadevano frammenti decontestualizzati che transitavano dall’imminente assedio del Quirinale al remoto crack Parmalat, dalla sparizione di Renzi alla comparsa delle leggi fabbricate on line, una Norimberga fiscale per i politici, la fine di tutti i finanziamenti, la morte di tutti i partiti, la chiusura di tutti i cantieri Expo. “E poi che si fa, un bel monocolore?” chiedeva con studiata letizia Vespa, bastando quel bullone a incasinare tutti gli ingranaggi guerrieri di Grillo. A fare della sua massima indisciplina una minima gag già pronta per l’archivio. 13,30, c’è anche Fulvio Pravadelli, consigliere delegato Area Amministrazione e Finanza di Publitalia 80. E se da un lato la cupola lavora per garantire Paris, dall’altro si ingegna per trovare una poltrona importante a Giuseppe Nucci, ex ad di Sogin. Grillo e la chiamata di Guzzetti (Cariplo) E così il 16 aprile scorso, annota la Finanza, Grillo viene chiamato da Giuseppe Guzzetti presidente della Fondazione Cariplo (uno degli uomini più potenti in Lombardia) e l’ex senatore “gli rammenta la candidatura di Nucci (...) evidenziando che l’assemblea sociale” di Terna, società partecipata dallo Stato, “si riunirà il prossimo 25 maggio” e quindi “i nomi bisogna presentarli entro il 25 aprile (...) io ho avuto conferma da casa Gianni nazionale (Letta, ndr) che si spende”. Grillo chiede a Guzzetti se deve parlare della questione durante una cena con il presidente della Cassa depositi e prestiti a casa dell’ex ministro Gianni De Michelis. Guzzetti lo sconsiglia dicendo che la “segnalazione è stata fatta”. In un’altra telefonata Grillo discute con Nucci delle nomine. Dice: “Il mio amico di Milano (si riferisce a Giuseppe Guzzetti) la sua parte l’ha fatta, speriamo che qualcuno abbia spiegato a questo Presidente (Renzi) che non è Mussolini (...) Che ha diritto ma ci sono degli altri, se no fa come Enrico (Letta)”. Ieri il procuratore Bruti Liberati ha smentito i pedinamenti della Finanza per accertare se Greganti sia mai entrato in Senato. Nomine all’Asl di Caserta, nuovo scandalo Ncd AI DOMICILIARI IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO REGIONALE, ROMANO, AVREBBE FATTO PRESSIONI SUL MANAGER DELLA STRUTTURA di Vincenzo Iurillo a Procura è la stessa, L quella di Santa Maria Capua Vetere. L’ipotesi di reato pure: pressioni e minacce “politiche” per ottenere nomine di persone gradite nella sanità casertana. È un film che ricorda quello visto sei anni fa, quando venne arrestata per tentata concussione il presidente del consiglio regionale della Campania Sandra Mastella – insieme a mezza classe dirigente dell’Udeur - e il marito ministro della Giustizia Clemente Mastella, furibondo, contribuì alla caduta del governo Prodi. Ieri il remake: è finito ai domiciliari per tentata concussione l’attuale presidente del consiglio regionale campano, Paolo Romano, testa di lista Ncd per la circoscrizione Sud alle europee, un ex fedelissimo del Pdl di Nicola Cosentino rimasto folgorato sulla via del partito di Angelino Alfano. L’ufficio retto dal procuratore capo Corrado Lembo accusa Romano di aver provato a costringere il manager dell’Asl di Caserta Paolo Menduni a nominare persone da lui indicate ai vertici dell’ente sanitario, facendo riferimento al rispetto di “accordi di natura politica” altrimenti avrebbe messo i bastoni tra le ruote alla gestione dell’Asl attraverso “continui controlli”. Il Gip Sergio Enea riassume tutta la vicenda in un’ordinanza di 34 pagine con la quale aggrava il Paolo Romano Ansa titolo di reato da tentata concussione per induzione a tentata concussione per costrizione. VIENE RICORDATA anche la nomina di Nicoletta Tessitore a dirigente del distretto sanitario di Capua, la città dove Romano vive in una elegantissima villa non molto distante dal centro e ha iniziato a costruire le sue fortune politiche. “Come ti sei permesso di mettere quella nel mio distretto?”, avrebbe detto Ro- LE MINACCE Il dirigente Menduni denuncia: doveva “rispettare gli accordi” altrimenti sulla sua gestione ci sarebbero stati “continui controlli” mano a Menduni in una “telefonata furiosa”, secondo il manager Asl sentito dal pm il 6 novembre 2012 che gli rivolge delle domande sulla denuncia presentata il 31 luglio precedente. Nei mesi precedenti all’esposto, infatti, Menduni fu al centro di una serie di critiche e di attacchi mediatici, anche piuttosto aspri e da diverse parti politiche. Ed anche di minacce vere e proprie, tra cui un sms piuttosto inquietante: “abbiamo decretato la tua fine”. Ma non c’è certezza di correlazione tra questi episodi e le vicende “politiche”. È CERTO invece che a fine maggio 2012 Romano riuscì a far sedere intorno a un tavolo quasi tutti i consiglieri regionali eletti nel casertano – con l’eccezione di Angelo Polverino – per una conferenza stampa ‘contro’ Menduni. Pochissimi giorni dopo la commissione Trasparenza presieduta da un altro casertano, il Pd Nicola Caputo, ascoltò Menduni sulla gestione dell’Asl e gli rivolse la domanda se si era recato in Procura. Il manager rispose di no. Ma ci stava pensando e lo fece poche settimane dopo. Il 21 maggio 2012 una cimice nel suo ufficio, piazzata per un’altra inchiesta della Dda di Napoli su infiltrazioni camorristiche negli appalti, registrò Menduni durante uno sfogo col direttore sanitario Gaetano Danzi: “Con Paolo Romano, ha sbagliato proprio alla grande, perché tanto Romano lo mando in galera. Mi dispiace per gli amici, però lo mando in galera. Anche perché si permettono si dire, adesso sorveglieremo sugli appalti delle Asl, ma perché a me che me ne frega degli appalti…”. I pm napoletani hanno trasmesso queste intercettazioni ambientali alla procura sammaritana, che però non ne ha fatto uso nella richiesta cautelare: inoltre il Gip le ritiene “inutilizzabili”. Nelle carte compare invece una telefonata del 6 febbraio 2013 tra Romano e la consigliera regionale Pdl Daniela Nugnes: un articolo ha appena rivelato l’esistenza della denuncia e Romano si chiede se è opportuno che Menduni continui a ricoprire il ruolo di manager Asl. Tra gli indagati anche il consigliere regionale eletto in Idv e poi passato nel Ncd, Eduardo Giordano, un suo collaboratore, Francesco Pecorario, e un giornalista casertano, Giuseppe Perrotta della Gazzetta di Caserta: è il filone che fa riferimento alla pubblicazione di interviste e servizi allo scopo, secondo gli inquirenti, di gettare cattiva luce sulla gestione della Asl. Ma il Gip ha rigettato per loro le misure cautelari. Per l’avvocato di Romano, Nicola Garofalo, “siamo di fronte a un impianto accusatorio debole e inconsistente”. 21 MAGGIO 2014 NEL CDA DEI CONCORRENTI il FATTO ECONOMICO CONSULENZE MILIARDARIE LA TENTATA SUCCESSIONE » Bazoli è il presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa, ma è stato a lungo anche in quello di Ubi banca 11 » Nel 2012 il governo Monti gli impone di dimettersi, gli azionisti bresciani spingono Francesca Bazoli » In sette anni di vita Ubi banca ha pagato un miliardo di consulenze, come hanno denunciato due senatori IL PATRIARCA Per anni il presidente di Intesa si è costruito la fama di ascetico padre nobile della sinistra Ma l’inchiesta su Ubi Banca rivela la sua rete di potere LE MILLE POLTRONE DELLA PREMIATA FAMIGLIA BAZOLI & GITTI di Giorgio Meletti S i può capire la “profonda sorpresa” di Giovanni Bazoli, che si trova a 81 anni indagato e perquisito perché magistratura e Consob hanno deciso di vedere chiaro nelle sue tecniche di esercizio del potere finanziario. Rivendicando di avere “sempre testimoniato nella mia vita e nei miei comportamenti una totale e leale osservanza delle regole e delle leggi”, il banchiere bresciano si elegge, come d'abitudine, giudice di se stesso per contrapporre la sua specchiata reputazione all'apparenza dei fatti. Forse ha ragione lui, forse con le persone notoriamente per bene è inutile richiamare regole e leggi. Si fa prima a fidarsi, a considerare i fatti all'attenzione delle procure di Bergamo e Milano sotto la luce del rinomato disinteresse personale, della sobrietà e della correttezza. Con queste tinte rosee due generazioni di laudatores hanno accompagnato la trentennale parabola del giurista che a metà anni 80 fu proiettato dal suo mentore Nino Andreatta sul salvataggio del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, e su quel disastro ha costruito la maggiore banca italiana, Intesa Sanpaolo. CERTO, SE BAZOLI non fosse Bazoli, i sospetti più maliziosi si affollerebbero. Perché il professore, mentre diventava il più potente banchiere (e non solo) italiaDINASTIA BRESCIANA no, non ha mai sciolto i legami con il poLa figlia Francesca doveva prendere tere finanziario della sua città. E c'è voluta il suo posto nel cda, si è dovuta limitare un'apposita legge a una serie di poltrone nelle controllate dell'altrettanto sobrio governo Monti Suo marito, il super avvocato e deputato per farlo sloggiare dal consiglio di sorGregorio Gitti, è sempre coinvolto veglianza di Ubi bannelle operazioni più importanti ca, uno dei maggiori concorrenti di Intesa. Nel 2007, quando Ubi era appena nata dalla fusione tra Popolare di presidenza della Popolare Bergamo (oggi controlBergamo e Banca Lombarda di Brescia (di cui Bazoli lata di Ubi) ma nel consiglio è entrato suo figlio è stato anche vicepresidente), un complicato ma- Matteo. Tra le regole non scritte vigenti nel montrimonio i gruppi di potere di due città chiave del- do Ubi Banca c’è infatti questo singolare familil'economia lombarda e italiana, fu il dominus ber- smo delle famiglie per bene, che si passano le polgamasco, Emilio Zanetti a proporre la sua elezione, trone di padre in figlio attraverso un peculiare e qualche coraggioso azionista osò ipotizzare meccanismo di meritocrazia genetica, attraverso qualche “potenziale conflitto di interesse”. Zanet- il quale un figlio può garantire agli azionisti lo stesti, paterno, disse: “Qualcuno può nutrire perples- so coefficiente di onestà del genitore. In ogni caso Bazoli figlia si è accontentata di un sità, ma mi auguro che queste vengano fugate”. All'indomani della leggina di Monti venne a man- posto nel consiglio della controllata Banco di Brecare il notaio Giuseppe Camadini, personaggio di scia, che si è aggiunto alla vicepresidenza di Ubi spicco del potere bresciano, legatissimo a Bazoli, Leasing. Nel luglio dell'anno scorso, quando la insieme al quale realizzò la fusione tra Banco di Banca d'Italia ha completato l'ispezione di Ubi LeaBrescia e Credito agrario bresciano da cui nacque sing che ha portato nei giorni scorsi all'esplodere la Banca Lombarda. L’associazione “Banca Lom- dello scandalo, Francesca Bazoli si è dimessa. Però barda e Piemontese”, che riunisce gli azionisti bre- è rimasta nel consiglio di Ubi sistemi e servizi. sciani di Ubi, ritenne di avere il diritto di designare un bresciano per quel posto, in base a quell'ac- SE NON VIGESSE la presunzione di correttezza cordo di spartizione che gli inquirenti giudicano assoluta della famiglia Bazoli, ci sarebbe da notare “occulto” e quindi illecito. Fu prescelta Francesca che anche Gregorio Gitti, marito di Francesca e Bazoli, avvocato bresciano, classe 1968, che ha ere- genero di Giovanni, ha i suoi incarichi nel gruppo ditato dal padre Giovanni lo studio legale. Le pro- Ubi. È presidente di ben quattro controllate: 24-7 teste dei bergamaschi fecero saltare la successione Finance, Ubi Finance 2, Ubi Finance 3, Lombarda ereditaria, anche se nessuno ha protestato nel Lease Finance 4. Gitti è professionista di notevole marzo scorso, quando Emilio Zanetti ha lasciato la caratura e di ingegno multiforme. Il suo studio legale Pavesi, Gitti, Verzoni è ben inserito nei gangli decisivi degli affari. E il nome del genero di Bazoli spicca con frequenza nelle vicende che riguardano sia pure indirettamente il suocero. Eccolo come consulente legale nella fusione che dà luogo alla nascita di Ubi Banca, eccolo protagonista della nascita della nuova Alitalia di Roberto Colaninno, operazione targata Intesa Sanpaolo, eccolo nella squadra degli advisor nella nascita di A2A, nata dalla fusione delle due municipalizzate elettriche di Milano e Brescia. Nel 2013 Gitti è diventato deputato, eletto nelle liste di Scelta Civica dopo anni di militanza nel Partito democratico di cui è stato uno dei fondatori. Alla Camera si è subito distinto, tra le altre cose, per il reddito, 3 milioni e 426 mila euro, secondo solo a quello del re della sanità convenzionata Antonio Angelucci. COLPISCE ANCHE, e aiuta a comprendere la sor- presa di Bazoli per l'indagine che lo coinvolge, che nessuna autorità abbia avuto finora niente da dire sui rapporti della famiglia con Romain Zaleski. Notate la stranezza: a partire dal 2012 due senatori, Giorgio Jannone (Pdl) e Elio Lannutti (Idv) hanno presentato due distinti esposti alla magistratura, nei quali era scritto per filo e per segno tutto ciò di cui la Guardia di Finanza è andata a cercare le prove due anni dopo: per esempio il fatto che in sette anni di vita Ubi Banca abbia distribuito un miliardo di euro in consulenze (legali e non). Lannutti però ha presentato, già da anni, un esposto anche alla procura di Milano, riguardante Intesa Sanpaolo, con la richiesta alla procura guidata da Edmondo Bruti Liberati di verificare se con Zaleski non sia stato commesso il reato di “abusiva concessione del credito”. Nessuno ha mai fatto una piega, e si può facilmente indovinare il perché: la reputazione di Bazoli è stata evidentemente giudicata sufficiente a fugare ogni sospetto. E quindi rimangono solo allo stato di apparenze scombinate alcuni fatti: che le banche italiane abbiano prestato al finanziere franco-polacco amico di famiglia dei Bazoli 6-7 miliardi per giocare in Borsa; che con quei soldi Zaleski arrivò ad essere uno dei primi azionisti di Intesa Sanpaolo, il primo azionista di Ubi al momento della nascita nel 2007, il primo azionista della Mittel, la finanziaria di cui Bazoli è stato presidente per una vita (con Gitti consulente); che Intesa Sanpaolo abbia prestato all'amico del presidentissimo almeno 800 milioni senza pretendere garanzie reali, scavando così un buco inesorabile nei propri conti, visto che le speculazioni di Zaleski sono andate molto male. La storia è antica: perché se ti chiami Brambilla le banche ti fanno fallire all’istante chiedendoti il rientro immediato e se ti chiami Zaleski ti tengono in vita per anni dandoti ossigeno finanziario per centinaia di milioni? Finora la magistratura non ha ritenuto che la vicenda possa riguardare il rispetto delle leggi. La stessa idea devono averla Bazoli e i suoi cari. Non a caso nel 2008, alla vigilia del crac Zaleski, Gitti ha fondato, con l’amico franco-polacco e il suocero banchiere, la solenne Fondazione Etica, che si propone “l’elaborazione di una nuova idea di Paese, basata su una moderna etica pubblica”. Ecco, l’etica è assicurata. Meno male. Twitter@giorgiomeletti EURO CRISI È tornato il complotto dello spread di Stefano Feltri CI STA PROVANDO, ma neppure Silvio Berlusconi riesce a prendersi sul serio quando rilancia il “complotto dello spread”. Basta vedere la sua intervista alla Bbc in cui il giornalista gli chiede se è vero che ha chiamato Angela Merkel “unfuckable lard ass” per ricordarsi a che punto era arrivata la credibilità del suo governo nel 2011. Eppure, anche uno che conosce i numeri come Renato Brunetta continua ad accreditare la tesi della grande congiura franco-tedesca che ha abbattuto il Cavaliere usando i mercati. Quello che sta succedendo in questi giorni dimostra che non servono i complotti per spiegare le reazioni della finanza (a volte esagerate, i banchieri sono pur sempre uomini, ma mai assurde). Lo spread italiano sta tornando verso i 200 punti, ieri era a 191, mentre il tasso chiesto dal mercato per i titoli del Tesoro a dieci anni è attorno al 3,15 per cento. Entrambi sono in rapida ascesa ed è lecito avere qualche timore. Come ha avvertito Martin Wolf sul Financial Times, l’attuale bonaccia attorno all’euro zona dipende da due premesse: che il ritorno della crescita renderà sostenibile nel lungo periodo il debito pubblico di Paesi come l’Italia e che la Bce agirà in modo determinato per calmare i mercati (se necessario) e INTESA per evitare il rischio deflaAL zione. Nessuna delle due VERTICE premesse è scontata: seGiovanni Bazocondo i dati Ocse di ieri, il li, la figlia Fran- Pil italiano è calato dello cesca e il genero 0,1 per cento nel primo Gregorio Gitti trimestre 2014, nell’eurovisti da Emazona è cresciuto di un minuele Fucecchi sero 0,2. Troppo poco, la ripresa è così lenta da essere impalpabile. E la Bce di Mario Draghi ha creato attese enormi per la sua riunione di giugno, o lancia misure davvero straordinarie o i mercati sconteranno la delusione. Non servono teorie del complotto per spiegare l’inquietudine degli investitori. Ma questo non significa che i complotti non esistano. Sono molto meno politici e più gretti di quelli immaginati da Brunetta: ieri la Commissione europea ha avviato gli accertamenti per stabilire se Crédit Agricol, Hsbc e Jp Morgan hanno fatto cartello per manipolare i tassi di interesse su derivati legati all’euro. Tradotto: il sospetto è che nel pieno della crisi dell’euro ci fossero alcune grosse banche che altervano il mercato degli strumenti che assicurano contro eventi disastrosi per guadagnare parecchio. Non c’è da stupirsi, già un anno fa la Commissione ha comminato multe per oltre un miliardo di euro a grandi gruppi bancari, rei confessi, per la manipolazione dei tassi Libor e Euribor. Questi sono i veri complotti. Le sfortune di Berlusconi hanno spiegazioni più semplici ed evidenti come l’incompetenza. Twitter @stefanofeltri 12 MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 il FATTO ECONOMICO GIUSEPPE BONOMI Sanzione Consob per l’uomo che parlò troppo Adesso è consulente per gli aeroporti del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, ma nel novembre 2012 Giuseppe Bonomi era il presidente (in quota Lega Nord) della Sea, la società che gestisce Linate e Malpensa e il comune di Milano voleva a tutti i costi quotare in Borsa. Bonomi promise che la società, dopo la quotazione, avrebbe dato in dividendi il 70 per cento degli utili. Siccome però questa decisione non l’aveva mai presa nessuno, a un anno e mezzo di distanza la Consob ha multato la Sea. Sanzione poco più che simbolica, 5 mila euro, anche perché quella affermazione infondata non ha danneggiato nessuno. La quotazione della Sea fu infatti bloccata dalle proteste dell’azionista di minoranza, il fondo F2i guidato da Vito Gamberale. Il quale è stato poi denunciato dallo stesso Bonomi alla procura, con l’accusa di aggiotaggio, per aver contribuito a far saltare il collocamento in Borsa facendo uscire sui giornali notizie negative sull’andamento della società. Ii magistrati di Milano devono stabilire se quelle notizie fossero vere o false, cioè se abbiano danneggiato la Sea o salvato i risparmiatori. Per adesso la Consob punisce Bonomi, e segna un punto a favore di Gamberale. di Gionata Picchio Q uale imprenditore costruirebbe un mega hotel in una località in declino turistico e con incerte prospettive di ripresa? Probabilmente nessuno. Eccetto forse se i soldi non fossero suoi. Nel settore dell'energia qualcosa di simile potrebbe accadere davvero: nonostante i consumi gas in calo, tornati ai livelli del 2002, il governo è convinto della necessità di nuove infrastrutture di import. Anche a costo di farle pagare ai consumatori, per un onere che potrebbe raggiungere 350 milioni all'anno o più. Negli anni 2000, quasi tutte le grandi utility sognavano di costruire un gasdotto o un rigassificatore. Il mercato gas era una miniera d'oro per chi riusciva a entrare: domanda in crescita e prezzi alle stelle, complice il qua- SPRECHI Il governo promette risparmi alle famiglie, ma conferma tubi e infrastrutture eccessivi per le esigenze italiane. Tanto il conto arriva a noi GAS, LE GRANDI OPERE INUTILI CHE PAGHEREMO CON LA BOLLETTA per le quali “si prevederà la possibilità di recupero garantito (anche parziale), dei costi a carico del sistema”, ossia dei consumatori, “anche in caso di non pieno utilizzo”. Un principio che l'Italia è riuscita a far passare nella dichiarazione finale del G7: i costi di opere “necessarie per aumentare la sicurezza degli approv- UN ALTRO MONDO Prima della crisi, i rigassificatori erano un affare d’oro, profitti milionari garantiti: poi la domanda è crollata, nel 2023 la domanda sarà più bassa che nel 2003 si-monopolio Eni. Importazioni indipendenti avrebbero offerto alti margini, ridotto un po’ i prezzi e aumentato la sicurezza delle forniture. Così nell’arco di poco tempo una quindicina di progetti di terminal per gas liquido (Gnl) e una manciata di nuovi tubi si sono accalcati sui tavoli dei ministeri. Il mondo dopo la crisi è diverso Dopo il 2008 però è cambiato tutto: la crisi e l'espansione delle fonti rinnovabili hanno fatto crollare i con- LA TASSA OCCULTA L’esecutivo ha imposto al G7 il principio che se i nuovi impianti restano inutilizzati verranno comunque remunerati: fino a 350 milioni di euro a carico degli italiani sumi. Un’offerta crescente si è riversata su un mercato che la regolazione aveva reso più dinamico, falcidiando prezzi e margini. Di colpo, costruire un rigassificatore è apparso assai meno attraente, viste le incertezze su come recuperare i costi di un investimento di cui non sembra più esserci bisogno. Eppure il governo indica tra le priorità energetiche la realizzazione di nuove infrastrutture per l'import, in particolare terminali per navi metaniere. Illustrando in marzo al Senato il programma del suo dicastero, il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi ha evidenziato la necessità di “rimuovere gli ostacoli allo sviluppo della nostra capacità di rigassificazione per beneficiare della rivoluzione dello shale gas” Usa (cioè il gas estratto dalle rocce). Un concetto ribadito al vertice G7 sull’energia di Roma. Più nei dettagli è entrato il viceministro, Claudio De Vincenti, annunciando l'emanazione a breve di un decreto della presidenza del Consiglio per le infrastrutture “strategiche”, ossia coerenti con la Strategia energetica (SEN) varata nel 2012 dal governo Monti. Opere, ha spiegato, vigionamenti, e che non possono essere costruite secondo le regole del mercato - vi si legge - potrebbero essere sostenuti attraverso quadri regolatori o attraverso il finanziamento pubblico”. Le bollette quindi ripagheranno ai proprietari una maggioranza dell’investimento, si parla di circa due terzi, anche a impianto fermo. Il ministero dello Sviluppo ha stimato un extra-onere di circa 150 milioni/anno per un terminal da 8 miliardi di metri cubi all’anno in caso di completo inutilizzo. Nella SEN si giudica necessario almeno un impianto di TROPPA OFFERTA Il calo dei consumi strutturale in Italia e la struttura del mercato del gas. Sotto, il rigassificatore di Rovigo Infografica di Pierpaolo Balani questa taglia, o due se non sarà realizzato il gasdotto Albania-Italia TAP. Se aggiungiamo il più piccolo OLT di Livorno, già realizzato ma a cui il ministero vuol comunque concedere il meccanismo (stima: 60 milioni all'anno), si sale a 210-360 milioni all'anno. Ma si potrebbe andare anche oltre: sul numero di impianti da realizzare, Guidi si è limitata a ricordare che attualmente quelli autorizzati sono tre. L’unico da 8 miliardi di metri cubi è Porto Empedocle di Enel, in Sicilia, che potrebbe usarlo per importare Gnl dagli Stati Uniti in base a un recente accordo. Gli altri due sono Gioia Tauro (12 miliardi di metri cubi), in Calabria, il cui principale socio con Iride è la Sorgenia della famiglia De Benedetti - alle prese con ben altri problemi di debito ma che potrebbe vendere ad altri - e Falconara della petrolifera Api, nelle Marche. Cattedrali nel deserto della bassa domanda Progetti che in base a una logica di mercato resterebbero nel cassetto ma che con un ritorno garantito per legge, che annulla gran parte del rischio d'impresa, tornano interessanti. La possibilità che restino cattedrali nel deserto è concreta: tra i rigassificatori esistenti, quello di Snam a Panigaglia (La Spezia) è a riposo da oltre un anno per i bassi consumi e perché il mercato spinge il gas naturale liquido in Asia dove il prezzo è più alto. Quello di Rovigo di Edison, Exxon e Qatargas viaggia al minimo consentito dai contratti e nessuno richiede la capacità non prenotata. Sorte toccata anche all'OLT, fermo dalla sua inaugurazione perché nessuna impresa ne ha chiesto i servizi. È proprio necessario farne pagare di nuovi ai cittadini? “Dobbiamo scommettere che la domanda tornerà a crescere”, ha notato il ministro Guidi dopo il G7. Inoltre, secondo il ministero dello Sviluppo, le infrastrut- 21 MAGGIO 2014 13 POTERE SVEDESE Gli artigiani italiani l’avevano sottovalutata Oggi devono accettare le sue durissime richieste per sopravvivere IKEA, I 25 ANNI CHE HANNO STRAVOLTO IL MADE IN ITALY di Carlo Di Foggia U ture serviranno ad aumentare la sicurezza e ad “agganciare” la rivoluzione shale gas americano. Forse. Ma le incognite sono tante. Attualmente il gas naturale liquido degli Stati Uniti a non avrebbe mercato né in Italia né in Europa: troppo alto il prezzo per le depresse quotazioni nostrane. Ed è impossibile prevedere se in futuro potranno mai competere con quelle asiatiche. I consumi nel 2013 si sono attestati a 70 miliardi di metri cubi, sotto il livello del 2002. Un calo almeno in parte strutturale, perché con il boom di eolico e solare la domanda gas delle centrali non tornerà più quella di prima e molte industrie hanno ormai chiuso o delocalizzato. Per il 2023 Snam stima una domanda di 74 miliardi di metri cubi, inferiore a quella del 2003. Il vero obiettivo (forse) è la Russia Quanto alla sicurezza, l'attuale capacità di importazione annua supera già del 65per cento i consumi, il tasso di utilizzo di tubi e rigassificatori è appena il 54 per cento e su base giornaliera la somma tra capacità di import (329 milioni di metri cubi al giorno) e stoccaggi (al massimo 270 milioni di metri cubi) supera il record storico di domanda (465 milioni di metri cubi) anche in caso di stop temporaneo del gas russo. Certo, altro discorso sarebbe se il governo avesse obiettivi davvero titanici: affrancarsi del tutto da Mosca e da Vladimir Putin per l’energia, ad esempio. O convertire a metano il trasporto nazionale. Allora servirebbero infrastrutture. L’esecutivo però non ha mai annunciato niente di simile. Anzi, proprio mentre vuole ridurre la nostra dipendenza dal gas russo Roma ribadisce il sostegno al gasdotto South Stream. Che pur approdando in Austria anziché in Italia quella dipendenza la rafforzerà. Un bel mix di incertezze e contraddizioni. Troppe, verrebbe da dire, per ipotecare centinaia di milioni dei consumatori. n quarto di secolo per un terzo del mercato. “Forse l’abbiamo un po’ sottovalutata...”. L’eufemismo è di Mauro Mamoli presidente di Federmobili, i piccoli negozi d’arredo schiacciati dalla multinazionale giallo-blu. In principio Ikea fu un “negozio” a Cinisello Balsamo, alle porte di Milano. Nel maggio 1989 il gigante svedese ha già conquistato i grandi Paesi d’Europa, da più di dieci anni l’ufficio acquisti di Trezzano sul Naviglio studia il mercato e i possibili fornitori; esordisce con quattromila metri quadri e nessuno lo prende sul serio. “Nei corsi di arredamento portarono questo nuovo catalogo - ricorda Mamoli prezzi bassissimi, strane linee, l’acquisto smontato... Non c’entrava nulla con la qualità e lo stile italiano”. Perché preoccuparsi? A SENTIRE i commer- cianti, ad ammazzare la distribuzione italiana non sono stati i clamorosi fallimenti, con strascichi giudiziari, di pionieri come Aiazzone e Emmelunga, ma “l’estrema polverizzazione dell’offerta e la confusione sugli sconti”. Ikea vale da sola quasi il 10 per cento del mercato, ma ha spianato la strada alla grande distribuzione di mobili. In meno di quindici anni, i negozi tradizionali d’arredo hanno visto gli acquisti calare del 35 per cento. Le proteste sindacali per i bassi salari e i controlli invasivi sui dipendenti, il dedalo di holding in Olanda e fondazioni in Lussemburgo per abbattere i costi fiscali, i libri di Daniele Martini inchiesta e persino le rivelazioni sul passato filo-nazista e i “metodi da Stasi” usati dal suo leggendario fondatore Ingvar Kamprad non l’hanno scalfita. Ikea piace agli italiani. VENTICINQUE anni fa, anche i fornitori della piccola distribuzione non colsero la portata dell'evento. Dopo tutto si trattava dei “pionieri del mobile”, artigiani con oltre trent’anni di esperienza divenuti industriali di successo in Brianza, nel Veneto e nelle Marche. Oggi guardano all’export. In pochi sono riusciti a entrare nelle grazie della potente centrale acquisti Ikea, un miliardo di euro di commesse (l’8,2 per cento di tutta la merce venduta nel mondo). Gli svedesi hanno puntato sui distretti del nord-est, Veneto, Lombardia e Friuli, dove acquista più che in Svezia o Germania. Tra Treviso, Pordenone e Gorizia, hanno sede alcuni tra i più grandi fornitori del colosso svedese, con volumi di produzione enormi e margini di guadagno molto bassi. “Qui Ikea vale il 60 per cento del fatturato dell’intero distretto”, spiega Fabio Simonella, per anni responsabile della sezione legno e arredo dell’unione industriale di Pordenone e ad di SinCo, impresa che faceva da terzista a un fornitore della multinazionale. A oggi, le commesse danno lavoro a circa 2500 persone. Chi produce per Ikea racconta di trattative estenuanti, di una pressione continua per contenere i margini, in modo da avere poi prezzi di vendita competitivi. Si parte con i test, che durano anni; i manager Ikea visitano gli stabi- COMPLEANNO Nel maggio del 1989, Ikea apriva il suo primo negozio italiano a Cinesello Balsamo, vicino a Milano. Da allora è cambiato tutto AP / LaPresse limenti, controllano tutto e scelgono anche i sub-fornitori. I contratti prevedono sempre una progressiva discesa del prezzo di fornitura. “Se un anno non sei in grado di applicare uno scontro del 3 per cento sei fuori”, spiega al Fatto un fornitore storico di Ikea. Che è un cliente difficile. Tre anni fa la friulana Snaidero ha interrotto i rapporti e messo in cassa integrazione 40 dipendenti: “I margini erano troppo bassi”, spiegarono i vertici dell’azienda di Majano. NONOSTANTE il mas- simo riserbo imposto dall’azienda, si sa che i fornitori sono 24, con 53 stabilimenti coinvolti. L’elemento base dei mobili Ikea è il pannello di truciolare nobilitato, realizzato da aziende come Frati, Saviola o Fantoni. Nel tre- 1,52 MILIARDI IL FATTURATO ANNUO IN ITALIA vigiano, la 3B di Salgareda in 10 anni ha raddoppiato il suo fatturato (200 milioni). La Media Profili di Mansuè - quasi 600 addetti dopo 11 anni di forniture, oggi fattura 245 milioni di euro. I veterani, dal 1997, sono quelli di Friul Intagli un migliaio di dipendenti - che da Ikea ricava 180 milioni su 300 totali. Due anni fa è toccato al Piemonte. Nella Regione, Ikea ha spostato la produzione di giocattoli dalla Malesia e dei rubinetti dalla Cina. Una delocalizzazione al contrario, salutata dai media come il trionfo del made in Italy, ma che riguarda solo due aziende. Una di queste, la Paini di Pogno, in provincia di Novara, è diventata il principale fornitore di rubinetti. Oggi ha un fatturato di 70 milioni di euro e 330 dipendenti, più altri 200 nelle aziende satelliti, una delle quali in Cina. IL PREZZO dei prodotti è uguale ovunque, l’eccellenza italiana sta nella tecnologia, macchine in grado di produrre mille pezzi l’ora. “Così si comprimono i costi e si batte la concorrenza. Ma questa è industria, il made in Italy è un’altra cosa. Ma gli artigiani non sono esperti di marketing”, ammette l’imprenditore Simonella. Dopo un quarto di secolo, nessuno sottovaluta più Ikea. In Lombardia, il gruppo conta di aprire uno spazio espositivo di 130 mila metri quadri nel comune di Rescaldina, a Nord di Milano, ma i commercianti della zona non ne vogliono sapere. La Confcommercio contesta anche i dati sull’impatto, secondo il suo ufficio studi per 840 nuovi posti di lavoro creati se ne distruggerebbero 1.085. Oggi l’apertura di un megastore giallo-blu terrorizza i negozianti, non solo quelli dell’arredo. Dal 2007 al 2012 il mercato del legno e dell’arredo ha perso quasi 14 miliardi di fatturato, 4200 imprese hanno chiuso i battenti. Il risultato è stato un salasso di 28 mila posti di lavoro. “Se il governo a giugno scorso non fosse intervenuto con due misure a sostegno della domanda nazionale, Bonus Mobili ed Ecobonus - spiegano da Federlegnoarredo - il bilancio sarebbe ancora più drammatico”. LA MULTINAZIONALE di Älmhult, invece, avanza come un caterpillar. Negli ultimi due anni, per la prima volta il fatturato di Ikea Italia - 1,52 miliardi di euro ha visto il segno meno: 80 milioni persi. Conseguenze? Nessuna. A marzo ha inaugurato il negozio di Pisa, e a Villesse, in provincia di Gorizia, ha fatto il salto di qualità temuto da tutti: un centro commerciale totalmente Ikea. PIETRO CIUCCI All’Anas i dirigenti non bastano, arruolati due pensionati per gli appalti I due nuovi cani da guardia dell'Anas, quelli che dovrebbero difendere l'azienda dai malintenzionati, non si può dire siano di primo pelo: 143 anni in due. Il più giovane ha 66 anni, è avellinese e si chiama Ciriaco D'Alessio; l'altro ha 77 anni, è originario della provincia di Cosenza, bolognese d'adozione e si chiama Francesco Bonparola. Entrambi erano felicemente pensionati. Ma il presidente dell'Anas, Pietro Ciucci, che sta dandosi molto da fare per essere trasferito alle Ferrovie, li ha voluti a tutti i costi preferendoli alle decine di dirigenti interni. Ai due Ciucci ha riconosciuto un compenso annuo non elevatissimo rispetto alle cifre che circolano all'Anas, 90 mila euro ciascuno, 70 per la collaborazione e altri 20 mila di incentivo. Però ha affidato loro un incarico di grande responsabilità: D'Alessio e Bonparola faranno parte dell'Unità di riserva, un ufficio composto da tre dirigenti e inventato dallo stesso Ciucci con l'obiettivo dichiarato di tagliare le grinfie ai furbetti del mattone e dell'asfalto. L'Unità di riserva dovrebbe esaminare le “riserve in corso d'opera”, quel sistema usato dalle ditte per battere cassa all'Anas a colpi di decine di milioni euro e che spesso ha fatto lievitare il costo delle grandi opere stradali in Italia. Qualsiasi pretesto è buono per avanzare all'Anas una riserva: il progetto giudicato non inappuntabile, il rinvenimento durante gli scavi di qualche imprevisto, una variazione del tracciato, l'aumento delle materie prime. Faccende delica- te in cui forte è la valutazione discrezionale. Agli occhi di Ciucci i due arzilli pensionati sono a prova di bomba. D'Alessio è un ex democristiano di area prandiniana, cioè di Giovanni Prandini, ministro dei Lavori pubblici nella Prima Repubblica che ebbe i suoi guai con Tangentopoli. Diventato Magistrato delle Acque di Venezia aveva seguito i lavori del Mose, le 74 paratie mobili che dovrebbero proteggere Venezia dall'acqua alta. E per non sbagliare aveva deciso di non abbandonare il sentiero del suo predecessore, Patrizio Cuccioletta, che tra le altre decisioni prese, aveva affidato proprio al presidente dell'Anas Ciucci l'incarico di collaudatore. L'altro ripescato è un rodato ex ispettore dell'Anas che aveva lasciato l'azienda più di 10 anni fa. 14 il FATTO ECONOMICO 21 MAGGIO 2014 EURO La trappola nascosta nel cambio fisso di Alberto Bagnai ALL’ULTIMO cenacolo della Fulm, animato da Paolo Savona e Giorgio La Malfa, Gianni Bulgari ha fatto un’osservazione che aveva già sviluppato sul Corriere della Sera del 25 marzo, e su cui vale la pena riflettere. Secondo Bulgari, posto che la moneta è una delle espressioni più significative della sovranità di uno Stato, una moneta come l’euro, priva di un’entità statuale di riferimento, nei fatti coincide con un ac- cordo di cambio fisso. Dato che gli Stati Uniti d’Europa, ipotetico “Stato” di riferimento dell’euro, sono un progetto antistorico e quindi destinato al fallimento, il destino dell’euro andrebbe valutato in base alla stessa logica che ha giudicato (e condannato) i precedenti accordi di cambio fisso. Osservazione sensata, da corredare con un dettaglio. In un accordo di cambio, il cambio non è fisso per decreto divino, ma perché le Banche centrali dei Paesi coinvolti intervengono per mantenerlo tale. Se un Paese si trova in deficit di bilancia dei pagamenti, deve fare più pagamenti all’estero di quanti ne riceva: offre molta valuta nazionale per acquistare valuta estera, e la sua valuta nazionale tende a deprezzarsi (legge della domanda e dell’offerta). Perché questo non succeda, la Banca centrale nazionale acquista la valuta nazionale in eccesso di offerta, dando in cambio valuta estera (le riserve ufficiali). Questo meccanismo definisce un segnale di stop loss, mette un termine al tergiversare dei politici: quando le riserve ufficiali finiscono, il cambio non può più essere sostenuto, la politica deve cedere il passo al mercato, che definisce un cambio più in linea coi fondamentali dell’economia. L’euro è un accordo di cambio fisso molto particolare: la parità fra euro italiano ed euro tedesco è uno per definizione, quindi non deve essere difesa drenando riserve. Questo non significa che non ci sia trasferimento di risorse all’estero. Invece dei dollari o dei marchi della Banca centrale, stiamo cedendo all’estero le nostre migliori aziende e i nostri giovani migliori. Il problema è che in questo caso non esiste uno stop loss chiaro, non esistono limiti al male che politici incompetenti e collusi con interessi esteri possono farci. Questo è il motivo per il quale la crisi dura da sei anni. Starà a noi dare lo stop loss alle prossime elezioni. STORIA FIOM Landini e Camusso, uno scontro antico di Salvatore Cannavò L o scontro in Cgil tra Susanna Camusso e Maurizio Landini ha ormai assunto le caratteristiche del feuilleton. Caratteri e strategie diverse, diversi rapporti con la politica, la cultura, la comunicazione. Eppure, quello scontro ha una sua precisa storia sindacale e il libro di Gianni Rinaldini, nel quale l’autore svolge anche un ampio colloquio con l’ex direttore del manifesto, Gabriele Polo, la ricostruisce abbastanza fedelmente. Rinaldini è il segretario generale della Fiom che ha preceduto Landini e lo ha proposto alla segreteria. In qualche modo ne rappresenta il padre putativo ma, allo stesso tempo, è anche “figlio” dell’altro importante dirigente della Fiom, per lo meno di quella degli ultimi venti anni, Claudio Sabattini. IN BASSO A SINISTRA Gabriele Polo, Gianni Rinaldini Manni, 162 pagg, 14,00 ¤ di Mario Seminerio L a prima stima del Pil del primo trimestre dell’Eurozona, che ha mostrato una crescita dello 0,2% a fronte di attese doppie, è stata una doccia gelata per alcuni paesi, ma si caratterizza anche per una variabilità e disomogeneità ben più elevate del solito, che quindi richiedono cautela nell’analisi. In alcuni casi, così come accaduto per gli Stati Uniti, hanno influito le condizioni meteo del periodo. La Germania, ad esempio, ha fatto lievemente meglio delle attese, segnando un più 0,8% a fronte di attese per un più 0,7%, grazie soprattutto al rimbalzo dell’attività nel settore delle costruzioni, agevolata dal clima mite, che ha consentito l’avvio di un maggior numero di nuovi cantieri. Per l'identico motivo l'Olanda, con una contrazione trimestrale di ben l’1,4%, è stata duramente colpita dal vero e proprio crollo di consumi domestici ed I DATI ISTAT La crescita è smentita da tutti i dati. Ma se la tendenza fosse confermata non resterebbe che un piano di “as sistenza” sovranazionale. Come Grecia e Portogallo La ripresa non esiste, la Troika è in agguato esportazioni di gas naturale. Discorso in parte simile per il Portogallo, che ha subito un fermo imprevisto delle proprie raffinerie. Il rallentamento italiano spiegato con il bel tempo Riguardo il nostro paese, i dati Istat della prima stima, a meno 0,1% contro attese poste a +0,2%, sono assai poco utili per trarre inferenze. Nel commento del nostro istituto di statistica, RACCONTANO BALLE 70% FARINETTI, IL RILANCIO PASSA DA UNA BUFALA LUNEDÌ, nel corso della trasmissione PiazzaPulita, l'imprenditore renziano Osca Farinetti ha ribadito la sua ricetta per la crescita: export, start-up e soprattutto, turismo. “Perché l'Italia ha il 70% del patrimonio artistico mondiale”, ha spiegato. Un dato fantasioso, soprattutto perché non è chiaro chi possa stilare classifiche del genere. Ma i precedenti illustri non mancano, da Vittoria PATRIMONIO CULTURALE IN ITALIA Brambilla (70%) a Silvio Berlusconi (50%), dall'ex ministro della Pubblica istruzione Tullio De Mauro (75%) a Vittorio Sgarbi (80%). È una bufala seriale. Il patrimonio culturale del mondo è quantificabile? No, ma l'approssimazione migliore è offerta dalla lista dei siti Unesco. L’Italia è il Paese che ne possiede il maggior numero: ben 49 su 981. Il 5% del totale. che utilizza la tripartizione “classica” tra agricoltura, industria e servizi, si parla solo di un “andamento negativo” nella generazione di valore aggiunto da parte della seconda. Ciò sembra in contrasto con i sondaggi congiunturali sui livelli di attività manifatturiera degli ultimi mesi, che hanno visto il nostro paese in buon recupero. L’enigma potrebbe essere risolto considerando che nel primo trimestre dell’anno la nostra produzione industriale ha segnato un andamento negativo a causa della vistosa contrazione della componente energia, mentre la manifattura ha confermato la ripresa. Sembra quindi che anche da noi le condizioni climatiche miti del primo trimestre abbiano influito negativamente sull’attività economica. A conferma indiretta di tali ipotesi possiamo citare le trimestrali non particolarmente brillanti delle municipalizzate italiane quotate, tutte caratterizzate da deterioramento dei conti rispetto alle attese a causa dei minori volumi venduti nel comparto energia e riscaldamento. Le revisioni della prima stima di Pil aiuteranno a fare chiarezza: non bisogna impiccarsi al singolo dato, esercitandosi spesso in bizzarre divinazioni. Gli americani, un po’ più analitici e pragmatici di noi, hanno un modo di dire molto efficace, riferito ai mercati finanziari ma applicabile al’'economia reale: non sovrainterpretare i dati. Ma resta vero che la “ripresa” italiana sem- Ed è a Sabattini che tutto viene ricondotto. Il dirigente sindacale, scomparso nel 2003, viene eletto alla guida dei metalmeccanici nel 1994 proprio quando alla testa della Cgil arriva Sergio Cofferati. È il primo vero passaggio di testimone dopo la storica stagione degli anni 70 e a garantirlo, non a caso, è Bruno Trentin. Con la scomparsa, all’inizio degli anni 90, dei partiti storici di riferimento, la Cgil si adegua al nuovo contesto, nascono le “aree programmatiche” interne e la Fiom di Sabattini si ritaglia una identità sulla base della “democrazia dei lavoratori” e dell’indipendenza, concetto a cui la Fiom rimarrà in seguito strenuamente legata. È con Sabattini che si ha una sterzata radicale e si avvia una fase di conflitto anche con la Cgil di Cofferati che però non si traduce mai in aperta contraddizione. La forza della ricomposizione, come al congresso del 1996, ha sempre la meglio, favorita anche da anni in cui, tra Genova 2001 e il Circo Massimo del 2002, le piazze vedono un grande protagonista politico della Cgil. Quando Cofferati lascia il timone al suo successore, Guglielmo Epifani, la dialettica si farà scontro aperto. Con Epifani prima, e Camusso poi, si verificherà anche la novità-Marchionne e, quindi, la segreteria di Landini. “La Cgil è ormai un’altra cosa”, scrive Rinaldini. La cui ricostruzione è amara, fatta di rimpianti e qualche pentimento ma confida ancora nel futuro del sindacato. plicemente non esiste. Sarebbe sicuramente ingeneroso imputare al governo Renzi (in carica per meno della metà del periodo), l’ambiguo dato di Pil del primo trimestre. Di certo, parlando di forzature interpretative, nelle scorse settimane abbiamo visto numerose cheerleader del premier esibirsi in fantasiose causalità tra la presunta scossa di fiducia e l’andamento (ad esempio) di dati manifatturieri che semplicemente ci mettevano in linea col resto dell’Eurozona. Ma tant’è, in questo paese vige la regola del pensiero magico in politica, quello per cui le correlazioni diventano immediatamente rapporti di causa ed effetto, buoni per un dibattito politico che, dopo aver toccato il fondo, ha cominciato a scavare vigorosamente tra vivisezioni canine, dittatori-mostri del passato, dentiere ai pensionati e pensioni alle casalinghe e imponenti riforme strutturali che sinora vivono solo nella mente di chi le ha proposte. Mercati nervosi in attesa della bolla cinese La congiuntura globale appare ancora molto fragile. Il nervosismo dei mercati finanziari, con i maggiori indici azionari che da inizio anno sono cresciuti mediamente poco, si alimenta della perdurante incertezza sul rischio che la Cina veda lo scoppio della sua bolla creditizia ed immobiliare. Vi sono poi aree di crisi regionale come quella ucraina, in cui l’Europa potreb- be essere risucchiata. Il recente, forte, ribasso dei rendimenti sui titoli governativi degli Stati Uniti, malgrado la Federal Reserve stia progressivamente rimuovendo lo stimolo monetario non convenzionale e si discuta sulla data di avvio del rialzo dei tassi ufficiali, indica che il mercato sta diventando progressivamente scettico circa la possibilità di una ripresa vibrante. Da uno scenario base che potrebbe quindi diventare di crescita molto anemica, o da quello negativo che vede un crash cinese o altri eventi sistemici, il nostro paese avrebbe solo da perdere. Già oggi la stima di una nostra crescita reale dello 0,8% e nominale dell’1,7% è posta a serio rischio. In condizioni di bassa crescita del Pil, reale e (soprattutto) nominale, l’andamento del nostro rapporto di indebitamento rischia di andare fuori controllo. Gli investitori internazionali, che sinora sono accorsi a comprare attivi italiani, potrebbero scoprire che esiste un rischio di sostenibilità del nostro debito, invertendo drammaticamente la tendenza. Se ciò accadesse, potrebbe rendersi necessario un programma di assistenza sovranazionale del tutto simile ai memorandum utilizzati per Grecia, Portogallo ed Irlanda, magari nella nuova forma di “accordo contrattuale bilaterale” con la Commissione di Bruxelles. Stiamo camminando su un sentiero molto stretto, sarebbe utile averne consapevolezza, ad ogni livello. Twitter @Phastidio ALL’ITALIANA il Fatto Quotidiano R oma, sentito Schulmers, il giudice che accusò il Colle LA PROCURA DI ROMA ha interrogato ieri Robert Schulmers, il magistrato iscritto nel registro degli indagati per calunnia e offesa al capo dello Stato. La vicenda riguarda le accuse lanciate dallo stesso Schulmers per aver subito una serie di “ingerenze” nel procedimento contabile sull'amministrazione della provincia autonoma di Bolzano guidata dall'esponente del- MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 la Svp, Luis Durnwalder. Robert Schulmers ha tirato in ballo il Colle per alcune presunte pressioni sulla Corte dei conti finalizzate ad alleggerire la posizione del governatore altoatesino Luis Durnwalder. Questi era finito sotto inchiesta della procura regionale che gli contestava l'uso illecito di fondi provinciali. 15 Schulmers parlò di queste presunte pressioni in alcune email, inviate all’Associazione nazionale magistrati contabili. Qui denunciava anche le ingerenze, a suo dire, subite dal suo superiore Salvatore Nottola nelle indagini che disturbavano il presidente della Provincia autonoma di Bolzano Luis Durnwalder. IOR, BERTONE E I 15 MILIONI ALLA SOCIETÀ DI BERNABEI UN GIORNALE TEDESCO ACCUSA: “INDAGINI SULL’EX SEGRETARIO PER IL PRESTITO ALLA LUXVIDE DELL’EX DIRETTORE RAI”. IL VATICANO: “NESSUNA INCHIESTA” di Marco Lillo L a notizia pubblicata dal giornale tedesco Bild Zeitung ieri mattina è di quelle che lasciano il segno: l’ex segretario di stato Tarcisio Bertone, l’uomo forte del pontificato di Benedetto XVI, sarebbe indagato dall’autorità giudiziaria vaticana. L’indagine per malversazione riguarderebbe - sempre secondo il quotidiano popolare tedesco - un’obbligazione convertibile da 15 milioni di euro per la società di produzione televisiva Lux Vide, che fattura 40 milioni producendo tra l’altro Don Matteo e in passato i telefilm sulle vite dei Santi e sulla Bibbia. Fondata da Ettore Bernabei, storico direttore generale della Rai, oggi presidente onorario a 92 anni, la Lux Vide fattura 40 milioni di euro all’anno ed è controllata dalla famiglia che detiene il 52 per cento attraverso una holding londinese. L’indagine giudiziaria interna al Vaticano di cui parla la Bild forse non c’è ma la storia del buco da 15 milioni nei conti dello IOR per colpa di questa operazione è vera. IL FATTO nel settembre 2013 ha pubblicato un carteggio segreto risalente al dicembre 2010 sulla Lux Vide. La mail sequestrate a Gotti Tedeschi da parte dei CArabinieri del NOE dimostravano le pressioni di Tarcisio Bertone e del suo consigliere più ascoltato, Marco Simeon, allora direttore di RAI Vaticano, per convincere Ettore Gotti Tedeschi a comprare per 20 milioni una quota del CARTE SEGRETE Già nel 2010 il porporato e Marco Simeon cercavano di convincere il presidente Gotti Tedeschi a comprare una quota della società 20-25 per cento della Luxvide. Il Fatto aveva pubblicato la mail di Simeon che - forte dell’appoggio di Bertone e del presidente di Mediobanca di allora, Cesare Geronzi - scriveva a Gotti: “dopo aver chiesto parere al Presidente Geronzi, Ti sottopongo l'ipotesi di ricorrere al Cardinale ed al c.d.a. affinchè ti autorizzino ad avviare la trattativa di acquisto quote per una somma non superiore ai 20 milioni di euro, per l'acquisto di una partecipazione non inferiore al 25 per cento”. Il Fatto aveva pubblicato la risposta di Gotti a Bertone: “il valore richiesto per Lux Vide non è frutto di vere valutazioni di mercato o economico finanziarie bensì è il frutto di transazioni passate di compravendita”. In pratica il prezzo della quota era stato fissato dai Bernabei per evitare perdite all’uscita del loro socio: Banca Intesa. Per Gotti: “il valore reale di mercato sarebbe molto più basso”. A maggio del 2012 il Consiglio di Sovrintendenza fa fuori il presidente dello IOR e a dicembre 2012 lo IOR decapitato, sotto l’ala protettrice di Bertone, sborsa 15 milioni di euro per sottoscrivere un prestito convertibile in azioni della Movie Invest Ltd dei Bernabei, che controlla il 52 per cento della Luxvide. L’OPERAZIONE oggetto della presunta indagine giudiziaria del Vaticano (non confermata) è proprio quella alla quale si era opposto Gotti Tedeschi nel dicembre 2010 e che era stata svelata dal Fatto nel settembre scorso. Nessuno può dire oggi: ‘non avevo capito’ o ‘non sapevo’. Ernst Von Freyberg è nominato presidente solo a febbraio 2013. Si accorge dell’esistenza nella tesoreria dello IOR delle obbligazioni Movie Invest che e nel dicembre del 2013 le sbologna gratis alla Fondazione Scienza e Fede del cardinale Angelo Ravasi, destinata a diventare azionista della Lux Vide con una quota del 17 per cento superiore a quella del banchiere Pellegrino Capaldo e quasi pari a quella di Tarak Ben Ammar, amico di Berlusconi. Bertone ha avuto buon gioco a smentire ieri mattina: “Nessuna accusa di malversazione a mio carico. Sono tranquillo. La convenzione dello Ior con Lux Vide è stata discussa e approvata dalla commissione cardinalizia di vigilan- za e dal consiglio di sovrintendenza nella riunione del 4 dicembre 2013”. Con qualche ora di ritardo è arrivata anche la smentita di Padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa Vaticana: “non vi è in corso alcuna indagine penale da parte della magistratura vaticana a carico del Cardinale Tarcisio Bertone”. Esclusa l’esistenza di un inchiesta da parte del promotore di giustizia, ‘il pm del Papa’ impersonato dall’avvocato Gian Piero Milano, resta un dubbio sull’esistenza di un fascicolo all’AIF, l’Autorità di Informazione Finanziaria diretta da René Brulhart che lunedì nel corso della conferenza stampa aveva risposto con un ‘no comment’ alla domanda sull’esistenza di un’indagine su Bertone da parte dell’autore del servizio. Intanto Luca e Matilde Bernabei ricordano che la Luxvide fattura 40 milioni e che il Vaticano qualcosa ha ancora in mano: “la quota azionaria trasferita è pari a circa il 17 per cento del capitale sociale”. Anche se non c’è un’indagine penale resta un fatto: lo IOR, per colpa dell’operazione voluta da Tarcisio Bertone a beneficio di Luxvide, avrà 15 milioni di utili in meno da girare al Papa che li avrebbe probabilmente impiegati meglio in opere benefiche piuttosto che in telefilm. Certo a rileggere oggi le cronache del dicembre del 2013 non si trova traccia di un’opposizione all’operazione Luxvide. Anzi sui giornali alla vigilia di Natale si parlò di un incontro di Bergoglio con i Bernabei per conoscere meglio Luxvide. Francesco quel giorno disse: “non voglio una fiction su di me”. Farmaci Ansa CASO NOVARTIS Il Consiglio di Stato: sì all’uso dell’Avastin ACCOLTO IL RICORSO DEL VENETO CONTRO IL TAR CHE SOSPENDEVA IL FARMACO MENO COSTOSO di Chiara Daina ovartis non ha più scuse. Prima la multa dell’Antitrust N da 180 milioni di euro con l’accusa di aver creato un cartello con la ditta Roche per favorire l’uso del Lucentis, il farmaco più caro per la cura della maculopatia (mille euro per iniezione), al posto dell’Avastin (20 euro per iniezione). Poi l’attesissimo parere del Consiglio superiore di Sanità arrivato lo scorso 15 maggio, secondo cui i farmaci Avastin e Lucentis sono del tutto equivalenti sul piano dell’efficacia e della sicurezza nella terapia della degenerazione maculare senile. E due giorni fa la mazzata finale: il Consiglio di Stato si è schierato contro il gigante svizzero accogliendo il ricorso proposto dal Veneto contro la sentenza del Tar che sospendeva la delibera regionale per l’uso di Avastin come richiesto dalla ditta produttrice del Lucentis. Per ora l’ordinanza del Tar è stata solo sospesa. LA SENTENZA FINALE è attesa il 17 luglio. “Dovendo per forza usare il Lucentis il Veneto ha subito aggravio di costi di 15,2 milioni di euro – spiega il presidente della Regione Luca Zaia - per i quali chiederemo il risarcimento non appena la Procura Generale della Corte dei Conti si sarà espressa sull’ipotesi, che noi condividiamo, dell’esistenza di un pesante danno erariale”. Intanto, l’assessore regionale alla Sanità Luca Coletto valuta la possibilità di reintrodurre immediatamente la somministrazione dell’Avastin. “Chiederemo al ministro Lorenzin di riattiva la delibera della Giunta alla luce del nuovo decreto sulle droghe e i farmaci off label”. Cioè il provvedimento convertito in legge una settimana fa dopo il voto favorevole di Camera e Senato, e che tra le altre cose stabilisce che l’uso off label di una molecola è consentito anche per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata quando viene immenso in commercio dall’Aifa. Dal canto suo, il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha promesso che fra un mese Avastin sarà off-label. Vedremo cosa avverrà. “Su Mastrapasqua non avete indagato” LA CORTE D’APPELLO DI ROMA HA DECISO DI AVOCARE L’INCHIESTA SUGLI IMMOBILI INPS: COINVOLTI ANCHE ROMEO E TRONCHETTI di Valeria Pacelli oche attività di indagini che non P hanno dato fondo a possibilità in vestigative. Sono queste le motivazioni che hanno spinto la procura generale della Corte d’Appello di Roma ad avocare l’inchiesta sulla gestione del patrimonio immobiliare dell’Inps, sfilandola alla Procura di Roma. Dopo due opposizioni alle richieste di archiviazione del pm romano Antonio Pioletti, la procura di Roma perde l’inchiesta - che vedeva indagato anche l’ex presidente Inps Antonio Mastrapasqua - sulla gestione di oltre 13mila palazzi affidata senza gara, prima nel 2006 e, per proroga, nel 2010, a tre società private. Ossia, la Prelios di Marco Tronchetti Provera, la Romeo Gestioni dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo, condannato a tre anni in appello per corruzione, e la Sovigest . Queste società avevano ricevuto dei contratti di gestione degli immobili Inps, prorogati con un decreto del giugno del 2010, segnalato poi dal magistrato delegato al controllo dell’Inps, Antonio Ferrara. Sul caso sta indagando la Corte dei Conti che ha valutato come la gestione degli immobili fosse in perdita: oltre 100 milioni di euro in quattro anni. Le carte poi sono arrivate alla procura di Roma che ha iscritto Mastrapasqua e altre cinque persone, tra cui Tronchetti Provera e Romeo per abuso d’ufficio, falso e truffa perchè nelle qualità da loro rivestite “adottavano la determina del 25 giugno 2010 con la quale venivano prorogati (a favore delle citate società) i contratti di gestione degli immobili Inps così intenzionalmente procurandosi un ingiusto vantaggio patrimoniale e altresì, con raggiri e artifizi consistiti nell’aver formato falsi atti pubblici, inducevano in errore l’Inps (..), per procurarsi un ingiusto profitto con corrispondente danno per l’ente”. POCHI MESI dopo l’iscrizione, a feb- braio 2010, il pm titolare dell’indagine chiede l’archiviazione perchè “non avendo riscontrato un danno all’Inps, doveva ritenersi insussistente l’ipotesi di reato”. Il gip Aldo Morgigni respinge e gli atti ritornano a Pioletti. A settembre 2013, arriva la seconda IL BUCO richiesta di archiviazione e il pm ribadisce L’appalto “incriminato”è quello sulla gestione che nessun vantaggio dei palazzi dell’ente, su cui indaga pure la Corte economico era derivadei conti. Il pm aveva chiesto 2 volte di archiviare to dalle proroghe dei contratti alle tre società. Stavolta a non accertare queste motivazioni è il gip Rosaria Monaco che rigetta la richiesta del magistrato. A questo punto sul caso interviene addirittura la procura generale della Corte d’Appello, che definisce la richiesta di archiviazione “controversa”, togliendo l’ indagine alla procura di Roma. Scrive il procuratore generale Otello Lupacchini: “L’esercizio del potere de quo agitur (ossia di avocazione, ndr) appare nel caso di specie doveroso, in quanto se per un verso già il gip ha rigettato richiesta di archiviazione disponendo l’acquisizione di nuove prove, per altro verso la ‘complessa attività di indagine della guardai di finanza’ compiuta a seguito della citata ordinanza non ha dato fondo alle possibili attività investigative”. Per il procuratore generale quindi non sono state fatte le dovute indagini: pochi atti e nessun interrogatorio. Twitter: @PacelliValeria 16 ALTRI MONDI MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 Pianeta terra il Fatto Quotidiano USA IL60ENNE CHE FA CAUSA AL MONDO Anton Purisima, 62 anni, ha presentato una citazione record al tribunale di Manhattan: chiede un risarcimento a 32 zeri, equivalente a tutto il denaro in circolazione sul pianeta. La causa è per tutti i danni subiti nella sua esistenza, dal panettiere agli aeroporti. Ansa RUSSIA 5 CONDANNE PER L’OMICIDIO POLITKOVSKAIA I 5 imputati per l’omicidio di Anna Politkovskaia sono stati dichiarati colpevoli nel terzo processo sull’uccisione della giornalista russa sgradita al Cremlino: 4 per aver organizzato l’agguato sotto casa della reporter il 7 ottobre 2006. Il 5° è l'esecutore materiale. Ansa Haftar, l’uomo della Cia per debellare gli islamici Mattatoio Nigeria EX DI GHEDDAFI NEL GOLPE DEL ‘69, ESILIATO E ‘ARRUOLATO’ DA OBAMA, TORNA NEL 2011. VUOLE SCONFIGGERE LA ‘FRATELLANZA MUSULMANA’ , COME AL-SISI IN EGITTO di Alessandro Oppes M isterioso. Contraddittorio. Inquietante. Come la storia stessa della Libia. Per questo l’irruzione sulla scena – improvvisa ma non del tutto inattesa – di un personaggio come il generale in pensione Khalifa Haftar, se solleva dubbi e preoccupazioni, tuttavia aggiunge poco al clima di caos permanente del paese. E la sua stessa rassicurazione, dopo l’assalto al Parlamento di Tripoli, di non voler “realizzare un colpo di Stato o pianificare la conquista del potere”, né tranquillizza né chiarisce le sue reali intenzioni. Perché in una nazione dagli equilibri precari, di fatto senza Stato, parlare di golpe può apparire persino un nonsenso. A tal punto che quando, nel febbraio scorso, fece la sua prima mossa lanciando su Internet un video in cui annunciava “un’iniziativa” che avrebbe dovuto portare alla sospensione del governo di transizione, non accadde nulla. Non lo misero agli arresti, come accade di norma in questi casi in qualsiasi Stato le cui istituzioni fun- zionino. DA ALLORA, Haftar ha avuto tutto il tempo di raccogliere le forze, di cercare alleanze (probabilmente anche all’estero) e di preparare l’offensiva – la cosiddetta operazione “al-Karama” (dignità) – lanciata prima a Bengasi, venerdì scorso, e poi nella capitale. Con almeno un obiettivo chiaro: quello di “ripulire la Libia dai gruppi terroristici”. Spazzare via le milizie integraliste, mettere fuori gioco i Fratelli musulmani che, ha spiegato ieri in un’intervista al quotidiano Al-Sharq Al-Awsat, “in Egitto sono responsabili dell’arrivo di estremisti in Libia”. Da qui l’ipotesi che voglia non solo emulare, ma cercare un’alleanza con il nuovo uomo forte del Cairo (e prossimo presidente), Abdel Fattah al-Sisi, nemico giurato dei Fratelli. A quell’area, peraltro, appartiene il nuovo giovane premier Ahmed Miitig, nominato due settimane fa dal Parlamento in una controversa votazione, ma non ancora entrato in carica. Nel mirino di Haftar, di sicuro ci sono gli islamisti di Ansar al Sharia, organizzazione affiliata ad Al Qaeda, e della Brigata 17 DECINE DI MORTI NEL DOPPIO ATTENTATO A JOS Potrebbero salire a 200 le vittime del duplice attentato avvenuto nella zona commerciale di Jos, uno dei capoluoghi del nord della Nigeria. I responsabili sarebbero gli estremisti islamici di Boko Haram LaPresse febbraio. Ma i veri obiettivi del generale in pensione sono tanto confusi quanto oscura è la sua biografia. Formato all’accademia militare di Bengasi, e poi nell’ex Unione Sovietica, Khalifa Haftar fu accanto a Ghed- CROCIATA L’ex generale Haftar che guida le principali milizie laiche delle città-Stato libiche contro i gruppi islamici e mezzi blindati nel centro di Tripoli LaPresse GAS, PETROLIO E GUERRE L’Eni e la faida per il rubinetto libico di Alessio Schiesari l parlamento libico va in fiamme, ma la proI duzione di gas e petrolio no. Non ancora, almeno. E questa è una buona notizia per gli in- teressi di Eni che coincidono, almeno in parte, con quelli italiani. Dal 2010 (l’ultimo anno in cui Gheddafi è alla guida del Paese) al 2013 la produzione del cane a sei zampe è scesa da 273 mila a 228 mila barili di olio equivalente, l’unità di misura che tiene insieme gas e petrolio. Un calo, ma non un tracollo. Questo perché l’azienda italiana ha concentrato la produzione nelle aree occidentali in Tripolitania, quelle relativamente più stabili, nonostante l’80 per cento degli idrocarburi del Paese si trovino a est, in Cirenaica, la zona dove è più forte la penetrazione delle milizie islamiste. Il cordone che lega Roma e Tripoli è antico (103 anni, inizia con la conquista del 1911) ma soprattutto molto lungo. Per la precisione 520 chilometri, quelli del gasdotto Greenstream, che collega il giacimento offshore di Bahr Essalam e quello di Wafa (situato nel deserto, vicino al confine con l'Algeria) con le coste siciliane. Di qui passano 5,7 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, una fetta consistente dei totali 61 importati ogni anno dall’Italia. E, situazione politica permettendo, potrebbe aumentare nei prossimi anni, perché l’Italia potrebbe avere bisogno di bilanciare il peso della Russia (che oggi fornisce la metà del metano importato), e perché i pozzi di Eni non stanno funzionando a pieno regime. Due sono fermi (Elphant in Tripolitania e Abu Attifel in Cirenaica) a causa di “rivendicazioni economiche e sociali”. Eppure Eni rimane il primo estrattore di gas e petrolio del Paese, molto davanti agli spagnoli Repsol. 9% DELL’IMPORT locali. È il 1959 quando Enrico Mattei prova per la prima volta a conquistare un permesso di esplorazione nell’ex colonia. Per farlo dovrà sfidare gli americani di Esso, già presenti a Tripoli. Alla guida del Paese c’era ancora re Idris Al Sanussi, ma il vero colpo di NEL 2011, quando il governo di Sarkozy fortuna per Eni arriva dieci decise di appoggiare gli insorti in Cireanni dopo, quando il conaica e di sponsorizzare l’intervento militare occidentale, gran parte degli osserlonnello Muammar Ghedvatori internazionali videro dietro quella dafi depone il sovrano. La scelta la longa manus di Total, decisa a prima mossa del rais è recuperare terreno (e giacimenti) nei conquella di nazionalizzare fronti dell’azienda italiana. Non è andata tutte le risorse petrolifere. così, e anzi la crescente instabilità nelle Le altre compagnie sono zone orientali minaccia soprattutto i com- UN QUINTO costrette ad andarsene, Eni petitor del cane a sei zampe, ad esempio i Questo il calo degli invece trova un accordo, tedeschi di Rwe. La favorevole disposisul momento doloroso (la zione logistica dei giacimenti ha permesso approvvigionamenti cessione del 50 per cento a Eni di mantenere il proprio personale dopo la caduta dei giacimenti alla neonata (considerando le consociate, circa 3 mila del colonnello Noc, la compagnia statale persone, di cui solo un’esigua minoranza libica) ma che sul lungo italiani) nel Paese nordafricano, mentre periodo si rivelerà vincenaltre compagnie, come gli algerini di Sote. Nonostante Ustica, natrach, hanno già fatto i bagagli per tornare a Lockerbie e la guerra del 2011, in Libia Eni è di casa. casa. Per questo è importante che il Paese non Merito anche della profonda rete di rapporti in- precipiti nel caos, soprattutto ora che la crisi ucraitessuta nel corso di più di mezzo secolo con i ras na mette a rischio il rapporto con Mosca. ITALIANO 228 mila BARILI ALL’ANNO dafi nei giorni del golpe del ’69 che rovesciò la monarchia di re Idris. Ma non tardò a diventare il nemico numero uno del Raìs. Fu a causa della fallimentare guerra con il Ciad (voluta da Tripoli per punire l’alleanza di N’Djamena con la Francia e gli Usa): quando il generale venne catturato, il regime della Jamahiriya lo scaricò. Ci pensò l’America di Reagan – il presidente che definiva Gheddafi un “cane rabbioso” – a trarlo in salvo e a offrirgli asilo politico. Per vent’anni ha vissuto in Virginia, a due passi dal quartier generale della Cia a Langley. Inevitabile il sospetto che abbia collaborato con i servizi segreti Usa. Secondo il Washington Post, Haftar ha anche preso la cittadinanza Usa e alle elezioni politiche del 2008 ha votato per Barack Obama. Gli ultimi anni della sua permanenza Usa sono stati agiati: la sua ultima casa a Washington, situata vicino a un country club, è da poco stata venduta per oltre 600 mila dollari. Poi, nel 2011, il ritorno in patria, con un ruolo di primo piano nel movimento insurrezionale: è portavoce dell’esercito ribelle, partecipa alla battaglia del Golfo della Sirte e alla terza battaglia di Brega. In difesa del popolo libico? O di chi altri? Ieri intanto la Commissione elettorale libica ha annunciato nuove elezioni per ilparlamento che dovrebbero tenersi il prossimo 25 giugno. il Fatto Quotidiano ALTRI MONDI THAILANDIA IMPOSTA LA LEGGE MARZIALE Il capo di Stato maggiore thailandese, Prayuth Chan-ocha, ha imposto la legge marziale. Da ieri le strade di Bangkok sono presidiate dai militari e una decina di media sono state chiusi. Questo l’epilogo della crisi politica iniziata a novembre, che ha provocato 28 morti e 800 feriti. LaPresse FRANCIA PERSE 2.000 PROVETTE DI SARS In Francia le autorità sanitarie locali hanno ordinato la sospensione delle attività del prestigioso laboratorio Institut Pasteur, dopo che l’istituto parigino ha reso noto di aver perso oltre 2.000 provette che contenevano il virus respiratorio Sars. Ansia L’ Londra IL MINISTRO conservatore della Difesa, Andrew Murrison, ha definito l’immagine “nauseante” e l’idea di tirare in ballo i morti, in una situazione completamente diversa e per di più nel centenario della guerra, è andata di traverso anche a parecchi simpatizzanti di Nigel Farage, reduce da un’altra gaffe quando in un’intervista radiofonica ha detto che non vorrebbe avere dei vicini di casa rumeni. Coperto di insulti e accusato di razzismo, Farage ha fatto una semi-retromarcia, ma ieri il nuovo scivolone, dal quale hanno preso le distanze i suoi stessi candidati, come Chris Wood che su Twitter scrive: “Questi uomini e queste donne sono morti combattendo contro qualcosa di completamente diverso. E nessuno sa cosa avrebbero pensato della situazione di oggi. Forse avrebbero solo sognato di vivere in pace come facciamo noi oggi”. COSÌ FAN TUTTI ‘EFFETTO-GRILLO’ PER IL LEADER NAZIONALISTA BRITANNICO CHE PUÒ SUPERARE LABURISTI E CONSERVATORI, NONOSTANTE ESAGERAZIONI E CATTIVO GUSTO L’Ukip è considerato la cartina di tornasole di queste elezioni: se dovesse superare i conservatori e i laburisti, sarebbe un terremoto mai visto prima in Gran Bretagna. Fanno gaffe imbarazzanti (a ottobre uno dei parlamentari più scalmanati disse che le alluvioni erano un castigo di Dio contro i matrimoni gay voluti da Came- 25 deputati per fare gruppo o non si conta EROI BELLICI Distribuito un volantino con le foto delle croci dei soldati morti nella Prima guerra mondiale per salvare il paese dagli invasori stranieri ron), sono molto popolari: alcuni sondaggi li danno in testa, altri secondi e altri ancora terzi. Quindi si conclude che i sondaggi non servono a niente per fare previsioni. Di fatto, l’Ukip e il suo pittoresco capo, Nigel Farage, intercettano i sentimenti di paura della classe media, che ama la caccia, la birra Nigel Farage, leader dell’Ukip, fondato nel 1993 e il manifesto con le croci della guerra mondiale LaPresse ed è fortemente euroscettica. I conservatori di Cameron li disprezzano apertamente (“basta con questa campagna dell’odio” ha detto il premier) ma stanno molto attenti perché i temi dell’Ukip sono molto sentiti anche dai loro elettori. Mentre il leader laburista Ed Miliband, nonostante abbia ar- Il fronte degli inquisiti che non mollano dalla Spagna alla Romania di Andrea Valdambrini Bruxelles C 17 FARAGE, IL GAFFEUR RAZZISTA CHE SBARAGLIA LE URNE di Caterina Soffici ultima sparata potrebbe costare cara all’Ukip, il partito indipendentista inglese, che i sondaggi danno in costante ascesa da mesi. Ieri è stato pubblicato un volantino con una grande foto in bianco e nero di un cimitero di guerra di soldati inglesi morti in Francia durante la Grande guerra. La scritta recita: “Hanno combattuto e sono morti per mantenere la Gran Bretagna libera da invasioni e dal controllo delle potenze straniere”. Poi a lettere cubitali: “Non lasciate che il loro sacrificio sia vano. Vota Ukip. Per loro, per la libertà, per la Gran Bretagna”. MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 orrotti, inquisiti, condannati. Non sono soltanto da noi gli eurodeputati con qualche guaio con la giustizia. Sia tra gli ex che tra i candidati, di sorprese se ne trovano a tutte le latitudini e sotto tutte le bandiere politiche. Tra i parlamentari attualmente in carica, e ricandidati nella prossima tornata elettorale, il lituano Viktor Uspaskich è stato più volte processato per frode e nel 2013 condannato a 4 anni di prigione dal tribunale di Vilnius. L’europarlamento gli ha tolto l’immunità un due occasioni. Eppure Ernst Strasser LaPresse Uspaskich, ex leader del partito laburista nel suo Paese, iscritto al gruppo liberale a Strasburgo, e al momento indagato per uso improprio di fondi pubblici, corre di nuovo per riconquistare un seggio in Europa. Guai con i soldi pubblici anche per il popolare spagnolo Ramon Valcarel, il cui caso giudiziario è comunque stato da poco archiviato. Di altro genere, invece, i problemi con la giustizia di Miloslav Ransdorf, eletto con il Partito Comunista della Repubblica Ceca. Ransdorf è noto in patria soprattutto per aver accumulato oltre 600.000 euro di debiti e per essere stato varie volte beccato a guidare in stato di ebbrezza. Problemi con le (proprie) finanze anche per Nick Griffin, esponente dell’estrema destra britannica, che ha dichiarato bancarotta. Come Ransdorf ha fatto sapere che si ricandiderà. Ancor più eclatanti i casi di due ex, l’austriaco Ernst Strasser e lo sloveno Zoran Thaler. Il primo è stato condannato lo scorso anno a 4 anni per aver accettato tangenti. I lobbisti che gli chiedevano di difendere i loro interessi in cambio di una mazzetta annuale da 100.000 euro erano in realtà giornalisti del Sunday Times. Strasser ha provato a difendersi in tribunale dicendo: “Avevo capito che erano falsi lobbisti, volevo solo vedere dove volevano arrivare”. Il giudice però non sembra avergli creduto e l’eurodeputato austriaco si è dimesso nel 2011. Coinvolto nello stesso scandalo del 2011 anche lo sloveno Thaler, che pochi mesi fa un tribunale di Lubiana ha condannato a 2 anni e mezzo di carcere. Se Thaler, come Strasser, si è almeno dimesso, c’è da dire che altri due eurodeputati “corrotti” dai falsi lobbisti, non hanno lasciato il loro seggio. Si tratta dello spagnolo Pablo Zalba Bidegain e del romeno Adrian Severin. Poi ci sono i guai giudiziari futuri ma già prevedibili. Dalla Germania, dove la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima la soglia di sbarramento, potrebbero arrivare i neonazisti di piccoli partiti come Rep o Npd con qualche accusa o processo in corso. Lo stesso potrebbe succedere con i possibili arrivi di eletti dell’ungherese Jobbik o dei greci Alba di Dorata. @andreavaldambri ruolato come consigliere il mago di Obama, David Axelrod, non ne azzecca una: ieri in un’intervista televisiva ha detto che in casa sua si spendono 70 sterline a settimana in alimenti, quando la media nazionale è 100. La reazione di critiche e sfottò è stata più violenta di quella al manifesto dell’Ukip. LA CARICA DEI 3 MILA PER FORMARE un gruppo parlamentare a Strasburgo servono minimo 25 eletti provenienti da 7 differenti Paesi (sui 28 attuali dell’Unione europea). Non c’è una regola di tempo: i gruppi si possono formare o dissolvere in qualsiasi momento della legislatura, che dura 5 anni. Per partecipare alla prima seduta plenaria il 1° luglio i gruppi dovranno essere formati al più tardi entro il 19 giugno. Non è un obbligo iscriversi, ma all’Europarlamento essere inseriti in un gruppo è essenziale, perché in caso contrario non si è relatori di leggi in commissione a Bruxelles e si finisce a parlare per ultimi in plenaria a Strasburgo – dunque si è irrilevanti. Nel Parlamento uscente i 766 deputati (754 eletti nel 2009 più quelli della Croazia, entrata nel 2013) erano divisi in 7 gruppi: Popolari (275), Socialisti e Democratici (195), Liberal-democratici (85) i tre più grandi. I non iscritti erano 29, tra cui due italiani: Franco Bonanini, eletto come indipendente e il leghista Mario Borghezio, espulso l’anno scorso da Europe for Freedom and Democracy guidato dall’inglese Nigel Farage. And. Val. L’esercito dei lobbisti pronto all’assedio del nuovo Parlamento Bruxelles anche e finanza, grandi aziende farmaceuB tiche, colossi dell’industria alimentare o del tabacco, ma anche giganti della tecnologia e del web come Google, Yahoo o Apple. Sono circa 3.000 le cosiddette lobby – o forse sarebbe più chiaro chiamarle ‘gruppi di interesse’ - che fanno pressione sull’Europa e sulle sue strutture legislative, parlamento per primo, che regolano la vita di mezzo miliardo di consumatori nel Vecchio Continente. Attraverso la presenza di un esercito di lobbisti, stimati in circa 30.000 dal Corporate Europe Observatory, le lobby provano a modiAnsa ficare l’iter di una legge, soprattutto nel passaggio decisivo, quello attraverso le commissioni parlamentari di Bruxelles. E ci riescono, a quanto sembra, in circa il 75% dei casi. Ufficialmente questi gruppi di interessi agiscono presentando dossier agli eurodeputati, organizzando convegni informativi, cene, aperitivi. I regali che un tempo venivano fatti ai parlamentari sono stati vietati già da un po’ dopo una serie di scandali. Esiste il cosiddetto “registro della trasparenza”, attraverso cui l’attività dei gruppi di interesse dovrebbe venire alla luce. Ma perché l’iscrizione al registro è solo facoltativa? È ciò che si chiedono a Transparency International ong che si batte per una maggiore chiarezza del rapporto tra politica e affari. “Il Parlamento non è riuscito a convincere le altre istituzioni europee dell’obbligatorietà del registro. Per questo noi cittadini non possiamo mai sapere quando un eurodeputato ha un incontro con i lobbisti, o quali imput riceve da parte sua”, spiega Ronny Patz dell’ufficio di Transparency a Bruxelles. “DA PARTE NOSTRA abbiamo invece chiesto l’introduzione di un’‘impronta’ che possa tracciare il percorso” che va dal lobbista al legislatore. I gruppi di interesse, continua Ronny, esistono in tutto il mondo, e fare lobby non è un male di per sé. Ammesso però che si tratti di un’attività svolta in modo etico e il più possibile controllabile. Per questo servono regole: “Le nostre ricerche mostrano come rimangono significativi i rischi di corruzione. La causa risiede nella mancanza di regole precise riguardo alle lobby come anche in un’assenza di supervisione dei conflitti di interesse dei i parlamentari. Insomma, il malaffare è presente nei singoli parlamenti nazionali come in quello europeo”, non si scappa. Tra l’altro Strasburgo è diventata tanto più bersaglio dei gruppi di interesse quanto più, durante gli anni, ha accresciuto il proprio potere. E come ha detto Heter Grabbe di Open Society – la fondazione di Soros – c’è il rischio che l’europarlamento assomigli maledettamente da vicino a una congrega di lobbisti. And. Val. 18 il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 PAUL MCCARTNEY SOSPENDE PER MALATTIA IL TOUR IN GIAPPONE L’ex Beatle Paul McCartney, 71 anni, ha dovuto cancellare anche gli ultimi concerti in Giappone a causa di un virus influenzale. Saltate le date di Tokyo e Osaka UFFICIALE LA SEPARAZIONE TRA BUFFON E ALENA SEREDOVA BOUHANNI A SALSOMAGGIORE FIRMA LA SUA TERZA TAPPA AL GIRO Questa volta non è una voce: Alena Seredova e Gianluigi Buffon si sono separati. E da tempo. È il portiere della Juventus stesso a confermarlo in un’intervista a Sky Sport SECONDO Nacer Bouhanni si gode il terzo successo nel Giro d’Italia. Il corridore si è imposto sul traguardo di Salsomaggiore in volata con dieci centesimi di vantaggio su Giacomo Nizzolo TEMPO SPETTACOLI.SPORT.IDEE Ora è fatta, si sono comprati la Bari DOPO UNA CAMPAGNA VIRALE, L’EX ARBITRO PAPARESTA STACCA UN ASSEGNO DA 4,8 MILIONI E SI AGGIUDICA IL TITOLO SPORTIVO. PER CONTO DI CHI È ANCORA UN MISTERO, MA PER L’ENTUSIASMO DEI TIFOSI, CHE RIEMPIONO LO STADIO E SOGNANO I PLAY-OFF PER LA SERIE A, È SUFFICIENTE Q di Pierluigi G. Cardone ui non ci sono “carogne”, trattative Stato-ultras e puzza di polvere da sparo. Qui c'è una storia di pallone, perché a chiamarlo calcio il senso cambia eccome. Soprattutto, c'è una città del Sud, con la sua gente e la sua squadra. Anzi. C'è una squadra che, trovatasi d’un tratto senza proprietario (fino a ieri, quando Gianluca Paparesta si è aggiudicato l’asta per il titolo sportivo), ha riconquistato l’unico, vero padrone: la città e la sua gente. Perché a Bari, prima dei fenomeni sul web e dei miracoli sul campo, è successo questo: che a marzo, dopo 37 anni (e almeno 20 di contestazione), un patron mai veramente amato, ha deciso di far fallire la sua creatura. Ma il funerale è diventato matrimonio: è morto il Bari, è rinata la Bari. Perché per i tifosi la squadra è femmina e l’amore per i colori una cosa autentica. Scene da un manicomio. I giocatori, che fino a ieri lottavano per non retrocedere in Lega Pro, hanno inanellato una serie impressionante INTERMEDIARI di risultati positivi: in 13 partite, due pareggi, una sconfitta e 10 vittorie (di cui le ultime cinque consecutive). Di più. Scene da un manicomio, atto secondo. Lo stadio San Nicola, che prima di Bari-Lanciano (8 marzo) a stento riusciva a raggiungere i duemila spettatori, dal VENERDÌ I NOMI match con gli abruzzesi è tornato a riempirsi di Dietro l’affare forse un entusiasmo inarrestabile: nelle ultime cingli irlandesi di MP&Silva, que gare, i paganti sono azienda con ricavi da 600 stati poco più di 160 mila. Polverizzati tutti i remilioni l’anno nel campo cord del campionato di Serie B, nonché numeri del commercio dei diritti da far invidia a molti televisivi sportivi club di A. Il San Nicola lunedì sera durante Bari-Cittadella 1-0 con quasi 40 mila tifosi. In alto, Gianluca Paparesta LaPresse Lunedì sera l’ultimo capitolo di un romanzo ancora da terminare: con il Cittadella vano” gli spalti. Altri tempi, specie ora collette per le trasferte in aereo (ma tv). Semi deserta la prima asta per il erano in 36 mila, ma c’è chi giura che che il San Nicola sembra quasi troppo spesso anche in treno, che costa me- titolo sportivo (l’ex arbitro Paparesta fossero ben oltre i 40 mila (l'arte del piccolo. Eppure, nonostante festa e no), cene e viveri offerti. Un fenome- c’era, i soldi dei “suoi” indiani non “portoghese”, nel tacco d'Italia, è ben fasti, fino a ieri la Bari non la voleva no quasi sociale. Tanto che alcuni proprio), deserta la seconda. A un praticata). E la Bari ha vinto, ancora nessuno. I curatori fallimentari han- fruttivendoli, nei giorni più difficili e passo dal baratro, il fenomeno sociale no fatto i salti mortali per gestire l’or- più belli, offrivano sconti su verdura e è diventato virale. Oltre 20 mila i selfie una volta. dinaria amministrazione. A quella affini a chi si presentava in bottega col sulla pagina Facebook di #compratelabari, trend topic su Twitter per giorCORSI E RICORSI: nel 2002, proprio straordinaria ci ha pensato la città: i biglietto della partita successiva. contro i padovani, il record negativo calciatori, senza neanche la possibi- Scene da manicomio, atto finale. Ma ni: da volti noti e meno noti, ex caldi paganti, appena 51. Tradotto: se lità di lanciare le maglie ai tifosi dopo il Bari continuava a non volerlo nes- ciatori e giornalisti l'appello a salvare andavi allo stadio con l’amante, ri- le vittorie (magazzini vuoti e nessuna suno, anche con 40 mila paganti al il Galletto. Una moda. E qualcosa si è schiavi che tua moglie ti scoprisse possibilità di nuovi acquisti), sono seguito e a un passo da giocarsi la pro- sbloccato. Ieri la chiusura del cerchio, perché le tv non potevano non inqua- stati adottati da alcuni suppor- mozione (che sull’unghia garantireb- perché quella squadra, quei tifosi e drare i pochi temerari che “affolla- ters-imprenditori: albergo pagato, be fino a 20 milioni di euro in diritti quel sogno chiamato Serie A è diventato improvvisamente un affare. Dal nulla, sono spuntate tre cordate pronte a sborsare. Quattro con l’aggiunta del clan Paparesta, che dopo proclami e slogan in favor di telecamera ha deciso di agire nell’ombra. E ha avuto ragione. Vendesi Bologna, Guaraldi in viaggio con il capo ultras di Luca Pisapia Mods: collettivo da sempre orientato all’estrema destra e tra i più n viaggio con l’ultrà. Nonostan- attivi proprio nelle contestazioni a te il presidente del Bologna Guaraldi. Cominciate in estate doGuaraldi abbia continuato a negare po lo smantellamento della squache all’incontro di venerdì con Za- dra, le proteste dei tifosi sono dunetti (il signor Segafredo) fosse pre- rate tutto l’anno prima di culmisente un capo tifoso della curva nare a maggio con un’incursione di emiliana, dopo le prime indiscre- ignoti proprio nel giardino della zioni lo stesso gruppo ultras “Beata villa del presidente. Cosa abbia Gioventù” ne ha confermato la pre- spinto quindi Guaraldi, al termine senza su Facebook. di un’annata disaIl terzo uomo, che strosa, vissuta tra le contestazioni e ha viaggiato in SOTTO TUTELA macchina da Bolomalamente finita gna a Treviso con con la retrocessioIl presidente nega ne in B, a presenGuaraldi, inizialmente presentato tarsi a casa del la partecipazione come suo collabopossibile e finora di Christian Frabboni ratore, è in realtà unico acquirente del Bologna in Christian Frabbodi “Beata Gioventù”alla ni, veterinario di compagnia di un 43 anni e leader del capo tifoso, è cosa trattativa, ma il gruppo gruppo nato dalle ignota. E anche lo smentisce su Facebook piuttosto inspieceneri degli storici I gabile in un momento storico in cui, dopo gli eventi di Coppa Italia, la lente della pubblica opinione è focalizzata sul tifo organizzato. Certo, come spiegano i Beata Gioventù e come ribadisce Frabboni intervistato da ilfattoquotidiano.it, ora i tifosi sono rinfrancati dall’idea di una possibile cessione del club a Zanetti. MA FORSE BASTAVA un comuni- cato stampa a cose fatte, invece che un viaggio in macchina insieme, che contribuisce a rafforzare ipotesi su rapporti tra tifoseria organizzata e società che vanno ben al di là della consuetudine. La situazione del Bologna è davvero in bilico. Dopo gli anni dei Menarini, la parentesi di Porcedda e l’intervento delle banche, un gruppo d’imprenditori cittadini tra cui lo stesso Zanetti ha rilevato la società. Il signor Segafredo però, pur mantenendo il con- Albano Guaraldi LaPresse trollo del 20% circa delle quote, si è presto allontanato lasciando il club nelle mani di Guaraldi, con Gianni Morandi nel ruolo di presidente onorario. Ma a Guaraldi sono mancati fin da subito soldi e capacità per gestire il club, che ha cominciato un declino culminato nella retrocessione. Ora l’unica salvezza potrebbe essere la volontà di Zanetti di investire nuovamente, ma che debba essere il capo di una tifoseria a saperlo per primo, partecipando all’incontro, non ha alcun senso: anche perché, quando a Bologna si è tentata la via dell’azionariato popolare, la risposta dei tifosi è stata molto tiepida. NON HA FATTO l’indiano: l’asta, la terza, se l’è aggiudicata lui. A 4,8 milioni di euro e dopo 13 rilanci. Alle sue spalle, si dice, la società irlandese MP&Silva, il cui business (ricavi da 600 milioni l’anno) deriva dalla commercializzazione dei diritti televisivi di sport in tutto il mondo. A quanto pare (dopo la scottatura iniziale, il riserbo rimane la regola) soldi e progetti veri, magari legati anche allo sviluppo dell’area del San Nicola, che nelle intenzioni del vecchio e del prossimo sindaco (si vota domenica) non sarà più cattedrale nel deserto, ma possibile fonte di guadagno. Paparesta sarà il presidente: ci ha messo faccia e impegno. Per il portafogli ripassare venerdì, quando ci sarà il rogito notarile e i nomi degli investitori dovranno per forza esser ufficializzati. Salvatore della patria esterovestito? Anche San Nicola, il patrono della città, veniva da Myra, Turchia. Che poi, per i non cristiani, il suo nome è legato al mito di Babbo Natale resta solo un dettaglio. Ma non ditelo ai tifosi del Bari. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 19 Il romanzo che non piace a mister Cesare Prandelli LA FIGC DIFFIDA L’EDITORE CHIARELETTERE DAL PUBBLICARE “PER FAVORE NON DITE NIENTE” DI MARCO CIRIELLO, LIBERAMENTE ISPIRATO ALLA BIOGRAFIA DEL CT DELLA NAZIONALE di Elisabetta Ambrosi E gregi Signori, vi scriviamo per conto della Federazione Italia Giuoco Calcio e del Commissario Tecnico della squadra nazionale, Signor Cesare Prandelli, in merito alla notizia della prossima pubblicazione di un romanzo dal titolo Per favore non dite niente di Marco Ciriello che, per Vostra stessa ammissione, sarebbe ispirato alla vita del Signor Cesare Prandelli”. Inizia così la lettera dello studio Gallavotti Bernardini&Partners arrivata pochi giorni fa, nell’imminenza dell’uscita del libro, sulla scrivania di Lorenzo Fazio, editore di Chiarelettere. Una diffida verso qualsiasi utilizzo del nome di Cesare Prandelli, “o anche solo accostamento della sua figura al romanzo del Signor Ciriello o alle iniziative di comunicazione e di lancio del libro”, che sarebbero da considerare “illecite”. Con tanto di avvertimento di possibili azioni volte al ritiro dal mercato del libro o risarcimento del danno “qualora il libro fosse lesivo del nome o della reputazione del Signor Prandelli”. PECCATO, però, che nel romanzo di Marco Ciriello, giornalista e scrittore, del nome di Prandelli non ci sia traccia (vi si fa invece riferimento nella quarta di copertina e nella fascetta, che per il momento ha anche la foto dello stesso Prandelli). Il libro fa parte, infatti, della collana Narrazioni, la stessa dove sono stati di recente pubblicati i romanzi di Luca Rastello, I Buoni, e quello di Luca Bisignani, Il Direttore, a loro volta oggetto di polemiche per i presunti riferimenti alla figura di Don Ciotti per Rastello e De Bortoli per Bisignani. La differenza, in questo caso, è che il protagonista del libro, Marco, è un eroe positivo: “L’allenatore della nazionale è rappresentato come una persona vera, che ha il coraggio di essere sempre se stesso, anche di fronte al dolore della malattia della moglie”, scrive Lorenzo Fazio nella lettera inviata in risposta allo studio legale. In cui, facendo riferimento a Limonov di Carrère, ma anche al ritratto di Frank Sinatra di Gay Telese e al film Il Divo di Sorrentino, chiarisce che il “libro resta la storia di Marco, non di Cesare, è un romanzo non un’inchiesta: dunque perché attaccarlo?”. I motivi della lettera si fanno ancora meno chiari in considerazione del fatto che, come scrive lo stesso Fazio e come conferma l’autore (che ha inviato messaggi allo stesso Prandelli), il libro è stato inviato in anteprima a febbraio, perché l’allenatore potesse leggerlo, della Figc, che io non nomino mai nel libro e non capisco cosa c’entrino, l’avessero letto non l’avrebbero scambiata, come hanno fatto, per una biografia non autorizzata, e anzi si sarebbero accorti della delicatezza con cui parlo del personaggio. Che è persino migliore di quello reale, tanto che il mio allenatore avrebbe di sicuro, ad esempio, rinunciato a Chiellini ai Mondiali. Davvero questa storia è l’archetipo del potere italiano che prima ti dà un calcio in faccia, poi ti chiede cosa volevi”. aiutato il fatto che Prandelli ne viene fuori come un uomo che, in un mondo come quello del calcio, riesce a prendersi cura dei propri sentimenti”, risponde Fazio, confermando la scelta di mandare il libro in libreria con la fascetta. “Ma il problema riguarda la funzione della letteratura: il romanzo, rispetto all’inchiesta giudiziaria, consente di allargare la possibilità di raccontare una storia. È un bene o no? Questo dovrebbe essere l’oggetto di discussione, non la polemica sul libro”. MA TORNANDO a Chiarelet- PER FAVORE NON DITE NIENTE M. Ciriello Chiarelettere 12,90 ¤ tere: perché utilizzare esplicitamente il nome di Prandelli in un libro positivo, e invece negare ogni riferimento a Ciotti o De Bortoli in quelli di Rastello o Bisignani? “Ovviamente ci ha FINZIONI E REALTÀ Il protagonista del libro è un personaggio positivo, ma ogni accostamento, secondo i legali della Federazione, sarà da considerarsi “illecito” mentre l’ufficio stampa Chiarelettere ha cercato più volte quello di Prandelli e della Figc, senza mai ottenere risposta. “Una vicenda surreale, proprio nei giorni in cui si discute del film di Ferrara su Strauss Kahn”, spiega divertito Marco Ciriello al telefono. “Il libro è nato leggendo la storia di Prandelli, che però è completamente trasfigurata, tanto che il protagonista allena all’estero ed è la somma di vari personaggi calcistici, tra cui Agostino Di Bartolomei. La mia polizza di assicurazione è esattamente ciò che ho scritto, perché se quelli OBIETTIVO MONDIALE Prandelli guiderà l’Italia in Brasile tra meno di un mese LaPresse La festa del Parma dopo la qualificazione in Europa League LaPresse IRPEF E DINTORNI Perché il Parma rischia l’Europa stato un finale di camÈ pionato drammatico, con le lacrime di Cerci per aver sbagliato il rigore che avrebbe regalato la qualificazione in Europa League al Torino anziché al Parma. Ma ora il rigore dei bilanci potrebbe ribaltare la situazione. Quando la Figc ha diramato l’elenco delle società cui è stata concessa la licenza Uefa per la partecipazione alle Coppe europee della prossima stagione, il Parma non c’era. Il casus belli è una quota Irpef di 300 mila euro non pagata dalla società emiliana. Per questo la Seconda Commissione licenze Uefa della Figc, che ogni decisione in merito spetta alle federazioni nazionali che poi riferiscono alla Uefa, al momento di stilare le liste non ha inserito i ducali. Ora il Parma ha tempo due giorni per presentare un ricorso che sarà dibattuto il 28 maggio dall’Alta Corte di Giustizia del Coni, nel caso fosse respinto sarà il Torino, che ha ottenuto la sua licenza, a entrare in Europa League, cominciando dal terzo turno preliminare di fine luglio. Con un buon auspicio, lo scorso anno la federazione spagnola non concesse la licenza al Rayo Vallecano e al suo posto è entrato il Siviglia, che ha poi vinto la competizione la scorsa settimana allo Juventus Stadium di Torino. In tutto questo però, è anche interessante soffermarsi su quell’Irpef da 300 mila euro non pagata, perché mette in luce quella che è poi la gestione corrente degli affari di una società di Serie A. Come spiega lo stesso ds dei ducali Leonardi, la tassa non pagata è sugli incentivi all’esodo che il Parma ha corrisposto in questa stagione a una decina di suoi calciatori mandati in prestito nelle categorie inferiori. Se infatti la nuova società non ha i mezzi economici per versare lo stipendio minimo corrisposto da un club di Serie A, tocca alla società di provenienza colmare la differenza. E SU QUESTA differenza, ap- punto, il Parma non avrebbe pagato l’Irpef. Ora, come aveva scritto a settembre Martin Samuel, la rosa del Parma è composta da quasi duecento giocatori, su Wikipedia inglese se ne trovano più di un centinaio. Un numero inaudito. “Il Parma non ha soldi, ma un piano – scriveva l’editorialista del Daily Mail –. Reclutano giocatori per poi girarli nelle società satellite. Se va bene prendono il dividendo, altrimenti niente, come si fa per il bestiame. Se il 30% del bestiame porta profitto è un successo, ma il restante 70% rimane un numero”. Sarebbe una beffa se proprio la gestione di questo “bestiame” impedisse al club di partecipare a una remunerativa competizione internazionale. @ellepuntopi Cannes, l’ora dei top & flop d’autore NAOMI KAWASE E I FRATELLI DARDENNE IN POLE PER LA PALMA D’ORO. DELUDONO Z. YIMOU E L’ESORDIO DI R. GOSLING ALLA REGIA di Federico Pontiggia Cannes C annes, si fa sul serio: Naomi Kawase e i fratelli Dardenne incassano applausi e puntano alla Palma. Per i registi belgi non è una novità: due quelle già in bacheca, per Rosetta (1999) e L’enfant (2005). Ancora a secco la regista nipponica, scoperta proprio sulla Croisette nel ’97 con la Caméra d’Or a Suzaku, Grand Prix nel 2009 con Mogari no Mori: “Dopo questi riconoscimenti, non c’è che la Palma d’Oro. Senza alcun dubbio, Still the Water è il mio capolavoro, ed è la prima volta che lo dico”. Insomma, come si traduce in giapponese “mettere le mani avanti”? Ma parrebbe proprio l’anno della Kawase, una aficionada ricambiata della Croisette, e la presidente di giuria Jane Campion non dovrebbe ignorare il suo delicato romanzo di formazio- ne, ambientato sull’isola di Amami – un’altra richiesta d’attenzione? – e spiritualmente allacciato alla storia d’amore di due adolescenti, Kyoko e l’incantevole Kaito. La palpebra vacilla, ma tenere gli occhi aperti – la nostra fila alla sala Debussy era la bella addormentata – paga. Still the Water è quel che Terrence Malick avrebbe voluto intendere con The Tree of Life e To the Wonder, ma con una sostanziale differenza: è un film riuscito, un poema visivo e animista che congiunge mare, cielo, terra senza santini new age, l’iconografia massimalista e la programmaticità oleografica dell’americano. QUI C’È LA VITA, lo Sturm und Drang, la fusione panica con la Natura che passa dallo sgozzamento di una capra, dall’accompagnamento musicale verso la morte, dalla ritualità di passaggio, con Kyoko e Kaito che scampano al tifone per nuotare nudi e liberi in un nuovo L’Atalante: siamo vicini a Le meraviglie della Rohrwacher, vedremo che deciderà Madame Campion. Se sarà femmina, la 67esima Palma, loro ci sono, altrimenti il turco bello ed estenuante Winter Sleep di Nuri Bilge Ceylan o Mr. Turner di un altro impalmato (Segreti e bugie, 1996), l’inglese Mike Leigh, che rac- contando il pittore fa mirabilmente art pour l’artiste. Oppure i soliti Dardenne, che con Two Days, One Night incastrano la Sandra di Marion Cotillard tra padrone e colleghi: riduzione dell’organico a sue spese oppure la rinuncia al proprio bonus, per che voteranno i compagni di fabbrica? Pare un interrogativo da elezioni europee, ma i Dardenne spianano la Via Crucis della precarietà senza rinunciare alla speranza: “Abbia- Naomi Kawase LaPresse L’OMAGGIO Sulla Croisette sbarca anche Sophia Loren, con “Matrimonio all’italiana” in versione restaurata e con “Voce umana” del figlio Edoardo Ponti mo provato a raccontare come la solidarietà che incontra Sandra e il sostegno del marito trasformino questa donna, che alla fine può dire ‘mi sono battuta, ora sono felice’. Sì, pensiamo si possa essere solidali ancora oggi: almeno, il film afferma questo”. Ma come? LA RADICALITÀ stilistica di Rosetta & Co. non abita più qui: i fratelli si son dati una calmata, Il ragazzo con la bicicletta ha fatto scuola, l’iterazione dei colloqui di Sandra con i colleghi è tutto, la doppia iperbole barbiturico-coniugale ce la saremmo risparmiata. Ma sono ancora loro, e sono ancora da premio. È tramonto, viceversa, per il cinese Zhang Yimou, che nonostante nome e cognome, più l’avvenente Gong Li, lascia semivuoto il Grand Théatre Lumière per Gui Lai (Fuori Concorso): quest’anno la Cina non è di casa, non è di Cannes. Fuo- chi d’artificio a Un Certain Regard: ressa e spintoni per l’esor- dio alla regia del divo Ryan Gosling, che in Lost River mette la fidanzata Eva Mendes, la maggiorata Christina Hendricks, qualche plateale scopiazzatura (Nicolas Winding Refn, e come altrimenti?) e troppa carne – Barbara Steele – al fuoco. Della serie, vorrei ma non posso: provaci ancora Ryan, ma prima un bagno d’humilité. Nel caso, può rivolgersi a Wim Wenders che gira a quattr’occhi con il figlio del fotografo star Salgado The Salt of the Earth: nulla da eccepire, coppia d’assi. Ma noi abbiamo la regina di cuori Sophia Loren, che sulla Croisette cala il tris: Matrimonio all’Italiana restaurato, Voce umana del figlio Edoardo Ponti e oggi la Master Class. Nel nome di Mastroianni, che giganteggia sul poster del festival: “Che bello che c’è anche lui!”. Sì, Marcello Cannes Here! 20 SECONDO TEMPO MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 il Fatto Quotidiano WASSILY KANDINSKY “L’artista come sciamano” Vercelli ARTE Un Kandinsky non convenzionale “L’ARTISTA COME SCIAMANO”, UNA FELICE INTUIZIONE ALLO SPAZIO DELL’ARCA DI VERCELLI di Claudia Colasanti N on troppo ma buono: tra le formule – rispetto alle proposte espositive e museali – che occorre per lasciarci alle spalle lo stallo e lo sfascio di gran parte delle istituzioni culturali italiane. Così come questa mostra, concisa e illuminante: Wassily Kandinsky. L’artista come FUMETTO sciamano, presso lo spazio dell’Arca di Vercelli, nata da una brillante intuizione e divenuta, grazie ai pezzi esposti e all’originale itinerario, più di una certezza. Ventidue tele di Kandinsky e alcuni dipinti di maestri dell’avanguardia, provenienti da otto musei russi, ma soprattutto la presenza di un corposo e davvero splendido nucleo di oggetti rituali delle di Stefano Feltri Sulla scacchiera steampunk ©SCACCO ALLA REGINA di Giovanni Di Gregorio, Alessia Fattore, Maurizio Di Vincenzo, Le storie 19, Sergio Bonelli editore, 114 pagg., 3,50 euro LA COLLANA LE STORIE resta il migliore esperimento della Bonelli di questi anni: ogni mese un romanzo a fumetti di 114 pagine nel formato del fumetto popolare in bianco e nero, personaggi sempre diversi, nessun filo conduttore se non l’ambizione della qualità. Non sarà un prodotto per le masse, più legate alle icone come Tex e Zagor, ma spesso Le Storie ospitano l’eccellenza bonelliana. “Scacco alla regina” è sicuramente uno dei volumi più riusciti della collana: sceneggiatura del bravo Giovanni Di Gregorio, disegni di Alessia Fattore e Maurizio Di Vincenzo. Le atmosfere sono quelle del genere steampunk (una sottobranca della fantascienza, diciannovesimo secolo, pistoni, macchinari, tecnologia retrò), ma l’ambientazione è precisa: Londra, 1851. L’espediente narrativo è la partita a scacchi, non tra l’eroe e la morte, come nel “Settimo sigillo” di Bergman, ma tra uomo e macchina. Lo scacchista Wilhelm Fiehedrssen e Adam, un gigantesco au- tradizioni popolari e sciamaniche praticate nelle sterminate regioni siberiane (prestito della Fondazione Sergio Poggianella di Rovereto). L’artista russo, padre mondiale dell'astrattismo – più di ogni altro rappresentò la cerniera fra Occidente e Oriente – fu ispirato dalla cultura rurale e dalle pratiche sciamaniche della Steppa per il suo immaginario pittorico. La formazione del grande artista crebbe all’interno di una corrente culturale presente in Russia per tutto l’Ottocento, volta a ricercare nella cultura primitiva e folclorica del mondo contadino le radici della vera civiltà russa. DI TALE UNIVERSO esoterico, contrapposto al razionalismo europeo, facevano parte le favole e le canzoni popolari trasmesse oralmente fin dal Medioevo e riprese poi in letteratura da Dostoevskj. Si tratta degli stessi anni in cui Kandinsky visse fra Monaco e la Russia, e nei quali studiò etnoantropologia, tra il 1901 e il 1922 (anno in cui abbandonò la Russia sovietica). Il percorso che lo condusse all’astrazione era cominciato proprio così, con gli studi del diritto nelle tradizioni delle sterminate campagne della Russia, TEATRO di Camilla fra le lontane popolazioni della Vologda, in Siberia. Antiche tradizioni del nord del paese dove poi l’artista viaggiò, annotando canzoni e proverbi popolari, preghiere e formule magiche; e disegnando anche i dettagli dell’arredamento delle case di legno e altri oggetti d’uso quotidiano. Iniziò in seguito la sua collezione di manufatti popolari, che gli permise di appro- Tagliabue L’anti-Edipo di Pasolini ©Affabulazione di Pier Paolo Pasolini Milano, Teatro Out Off, fino al 1° giugno TRA IL 1966 E IL 1969, mentre i giovani di mezzo mondo scendono in piazza a contestare i loro padri padroni, Pier Paolo Pasolini, sempre profetico e bastiancontrario, sforna “Affabulazione”, una pièce in versi liberi che irride “il conformismo del Figlio ribelle”, la sua abulia, la sua refrattarietà e il suo totale disinteresse al parricidio. Di contro, in questa vicenda senza tempo e senza fine, il Padre prova un’attrazione morbosa e incestuosa nei confronti dell’acerbo ragazzo, dai capelli smerigliati d’oro come un aitante e libidinoso marinaio. Così va in scena la storia dei padri che divorano i figli, e dei figli che se ne fregano di tutto, evanescenti e inconsapevoli persino della propria provocante bellezza: l’autore imbastisce una tragedia onirica e anti-edipica, attingendo PATRIMONIO ALL’ITALIANA al suo repertorio classico e intessendo abilmente argomenti politici, lingua poetica, immaginario mitico e fascinazioni erotiche. Protagonista è un’altolocata famiglia milanese: quei borghesi illuminati che si “tradiscono per tradizione” e “pregano come se si drogassero”. Ma le ossessioni del patriarca faranno presto deflagrare l’idillio conformista: per il poeta corsaro amore fa rima soltanto con orrore… Non è facile maneggiare con cura l’incandescente e pruriginoso materiale pasoliniano, mantenendone al contempo grazia e potenza, eppure il regista Lorenzo Loris allestisce uno spettacolo pudico e commovente, di rara delicatezza pur nell’angoscia e scabrosità di trama e contenuti. Bravi gli attori: il febbricitante Padre di Roberto Trifirò; la dolente Madre di Annina Pedrini; i deliziosi Alberto Patriarca e Sara Marconi, nei panni del Figlio e della sua Ragazza; l’allucinata Negro- di Tomaso mante di Monica Bonomi e lo straordinario, struggente Umberto Ceriani, cui tocca l’aspro ruolo dell’Ombra di Sofocle, quasi un alter ego di Pasolini stesso, quel vate osceno a cui il cuore si “induriva come un membro”. Montanari Vespa, pifferaio d’arte renziana toma prodigioso capace di compiere una mossa ogni sei ore e, sostiene il suo inventore, di battere il migliore cervello biologico. Ma ogni volta che sulla scacchiera un pezzo cade, qualche suo omologo muore nel mondo reale. Ed è chiaro cosa potrebbe succedere alla regina. La tensione della partita viene esasperata dall’indagine sugli omicidi, con le mosse lente e implacabili dell’automa a scandirne il ritmo. Come in ogni giallo che funziona, il lettore perde subito interesse a scoprire chi è il colpevole e si gode il crescendo di disperazione dei personaggi, il dilemma etico dello scacchista (interrompere la sfida per salvare vite o sottrarsi al ricatto e vincere?), la psicosi che travolge Londra. Un fumetto bonelliano fluido nella narrazione e curatissimo nei disegni, con tutte le caratteristiche di eccellenza della casa (chiarezza, precisione, avventura) senza quelle sbavature e pesantezze che talvolta zavorrano le storie dei personaggi più noti, nel tentativo di renderle digeribili anche al lettore meno attento. fondire la cultura dei sirieni, vivendo quasi in simbiosi con le pratiche popolari derivanti dalle antiche ritualità sciamaniche. La convinzione di Kandinsky che, sia nella vita sia nell'arte, lo spirituale debba dominare sulla vita materiale formò la sua percezione del mondo già alla fine degli Anni Ottanta, ovvero il momento in cui capì che per trasporre sulla tela l'anima non fosse necessario raffigurare oggetti e volti. Bastava il colore, la forma, la combinazione e il ritmo per esprimere stati d’animo ed emozioni provenienti sia dall’esterno che dal profondo dello spirito. Così, nella mostra – non convenzionale – di Vercelli è possibile vedere bastoni sciamanici con l'impugnatura a forma di testa di cavallo o incredibili grembiuli mongoli imbottiti di feticci, frange, campanelli di ferro, specchietti, o ancora tamburi rituali le cui ombre dipinte e i simboli paiono idealmente trasformarsi nelle agili forme che ballano nei dipinti del maestro russo. La struttura decorativa dei magici costumi rituali si trasforma in composizioni astratte, in cui l’energia vitale diventa un gioioso movimento di danza. NEL DERBY entomologico (copyright di Aldo Grasso) della televisione italiana, la maggioranza delle osservazioni e delle paure si addensano intorno a Grillo. Laddove non mi pare vi sia alcun dubbio che ad oggi sia stato Vespa a fare incalcolabilmente più danni alla democrazia italiana. E anche per il futuro, a me fa più paura Vespa di Grillo: se non altro per la sua mostruosa abilità nell'imporre l'ordine del giorno del potere alla (maggioritaria) parte fossile dell'opinione pubblica. Qui rileva l'articolo che Vespa ha dedicato alle soprintendenze sul Quotidiano Nazionale del 3 maggio scorso: eloquente fin dal titolo, “Il mostro burocratico”. Non sazio della lode (“Matteo Renzi ha deciso un ragionevole accorpamento delle soprintendenze in modo da ridurre il numero di referenti con cui discutere”), come una geisha del potere dalla sensitività sovrumana, Vespa precede i più innominabili desideri del giovane premier: “Ma saranno disciplinati anche i loro poteri? E i tempi entro i quali esercitarli? Il problema della burocrazia italiana è infatti il sovraffollamento di uffici”. Con un turnover bloccato da decenni, organici al lumicino e nessun mezzo, il problema delle soprintendenze è proprio l'affollamento. E i temibili poteri sarebbero le pistole ad acqua con cui i soprintendenti arginano le lobbies del cemento, armate di missili terra-aria. Segue un inno alla mercificazio- ne che fa sembrare Tremonti un francescano: “Il manager dei musei immaginato da Renzi avrà le mani libere nel vendere il prodotto cultura o dovrà scontrarsi ogni giorno con un rispettabile architetto o critico che sa tutto di un’opera d’arte, ma non riesce a cavarne un centesimo?”. Maniliberismo, ecco il nome del renzismo da grande. E il giovane e vergine Bruno Vespa è proprio il più indicato menestrello di questo stilnovo. Spettacolare l'inizio dell'articolo: “Dopo aver imposto il prestito di alcuni pezzi eccezionali del Rinascimento italiano per una grande mostra a Londra negli anni Trenta, Benito Mussolini disse che avrebbe preferito farsi cavare tutti i denti piuttosto che discutere ancora una volta con i soprintendenti. Ed era Mussolini”. Niente in confronto a Renzi. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 21 GIORGIA MELONI Ospite lunedì sera di Lily Gruber a “ 8 e 1/2”, La7 Ansa ONDA SU ONDA IL PEGGIO DELLA DIRETTA L’ingegnere tra Scalfari e la torta di Rai Way di Loris Mazzetti enzi e De Benedetti, un matriR monio che si è celebrato domenica sulle colonne di Repubblica con la benedizione di Scalfari: “Bisogna votare per Renzi e per Schulz”. Siamo sicuri che dietro all’operazione di privatizzazione di Rai Way non ci sia un possibile interesse dell’ingegnere? Rai Way possiede e gestisce gli impianti e la rete di trasmissione della tv pubblica: 23 sedi, 2.300 postazioni, 1.800 strutture tra queste 150 torri che superano i 50 metri di altezza, con un utile netto nel 2013 di 11,8 milioni di euro. Roberto Fico del M5S, presidente della Commissione di Vigilanza Rai, si è detto contrario perché fatta, come suggerita da Renzi, l’operazione rischierebbe di svendere un patrimonio pubblico. Anche il movimento dei lavoratori Rai “Indignerai” si è dichiarato contrario denunciando l’ambiguità del premier: da una parte sostiene che la politica non deve interferire, dall’altra dà il via libera, per legge, ad un’operazione che ricalcherebbe i criteri di quella del 2001, quando la Rai stava per cedere alla Crown Castle il 49% di Rai Way, operazione poi impedita dal ministro Gasparri su ordine di Berlusconi. Da allora è cambiato il mondo tecnologico, è arrivata la digitalizzazione, e sono cambiate anche le direttive dell’Ue: la società che gestisce le torri e distribuisce il segnale andrebbe scorporata da quella che produce i contenuti, cioè i programmi. L’ITALIA è l’unico paese in Europa a non averlo ancora fatto. Prima di pensare a privatizzarla, Rai Way andrebbe adeguatamente valorizzata come asset strategico, cosa che in questi ultimi dieci anni non è avvenuto perché la Rai è stata asservita agli interessi dell’ex Cavaliere, infatti la società del servizio pubblico oggi vale solo 600 milioni, nettamente meno rispetto alla valutazione del 2001, mentre la società che gestisce gli impianti di Mediaset, Elettronica Industriale, che nel 2011 si è fusa con DMT, quotata in borsa, vale 1 miliardo e 100 milioni, quasi il doppio di Rai Way pur essendo strutturalmente inferiore. Chi non partecipa al dibattito è De Bendetti, a lui interessano i fatti non le parole. L’ingegnere ha capito che è sulla rete che in questo momento passa il vero business, infatti sta attendendo il via libera dall’Agcom per inserirsi sul mercato dopo aver fuso la sua Rete A con TI Media di Telecom (la società che controlla la rete trasmissiva de La7 e Mtv è già quotata in borsa. Insieme le due società arrivano a 5 multiplex come la Rai. Un’operazione da 400 milioni che ha dato il via al primo operatore indipendente nel dt. Le sparate della Meloni e i numeri di Farinetti di Luigi Galella i informi”. L'imperativo di Lilli Gruber – che suggestivamente, alS meno per noi che le amiamo, sempre ci ricorda le frasi celebri di Totò – è per Giorgia Meloni. Durante la puntata di 8 e mezzo (La7, lunedì, 20.30), che la vedeva contrapposta a un'esponente della lista Tsipras, la Meloni chiariva e argomentava, con velocissima, veemente loquela, com'è solita fare da quando non ha più incarichi di governo e parla come se mai ne avesse ricoperti. Sembrava molto informata, perché questo accade quando si forniscono cifre e dati con facile sicumera, ma Lilli Gruber era di altro avviso e l’ha bacchettata con tono seccato, prima di lanciare la pubblicità. IL TEMA del contendere erano le tasse che si pagano in Svezia e in Germania, che secondo la leader di “Fratelli d'Italia” sono molto più basse di quelle italiane; per la Gruber invece le cose stanno diversamente; da qui l’invito a documentarsi, rivolto alla sua giovane ospite. In effetti la natura del medium è tale che chiunque può sparare un numero e pen- sare di farla franca. Dopo pochi istanti, nel panta rei del mezzo televisivo, nessuno se ne ricorderà più. La risposta tranchant di Lilli Gruber, che ha lasciato in sospeso chi delle due avesse torto o ragione, può essere uno spunto per un suggerimento: l’idea di dotare di un accorgimento elettronico i talk politici e di informazione; una sorta di moviola in campo, che metta subito in evidenza dove sia la verità: una strumentazione che controlli la veridicità delle affermazioni. Un sapientino, un’autorità elettronica, contro maestrini e maestrine incauti. Nel prosieguo della serata, sulla stessa rete, abbiamo poi ascoltato altre cifre. Una in particolare, veramente enorme, lanciata dall’imprenditore Oscar Farinetti, ospite di Corrado Formigli a Piazzapulita. L’argomento era l’Expo e la necessità di incrementare il turismo in Italia, che negli Anni 70 ci vedeva al primo posto del mondo, mentre oggi siamo quinti, superati anche dalla Spagna. Questi, i primi numeri di Farinetti, che a primo acchito non sembrano infondati. Ma il creatore di Eataly non si è fermato qui e ha rivelato poi che la sola Manhattan Gli ascolti di lunedì PARTITA DEL CUORE 2014 Spettatori 4,16 mln Share 15,15% PORTA A PORTA Spettatori 3,16 mln Share 23,75% batte i visitatori di tutta l’Italia. Bum, diremmo a naso, senza nemmeno controllare il sapientino. Ma come? Metti insieme Venezia, Roma, Firenze, Pompei e tutto il resto della penisola e la sola New York pensa di batterci? E le file chilometriche ai musei vaticani? E le spiagge estive dell’Adriatico invase da mezza Germania? Ma Farinetti è pazzo? NO, PER QUANTO possa sembrare strano, i pazzi siamo noi, noi italiani. E lui ha ragione. Fra il 2002 e il 2013, mentre il Paese si dibatteva nella più acuta crisi di crescita, l’incremento dei turisti nella “città che non dorme mai” è stato del 54%: circa 20 milioni. E l’anno scorso si è raggiunta, appunto, la cifra record di 54 milioni di visitatori, 8 in più di quelli stimati in tutta Italia. Bravo Oscar. Le sue iperboli impressionano, per la loro apparente assurdità, ma purtroppo la realtà, da noi, riesce a tenere insieme verità e inverosimiglianza. In quanto alla Meloni, no. Almeno, riguardo alla Svezia, la tassazione supera quella italiana. Ciò che è divertente è che lì i politici, non è una battuta, fanno a gara a chi ne promette di più. Di tasse. GRANDE FRATELLO 13 Spettatori 4,3 mln Share 19,93% PIAZZAPULITA Spettatori 1,15 mln Share 4,49% 22 SECONDO TEMPO MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 il Fatto Quotidiano IL BADANTE NON SOLO LA CEI Guerre vaticane intorno al Papa di Marco Politi B asta ripercorrere alla moviola la lunga teoria di volti vescovili preoccupati, perplessi, tesi e a tratti irritati, che sono apparsi sugli schermi televisivi mentre il pontefice parlava alla Cei, per capire che il 19 maggio è stata una giornata fuori dall’ordinario nella storia dell’episcopato italiano. Chi ha seguito Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco nei loro viaggi in Italia e all’estero conosce bene il rombo di un applauso scrosciante. Lunedì non se ne coglieva traccia nell’aula del Sinodo. L’applauso finale in parecchi settori dell’emiciclo si è limitato al minimo sindacale. È UN SEGNALE d’allarme. Molti media, drogati dalla campagna elettorale, hanno piegato in chiave italiana l’appello papale a non cedere al “catastrofismo” quasi che Bergoglio volesse tirare la volata al giovane Renzi. Non è così. Papa Francesco si riferiva all’“emergenza storica” della miseria e del precariato crescenti in tutto il pianeta, sottolineando l’esigenza che i vescovi nella stagione attuale non si fermino al piano “pur nobile” delle idee, ma sappiano entrare nella realtà con gesti concreti per dare un contribuito a trovare vie d’uscita da una situazione – globale – che SENZA PRECEDENTI I volti preoccupati durante l’incontro episcopale la dicono lunga sul clima intorno alle riforme volute da Francesco schiaccia sempre più la maggioranza degli esseri umani. Prima ancora dell’aspetto sociale, tuttavia, la “predica” del papa argentino si è indirizzata ai vescovi in carne e ossa, al loro modo di presentarsi, al loro modo di agire, alla loro attitudine o meno di creare comunità intorno a sé, valorizzando il ruolo dei laici e la presenza delle donne e dei giovani. È chiaro che il pontefice venuto “dalla fine del mondo” chiede alle gerarchie italiane una gigantesca operazione di riconversione, uno sforzo grandioso per abbandonare ogni tentazione di sentirsi “potentati” nella loro realtà sociale (piccoli, medi o grandi non importa) allo scopo di porsi di fronte all’umanità contemporanea semplicemente nella veste di discepoli di Cristo. “Il vostro annuncio sia cadenzato dall’elo- Guardie svizzere in Vaticano LaPresse quenza dei gesti”, ha esclamato. Ribadendo subito dopo: “Mi raccomando: l’eloquenza dei gesti”. Come dire che senza la testimonianza concreta di una diversità di vita e di azioni l’annuncio della Buona Novella non arriva. Evidentemente nell’anno trascorso Francesco non ha avvertito nell’episcopato una prontezza a seguirlo. Semmai ha colto una filiale inerzia nel dirgli pubblicamente sempre di sì, rimanendo fissi sulle proprie posizioni abitudinarie. Questo spiega l’irritazione del pontefice, tradottasi nella decisione senza precedenti di non limitarsi – come facevano i suoi predecessori – a indicare dietro le quinte la linea al presidente della Cei, suggerendogli gli accenti da far risuonare nella relazione introduttiva, ma di arrivare a prendere la parola subito all’inizio dell’assemblea dei vescovi per mostrare chiaramente l’orizzonte in cui muoversi. NON È STATA un’operazione indolore. L’assenza di qualsiasi riconoscimento al lavoro svolto dalla conferenza episcopale, l’insistito elenco degli errori (le “tentazioni”) da cui i vescovi italiani sono chiamati ad emendarsi, sono fattori destinati a loro volta a suscitare irritazione negli ambienti prelatizi. E ad alimentare la sorda opposizione di quei settori vescovili e cardinalizi, che nutrono la guerriglia antipapale del “Foglio” e di una massa di siti web contrari al papato argentino, accusato di semplicismo, demagogia e scarsa profondità teologica. Una guerra sotterranea è in corso in Vaticano e nella Chiesa universale intorno al progetto di riforme di Francesco. La palese dissonanza prodottasi tra il papa e una parte della conferenza episcopale italiana rappresenta una novità nel panorama ecclesiale. Certamente non gradevole. Certamente in grado di rendere più ostacolato il processo di riforma. L’andamento del dibattito mostrerà quanti saranno in concreto i vescovi in seno alla Cei, pronti a spendersi per appoggiare e realizzare i cambiamenti profondi ri- chiesti da Francesco. Rispetto a decadi precedenti il cardinale Bagnasco ha cercato senza dubbio di governare la Cei in maniera meno autoritaria, ma qui serve – Francesco lo esige – un soffio di libertà di dibattito e di proposte, tipico della stagione del concilio Vaticano II, che l’attuale struttura della Cei finora non ha consentito. Ieri ha preso la parola il cardinale-presidente Bagnasco. Non è sfuggito che a proposito della futura modalità di scelta del presidente egli abbia aperto uno spiraglio a correzioni o eventualmente a “forme nuove” rispetto alla chiusura dei mesi scorsi. La vecchia proposta prevedeva che il presidente, dopo un sondaggio fra tutti i vescovi, venga sempre scelto dal pontefice. L’assemblea avrà il coraggio di arrivare a una vera e propria elezione? La lunga marcia di Beppe “Mao” Grillo di Oliviero Beha NON C’È DAVVERO bisogno di essere un “tifoso” (la virgolettatura è solo uno scrupolo…) di Beppe Grillo e del M5S per affermare che loro le elezioni le hanno già vinte, comunque vada. Certo, elettoralmente e politicamente in senso stretto un conto è che quello di Grillo diventi il primo partito, un altro che segua il Pd renziano, presumibilmente comunque non di molto, nella disintegrazione postuma del centrodestra. Ma se il termine “politica” ha ancora un etimo profondo, anche se continuamente svilito da coloro che la praticano, bisogna riconoscere che con la performance sulla rete ammiraglia dell’azienda pubblica da un pezzo privatizzata per bande più o meno larghe, Grillo ha maoescamente quasi completato la sua lunga marcia cominciata sette anni fa. Sono così preciso perché c’ero, quando con Elio Veltri nel maggio del 2007 varammo un manifesto per la riforma della politica e la sua traduzione operativa in una Lista Civica Nazionale, manifesto firmato da Beppe e Fo e Franca Rame, Tabucchi, Travaglio e Barbacetto ecc. ecc. Poi vennero i “vaffa day” e le prime rappresentanze locali, fino al boom delle Politiche del febbraio 2013. All’epoca era un comico prestato alla politica, adesso, anche se intermittentemente per fortuna rinuncia a prendersi sul serio, è lo spauracchio di un intiero sistema che lo dipinge da un pezzo e sempre di più nella sua crescita come un tribuno dell’antipolitica. Senza rendersi conto che è esattamente questo il punto su cui si regge n tutto il seguito sociale e politico di Grillo, ossia mettere a nudo il più possibile il suo antagonismo a “questa politica” che nel frattempo, lungo i sudati sette anni, ci ha ridotti come Paese e come popolo sul lastrico. Potevano almeno sforzarsi e chiamarla “ante-politica”, avrebbero evitato di autoconnotarsi nel peggio e per la scesa… Anche il derby tra i recensori dell’esibizione di Beppe da Vespa pare di poco momento, se rapportato ai risultati raggiunti da Grillo che aveva comunque tutti contro, almeno all’inizio. Naturalmente da un paio d’anni c’è chi si sta arrampicando pure maldestramente sul carro del presunto o temuto vincitore, secondo i detta- IL FAVORITO Da Vespa il leader M5S ha completato un percorso iniziato 7 anni fa. Comunque vadano le elezioni, lui le sue le ha già vinte Beppe Grillo da Vespa Ansa mi di Flaiano. L’unico vero deterrente nei confronti del M5S era affidato al terribilismo di Grillo, ai rischi che comporta un “salto nel vuoto”, alla paura dell’ignoto subito rivestito del populismo del passato e dell’autoritarismo anche un po’ straccione che tra l’altro la storia dice piacerci, e parecchio… Ancora e sempre autolesionismo sistematico dei consunti padroni del vapore. E infatti, durante un Porta a Porta che ha folgorato l’Auditel cui il “mostro” ha partecipato per raggiungere le fasce più anziane di elettori (e quindi credo/spero di cittadini), per rendersi conto bastava spegnere l’audio, operazione che in passato ci ha dato la soddisfazione di vedere nei tg e nei programmi i veri “mostri”. LA TV È FACCE, si è sempre detto: da una parte il solito Vespa rotto a tutto e unto ma non del Signore, che evocava perfettamente il nostro recente passato e il sistema che ci ha ridotti così, e dall’altra un detonatore imborghesito ma sincero della incazzatura nazionale. Pieno di contraddizioni, certo, ma “innocente” per il passato. Con il merito di aver comunque incanalato la rabbia in una forma politicissima padroneggiando la violenza. Senza bacchette magiche, è vero, che comunque non ha nessuno, sull’orlo di un baratro economico sintetizzato da tutti gli indicatori e un buco nero culturale di cui non si parla mai. Per questo, comunque vada alle Europee, Grillo ha già vinto: perché non è un’invenzione del momento, ma uno specchio in cui riflettere un’immagine che non ci piace. n PIOVONO PIETRE Due contendenti, una sola logica: da seconda media di Alessandro Robecchi uò essere anche divertente sedersi su P un sasso, in alta montagna, e vedere due stambecchi che si prendono allegra- mente a cornate per il controllo di un cocuzzolo. Ma questo solo se siete in un documentario sulla natura, o in vacanza, per cui a un certo punto spegnete la tivù, oppure raccattate lo zaino e tornate a casa. Qui, invece, la battaglia dei due stambecchi avviene per il controllo di un territorio che sarebbe anche nostro, intesi come italiani, e ha dei tratti peculiari assai sgradevoli. La polarizzazione della campagna elettorale tra i due schieramenti principali (il Pd renziano e il movimento grillino) nasconde infatti (parola sbagliata: non lo nasconde affatto) qualcosa di profondamente autoritario, la certezza che il dubbio non sia utile. Insomma: i due stambecchi non si limitano a offrire il loro affannato spettacolino, ma pretendono adesione incondizionata, tifo da ultras e arruolamento volontario. L’esercito grillino ha certezze granitiche e incrollabili. Strano davvero per un movimento post-ideologico che dice un po’ tutto e il contrario di tutto, che propone (vagamente, va detto) un totale ridisegno della società che in condizioni storiche normali richiederebbe anni, idee, uomini di immenso spessore e altre cosucce che evidentemente mancano. Eppure. Eppure chi non ci sta, chi non ci crede è nemico, con il corollario di insulti e contumelie che conosciamo (è la superficie, certo, ma viene voglia di fermarsi lì). Un impianto autoritario, insomma, forte del vecchio e frusto concetto del “chi non è con noi è contro di noi”. no: o ci stai o sei nemico. O ci credi o tifi disastro. Si aggiunge alla competizione tra i due stambecchi, e ne è un portato ovvio, il richiamo alla “vittoria” come unica cosa che conta. Vinciamo noi, no, vinciamo noi. Insomma, lotta maschia e scontro di ego dove il dubbio rompe solo le balle, la complessità è considerata una seccatura e la logica binaria (dentro/fuori, vincere/perdere) è l’unica che conta. Bene. Piccolo appello personale. Chi si è stancato di assistere alla lotta a cornate può guardarsi intorno: magari il cocuzzolo offre piccole, minoritarie, addirittura perdenti ma più dignitose forme di vita. Forse non egualmente potenti, più aduse a frequentare il dubbio, più “sostenibili” e che non chiedono arruolamenti. Ecco. Guardarsi in giro, l’Europa e l’Italia sono abbastanza grandi, ci sono anche altre idee, altre visioni del mondo, altri codici di comportamento che non pretendono adesione fideistica, adorazione del capo o sanguinosi insulti a chi non ci sta o non ci crede. La biodiversità è anche questo. Meglio sostenerla, prima che restino solo stambecchi rabbiosi. A CORNATE Renzi e l’ex comico genovese hanno in comune una cosa: chi non è con loro non vale un accidente Una noia colossale alla parte dell’altro D stambecco, la cosa non è molto diversa. L’affermazione renziana (più volte ri- petuta) che chi non sta con questo governo non sta con l’Italia è un sillogismo molto caro ai regimi autoritari. L’opposizione (chi non crede alle ricette di chi governa) non è considerata parte di una dialettica politica, ma viene relegata tout court a “nemica della patria”. O stai con Matteo o sei contro l’Italia, è il succo (al netto delle parole d’ordine da seconda media, tipo gufi e rosiconi, che valgono come gli zombie dell’altra parte, speculari anche in questo, gli stambecchi), ed è un succo acido e indigeribile. Per esempio uno potrebbe pensare che flessibilizzare ancor più il lavoro non faccia bene al paese, posizione legittima. O che governare insieme ad Alfano e Giovanardi non sia un toccasana. Invece @AlRobecchi SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano 23 MERCOLEDÌ 21 MAGGIO 2014 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo Ambasciatore Bosio, abbandonato in carcere Caro ministro Mogherini, sono un giornalista italiano che da oltre 30 anni vive in Asia (principalmente in Giappone). Vorrei parlare della vicenda di Daniele Bosio, ambasciatore italiano in Turkmenistan attualmente “sospeso dal servizio” a seguito del suo arresto, il 5 aprile 2014, nei pressi di Manila. I reati che avrebbe commesso sono abuso e traffico di minori. Come gravi sono le accuse contro i due marò: omicidio, quanto meno colposo. Nel primo caso, sembra prevalere la presunzione di colpevolezza, nel secondo quella di innocenza. Per non parlare del trattamento: Bosio a marcire in una cella di 30 metri quadri con 80 persone, i marò ospitati presso una foresteria della nostra ambasciata a New Delhi. Mi appello a lei, ministro, non come giornalista, ma come semplice cittadino italiano all’estero, preoccupato per la frequente inefficienza, superficialità e incompetenza con le quali le nostre autorità diplomatiche “assistono” i nostri connazionali che si trovano nei guai all’estero. Mentre molti condannati possono usufruire delle norme previste dalla Convenzione di Strasburgo e da ulteriori accordi bilaterali per l’espiazione della pena nel paese di origine, i detenuti in attesa di giudizio sono, di fatto, abbandonati al caso. Ed è esattamente quello che è successo all’ambasciatore Bosio, che pur non è uno sprovveduto e che un buon avvocato avrebbe potuto permetterselo. Peccato che ci abbia messo quasi una settimana, prima di trovarlo, perché quello suggeritogli dall’Ambasciata era una civilista, che si è limitata a suggerirgli di firmare tutto quello che gli chiedeva la polizia. Bosio ha così firmato un foglio pressoché illegibile che in realtà conteneva la rinuncia all’habeas corpus. In oltre 40 giorni di detenzione Bosio è stato visitato so- lo 2 volte dal suo collega accreditato a Manila, Massimo Roscigno. La sua salute è peggiorata, al punto che il giudice si è visto costretto a disporne il ricovero in ospedale. Nel caso specifico, Bosio ha giustamente chiamato l’unità di crisi, che gli ha dato tre numeri. Quello dell’ambasciatore Massimo Roscigno, che squillava a vuoto, quello del suo vice, che era in vacanza, e quello di un terzo funzionario, responsabile del consolato, che aveva cessato le sue funzioni da oltre un anno. Restava il telefonino di sulle pressioni dirette/indirette, minacce e sanzioni non funziona. Guai a spingere contro un angolo nazioni che dopo anni di colonialismo si sono date leggi e procedure formalmente ineccepibili. Né l’India né le Filippine sono paesi barbari e incivili e più che stabilire chi ha torto o ragione sarebbe più utile puntare sul negoziato diretto. Con Paesi come l’India e le Filippine, da sempre innamorati e comunque rispettosi dell’Italia, sarebbe stato tutto più facile. Poveglia, l’isola che non c’è più CARO COLOMBO, abbiamo appena appreso che un’isola veneziana, con i resti di un bel palazzo che potrà diventare un grande albergo, è appena stata venduta nella laguna di Venezia. Ma l’Italia si può vendere? Marcella TUTTO L'EVENTO è strano, dal momento in cui c'è stato l'annuncio che l'isola sarebbe stata venduta all'asta, alla risposta, generosa ma per forza inadeguata, di un gruppo di volontariato che ha tentato di raccogliere fondi per vincere l'asta (e che ha raccolto un po' più di 160 mila euro). Ma strana è anche la vendita affrettata dell'isola, ceduta a un ben intenzionato privato per mezzo milione di euro, ovvero per il costo di un appartamento non lussuoso a Venezia. Come accade nella strana vita delle notizie italiane, non c'è niente prima (nessuno ha saputo in tempo e non c'è stata una discussione politica da parte di nessuno, sindaco di Venezia incluso) e non c'è niente dopo, nel senso che non sappiamo (e a quanto pare nessuno è interessato ad accertare) che cosa succede quando un privato diventa proprietario di un pezzo sia pure piccolo di Paese, ovvero di un frammento della Repubblica. Il territorio è ancora responsabilità e area di competenza del sindaco, del prefetto? Polizia e carabinieri, a parte gli eventua- Pio d’Emilia la vignetta emergenza. Peccato che, per ammissione dello stesso ambasciatore Roscigno, il funzionario di turno lo spegne “ad una certa ora” della sera per non dover poi recuperare le ore notturne. Non è abbastanza per avviare una immediata indagine? Il ministro dovrebbe adoperarsi per risolvere al più presto il problema dell’inadeguatezza delle strutture e delle risorse preposte alla tutela dei cittadini italiani arrestati all’estero. Un problema più volte denunciato sia da Amnesty International che da associazioni nazionali come “Prigionieri del Silenzio”. L’internazionalizzione dei casi – e mi riferisco anche a quello dei marò – puntando Appello ai candidati, ambiente prima di tutto A tutti i candidati che in queste settimane ci hanno chiesto il voto, chiediamo di non rassegnarsi a un ruolo di testimonianza. Per quello è più adatta la società che non i Parlamenti. Da loro sono pretese azioni pragmatiche di cambiamento, per le quali sono autorizzati a fare politica, cioè a praticare anche l’arte del compromesso nei confronti di chi non la pensa esattamente come loro. Purché qualche risultato sia raggiunto. Le affermazioni di principio sono importanti, ma stanno a monte e vanno seguite dalla concretezza di pratiche utili alla riconversione verso nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Sono necessari per l’Europa, per le regioni, per i comuni: ogni livello deve prendersi cura del futuro e di chi verrà dopo di noi. Non si tratta della transizione economica che ha ormai decretato il fallimento dei modelli vigenti; parliamo di quella ecologica, a cominciare dai cambiamenti climatici, primi lievi sintomi di un malessere che ci riserva ben più preoccupanti conseguenze. Non ne abbiamo sentito parlare in campagna elettorale. Ed è un compito che non può essere assolto dalla sparuta e boicottata compagine dei Verdi che in Italia nemmeno ci è dato sapere sia una delle possibili scelte per l’Europa. Solo tor- il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Vicedirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Vicecaporedattore Edoardo Novella Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente:Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile, Peter Gomez, Marco Tarò, Marco Travaglio Il “buffo”, il “buffone” e il vero pericolo li mandati della magistratura, possono andarci e verificare quello che si fa nell'isola che non c'è più? O è “territorio altro”? Non so se si può dire “straniero”, però perché vendi un'isola a un privato se tutto rimane come prima? Per esempio ci dicono che le regole e i vincoli comunali, lagunari e marittimi e le norme sulle costruzioni restano in vigore. Possibile? Non ci vuole un trattato? E quelle sul traffico da e per l'isola? Sono domande allo stesso tempo banali ed essenziali, se è vero che il ministro Padoan (accento sulla prima sillaba) pensa che la cosiddetta cartolarizzazione sia una buona fonte (vendere un parco o una piazza) ogni volta che manca all'ultimo momento la copertura di qualche nuova idea. Il punto è se una volta avvenuta la vendita, lo Stato c'è o non c'è. Se c'è, chi ha venduto che cosa? È come comprare una casa con dentro mobili e abitanti. Certo, si chiama nuda proprietà, e si fa solo in certe circostanze, non, per esempio, con inquilini giovani e numerosi in casa. In ogni caso, la nuda proprietà è una transazione privata, con i suoi diritti e le sue regole. Ma in questo caso? L'isola, come pezzo di territorio italiano, c'è ancora o non c'è più? Berlusconi definisce Grillo “pericoloso” e lo paragona ai peggiori dittatori della storia. Renzi rintuzza: “Non votate per i buffoni”. Questi sono gli argomenti politici delle due anime del partito unico. L’ex Cavaliere ha inventato il porcellum, ha depenalizzato il falso in bilancio e ha dimezzato i tempi di prescrizione dei reati finanziari. Ma chi, allora, è davvero pericoloso? Matteo Renzi confonde una persona buffa con un buffone. Aveva promesso a Letta due anni di legislatura e agli italiani di fare le riforme costituzionali in 60 giorni. Promette tutto a tutti, ma non è buffo. Francesco Degni DIRITTO DI REPLICA Il nostro giornale, come i lettori ricorderanno, con una serie di articoli pubblicati nei mesi scorsi si è occupato di vicende che hanno interessato alcune società controllate dalla S.p.A. Banco di Desio e della Brianza, e loro dipendenti. Ne è insorta una controversia con S.p.A. Banco di Desio e della Brianza, che si è conclusa amichevolmente con il riconoscimento che nella vicenda non si è registrata nessuna responsabilità. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] nando a porre al centro dell’attenzione e del dibattito politico il futuro della Terra sarà possibile evitare un collasso dell’umanità sempre più probabile e vicino. Melquiades Expo, la “cricca” cresce all’ombra dell’impunità L’adeguamento al sistema di una parte delle persone che operavano nella costruzione dell’Expo ha permesso che la Città della salute venga costruita su terreni avvelenati e che il polo ospedaliero nasca sulla ex area della Falk. Maltauro afferma di essere stato costretto a pagare 1,2 milioni per adeguarsi al sistema. Queste cose accadono perché c’è la certezza di diventare ricchi impunemente. La prescrizione, oltre ad essere stata accorciata, continua a operare anche una volta iniziato il processo. La Germania ha 8500 corrotti in carcere, la Francia 6500. L’Italia, la nazione più corrotta (60 miliardi annui) ha però solo undici responsabili di questo reato in galera. Eppure si sente già parlare di provvedimenti che alleggeriranno la presenza nelle carceri, d’altronde è l’Europa a chiedercelo. Bacone sosteneva che “chi non applica nuovi rimedi deve essere pronto a nuovi mali, perché il tempo è il più grande degli innovatori”. Marco Grasso Riguardo all’articolo pubblicato a pagina 13 il 19/05/2014, sulle politiche della Val di Susa e più precisamente sul contesto del comune di Venaus, ribadiamo la nostra contrarietà alla costruzione del Treno ad alta velocità, come descritto nel nostro programma elettorale. Stefano Castaldini Lista civica Venaus Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e Prezzo 290,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e Prezzo 170,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento digitale settimanale Prezzo 4,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale mensile Prezzo 12,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale semestrale Prezzo 70,00 e • Abbonamento digitale annuale Prezzo 130,00 e Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: [email protected] • Servizio clienti [email protected] MODALITÀ DI PAGAMENTO • 7 giorni • 7 giorni * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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