Mindfulness: innovate prospettive in Psicologia dello Sport

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Mindfulness: innovate prospettive in Psicologia dello Sport
 Mindfulness:
innovate prospettive in
Psicologia dello Sport
Dott.ssa Giovanna Vannini
Laureata in Psicologia Clinica e Promozione del Benessere della Persona.
Esperta in Psicologia dello Sport, Psicodiagnostica, Counsellor e Sport Coaching.
Istruttrice di Protocolli Mindfulness – Based per la riduzione dell’ansia e dello stress.
Specialista in Discipline Bio – Naturali e Bodywork.
Dott.ssa Giovanna Vannini
30 gennaio 2016 Introduzione
La Psicologia clinica e la Psicologia applicata allo sport si sono avvicinate quando sono stati
riconosciuti elementi comuni tra la performance sportiva ed il benessere psichico.
Il settore sportivo, quello delle attività motorie e la psicologia sono arrivati ad essere d’accordo
sull’adagio del Giovenale che recita mens sana in corpore sano, soprattutto alla luce delle ultime
ricerche nel campo delle neuroscienze.
Ad oggi gli interventi in Psicologia dello Sport sono di due tipi: interventi nella sfera clinica e
interventi nella sfera educativa.
Nell’area clinica lo psicologo interviene in quei soggetti, atleti o praticanti attività fisica, che
presentano disturbi della sfera emotiva/comportamentale; nell’area educativa si opera come mental
coach proponendo esercizi e tecniche indirizzate al miglioramento della prestazione atletica, ma non
al trattamento di disturbi psichici.
Spesso, gli “esperti” che intervengono come mental coach, sono diversi dalla figura dello psicologo
con le più “disparate” e presunte competenze quando, qualsiasi intervento “sulla mente” dovrebbero
essere sempre gestito da professionisti adeguatamente preparati, come lo sono i laureati in psicologia
che compiono tutto il loro iter di studi universitari e procedono, dopo la laurea, con altrettanti anni
(per chi diventa anche psicoterapeuta) di preparazione professionale.
Un ulteriore dubbio che sorge dalla divisione di questi compiti sta nel fatto che l’atleta, e chi pratica
sport, è una persona unica e indivisibile e potrebbe necessitare allo stesso tempo di ambedue gli
interventi.
Lo Psicologo Clinico è la figura che attraverso una adeguata preparazione professionale, sia in ambito
clinico che sportivo, può assumere il ruolo di colui che aiuta psicologicamente a 360° l’atleta o il
praticante attività fisica con competenza e risultati positivi e tangibili.
La figura dello Psicologo Clinico dello Sport non è nulla di nuovo, ma riprende la “via perduta” del
Prof. Ferruccio Antonelli che, parlando della valutazione dell’homo sportivus, già dal 1958, in
previsione delle Olimpiadi di Roma, aveva incluso ufficialmente nella routine della valutazione
scientifica dei “probabili olimpionici”, all’interno del CONI, l’esame psicologico attitudinale e
clinico come parte integrante della Medicina italiana dello sport.
In più, tra gli “strumenti” più recenti dello psicologo, come metodologia di intervento con il cliente,
può correre in aiuto sia clinico, sia educativo, la pratica della meditazione di consapevolezza
(Mindfulness) che da qualche anno ha avuto sviluppi esponenziali in Italia.
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30 gennaio 2016 La Mindfulness è ormai parte integrante di percorsi psico-educazionali per la riduzione dello stress e
dell’ansia, ed è stata inserita in diverse terapie psicologiche che vengono definite psicoterapie di terza
generazione.
A questo proposito, possiamo considerare le pratiche meditative di consapevolezza come un ponte di
intervento in ambito sportivo tra problematiche cliniche e di prestazione, dove la stessa figura
professionale dello psicologo può intervenire con protocolli che allo stesso tempo agiscono sia nella
sfera emotiva/comportamentale (clinica), sia nel miglioramento della prestazione (ambito educativo).
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30 gennaio 2016 La Psicologia Clinica dello Sport
La Psicologia Clinica dello Sport si deve intendere come un “atteggiamento professionale”, uno “stile
di lavoro” che favorisce il miglioramento della prestazione, ma anche il benessere psicofisico,
applicando i principi ed i metodi conseguiti sia nell’ambito clinico che nella scienza dello sport.
In una descrizione più specifica, Gardner e Moore definiscono la Psicologia Clinica dello Sport come
“l’applicazione delle conoscenze e dei metodi, derivati dai vari campi della psicologia, per
promuovere e mantenere la salute e il benessere psicofisico, per l’ottimizzazione della prestazione
atletica coinvolgendo gli individui, le famiglie e le organizzazioni sportive, per la prevenzione, la
valutazione e il generale miglioramento delle difficoltà personali o prestative determinate da cause
psicologiche”.
L’intervento proposto ad un atleta, non sempre necessita solo di un miglioramento della prestazione.
Molto più spesso dietro a difficoltà di performance si nascondono ben altre problematiche a livello
psichico (problemi di transizione, di sviluppo personale o interpersonali, ecc.). Per questo lo
Psicologo Clinico dello Sport è preparato ad agire su più ambiti:
-
diagnosi e trattamento dei disturbi psichici, quali ad esempio i DCA e la depressione;
-
counseling per situazioni di transizione o problemi intra-interpersonali, causati da
avvenimenti stressanti di vita o del contesto sportivo;
-
miglioramento della prestazione attraverso programmi di preparazione mentale.
Quindi, andranno presi in considerazione l’aspetto bio-psico-sociale dello sportivo, oltre agli aspetti
tecnico-prestativi.
Ambiti di intervento
Gardner e Moore hanno ideato un modello multidimensionale per la psicologia dello sport molto
interessante, che si basa su categorie funzionali e che aiuta a comprendere meglio l’importanza di
integrare, in un'unica figura professionale, gli interventi psicologici e/o educativi con gli atleti e gli
sportivi. Questa suddivisione, permette di focalizzare l’attenzione sulle richieste e sui problemi dei
campioni e di chi svolge attività fisica. Una classificazione di questo tipo crea la possibilità di
considerare l’atleta in maniera olistica, dando opportunità di intervento migliorativo se non risolutivo
integrando le pratiche di mindfulness.
Infatti, queste ultime possono essere inserite sia nella pratica di training mentale, sia come protocollo
integrativo nelle psicoterapie per problematiche cliniche.
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30 gennaio 2016 Sistema di classificazione multidimensionale per la psicologia dello sport (modificato dalla Dott.ssa Giovanna Vannini)
1)
Classificazione
Focus terapeutico
primario
secondario
Sviluppo della
Aspetti relativi alla
Problemi psicosociali
Difficoltà prestative
Intervento

Preparazione mentale

Mindfulness

Psicoterapia
transizione, reazione e

Counseling
adattamento a eventi

Mindfulness

Psicoterapia

Counseling

Mindfulness

eventuale farmacoterapia

eventuale consulenza
prestazione
2)
Focus terapeutico
prestazione
Problemi di sviluppo,
Problemi della prestazione
significativi, barriere
psicologiche
3)
Decadimento della
prestazione
Disturbi psichici o
Problemi della prestazione
comportamentali
psichiatrica
4)
Interruzione della
prestazione o conclusione
della carriera

Psicoterapia
all’interruzione o al termine

Counseling
della carriera

Mindfulness
Reazioni psicologiche
Pianificazione del futuro
1) Sviluppo della prestazione
Questa categoria funzionale interessa gli atleti che desiderano migliorare la propria
performance e che non presentano particolari problematicità psichiche.
Programmi di M.T., o come proposto più recentemente pratiche di mindfulness, possono
essere acquisite dall’atleta per raggiungere lo scopo.
2) Difficoltà prestative
L’atleta in passato ha avuto prestazioni ottimali, ma si trova in difficoltà a causa di barriere
psicologiche (perfezionismo, eccessiva ansia di sbagliare, bisogno di approvazione) che
hanno come conseguenza un peggioramento della performance sportiva. Quindi, il soggetto
non presenta particolari disturbi della sfera psichica.
L’intervento primario da considerare con questi soggetti è la psicoterapia, sedute di counseling
e pratiche di consapevolezza (mindfulness) per prendere visione delle proprie barriere.
3) Decadimento della prestazione
Questa categoria a livello psicologico è la più preoccupante, perché esiste chiaramente
nell’atleta un disturbo psichico che causa un evidente danno prestativo. Il problema danneggia
uno o più ambiti della vita dell’atleta. Il trattamento, in questo caso, prevede un intervento
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30 gennaio 2016 psicoterapico e all’occorrenza farmacologico (quindi di pertinenza psichiatrica). Anche qui,
per aiutare ed eventualmente accelerare i tempi di risoluzione del problema, si può integrare
la terapia con i protocolli Mindfulness.
4) Interruzione della prestazione o conclusione della carriera
La prestazione, causa infortunio o termine della carriera, viene interrotta temporaneamente o
definitivamente. I trattamenti migliori, in questo caso, sono il counseling, la psicoterapia e la
Mindfulness.
La Mindfulness perché è così versatile nell’intervento psicologico?
Ciò che oggi si sente spesso chiamare con il termine mindfulness e che è sempre più noto ad operatori
e ricercatori negli ambiti della Psicologia, della Medicina e delle Neuroscienze, nasce dall’antica
parola sati del canone pali, dal Grande discorso sui fondamenti della presenza mentale1, che
letteralmente significa memoria ed è successivamente stato tradotto, nel 1952, con il vocabolo
consapevolezza da Rhys Davids.
Non è facile rendere a parole ciò che è inestricabilmente connesso alla pratica e all’esperienza da
sempre. Comunque, una possibile descrizione è quella di definire la mindfulness come uno stato
mentale non-concettuale, non-discorsivo e non-linguistico, che apre a degli insight che portano alla
comprensione profonda del funzionamento della mente stessa e che coinvolge particolari qualità
dell’attenzione e della consapevolezza, le quali possono essere coltivate e sviluppate attraverso la
meditazione.
Una definizione di mindfulness compiuta, è quella di uno dei maggiori esponenti del Buddhismo
Theravada, Nyanaponika Thera:
“[La mindfulness è] l’infallibile chiave maestra per conoscere la mente ed è perciò il punto di
partenza; è lo strumento perfetto per formare la mente ed è quindi il punto focale; è la nobile
manifestazione della raggiunta libertà della mente ed è perciò il punto culminante”.
Questo significa che la mindfulness è al tempo stesso il fine, la pratica ed il risultato. La definizione
evidenzia la non-dualità e declama il fatto che non dobbiamo cercare da nessuna parte ma, attraverso
1
Mahasatipatthanasuttanta fa parte dei discorsi lunghi (Dagha Nikaya) del Buddha all’interno del
canone pali redatto in due tempi: nel 340 a.C. e nel 246 a.C.
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30 gennaio 2016 la saggezza e la pratica, trovare dentro di noi e far emergere la coscienza pura.
Kabat-Zinn, infatti, ci ricorda che:
“La consapevolezza si coltiva imparando a rivolgere deliberatamente l’attenzione a cose che
normalmente ignoriamo. È un approccio sistematico allo sviluppo di una nuova saggezza e
padronanza della nostra vita, basato sulle nostre intrinseche capacità di rilassamento e di osservazione
interna […] la gente impara a servirsi dei punti di forza che già possiede e ad aiutarsi da sé per
migliorare il proprio stato di salute e il proprio benessere […] non c’è nessun farmaco che possa
renderci immuni al dolore, che sia in grado di risolvere magicamente i problemi della nostra vita e di
guarirci. Muoverti verso la pace interiore richiede uno sforzo cosciente da parte tua. Significa
imparare a lavorare proprio con quello stesso stress e quel dolore di cui vuoi liberarti”.
Per aiutare a comprendere ancora meglio e sintetizzare concettualmente il fenomeno, potrebbe essere
utile evidenziare ciò che la mindfulness non è:
-
non è un requisito mistico, ma piuttosto viene superata la divisione corpo-mente;
-
non è una forma di trance, infatti, al contrario, la mente rimane chiara e lucida;
-
non è una modalità di rilassamento, anzi la mente mindful è in grado di affrontare in modo
efficace condizioni di stress, tensione e sofferenza;
-
non è una fuga dalla realtà, invece, all’opposto, è un radicamento nella realtà.
La mindfulness è un modo di essere.
È proprio grazie a questa peculiarità che le pratiche di mindfulness possono aiutare le persone a
riscoprire se stesse e a mantenere la stabilità e l’equilibrio psicologico in ogni ambito della vita
(lavoro, famiglia, sport, relazioni, ecc.) raggiungendo obiettivi e scopi.
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30 gennaio 2016 Mindfulness e allenamento mentale per la performance sportiva
Le pratiche di consapevolezza sono tra le più recenti possibilità di lavorare con gli atleti per la loro
preparazione mentale alla prestazione.
Prima di scoprire e accertare che l’applicazione delle pratiche di mindfulness fossero efficaci
nell’aumentare la prestazione dello sportivo, esistevano, ed esistono a tutt’oggi con la loro efficacia,
programmi di allenamento mentale di tipo cognitivo-comportamentale quali il goal-setting,
l’imagery, il self-talk, metodiche di autoregolazione dell’arousal e allenamento di concentrazione e
gestione dello stress coadiuvati dal biofeedback.
Rispettando il valore di queste tecniche, diversi autori hanno evidenziato alcuni limiti delle strategie
di controllo dei pensieri e delle emozioni, partendo dall’ipotesi che la gestione o la modifica dei
processi cognitivi e degli stati emozionali ha un “costo” in termini di risorse attentive e di
concentrazione, che vengono sottratte al conseguimento del risultato prestativo.
Infatti, si è riscontrato da vari studi, che le tecniche cognitivo-comportamentali applicate nelle varie
discipline sportive, apporta agli atleti una riduzione dell’ansia e un miglioramento della fiducia, ma
non c’è correlazione con l’aumento della prestazione.
In effetti, queste tecniche si basano sul presupposto, non ben dimostrato, del controllo e/o la riduzione
degli stati psicofisici negativi in riferimento soprattutto alle emozioni. Ma ogni emozione, può essere
espressa sia attraverso modalità costruttive che distruttive: se l’emozione conserva la sua adeguatezza
è costruttiva, se invece raggiunge il punto di eccesso fuori controllo si manifesta in distruttività.
A tale proposito, Hanin nel 2000, rivoluzionò il modo di considerare lo stato emotivo dell’atleta,
valutando in che misura le emozioni (positive o negative) potevano essere funzionali alla buona
prestazione.
Va, quindi, notato come i programmi cognitivo-comportamentali di training mentale ideati tra gli anni
’70-’80 del secolo scorso abbiano una efficacia limitata e discutibile.
Oggi, la letteratura scientifica evidenzia che tentare di sopprimere e controllare pensieri, emozioni e
sensazioni incrementa l’attività cognitiva focalizzando l’attenzione dell’atleta verso elementi non
inerenti alla prestazione, spesso danneggiandola.
Di conseguenza, alcuni autori hanno evidenziato l’esigenza di creare nuovi modelli di intervento per
la preparazione mentale, basati sull’accettazione consapevole, da parte dello sportivo, delle proprie
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30 gennaio 2016 esperienze, anche spiacevoli, perché gli stati emotivi, cognitivi e percettivi si associano naturalmente
alla performance, e nella maggior parte dei casi non hanno bisogno di essere modificati o eliminati.
Una modalità di intervento alternativa, come lo è la Mindfulness, permette di sviluppare una
attenzione consapevole delle proprie esperienze, orientata al presente (qui e ora), senza giudicare ciò
che sta accadendo, lasciando libero l’atleta di vivere pienamente l’esperienza ed attraversare le
difficoltà per poterle osservare e superare senza spostare l’attenzione dalla prestazione sportiva.
L’importanza per l’atleta di essere centrato sul presente e propeso al processo, piuttosto che al
risultato, nonché di mantenere un atteggiamento “meditativo” rispetto agli eventi incontrollabili, può
fare la differenza tra un bravo atleta e un campione.
Conclusioni
La figura dello Psicologo Clinico dello Sport è quella di un professionista che opera in una più ampia
dimensione olistica di tipo bio-psico-sociale, nei confronti dello sportivo, che comprende l’area della
prestazione, la sfera socio-relazionale e l’ambito psichico.
Dividendo l’assessment di queste aree tra più esperti, si corre il rischio di un’analisi dispersiva e di
una visione non integrale dell’assetto psicologico dell’atleta, che andrà ad incidere,
irrimediabilmente, sulla prestazione.
Il modello multidimensionale qui presentato risponde alla rinnovata esigenza di considerare l’atleta
non solo come una “macchina” che programmata deve ottenere un risultato, ma come una “persona”
nella sua totalità che con consapevolezza, compassione verso se stesso e non giudizio, sia in grado di
affrontare e superare le problematiche che si presentano in tutta la sua quotidianità.
L’introduzione dell’approccio Mindfulness in ambito sportivo, offre una opportunità di intervento
che, esistendo come “modo di essere” non coinvolge solo l’attività sportiva del soggetto, ma esprime
una ridondanza positiva in tutte le sfere della vita dell’atleta, dando la possibilità al soggetto di
esprimere tutte le sue potenzialità.
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Dott.ssa Giovanna Vannini
30 gennaio 2016 Bibliografia
Antonelli, F., (1963). Psicologia e psicopatologia dello sport. Roma: Leonardo Edizioni Scientifiche.
Dalai Lama, & Goleman, D., (2011). Emozioni distruttive. Milano: Mondadori Editore.
Gardner, F. L., & Moore, Z. E., (2006). Clinical sport psychology. Champaign: Human Kinetics.
Gramaccioni, G., Robazza, C., (2008). “Psicologia dello sport: un modello multidimensionale”.
Giornale Italiano di Psicologia dello Sport (3), 28-31.
Gramaccioni, G., Fulcheri, M., Robazza, C., (2010). “Mindfulness e preparazione mentale
dell’atleta”. Giornale Italiano di Psicologia dello Sport (7), 17-20.
Hannin, Y. L., (2000). Emotion in sport. Champaign: Human Kinetics.
Vannini, G., (2015). Il volo sereno della cicogna. Mindfulness e genitorialità consapevole. Berlin:
Edizioni Accademiche Italiane.
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