porta in faccia - Caravaggio Editore

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porta in faccia - Caravaggio Editore
Capitolo 1
PORTA IN FACCI A
Era come credere di conoscere se stessi per poi
scoprire che erano gli altri a conoscere te, nonostante
tu – con la tua grande e sbucchinata esperienza –
avessi sempre vissuto, anzi, fossi sopravvissuto, grazie
a quel piccolo dono innato che aveva fatto la tua fortuna. Uscendo da quell’ufficio solo l’intervento di
non so quale forza misteriosa mi impedì di sbattermi
la porta dietro, e lo sguardo di Alan fu per un attimo
sollevato, prima che dalla sua bocca uscissero queste
parole:
– Che cazzo ce ne frega, non abbiamo bisogno di
questa gente, case discografiche come questa ne troviamo a bizzeffe. – e s’interruppe.
Certo, produttori di livello minore non mancava1
no, anche se era già il quarto pseudo scopritore di talenti ed intenditore di musica e del mercato discografico a cui ci rivolgevamo. Io però, non riuscivo a rassegnarmi; il nostro lavoro era buono, veramente buono – era ecceziunale veramente, per dirla come l’avrebbe detta Abbatantuono – e quei grassi e supponenti
parassiti non erano in grado di capire.
Tornando a casa praticamente non aprimmo bocca. Un dono – piccolo forse – innato, ma ben coltivato, era tutto ciò su cui avevo puntato, e non ero disposto a rinunciarvi.
Sin dall’età di tredici anni la mia predisposizione
per la musica era chiara; imparavo velocemente a
suonare gli strumenti più vari, ascoltavo e collezionavo musica come se essa sostituisse il sangue all’interno delle mie vene, ma soprattutto, avevo orecchio –
un orecchio assoluto che mi permetteva di creare.
Quella stessa sera ci trovammo in centro per un
aperitivo con alcuni amici – tra cui Celine e suo fratello Isidoro, appena rientrati da un viaggio di tre
mesi tra Messico, Guatemala e Honduras credo – o
giù di lì. Erano circa le sette e nei locali della zona gli
spritz aperol e i prosecchi avevano iniziato a riscaldare gli animi, quando mi resi conto che né io né Alan
avevamo chiamato gli altri componenti della band
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per raccontar loro l’esito del colloquio avuto con il signor Contin – lo pseudo scopritore di talenti a cui
avevamo sottoposto il nostro cd la mattina stessa; ma
– cosa piuttosto strana – nemmeno uno di loro si era
fatto sentire per sapere com’era andata. Tirai fuori il
cellulare per fare uno squillo a Elio – il nostro percussionista – quando Isidoro mi tirò in causa nel discorso che stava intrattenendo riguardo al recente viaggio, e di cui io non avevo sentito le ultime battute:
– Eh, tu ne sai qualcosa Eddy, o mi sbaglio?
Lo guardai, ma non gli chiesi a cosa si riferisse, e
sinceramente non mi interessava – come non mi interessava lui come persona; non ne avevo mai avuto
stima e di certo non avrei iniziato ora. Lo ignorai
completamente. Nel frattempo il cellulare di Elio
continuava a squillare ma non vi fu risposta. Decisi di
riprovare più tardi. Alan sapeva della mia insofferenza verso Isidoro – o Iso, come a lui piaceva essere
chiamato – e sorrideva pacatamente sopra quel pizzetto da esule cubano in viaggio con il “Gruppo Vacanze Piemonte”, che gli dava quell’aria da nullafacente che ai perbenisti del luogo permetteva di sentirsi in “diritto di”... In realtà Iso faceva parte della
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nostra compagnia in qualità di fratello di Celine –
che era la fidanzata di Alan. Pensate, lei se l’era portato in vacanza per fare un dispetto al suo ragazzo – visto che Alan aveva rinunciato al viaggio per terminare le registrazioni. Che poi... tre mesi in Centro America con mia sorella io non li farei mai, figuriamoci
con quell’individuo! Comunque continuammo a
sparlare più o meno bene dei soliti noti, ridendo e
scherzando tra una tartina ed un bicchiere sino ad
ora di cena – anzi, a dire il vero l’ora di cena era ormai passata da un po’, visto che le lancette dell’orologio ci invitavano ad alzare il sedere da quelle sedie –
quando inaspettatamente dal mio cell (quanto odio
questa stupida abbreviazione!) cominciò a suonare
HOT IN THE CITY di Billy Idol e sul display apparve, come dimenticata da tempo – o almeno da un
paio d’ore – la scritta Elio. Mi affrettai a rispondere
facendo un cenno ad Alan che capì al volo.
– Oh, chi non muore si risente!
– Tas tas Eddy, se tu savesis! – che tradotto dal
friulano significa: “Taci taci Eddy, se tu sapessi!”
Ed iniziò a farneticare su di un incidente che gli
era capitato in barca, mentre era uscito in laguna per
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uno dei soliti giri che si fanno per pescare (forse) o
per fare un bagno (se la temperatura lo permette) o
semplicemente per cazzeggiare in mezzo alla natura
(probabilmente).
Praticamente erano rimasti in secca – cosa che
non dovrebbe accadere – ma accade (sicuramente),
e non riuscendo a liberarsi furono costretti ad aspettare che salisse la marea per poter riprendere a muoversi con la Baraonda – questo era il nome della battella con cui miravano ad offuscare le gesta dei più famosi e temuti filibustieri e bucanieri d’altri tempi.
Una volta riusciti a ripartire e a tornare all’ormeggio,
saliti in auto, avevano trovato le mie chiamate ed ora,
eccoci qua, ad ascoltare un’altra storia da marinai –
per intenderci – di quelle in cui si uccidono i mostri
marini o in cui si ha consumato un amplesso con una
sirena imprigionata nelle torbide acque del lago. Certo, quando si è fuori in barca i telefonini spesso non
hanno campo, ma quando ero io a chiamare, il cellulare squillava normalmente, senza che nessuna signorina del servizio clienti mi ricordasse che la persona
chiamata era irraggiungibile, quindi avevo pensato
che l’apparecchio fosse rimasto in auto. Rivolsi a Elio
una semplice ma inaspettatamente cruciale domanda:
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