east43_A_Est_Shenzhen,_a_Ovest_Kashgar

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CINA . 2
A Est Shenzhen,
a Ovest Kashgar
Massicci piani di investimento governativi nei prossimi anni trasformeranno questa città in una zona economicamente assai rilevante. Ma Pechino deve fare i conti con la strenua resistenza degli uiguri, etnia musulmana da secoli radicata in questa regione occidentale cinese. I contadini, che non possono dimostrare di possedere la terra che coltivano, se la vedono
portare via dagli avidi costruttori han, in cambio di
pochi miserabili spiccioli.
testo di Alessandra Cappelletti foto di Michelangelo Cocco
Est c’è Shenzhen, a Ovest Kashgar: non è uno slogan
del Partito, neanche una voce di un atlante geografico, ma la sintesi di un piano programmatico diventato
operativo, un’allusione esplicita che ricorre nei principali media cinesi della regione dello Xinjiang e, per chi è
stato a Kashgar negli ultimi tempi, non suona per niente
enigmatica.
La “perla di cultura e storia” che giaceva come una bella addormentata all’estremità occidentale del Paese, tutta artigianato e Islam, è interessata da uno dei piani di investimento più massicci nella storia dell’Ovest della Cina. La prossimità di inaccessibili catene montuose che la
proteggono a Ovest e a Sud – il Tian shan e il Kunlun shan
– non ha scoraggiato Pechino, che intravede in quei passi montani dalle nevi perenni dei preziosissimi varchi
verso i mercati e le risorse dell’Asia centrale.
S
A
Nel maggio 2010 il Tavolo di lavoro sullo Xinjiang, promosso dal governo centrale e riunitosi a Pechino, ha annunciato che Kashgar, che si trova a circa 8mila km di distanza dal luogo di quell’assemblea, diventava ufficialmente Zona economica speciale (Zes), come avvenuto
per Shenzhen nel 1979, Xiamen nel 1980, Shantou nel
1993 e Zhuhai nel 1980, solo per citare alcune tra le mag-
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giori. La decisione è arrivata a un anno dagli eventi che
dal luglio al settembre del 2009 hanno sconvolto Urumqi, dove gli scontri tra dimostranti uiguri e forze dell’ordine e quelli tra uiguri e han hanno causato almeno 200
morti, stando ai dati diffusi dai media ufficiali, principalmente han.
Il governo è sempre stato particolarmente sensibile rispetto a quanto accade presso i suoi confini occidentali e,
dunque, non ha sottovalutato quel che è successo. La preoccupazione è aumentata allorché le aggressioni di uiguri armati di coltello verso concittadini han, un tempo sporadici, sono diventati ben più frequenti nel Sud della regione. In particolare le aree di Kashgar e Khotan sono state teatro di accoltellamenti, nonché di veri e propri sgozzamenti ai danni di uomini e donne han, specialmente
migranti. Secondo fonti locali questi omicidi sono ormai
all’ordine del giorno, ma non sempre vengono riportati
dai media. I mezzi di informazione hanno piuttosto testimoniato, negli ultimi mesi, di raid e attentati che è impossibile trascurare: 20 i morti a fine febbraio in un raid a Karghalik, 4 freddati dalla polizia a marzo. Le fonti ufficiali
parlano di potenziali attentatori colti sul fatto.
Lo Xinjiang è ormai una pentola a pressione pronta a
esplodere e per Pechino troppa pubblicità a questi eventi drammatici non sarebbe in linea con ciò che il governo
ha in mente per l’area. Si rischia di spaventare quegli investitori e quei migranti che, dalle altre regioni del Paese, potrebbero non rispondere positivamente a quelle politiche che, invece, vorrebbero incoraggiarli a guardare
verso Ovest.
La nuova piazza
davanti alla moschea Id Gah a Kashgar.
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er rendersi conto delle proporzioni del cambiamento che sta interessando le oasi intorno al deserto del
Taklamakan è necessario menzionare alcune cifre: sono
31 le società statali (Soes, State Owned Enterprises) che,
sotto l’ombrello della State-owned Assets Supervision
and Administration Commission (Sasac), investiranno
nello Xinjiang 991,6 miliardi di yuan, come già previsto
nel 12° Piano quinquennale 2011-2015, un progetto che
porterà il doppio del capitale investito durante il precedente piano. Il 20 agosto scorso, subito dopo gli eventi di
Kashgar e Khotan – che hanno causato almeno 40 morti
e dozzine di feriti – i presidenti di 120 compagnie statali, i leader della Xinjiang Uyghur Autonomous Region
(Xuar) e dei Corpi di produzione e costruzione dello Xinjiang si sono incontrati a Urumqi per una riunione operativa sugli investimenti delle società statali nella regione. Durante il meeting sono stati approvati 90 progetti,
soprattutto nei settori energetico e delle infrastrutture, la
maggior parte dei quali da realizzare nella prefettura di
Kashgar.
Quest’ultima rientra anche nel piano “19 regioni danno supporto allo Xinjiang”: le province di Shandong,
Zhejiang, Sichuan e le amministrazioni di Pechino e
Shanghai sono i maggiori investitori nell’area, interessati soprattutto ai settori edilizio, commerciale e delle infrastrutture.
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A DESTRA Vendita di tappeti da preghiera davanti alla moshea Tatar,
in cinese Yangsheng mosque, in via della Liberazione a Urumqi.
AL CENTRO Uiguri camminano davanti al manifesto con lo slogan:
“L’esercito ama il popolo, e il popolo supporta l’esercito.
Esercito e popolo sono una sola famiglia”.
A SINISTRA Contrattazione tra contadini uiguri
al mercato degli animali di Kashgar.
“Haven’t been to Kashgar,
you haven’t seen Xinjiang!”
ggi Kashgar sembra una città implosa su se stessa dopo devastanti movimenti tellurici o bombardamenti. Tra cumuli di macerie e nuovi mattoncini color ocra,
che andranno a dare corpo ai nuovi edifici della città antica, gli anziani vanno in cerca di oggetti dimenticati dalle famiglie dislocate e i bambini continuano a giocare con
palloni e corde. La polvere non dà tregua, e gli autobus,
che procedono a zigzag tra eserciti di ruspe e muratori affannati, riportano la scritta “Haven’t been to Kashgar, you
haven’t seen Xinjiang!” (“Se non sei stato a Kashgar, non
hai visto lo Xinjiang!”), in cinese e in inglese.
Il piano di ricostruzione rientra in quel concetto di “Dubai dell’Asia centrale”, espressione che il governo centrale usa per designare la Kashgar del futuro. Non si tratta di
un restauro, tema sconosciuto alla cultura cinese, ma di
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una vera e propria ricostruzione, che darà alla città una
parvenza di pulizia e decoro che, secondo il governo, è
sempre mancata. Alcuni risultati di questo piano sono visibili nelle file di casette gialle che si susseguono tutte
uguali nella città antica, di fianco alle macerie, nelle teorie di palazzoni con migliaia di appartamenti pronti ad accogliere i migranti in cerca di fortuna e i contadini dislocati, mentre in mezzo al lago che circonda la città antica è
stato costruito un edificio avveniristico che ospiterà un
costoso ristorante, illuminato da curiosi giochi di luce.
«Kashgar sta diventando come Wenzhou» è il commento più comune tra gli abitanti della città, che stanno assistendo all’afflusso di centinaia di migliaia di han provenienti dalle regioni del Gansu, Sichuan, Henan, Hebei,
Shanxi per lavorare come operai e raccogliere un capitale minimo da riportare a casa o da utilizzare per inventarsi una nuova vita nella lontana regione occidentale.
Gli investitori e i migranti più abbienti comprano appartamenti e ogni sorta di immobili, con l’idea di rimetterli sul mercato quando la città sarà diventata quella Dubai di cui si favoleggia e le proprietà, allora, rappresenteranno un’autentica fortuna. Come effetto di questo processo i prezzi del mercato immobiliare stanno diventando proibitivi per gran parte della popolazione uigura, meno abbiente poiché principalmente dedita alle tradizionali attività connesse al commercio di piccola scala e al-
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l’artigianato familiare, i cui segreti vengono trasmessi
oralmente attraverso le generazioni. Per i pochi uiguri
borghesi, professionisti e grandi commercianti, i prezzi
risultano comunque rilevanti. Una stima non ufficiale
vuole che circa 2 milioni di persone si riverseranno in
questa città dello Xinjiang entro la fine del 2012, mettendo in crisi quei funzionari che si stanno arrovellando sulla sostenibilità ambientale del progetto. I palazzoni residenziali sono pronti, ma il problema maggiore è l’acqua.
In un’area il cui problema ambientale principale è la scarsità endemica di questa risorsa, non sarà facile soddisfare le esigenze di milioni di nuovi residenti. Nelle campagne gli abitanti dei villaggi scavano pozzi, arrivando talvolta anche a 30 metri di profondità per trovare un po’ di
terriccio umido, ma il sistema urbano di acqua corrente
e potabile rappresenterà una questione di proporzioni
enormi. A tale scopo il dipartimento Risorse idriche della prefettura e un gruppo di aziende pechinesi, dopo lunghi studi di fattibilità, hanno cominciato i lavori per la
realizzazione di una gigantesca diga nell’area.
I Corpi di produzione e costruzione dello Xinjiang,
grosse corporation che amministrano parte del territorio
regionale, si stanno occupando dello sviluppo di tecniche di agricoltura intensiva ad alto consumo di fertilizzanti e di una varietà imprecisata di prodotti chimici, in
modo che anche le risorse alimentari non costituiscano
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un problema. L’ambizioso programma richiede la formazione di una nuova leadership pronta ad affrontare le problematiche interne e un contesto internazionale non facile. Anche a questo stanno pensando i Corpi: l’università di Shihezi e quella del Tarim, entrambe sotto la loro gestione, stanno aumentando gli iscritti e i programmi di
scambio internazionale. A Shihezi, gli studenti sono diventati 50mila nell’arco di due anni, e più del 90% è di etnia han.
Parallelamente a questa dimensione economica e politica orientata alla formazione di una borghesia locale, resta da risolvere il problema dello scontro etnico.
irca un anno fa, il 30 luglio del 2011, un furgone ha
invaso ad alta velocità una zona pedonale nel centro
commerciale di Kashgar. Dopo aver investito e ucciso alcuni passanti, i due responsabili del raid sono usciti dall’abitacolo impugnando dei coltelli, per uccidere il maggior numero di persone prima di essere freddati dalla polizia.
Il giorno dopo una serie di esplosioni in un ristorante
uiguro, aperto e gestito da han, ha provocato morti e feriti. Secondo le indagini i responsabili dei due attacchi sono dodici ragazzi dai diciotto ai venticinque anni, provenienti da Kargalik, Yarkand e Peizawat, zone rurali della
prefettura di Kashgar. Quattro sono stati condannati a
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morte, due sono ricercati (i tassisti hanno le loro foto) con
una taglia di 100mila rmb (circa 11mila euro) sulla testa.
La ricompensa a chi li consegnerà vivi o morti alla polizia. I restanti sei responsabili sono stati colti sul fatto e
uccisi all’istante. Le aree di provenienza indicano una
condizione di disagio e arretratezza in cui i giovani vengono educati secondo i precetti un Islam tradizionale e,
talvolta, radicale. Si tratta di realtà rurali dove l’elettricità arriva un giorno su tre e dove non c’è acqua corrente.
Per non dire dello stipendio medio delle famiglie di agricoltori uiguri, che nel peggiore dei casi si ferma a 700 rmb
(circa 80 euro) annui per almeno quattro membri, dato
ammesso addirittura dai documenti ufficiali.
Cosa sta succedendo, allora, in queste campagne remote e isolate della prefettura di Kashgar?
“Avere un asino
è come possedere un conto in banca”
uesta singolare affermazione la troviamo scritta con
inchiostro rosso, solo in lingua uigura, sui muri di
argilla e paglia delle abitazioni dei contadini, nei villaggi intorno a Kashgar. Poiché i nuovi arrivati han ne van-
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A DESTRA L’atrio di un’antica casa da tè nel centro storico di Kasghar.
AL CENTRO Nuovi palazzi nella periferia di Kashgar.
A SINISTRA Kumudarwa street nel centro di Kashgar.
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no ghiotti e credono nelle sue proprietà nutritive, il latte
d’asina sta diventano un prodotto commerciabile. I contadini uiguri usano i muli come mezzo di locomozione,
per spostarsi verso i mercati e i mazar (luoghi di culto) e
per trasportare ortaggi e merce. La cultura islamica non
prevede che l’asino sia associato a qualcosa di commestibile, per cui i passanti che leggono lo slogan storcono il
naso e fanno un cenno di disapprovazione con la testa.
I contadini uiguri, sui loro piccoli appezzamenti di terra – fertile quanto altamente salina – che cercano di coltivare con attrezzi rudimentali e che improvvisamente si
chinano su piccoli e decorati tappetini verso la Mecca per
una delle cinque preghiere quotidiane, hanno paura.
Quei fazzoletti di terra, che garantiscono la sussistenza
di mogli e figli e loro unici possedimenti, sono sempre
più rischio. L’operazione più impressionante connessa a
Kashgar-Zes sta effettivamente avendo luogo nei villaggi
di campagna che circondano la città oasi. In questi agglomerati di case di fango e paglia, dove prevalgono i rapporti familiari e clanici tradizionali e in cui l’atmosfera è sonnolenta e la vita scandita da attività rutinarie, tramandate attraverso le generazioni, le donne sono sempre velate
e si occupano della casa e dei bambini, mentre gli uomini studiano nelle madrase (scuole coraniche) clandestine, organizzate nel cortile di un vicino, nel retro di un
campo di cotone o sotto pergolati di vite.
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L’Islam rurale della prefettura di Kashgar è considerato eterodosso, una commistione di sufismo, sciismo e
sciamanesimo, ricco di rituali mistici e caratterizzato dallo zikr (rituale sufi) silenzioso. È in questo silenzio che
matura una consapevolezza, forse un desiderio di affermare un’identità che, nonostante dal nostro punto di vista e da quello dei cinesi han possa apparire in parte caratterizzata da arretratezza e ignoranza, è in realtà ricca
di una cultura di vita e di una forma di umanità ormai sconosciuta alle società cosiddette “evolute”, e profondamente radicata nella vita delle comunità rurali.
ome affrontare quei nuovi arrivati, quei vicini che
parlano una lingua straniera, che vengono da regioni lontane come Zhejiang e Shandong, vivono in nuove
villette fortificate, acquistano i diritti di proprietà dei terreni dalle autorità locali, si muovono con Suv e jeep e vestono in modo, secondo gli uiguri, indecoroso? E che fare quando quei nuovi arrivati cominciano a imporre la loro lingua nelle scuole, a voler sposare donne uigure e a
costruire pagode e ponticelli in pietra, stile Palazzo
d’estate, nelle oasi del Taklamakan?
A questi interrogativi si aggiungono preoccupazioni
sulle tutele legali connesse all’utilizzo della terra. La maggior parte dei contadini uiguri, se non la totalità, non possiede contratti o certificati di utilizzo dei terreni. Questi
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documenti, quando esistono, sono custoditi dalle autorità locali che dichiarano candidamente che i contadini sono illetterati e retrogradi e che in un attimo perderebbero i preziosi documenti. Anche quando le terre vengono
cedute ai “boss” han (così vengono chiamati), è sempre
“nell’interesse dei contadini”, che riescono a ricevere fino a 500 rmb (circa 55 euro) al mese per ogni mu (666 kmq
circa) di terra. Il problema è che nessuno può garantire al
contadino che quei soldi li riceverà davvero e, in caso di
sopruso, che avrà la possibilità di difendersi, poiché è
sprovvisto dei documenti attestanti i suoi diritti sulla terra. Una terra che sta diventando sempre più preziosa, che
ha sempre più valore e che, sempre più spesso, viene tolta di forza alle braccia dell’agricoltore dalle autorità han,
ma soprattutto dai funzionari locali uiguri.
Questa alleanza che trasversale fra le due etnie è fondata sull’interesse e sulla possibilità di fare soldi, su alleanze strette da chi sa di avere il coltello dalla parte del manico. Grandi aziende agricole, sedi di industrie, complessi residenziali fortificati e dotati di telecamere stanno sorgendo sulle terre un tempo coltivate dai contadini.
Quando, nelle scuole coraniche improvvisate, il leader
spirituale clandestino discute questa situazione, occhiate furtive ed espressioni pensierose si dipingono sui volti pieni di rughe e di certo non si diffondono messaggi di
pace, perché non è la pace ciò che nello Xinjiang si sta costruendo. I due attentati di fine luglio sono stati rivendicati, con video postato su un sito internet islamico, da una
presunta organizzazione terroristica chiamata Tip, Tur-
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A FRONTE, A SINISTRA Contadini ad Aral, nella prefettura di Kashgar.
AL CENTRO Una moschea in un villaggio di campagna vicino Kashgar.
QUI A SINISTRA Una donna uigura in un vicolo di Urumqi.
QUI SOPRA Uiguri davanti alla Islamic Religion School of Kashgar.
A FRONTE, IN BASSO Bambini che tornano da scuola in un villaggio rurale vicino Kashgar.
QUI SOTTO Un anziano uiguro ad Aral, villaggio rurale vicino Kashgar.
kestan Islamic Party, che ha contatti con estremisti pakistani e afghani (Afghanistan e Pakistan confinano con la
prefettura di Kashgar). I comunicati di questa organizzazione sono sempre più frequenti: l’ultimo risale al 23
aprile scorso e rivendica il legittimo diritto di intraprendere la jihad (‘guerra santa’) in Xinjiang (chiamato Turkestan orientale), come risposta all’aggressione cinese. Tra
gli studiosi dell’area anche i più prudenti cominciano a
credere che quegli uiguri che si sono addestrati nei campi pakistani e uzbechi abbiano veramente dato vita a
un’organizzazione autonoma con obiettivo la jihad in
Xinjiang. Se questa struttura esista davvero, nessuno può,
per il momento, verificarlo.
Ma è evidente che vi sono tutti i presupposti per rafforzare gli islamisti uiguri, per far nascere organizzazioni
estremiste clandestine e farle proliferare. Se dovranno
lottare lo faranno per contendersi le briciole.
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