Leggi tutto - Circolo Giorgio La Pira

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ANTOLOGIA
GIORGIO LA PIRA
Le gioie e le pene dell’uomo sono pene e gioie di Cristo
I
La ricerca
«Vivissimi ricordi mi turbinano, mi opprimono, mi fanno estasiare; ma poi, dopo la vita, mi sento un
vuoto spaventoso!… Fortunatamente faccio i bagni e la spiaggia è di una immensità molto severa: se tu
mi vedessi assorto, la sera, vicino al mare, specie quando, come ora, c’è la luna… Dio mio! La vita come
è strana. Ho studiato il problema della fede per quel che può essermi stato possibile: ora soltanto mi
accorgo che fede, amore, odio, ecc. sono la medesima cosa… Anche l’odio. Certamente il più fervido
religioso non sentirebbe come sento io in questo momento. Ora solamente capisco che ciò che altri
chiama Dio è ciò che io chiamo spirito, e più precisamente Amore, e che gli stessi dogmi della fede, anzi
che i dogmi più terribili, costituiscono l’essenza di quest’Amore!…. Eppure, caro Totò, è così bello
accettare questi dogmi, rendersi ciechi, uccidere la ragione (la maledetta ragione), per dar posto
all’assurdo che subentra rumorosamente: lo spirito. Una volta scrivevo che esso è anarchia e violenza;
oggi vi aggiungo che è anarchico e violento solamente per difendere i dogmi dell’amore. Non avevo mai
voluto accettare il priori, ma vedo che a priori bisogna credere, prima di Amare. […] Io almeno sento in
me uno stato di cose così nuovo e così curioso che tu non puoi credere».
Tratto da: G. LA PIRA, «Lettera a Salvatore Pugliatti», 1920, in Lettere a Salvatore Pugliatti, 56-57.
«Ho attraversato varie volte con vario affanno i sotterranei del pensiero: ho bussato a molte porte, come
un povero mendicante, per avere pane di sapere, ho rifatto mille strade, mille mondi, ho amato mille cose:
sono stato troppo vagabondo in questo errare senza posa alla ricerca di un po’ di pace per l’anima mia: io
ho sempre avuto in me sete di ascesi, sete di profondo annullamento nel mio essere primiero che si
ricollega a Dio».
Tratto da: G. LA PIRA, «Lettera a Salvatore Quasimodo» 4.10.1922, in Carteggio, 58-59.
II
L’incontro
«Con la mente più chiara e l’anima più aperta in attesa di un venire cui la speranza non ha mai cessato di
tendere e la Fede mai cessato di sollevare. E sempre con umiltà. A 20 anni — epoca di luce e inizio di unione
con il Maestro — 1a S. Pasqua».
G. LA PIRA, «Appunto sul Digesto», 1924, in La Badia 9(1986), 8-9.
«Quale ineffabile dolcezza, credilo per le anime che con fede e desiderio si accostano alla S. Comunione: è
un’alba nuova per la vita. Io non dimenticherò mai quella Pasqua 1924 in cui ricevei Gesù Eucaristico:
risentii nelle vene circolare una innocenza così piena, da non potere trattenere il canto e la felicità
smisurata».
1
Tratto da: G. LA PIRA, «Lettera a Salvatore Pugliatti» Settembre 1933, in Lettere a Salvatore Pugliatti,
138.
«Seigneur à qui tout appartient dans le ciel et sur la terre. Je veux donner à vous, par une oblatione
volontaire: je veux être à vous toujours».
«Signore a cui tutto appartiene nel cielo e sulla terra voglio anche donarmi a voi con una oblazione
volontaria: io voglio essere vostro per sempre»
[Traduzione nostra]. Il biglietto, non pubblicato, è reperibile presso la «Fondazione Giorgio La Pira» non
ancora catalogato.
«Questo è stato sempre e solo lo scopo della nostra azione: rivelare i misteri del cristianesimo ed operare,
perciò per l’edificazione del Corpo di Cristo. Perché questa è la volontà di Dio e l’esigenza stessa
dell’uomo, della società e della civiltà umana: edificare il Corpo di Cristo e su questa roccia ― e sul
modello di essa ― edificare la città dell’uomo».
Tratto da: G. LA PIRA, I colloqui della Badia, 176.
III
Il «fatto» della risurrezione
«Cristo è il “centro attrattivo” di tutti i secoli, di tutti i popoli, di tutti gli esseri e gli eventi del cosmo e
della storia! Il centro di gravità dell’universo dei popoli, è Lui. “Ed io quando sarò elevato attirerò tutti a
me” (Gv 12,32). Egli è perciò il centro di tutta la storia, sia di quella che lo precede sia di quella che lo
segue. Egli è perciò l’asse del mondo, attorno a cui ruotano la terra, il cosmo e la storia (Gv 12,7; 3,14) e
l’universo celeste ( Ap 1,12ss; 4,4-9; 6,1ss; 14) e l’universo terrestre (Gv 12,7). Egli è l’Alfabeto e la
missione del mondo «io sono l’alfa e l’omega, il principio e la fine, il primo e l’ultimo» (Ap 22,13). […].
Egli è il “dissigillatore” del libro dei 7 sigilli ove sono contenuti i progetti divini, misteri della storia della
Chiesa e del mondo (Ap 5,1ss). Egli è la chiave che apre le porte del regno dei cieli in terra e in cielo: “e
quando apre nessuno mai chiuderà e quando chiude nessuno aprirà” (Ap 3,7). Egli è il vincitore della
morte, che con la sua divina forza risurrettiva (1Cor 15,14) introduce l’intiera creazione cosmica e storica
nella terra nuova e nei cieli nuovi della risurrezione finale (della città dei risorti) (Ap 20,11ss). Egli è la
fonte dell’acqua viva – della grazia! – che zampilla sino alla vita eterna (Gv 4,14; 7,37). Egli è il «pozzo
di Giacobbe» da cui questa acqua scaturisce; e dalla cui pienezza tutti abbiamo ricevuto (Gv 1,16): Egli è
l’atteso e la luce delle nazioni (Is 49,6; lc 2,32) la luce del mondo (Gv 8,12; 1,6). Egli è il fondatore della
Chiesa, strutturata a Cesarea, coronata al Cenacolo (con la Eucaristia e l’Ordine), “pagata” sul Calvario, e
“lanciata” dallo Spirito di Lui, a Pentecoste, verso Roma ed in tutte le direzioni della terra! Egli è la pietra
d’angolo sulla quale si edifica, si unifica, si disarma e si pacifica, nel corso dei secoli e specificatamente
proprio nel nostro tempo atomico e spaziale, non solo la chiesa (centrata a Roma) ma altresì l’intiera
famiglia dei popoli, delle città e delle civiltà e delle nazioni (Gv 17,21). Egli perciò, è il punto omega, la
stella di Giacobbe, che come quella di Betlemme – nonostante i zig zag causati dalla libertà degli uomini
– orienta la navigazione storica dei popoli verso quel “porto di Isaia”, verso quella “terra messianica” che
è destinata a vedere costituita in grazia, libertà giustizia, fraternità unità e pace l’intiera famiglia di
Abramo e dei popoli di tutta la terra (Is 2,1ss). “La storia si arrenderà” (Paolo VI)».
Tratto da: G. LA PIRA, «Verso una società», 1972, in Il fondamento e il progetto di ogni speranza,
238-239.
«La Pasqua è un fatto che pur trascendendo il tempo e lo spazio, il cosmo e l’uomo e la storia umana, è
tuttavia come radicato nel tempo, nello spazio, nel cosmo e nella storia dell’uomo; trascende la realtà fisica,
trascende la realtà umana e storica e tuttavia esso è inserito come lievito fecondatore, restauratore,
orientatore di questa realtà cosmica, umana e storica».
Tratto da: G. LA PIRA, «Fede, Speranza e Carità», 1950, in Le città sono vive, 164.
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«Cristo è anche uomo? Ma allora […] le cose dell’uomo sono cose di Cristo: i valori dell’uomo sono
valori di Cristo: le pene e le gioie dell’uomo sono pene e gioie di Cristo».
Tratto da: G. LA PIRA, «Anche Cristo è un uomo», 1954, in Coscienza, 8.
[Se Cristo è risorto — come è risorto — allora ogni uomo, per l’offerta della grazia che scaturisce dal
mistero pasquale, è già unito nel presente all’eschaton: il paradiso è realtà già presente sulla terra e dà finalità
e senso alla vita temporale].
«Il paradiso è la realtà viva dell’anima cristiana già in questo mondo, che la vita della grazia in un’anima
è già un reale anticipo della gloria futura, e che proprio in questo divino tesoro di amore consiste l’elemento
specifico della vita cristiana. Non consiste in un fatto puramente negativo di astenersi dal peccato, ma nella
positiva affermazione di un amore sovrannaturale (la Carità) che unisce contemporaneamente l’anima a Dio
suo Signore, e, in Dio, ai fratelli […]. La vita cristiana non ha altro scopo che quello di realizzare una piena
teocentricità dell’uomo. […] Il cristiano è, appunto perché tale, un esploratore del paradiso».
Tratto da: G. LA PIRA , «Esploratori del paradiso», 1931, in Il carroccio 10(1931), 65-67.
«Il cristianesimo è tutto nell’Eucaristia […] e l’apostolato è «convergenza» verso l’Eucaristia. Così si edifica
il Corpo di Cristo, il popolo cristiano, la città di Dio e, sul suo modello, la città umana. L’apostolato ha per
fine l’edificazione del Corpo di Cristo: l’Eucaristia organizza il popolo del Signore, edifica le città, i popoli,
le nazioni e le civiltà. Cos’è un popolo cristiano? Una moltitudine unita nel comune sacrificio eucaristico.
Cristo unisce, edifica. E questo popolo diventa poi una città, nazione e fiorisce nella civiltà».
Tratto da: G. LA PIRA, I colloqui della Badia, 177-178.
IV
Che cosa ho imparato da Cristo
«Che cosa ho imparato da Cristo? Due cose, essenzialmente legate fra di loro: l’una complementare
all’altra. E la prima è questa: ― che la nostra anima non ha pace, non ha fecondità vera, non ha vero riposo,
senza la Parola dolce e santificante di Dio che la impreziosisce, la riposa, la pacifica, la consola! […] La
seconda cosa che Cristo mi ha insegnato è la seguente: — che tutte le cose create hanno valore in Lui,
assumono validità in Lui: gli altri uomini, miei fratelli destinati con me alla vita eterna, alla resurrezione
futura; le città; le civiltà; il tempo; lo spazio: insomma la terra con tutte le sue dimensioni ed i suoi valori.
Cristo consacra tutto, fa tutto “nuovo”: la grazia di Lui tutto santifica, sana, eleva: fa del mondo terreno un
cantiere effettivo, edificatore, del mondo celeste, fa della terra una reale preparazione del cielo; della città
presente un abbozzo ed una prefigurazione della città futura. Vale tutto se in Cristo inquadrato […]. Se tutto
è ordinato all’unico fine: edificare sulla terra la città del Signore […]. Ecco il mistero efficace
dell’Incarnazione: poiché Cristo è vero uomo, tutto il contesto della vita umana — cosmico — storico è
valido: è un contesto che in Cristo riceve saldezza e validità eterna. Ecco allora il valore dell’azione umana:
procede dall’interiore radicamento in Dio: si espande fuori come acqua fecondatrice; come luce che illumina
e che riscalda! Quindi valore della storia e responsabilità dell’uomo chiamato, in Cristo, ad edificarlo. Queste
le due cose che Cristo mi ha insegnato: la grazia nell’anima — lievito divino nella persona; l’azione
edificatrice che incide sugli altri, edifica il Corpo di Cristo nella storia, edifica la città, le civiltà, le nazioni,
la cultura ed ogni valore: e dà al tempo la validità che a lui deriva dall’essere anticipazione e prefigurazione
della vita eterna».
Tratto da: G. LA PIRA, «Cosa Cristo mi ha insegnato», 1977, in Prospettive 8(1977), 1-4.
V
La passione per l’uomo
«Cristo è anche uomo? Ma allora […] le cose dell’uomo sono cose di Cristo: i valori dell’uomo sono
valori di Cristo: le pene e le gioie dell’uomo sono pene e gioie di Cristo».
Tratto da: G. LA PIRA, «Anche Cristo è un uomo», 1954, in Coscienza, 8.
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«Io sono veramente stanco: fisicamente stanco. Non ho più la forza di sopportare tanti «contrasti» che
toccano la vita della città […]. Così non si va avanti: le forze di resistenza hanno un limite: perché altrimenti
io che cosa devo fare? Come posso sopportare il peso di una passione che si fa ogni giorno più acuta?».
Tratto da: G. LA PIRA, «Lettera ad Amintore Fanfani» 19.1.1955, in Giorgio La Pira Sindaco, II, 17-18.
«Io non ho mai voluto essere Sindaco: né prima, deputato o ministro! Non ho mire politiche di nessun tipo:
non sono iscritto a nessun partito. Quando vollero che fossi sindaco io dissi chiaramente a tutti: ricordatevi
che non posso vedere senza interventi decisivi, né gente senza lavoro, né gente senza casa: lo dissi subito: mi
promisero mari e monti, poi mi hanno abbandonato e hanno cominciato serenamente la triste politica dei
licenziamenti. Io non posso avvallare mai, l’iniquità: non conosco la tecnica del “compromesso” politico o
diplomatico. Ho parlato chiaro ai fascisti; ho parlato chiaro, anzi più chiaro ancora, ai comunisti; parlo chiaro
anche ai proprietari che non sono consapevoli delle gravi responsabilità connesse coi talenti che Dio loro
affida. Un uomo fatto così, Beatissimo Padre, non può stare nel sistema politico attuale; è bene che ne esca.
[…]. Non posso assistere impotente alle ingiustizie che si commettono sotto l’apparenza della legge […].
Sofferenze, e acute, non sono mancate ».
Tratto da: G. LA PIRA, «Lettera al papa» Natale 1953, in Giorgio La Pira sindaco, I, 263.
«Il documento inequivocabile della presenza di Cristo in un’anima […] è costituito dalla intima ed efficace
«propensione» di quell’anima […] verso le creature bisognose. […] Vi sono creature bisognose? Affamati?
Assetati? Senza tetto? Ignudi? Ammalati? Carcerati? Bisogna tendere ad essi efficacemente il cuore e la
mano (Matteo, 25,31-46): esempio di questa «propensione» all’intervento è fornito dal Samaritano: scese da
cavallo e prese minutamente cura del ferito. E si badi: non si tratta soltanto (come spesso si crede) di atti di
carità confinati nell’orbita dell’azione dei singoli: impegno di amore, cioè, che investe soltanto le singole
persone: no, si tratta di un impegno che parte dai singoli e che investe l’intiera struttura e l’essenziale
finalità del corpo sociale».
Tratto da: G. LA PIRA, «Una società cristiana permette», 1953, in Giorgio La Pira sindaco, I, 297.
«Tante altre famiglie […] venivano a Palazzo Vecchio per esporre la drammaticità della loro situazione:
povera gente sfrattata che cercava un tetto e un riparo. […] Cosa dovevo fare? Potrei uscirmene dicendo agli
sfrattati: Mi dispiace ma io non posso farvi nulla […] Il mio ragionamento — se devo prendere sul serio i
miei doveri sostanziali di sindaco […] — non può essere che un altro: non può essere che un
«ragionamento» samaritano, di intervento: devo cioè cercare tutti i mezzi atti a sanare una situazione di pena
che non comporta ritardo alcuno!»
Tratto da: G. LA PIRA, «Mi denunzieranno per gli sfrattati?», 1995, in Giorgio La Pira sindaco, II, 23-24.
«Cosa deve fare il sindaco, cioè il capo e in un certo modo il padre ed il responsabile della comune famiglia
cittadina? Può lavarsi le mani dicendo a tutti: ― scusate, non posso interessarmi di voi perché non sono
statalista ma un interclassista? Con la scusa che non essendo statalista ed essendo interclassista ed
anticomunista egli non ha il «dovere» di fermarsi e provvedere? Che cosa deve rispondere il Sindaco di una
città agli sfrattati, ai licenziati, ai disoccupati, ai miseri che si presentano — e giustamente — da lui per
chiedere casa, lavoro, assistenza? Devo forse dire “Sa, non sono statalista, mi dispiace: ho poco da fare. Sa,
non sono classista, mi dispiace,: ho poco da fare. Sa, non posso violare le ‘divine’ leggi della iniziativa
privata: si arrangi, vada in pace […]”. Cosa risponderà quel poveretto? Questo è un cristiano? Un sindaco?
Questo è un mascalzone, un fariseo! Non ci sono case? Con tanti quartieri di ‘riguardo’ vuoti! Non c’è
lavoro? Con tanti lavori che potrebbero essere fatti; con tante iniziative che potrebbero essere prese; con
tante risorse produttive che potrebbero essere impiegate! Non c’è danaro? Con tanti risparmi — e di quali
impressionanti dimensioni — che stagnano inoperosi!»
Tratto: G. LA PIRA, «Lettera a Don Luigi Sturzo» 22.5.1954, in Giorgio La Pira sindaco, I, 370.376.
«Sono comunista perché difendo i deboli: me lo dissero anche i fascisti quando, a visiera aperta, difesi gli
ebrei: “viola la legge, viola l’ordine costituito; è contro Cesare; è reo!” […] Lei forse non sa che io non
volevo, per nessuna ragione, essere Sindaco di Firenze: feci presente a tutti che da sindaco io, non avrei in
ogni caso, potuto assistere, senza energici interventi, alla fame, alla disoccupazione, alla privazione di casa
ecc. dei miei amministrati: perché in ogni situazione ed in tutti i tempi e luoghi la sola norma valida ― per
me e per tutti i cristiani ― è quella contenuta in San Matteo XXV,31 segg., altra norma non c’è. Se c’è
contraddizione tra me e la giustizia, allora mi mandino via: è quello che cerco: perché Lei lo sa: quando sono
impegnato per gli altri cerco la giustizia: quanto a me stesso, io amo il silenzio, la poesia, la preghiera e la
pace»
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Tratto da: G. LA PIRA, «Lettera di risposta Giovanni Guareschi» 20.12.1953, in Giorgio La Pira sindaco,
I, 254.
«La legge è fatta per gli uomini ― come dice il Vangelo ed anche il diritto romano ― e non viceversa: come
fa un disgraziato sfrattato a vivere in mezzo alla strada? Prima bisogna procurargli una casa e poi dargli lo
sfratto! Insomma io sono proprio preoccupato per questo quotidiano crescendo di sfratti e per questa grave
inquietudine ― legittima! ― che va creandosi nella popolazione più povera: la quale ha il diritto di levare
una forte protesta contro una società senza cuore e senza giustizia che li condanna a vivere come cani! […]
La prego con tutta l’anima di aiutarmi; cioè a dare tutte le proroghe necessarie affinché ci si dia il tempo di
provvedere a quella costruzione di case minime per le quali siamo impegnati un po’ tutti. Sig. Pretore, sono
certo della sua equità: summum ius summa iniustitia. Ella ci darà una mano per l’edificazione di una città più
equa, più giusta, più cristiana: nella quale, cioè, siano rispettati i diritti fondamentali delle creature che sono:
1) diritto al lavoro, 2) diritto alla casa, 3) diritto all’assistenza: sopra di queste si radica quella libertà che è
― rispettati tali diritti ― il respiro essenziale dell’uomo».
Tratto da: G. LA PIRA, «Lettera al Signor Pretore» 30.5.1952, in Giorgio La Pira sindaco, I, 159-160.
«Io mi metterò da un punto di vista assolutamente pratico, voglio prescindere da tutte le posizioni teoriche e
[…] mentre parlavano Dossetti e gli altri amici che mi hanno preceduto non potevo fare a meno — porto con
me certi pensieri — di aver davanti a me il seguente panorama […]. A Firenze, il pretore Bernardini mi
scrive lettere dalla mattina alla sera; ci sono cinquecento sfratti, cioè gente che ormai deve andar via e non
c’è a Firenze una stanza disponibile, almeno per ora. Stiamo tentando di costruire tremila appartamenti, ma
ci vuole tempo, e... ci vogliono i denari. Tremila appartamenti sono quattro miliardi, per i quali tenterò
l’assalto a qualche cassa. L’ufficio di collocamento segna novemila disoccupati a Firenze […]. Questa gente
viene da me. Io ho dovuto far mettere un sigillo alla mia porta, per non far entrare nessuno: altrimenti non si
lavora. […] Vi è poi l’assistenza, che è anche un dramma. Firenze presenta, fatti i calcoli, almeno l’otto per
cento di gente che ha il libretto di miserabilità. Poi vi è il problema delle scuole». G. LA PIRA, «Le nostre
responsabilità», 1951, 81-82.
Una volta quando ero più giovane e non avevo questi contatti, magari facevo delle preghiere più lunghe e
più belle, più affettuose al Signore; e anche un esame di coscienza più approfondito e più acuto, ma sempre
su cose che riguardavano me, in certo modo: se avevo pregato Dio, se avevo detto qualche parola poco
delicata nei confronti di un mio amico. Adesso sono diventato di una coscienza dura, perché ormai mi
stizzisco dalla mattina alla sera, ed anche mi arrabbio. E la sera affiora nel mio esame di coscienza questa
popolazione che aspetta di avere la casa, di avere il lavoro dal quale dipende la sua vita fisica e spirituale, o
di avere la streptomicina. Dico: «Signore, perdonatemi se m’arrabbio», tuttavia resta viva quell’altra cosa
nella mia coscienza. E capisco che, effettivamente, se avessi esercitato più amore e più intelletto nel ricercare
gli strumenti, forse avrei dovuto avere qualche occupato di più, qualche casa di più e qualche medicina di più
e qualche consolazione di più. […] E non solo. Feci anche una certa esperienza al Ministero del Lavoro e a
un certo punto mi si aprì uno spettacolo che prima non conoscevo. […] Fui improvvisamente messo a
confronto con le correnti dei lavoratori, occupati e disoccupati. E poi il problema si è allargato. Dovetti
studiare i problemi a dimensione mondiale, per rendermi conto di quel che la disoccupazione fosse. Prima
credevo si trattasse di uno che è disoccupato. […] Ad un certo punto mi accorsi […] che si trattava di una
patologia del sistema nazionale ed internazionale, un grande fatto che ha una sua logica, una sua struttura,
una sua terapia. E quindi — tornando al mio esame di coscienza — la sera non posso fare a meno di certe
riflessioni. Cerco di dire: “ma va, il mondo si aggiusta da sé”, però, effettivamente torno a guardare lo
spettacolo che ho visto durante il giorno e poi penso al giudizio finale. Che cosa ci posso fare? […] Lei,
signor La Pira, che cosa ha fatto? […] Evidentemente se ho dato qualche lira ad un mio fratello, rispondo di
quella lira, ma grado a grado che sale la funzione, sale la responsabilità. Quindi: che cosa hai fatto in quanto
membro […] del Governo…o sottogoverno? […] Che cosa hai fatto come Sindaco di Firenze? E quindi
questo esame di coscienza reale, che io devo fare la sera, e quindi questo ingrezzirsi della vita interiore, per
dire così»
Tratto da: G. LA PIRA, «Le nostre responsabilità», 1951, Giorgio La Pira sindaco, I, 82-83.
«Beatissimo Padre, Le scrivo all’estremo di forze in cui mi trovo. Raccontarle tutto è inutile. Resta il fatto
che la vita che conduco da qualche mese è dura. Resta il fatto di una vita votata agli ideali che ogni giorno mi
avevano guidato in questa situazione. Ora siamo a fine agosto e non ci resta che riflettere sul «nostro fatto» e
sul desiderio di andare incontro fino in fondo alla volontà del Signore»
Tratto da: G. LA PIRA, «L’ultima lettera», 1977, in Testimoni nel mondo 21(1978), 19.
5
VI
Spes contra spem
«Ho l’impressione che l’operazione fiorentina ― radicata nella sofferenza e nella fatica ― abbia un
significato particolare nella “dialettica storica” (come si dice) nazionale e non solo razionale […]. Lo so: la
sofferenza più acuta è alla base di queste immense responsabilità collettive che tendono ad una sola cosa: far
fiorire nel mondo delle nazioni la volontà creatrice del Signore […]. [Rivolto a Fanfani:] Sono certo che non
mi abbandonerai: gli altri si sono staccati […]: pazienza! Ma la ragione del nostro rapporto non è una
semplice amicizia umana e politica: è il mistero stesso, edificatore, della grazia di Cristo nel corpo dei popoli
e delle nazioni: ha base nella volontà del Signore che ci ha destinati, uniti, a lavorare nella sua vigna»
Tratto da: G. LA PIRA, «Lettera ad Amintore Fanfani» 3.3.1961, in Giorgio La Pira. Un profilo e 24
lettere, 127.
«I tristi avvenimenti che, in troppi paesi, agitano gli uomini, anziché generare in noi fermenti di scetticismo e
scoraggiarci, accrescono nel nostro animo l’urgenza della grazia e della carità, e ci inducono a rialzare il
vessillo della nostra speranza. Da una parte infatti, la nostra stessa fede cristiana ci impone di sperare anche
quando le speranze sembrano spente […]. E d’altra parte la stessa speranza ci invita a vedere la dinamica
della storia presente, nonostante le tremende fratture che internamente la dissociano, come animata da una
finalità fondamentale: quella di promuovere ed elevare verso i più alti livelli di civiltà e della dignità umana
popoli e nazioni di intieri continenti e di costruire, così, una nuova più vasta – perché totale – unità organica
fra tutti i popoli e le nazioni della terra»
Tratto da: G. LA PIRA, «Fino all’estremo della terra», 1957, in Il fondamento e il progetto di ogni
speranza, 58.
«Comprendemmo che tutta questa azione di ampio raggio aveva bisogno di un centro: in aedificationem
corporis Christi. Edificare sulla roccia dell’Eucaristia che è Cristo stesso, costituisce un “popolo”, una
comunità avente come centro Cristo medesimo, cioè l’Eucaristia. […] Come concretamente fare il
collegamento organico fra Cristo e la città e tutti gli ordini e gli elementi di cui la città consta (e le nazioni,
gli Stati, le civiltà)? La “scoperta” dell’Eucaristia proprio come la pietra d’angolo su cui si edifica la città,
come la roccia su cui si edifica la città, come la luce di cui la città si illumina in tutti i suoi ordini ed
elementi, come la causa esemplare da cui trae unità, bellezza, amore e pace la città umana»
Tratto da: G. LA PIRA, I colloqui della Badia, 179.
[Nel 1954 in occasione del Congresso Nazionale della Democrazia Cristiana esorta i colleghi ad uscire dal
piccolo cabotaggio partitico e a capire come la finalità del congresso possa essere in realtà una sola, e cioè]:
«rendere chiari i rapporti essenziali che intercedono fra la D.C., in quanto partito politico dirigente, e certe
grandi speranze storiche che la Provvidenza ha suscitato nel nostro tempo […]. Quali speranze? […]
Speranze di promozione storica»
Tratto da: G. LA PIRA, «Discorso al congresso nazionale della Democrazia», 1954, Giorgio La Pira
sindaco, I, 419.
«La società, è costituita da una trama di relazioni che si svolgono nel tempo, in mezzo a contrasti, a
deficienze, a fatiche. La storia è questa totalità di contrasti, di bene, di male, di urti, di paci, di guerre che
costituiscono il tessuto della vita sociale dell’uomo. Si domanda: questa immensa trama di fatti buoni e
cattivi nei quali è asserragliata la vita umana, ha una sua logica ed un suo piano? C’è un punto di referenza
che tutti questi fatti misteriosamente condiziona? C’è una Provvidenza storica? […] Questo punto di
“risucchio” dell’oceano storico c’è: è Cristo. […] Tra giganteschi contrasti, in mezzo a regressi che appaiono
paurosi, c’è un disegno di salvezza e di crescita che si attua nel mondo. La storia è, sotto questo aspetto,
storia sacra: cioè gigantesca crescita di bene nonostante le ciclopiche opposizioni del male. La storia è in
crescita […]. La ricapitolazione della storia in Cristo […] costituisce la logica della storia»
Tratto da: G. LA PIRA, «Cristo Re universale», 1942, in Vita cristiana 5-6(1942), 378.
«La mia «ipotesi di lavoro voi la conoscete: la storia del mondo, della chiesa e dei popoli è tutta orientata e
mossa verso i tre porti (un porto unico in realtà) della 1) regalità di Cristo e di Maria su tutti i popoli della
terra: 2) della conversione della Russia (e, cioè di tutto lo “spazio comunista” […]); 3) della pace del mondo
(e, quindi, l’unità di tutti i popoli e la loro promozione civile). Questa la “teologia della storia, la teleologia
della storia” che il 13 luglio 1917 (nel giorno stesso in cui ebbe inizio la rivoluzione bolscevica in Russia) la
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Madonna rivelò ai fanciulli di Fatima. Naturalmente le “persone perbene”, i “sapienti” i “laici” i “professori”
non credono a queste cose, si mettono a ridere quando si parla di queste “rivelazioni mariane” e della
Rivelazione (biblica e cristiana) in genere: per essi non ha senso parlare dell’intervento di Dio nella storia di
Israele e di tutti i popoli […]: “affare privato” dicono al massimo i “laici” credenti. “Affare privato”? Ma
come, se esso struttura, finalizzandola in modo irresistibile, la storia della Chiesa e del mondo?».
Tratto da: G. LA PIRA, «Una teologia della storia», 1966, in Vita e Pensiero 6(1979), 10.
«La storia umana è come una terra seminata; come una massa in fermento; opera in essa il seme misterioso
ed il lievito misterioso ma efficace di una promessa divina: saranno in te benedette tutte le nazioni; — sarò
con voi ogni giorno fino alla consumazione dei secoli! Se vediamo il nostro tempo in questa luce, due cose,
mi pare, vengono in risalto: la prima concernente lo spazio cristiano; l’altra concernente lo spazio che ancora
cristiano — almeno visibilmente – non è. Orbene, a me sembra che l’intelligenza teologica ― soprannaturale
— dello spazio cristiano richieda oggi lo sguardo di speranza dei profeti dell’esilio: — del secondo e terzo
Isaia, di Ezechiele ed anche di Aggeo e Zaccaria. Oggi, infatti — dopo la schiavitù e l’esilio di un
razionalismo e di un umanesimo senza riserve — una rifioritura di Dio è ovunque».
Tratto da: G. LA PIRA, «Speranze umane», 1955, in Le città sono vive, 130.
«Quanto al tempo presente (a questa età cosmica) è certo che l’unità del mondo — a tutti i livelli — è
inevitabile […] e che, perciò, è in certo senso “inevitabile” la fioritura di una “stagione di primavera” (è
l’intuizione profetica di Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI) nella storia di Israele, della famiglia di Abramo
e dei popoli di tutto il pianeta. Sogno? No, direzione irreversibile, nonostante le possibili “anse” del fiume
storico che il risorto progetta e guida nel tempo per avviarlo irreversibilmente verso le sponde eterne della
Resurrezione finale!»
Tratto da: G. LA PIRA, «Il significato “profetico” dell’Anno Santo», in Il sogno profetico del Giubileo,
134.
« “L’Eucaristia struttura i popoli”. L’universalità dei popoli intorno al Sacramento pensato da Gesù come
sacramento di unità universale. Una sola famiglia: ut unum sint. Una famiglia a cominciare dagli zoppi, i
ciechi, i poveri i poveri del mondo […]. Per capire La Pira, anche a scala mondiale, bisogna riflettere su
queste cose. I popoli poveri, i paesi del terzo mondo in quegli anni, i popoli in emergenza, i non allineati da
Bandung1 in avanti, i paesi della fame, i popoli negri, Harlem alla conquista dei suoi diritti civili (alla morte
del Professore avrà un suo rappresentante a ringraziarlo), tutti questi erano, da fratelli come loro,
idealmente rappresentati a San Proclo; da anni avevano raggiunto lì, intorno a quell’altare, piena dignità
umana, da anni con il loro sindaco reggevano la città ed erano i primi depositari dei suoi disegni politici»
Tratto da: Fioretta Mazzei: La Pira, cose viste e ascoltate, 86-87.
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La Mazzei si riferisce alla conferenza di Bandung del 1955 in Indonesia, nella quale furono
riuniti i rappresentanti di 29 Paesi del Terzo Mondo per cercare una politica comune che fosse di
cooperazione economica, culturale, sociale e definire insieme una strategia anticolonialista.
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