Dietro le quinte di BFM TV, la Cnn francese,Re
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Dietro le quinte di BFM TV, la Cnn francese,Re
Dietro le quinte di BFM TV, la Cnn francese BFM TV è diventata, nel giro di tre anni, il numero uno tra i canali “all news” francesi. Ora l’amministratore delegato di NextRadioTv Alain Weill vuole farne una “CNN International”. Ha cominciato dalla Svizzera, dove le finestre pubblicitarie trasmesse sono completamente rossocrociate. La storia di BFM TV è partita da una costola di una radio, Business FM, il cui acronimo è BFM. Creata nel 1991 a Parigi da Jacques Abergele e René Tendron, l’emittente si è profilata sin dall’inizio come “la radio dell’economia”. Nel 2002, dopo una liquidazione giudiziaria, viene rilevata da Alain Weill, patron del gruppo NextRadioTv. Il 14 dicembre del 2004, i vertici lanciano ufficialmente e pubblicamente il progetto televisivo, col marchio BFM TV. Si tratta di un canale consacrato “all’attualità e all’informazione economica e finanziaria”, pensato sul modello del canale radiofonico omonimo. In realtà lo slogan “La television de l’economie” non verrà mai utilizzato preferendogli il più efficace “News 24/7″. Il 9 maggio del 2005 il Conseil Supérior de l’Audiovisuel rilascia due concessioni per altrettante televisioni “all news” in chiaro: I-Télé, nata nel 1999 come canale a pagamento, e BFM TV, un progetto completamente nuovo. Preceduto da un countdown, il 28 novembre 2005 BFM TV inaugura ufficialmente i propri programmi alle ore 18. Il primo telegiornale è presentato da Ruth Elkrief, in arrivo da precedenti e importanti esperienze a TF1 e a Radio RTL. Ospiti, nello studio virtuale, il presidente del CSA, Dominique Baudis, e Renaud Donnedieu de Sabres, all’epoca ministro delle cultura e delle comunicazioni in Francia. Il quotidiano Liberation non esita a definire BFM TV come “l’info low cost”. Alla partenza, il neonato canale conta una sessantina di giornalisti, quando emittenti all news concorrenti come I-Télé e la tv a pagamento LCI ne occupano il doppio. Il budget? Per BFM TV, nel 2005, si parla di 13 milioni di euro contro i 37 di I-Télé e i 50 milioni di LCI (gruppo TF1). Alla fine del 2008, i dipendenti di BFM TV diventano 200 (di cui 150 giornalisti), mentre nel 2011 il budget sale a 50 milioni di euro. Nel 2007, BFM rastrella ben 8 milioni di euro di pubblicità. Nel 2009 passa a 51 milioni di euro, in aumento del 67%. La prima versione di BFM TV prevede unicamente due dirette quotidiane: tra le 6 e le 9.30 con BFM Matin, e tra le 18 e le 23.30 con BFM Soir. Nella fascia centrale, tra le 9.30 e le 18, viene trasmessa l’attualità in immagini (senza conduzione) con i titoli dell’informazione e i dati borsistici scanditi ogni quarto d’ora. Inizialmente, oltre all’attualità, c’è spazio anche per dei tg di economia e finanza, caratteristica che l’emittente abbandonerà lentamente. Soltanto nel 2007, dopo aver assunto una cinquantina di giornalisti, BFM TV abbandona lo slogan “La nouvelle chaîne de l’info” per passare a “Priorité au direct”. La trasformazione prevede l’apertura delle trasmissioni in diretta anche tra le 9.30 e le 18. Già nel 2008, diventa il primo canale all news francese, battendo I-Télé. Dal 2011, il marchio BFM TV viene invece accompagnato dalla scritta “Première chaîne d’info de France”. Ora il canale all news trasmette in diretta dalle 6 alle 24, tutti i giorni. L’organizzazione attuale del palinsesto ricorda molto quello delle emittenti radiofoniche: fasce che raggiungono le 3 ore con doppia e singola conduzione. Tra le 6 e le 8.30 “Première Edition”, alle 8.30 “Bourdin Direct” (anche su Radio RMC), dalle 9 alle 12 doppia conduzione di “Non stop”, il cambio arriva per la tranche 12-15 “Midi-15 Heures”, riprende “Non stop” tra le 15 e le 18, alle 18 BFM Story, alle 19 Ruth Elkrief, tra le 20 e le 21 Alain Marschall, alle 21 “News et compagnie” e, per chiudere, “Grand Angle”. Se agli albori di BFM TV lo studio è interamente “virtuale”, con il tempo si è deciso di inserire nella scenografia degli elementi reali. Il sito “Media un autre regard” mostre il backstage del canale all news. Lo studio 1 è composto da una scena reale che può essere coperta da un telo verde e trasformarsi in un fondale virtuale. Quella reale è realizzata da Fréderic Serrato, con diversi schermi e delle barre luminose che cambiano colore in base all’orario e al tipo di edizione. Per garantire la diretta, la regia deve gestire: ■ ■ ■ ■ ■ I duplex con i giornalisti attraverso la fibra ottica, il satellite o il 3G Il segnale sempre attivo proveniente dall’Assemblea nazionale, dall’Eliseo o i flussi d’immagine delle agenzie stampa La scenografia che cambia in base al tipo di edizione. I giornalisti solitamente sono posizionati in una delle tre zone dello studio. Si tratta, in pratica, di gestire le scenografie virtuali che andranno a ricoprire il fondale verde Le immagini provenienti dalle 7 telecamere automatiche presenti nello studio La grafica, i jingles, le bande informative e la pubblicità Tra le 6 e le 8.30 va in onda su BFM TV la prima fascia informativa della giornata che totalizza mediamente 2 milioni di telespettatori. Il settimanale L’Express ha realizzato un video reportage dietro le quinte. Attualmente, BFM TV raggiunge una quota di mercato del 2% contro lo 0.8% della concorrente I-Télé. Crediamo sia giunto il momento di accelerare i tempi per una copertura internazionale del nostro canale. (Alain Weill, 22/12/204, Le Figaro). Il patron del gruppo NextRadioTv, Alain Weill, il 22 dicembre 2014 ha rilasciato un’intervista al quotidiano Le Figaro. “BFM TV” – ha dichiarato Weill – “è già particolarmente seguita all’estero via Internet. Pensiamo però che sia giunto il momento di velocizzare la copertura internazionale del nostro canale”. “Il nostro obiettivo” – ha detto l’amministratore delegato – “è di essere distribuiti via cavo o via ADSL nel mondo. Siamo già presenti in Svizzera dove abbiamo attivato uno splitting pubblicitario. Prossima tappa: il Belgio. Successivamente si passerà agli Stati Uniti e all’Asia”. “Vorrei fare di BFM TV” – ha concluso Weill – “l’equivalente francofono di CNN International”. Articolo pubblicato originariamente sul blog dell’autore, Fuorionda Re-inventare le redazioni: ambienti, cultura e strumenti Innovazione, contaminazione, collaborazione, conversazione, sperimentazione. Sembra siano queste le parole chiave per una redazione in grado di affrontare le sfide del presente e immediato futuro. Per lo meno stando ai “Top takeaways” dell’International Newsroom Summit tenutosi ad Amsterdam qualche settimana fa, selezionati dalla World Association of Newspapers and Newspublishers. In questo post sul sito dell’associazione, Julie Posetti, World Editors Forum Research Editor e WANIFRA Research Fellow ha raccolto alcune azioni che una redazione che vuole restare competitive deve intraprendere il prima possibile. Tra questi – tutti molto interessanti – ce ne sono alcuni che spiccano sugli altri: abbattere le barriere di ogni genere all’interno della redazione, sviluppare nuove competenze individuali e di gruppo e sfruttare i nuovi strumenti a disposizione, dai software gratuiti in rete ai dispositivi mobili. Di barriere ce ne sono di diverse, fisiche tanto per cominciare: tra redattori e grafici, tra redazioni digitali, mobili e cartacee, tra redattori, giornalisti, visual o multimedia team. Della necessità di eliminarle ne ha parlato alla conferenza Marco Bardazzi, Digital Editor de La Stampa che all’adozione della piattaforma editoriale multicanale Méthode ha fatto corrispondere la creazione di una nuova redazione circolare aperta, favorevole alla comunicazione e allo scambio tra diverse professionalità. In una direzione simile sta lavorando anche il Guardian per quanto riguarda i suoi visual journalism, data journalism ed audience development team, e anche altre realtà europee come Financial Times, Trinity Mirror e Le Soir. Anche la barriera giorno-notte è destinata a cadere, come abbiamo spiegato qui su Ejo: il pubblico è abituato a trovare notizie a ogni ora del giorno e della notte. I dispositivi mobili ci accompagnano nei “momenti in mezzo ai momenti” della nostra vita: mentre aspettiamo che il caffé sia pronto al mattino, mentre facciamo la fila, in pausa pranzo, mentre ci laviamo i denti la sera. Ci sono poi delle “barriere culturali”: quella ancora esistente verso il digitale, quella nei confronti dei social media, quelle tra media e linguaggi diversi, quelle verso i dispositivi mobili. Molte sono dettate da una mancanza di competenze attuali, sia all’interno della redazione sia dei singoli giornalisti come spiega Lisa McLeod del FT: tra le prime ci sono la collaborazione, la comunicazione, la propensione a integrare più media e costruire prodotti coinvolgenti e interattivi, la presenza di professionalità diverse, e la capacità di essere veloci nel “progettare, realizzare e fallire efficacemente” per passare a un nuovo progetto (un concetto molto di moda ora, ereditato direttamente dalla filosofia delle startup). Queste sono tutte anche capacità dei singoli “giornalisti contemporanei” secondo l’ideale tracciato da McLeod, alle quali si aggiungono però una familiarità con la programmazione (definita “Decoding coding”, essenziale), con i social media, con Big Data e con più di un solo medium alla volta (scrittura, fotografia, video, audio). Sembra molto, e lo è, soprattutto perché non è chiaro che non si deve saper fare tutto meglio di tutti gli altri. Per lo meno questo è quanto vedo qui a Berkeley: ci si concentra su due abilità da dominare (visual journalism e social media, coding e Big Data, scrittura e giornalismo) ma si conosce anche il resto e soprattutto si è in grado di comunicare efficacemente con tutti i membri di una redazione, dal team multimediale a quello grafico al data scientist. Infine il make-over di una redazione dal passato al presente passa anche dall’impiego adeguato degli strumenti disponibili gratuitamente in rete e dei dispositivi mobili. Ecco qui ad esempio il kit per un moderno “mobile journalist and I-reporter” di Nicolas Bequet de L’Echo e la toolbox per data journalist “non-techies” di Robyn Tomlin di Pew Research. A queste io aggiungerei le già esistenti “Journalist Toolbox”, i “21 tips for mobile ninja” che Jeremy Caplan del Tow Knigh Center ha presentato lo scorso anno all’ONA2013, e una lista di “Free CAR tools” presentata da Matt Wynn e Martin Burch al NICAR2014. Gli altri passi necessari per una rivoluzione nella newsroom identificati da Julie Posetti non sono meno interessanti e riguardano social media, chat rooms, creazione di contenuti virali ed etica digitale. Qui il link al suo post per esplorarli meglio. Photo credits: Stuart Chalmers / Flickr CC Le redazioni digitali devono ripensare i loro staff Il crescente consumo di notizie su piattaforme digitali sta costringendo le organizzazioni mediatiche a ripensare i propri cicli di produzione delle notizie e le composizioni dei propri staff. La maggior parte dei giornalisti, come tutti gli altri impiegati, preferisce ancora un ritmo di lavoro canonico mattino-pomeriggio, perché è in linea con la vita sociale e familiare e lascia la possibilità di fruire delle offerte culturale che le comunità hanno da offrire. Questa preferenza ha fatto sì che gli afternoon paper rimanessero lo standard negli Usa almeno fino al 2000, anno dopo il quale questo modello è stato superato per la prima volta. Anche prima di quel tempo, comunque, sia i cicli di produzione delle news che le composizioni delle redazioni avevano tenuto i giornalisti in ufficio durante il giorno, con il numero di persone negli uffici che diminuiva progressivamente quando i morning paper andavano a dormire, verso mezzanotte. La maggior parte delle redazioni a quell’ora avrebbe spento le luci, mentre solo una piccola parte di grandi testate avrebbe mantenuto alcuni reporter e fotografi al lavoro durante la notte, per dedicarsi a ipotetiche notizie su crimini o incendi. La composizione degli staff giornalistici è cambiata poco dall’inizio dell’era digitale. Oggi, la maggior parte delle redazioni completa e carica le notizie per il proprio sito prima di mezzanotte o imposta le pubblicazioni elettroniche per l’orario in cui l’edizione cartacea viene consegnata alle edicole. Tentativi di aggiornare le notizie durante la notte sui servizi digitali sono fatti esclusivamente per le storie maggiori e più importanti. Questa impostazione sta creando dei problemi di fornitura di notizie, perché uno dei dei maggiori picchi di utilizzo dei siti online e delle app mobile, per la maggior parte delle testate, avviene proprio tra le 6 e le 8 del mattino. Questo significa che le news sono rafferme quando vengono consumate, qualcosa che poco ha a che vedere con l’immediatezza che i media digitali dicono di fornire. Questa sfida sta conducendo le maggiori testate giornalistiche a ripensare il quando e il come organizzano gli staff delle loro redazioni e il modo in cui fornire le notizie sulle piattaforme digitali. Ora, ad esempio, vengono utilizzate le migliori metriche disponibili per misurare tutte le audience per capire quando i lettori fruiscono i contenuti e su quali piattaforme, in modo da rivedere il tempo di pubblicazione dei propri contenuti e su quali piattaforme farlo. Lo scopo è quello di coordinare i picchi di consumo con la pubblicazione, in modo da mantenere il materiale fresco su qualsiasi supporto esso venga consumato. Perseguire questa strategia sarà certamente più semplice per alcune organizzazioni che altre. Il Guardian, ad esempio, ha redazioni a New York, Londra e Sydney e le sue operazioni digitali possono essere coperte a qualsiasi orario per seguire le possibili breaking news internazionali, ruotando gli staff all’attivo seguendo i movimenti del globo in modo da non dover mantenere troppe persone in redazione durante la notte in tutti i suoi uffici. Questo modus operandi segue quanto fatto già prima da alcune agenzie di stampa internazionali e grandi broadcaster. Per i giornali locali, fornire notizie fresche ai lettori del mattino richiederà invece maggiori sforzi di copertura notturna o cooperazione con altre testate o agenzie, in modo da creare strumenti di aggiornamento automatico delle loro piattaforme digitali per le news internazionali o le maggiori notizie nazionali. Ben pochi giornali medi o piccoli avranno giornalisti di turno durante la notte, ma potrebbero essere interessati a servizi di aggiornamento automatico per i loro prodotti digitali, attingendo ai contenuti di agenzie di stampa fidate. I cambiamenti nelle ore di lavoro preoccuperanno certamente i sindacati dei giornalisti dove il lavoro notturno sarà richiesto e il focus della questione si concentrerà sul modo in cui lo staff della notte sarà selezionato e sulle retribuzioni aggiuntive necessarie per quelle ore di lavoro. Nonostante ciò, le preoccupazioni degli editori digitali per tenere i propri contenuti freschi, rispondere alla crescente domanda di immediatezza – specialmente da parte di quei lettori che pagano per l’accesso digitale – e la crescente importanza degli introiti da abbonamento digitale, stanno imponendo ai manager il ripensamento dei modi e dei tempi in cui le news sono prodotte. E questo non farà altro che alterare ancora di più il modo in cui gli staff verranno costituiti dalle testate giornalistiche. Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul blog di Robert G. Picard Photo credits: Andrew Phelps / Flickr CC Redazioni, in quelle piccole si lavora meglio Negli Stati Uniti molti giornali hanno venduto le loro sedi storiche in centro città e hanno traslocato in stabili più piccoli in periferia. Quelli che non hanno seguito questo trend, hanno preferito condividere il loro stabile affittando alcuni spazi ad altre aziende. Per esempio, il San Francisco Chronicle dividerà i suoi spazi con Yahoo!, il Los Angeles Times con un call-center e il Seattle Times con un grossista di vini. Addirittura, nella struttura dove fino a pochi mesi fa veniva stampato il Miami Herald saranno ora costruiti un casinò e un resort di lusso. La Genting, compagnia malese attiva nel settore turistico, ha comprato l’intera sede del giornale situato in riva al mare per 236 milioni di dollari. La redazione del Miami Herald si trova ora a Doral, un sobborgo di Miami, a 20 minuti di macchina dal centro città. In Italia, invece, è notizia di queste settimane, Rcs ha messo in vendita la storica sede del Corriere della Sera in Via Solferino a Milano. Nikki Usher, docente presso la School of Media and Public Affairs della George Washington University, afferma che spazi più piccoli, offrendo nuovi stimoli, possono migliorare la struttura della redazione. Come fellow del Tow Center for Digital Journalism della Columbia University Graduate School of Journalism, Usher ha studiato numerosi trasferimenti di redazioni giornalistiche e giunge alla conclusione che, se si lavora in spazi più ristretti, il flusso di lavoro migliora. Usher ha fatto una lista di 29 redazioni che dal centro città si stanno trasferendo o hanno già traslocato e venduto i loro stabili in cambio di nuovi spazi. Nello studio vengono analizzati alcuni giornali statunitensi come il già citato Miami Herald, il Seattle Times, il Philadelphia Inquirer, lo Star Telegram, il Boston Globe e USA Today. Per molte redazioni, scrive Usher, il cambiamento offre una doppia opportunità, sia di rielaborare il flusso di lavoro che di cambiare la propria strategia editoriale, dando la priorità al digitale. La maggioranza delle newsroom ha infatti deciso di dare più importanza alle breaking news, accorgendosi che queste non hanno bisogno di molto spazio ma, al contrario, di un layout intelligente che faciliti la comunicazione tra i giornalisti al desk e i reporter. In Texas, ad esempio, lo Star Telegram ha costruito una piattaforma sopraelevata nel centro della redazione – che Usher ha soprannominato “Starship Enterprise” -, per riunire tutti i giornalisti coinvolti nella produzione delle breaking news. Jim Witt, vice presidente e caporedattore del giornale spiega così il concetto alla base di questa decisione: “Lo scopo è stato quello di creare energia e di farne il centro dell’attenzione generale. Volevamo che tutti lavorassero su due schermi per poter monitorare costantemente i social media e altre pagine Web mentre lavoravano. Inoltre abbiamo messo schermi televisivi dappertutto per creare l’atmosfera che ogni attimo irrompono nuove notizie”. Nikki Usher ha parlato con molti giornalisti coinvolti in questi spostamenti. Le risposte in generale sono state positive. Un motivo alla base di questo giudizio favorevole potrebbe essere che, in seguito alla drastica riduzione del numero dei giornalisti, le redazioni erano diventate sovradimensionate e dispersive. Un giornalista del Miami Herald ha dichiarato: “Era demoralizzante guardare attraverso la sala della redazione e vedere file intere di scrivanie vuote. Sembrava non ci fosse rimasto più nessuno”. Anche al Seattle Times il team redazionale era diventato “troppo piccolo rispetto allo spazio a disposizione”, ma in questo caso c’era un ulteriore motivo che ha influito a rendere felice lo staff per il trasferimento. La sede precedente, infatti, era in uno stabile vecchio e fatiscente. I giornalisti hanno dichiarato che gli ultimi lavori di manutenzione erano stati fatti più di dieci anni prima. Lo stabile era ricoperto di vecchie macchie e abitato da scarafaggi, qualcosa che, evidentemente, disturbava i giornalisti durante il loro lavoro. Usher conclude “È ora di dire addio alle antiquate sedi, create nell’era delle redazioni piene di ambizione, quando i profitti fioccavano in maniera tale da giustificare spazi molto più ampi di quelli attuali. Noi abbiamo osservato il cambiamento dall’interno, ora i risultati sono visibili anche all’esterno e a tutti”. Articolo tradotto dall’originale tedesco da Alessandra Filippi Photo credit: Patrick Rasenberg / Flickr Cc Le Monde, di nome e di fatto Secondo un recente studio, spetta a Le Monde il titolo di giornale più cosmopolita d’Europa. I ricercatori hanno analizzato gli articoli di dodici quotidiani di sei paesi europei – Germania, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Austria e Polonia – per stabilire, secondo tre diversi criteri, quali tra questi fossero i più aperti verso l’estero nei loro contenuti. Secondo la ricerca, complessivamente, i giornali dei paesi più piccoli offrirebbero un coverage più internazionale di quelli dei paesi più grandi. Le nazioni meno estese sono infatti spesso più aperte verso il mondo, avendo forti legami culturali, oltre che economici, con altre nazioni. Questa disponibilità al confronto si rispecchia nella copertura mediatica dei loro organi di stampa, come evidenzia la ricerca. Di ogni paese oggetto dello studio sono stati analizzati due giornali: il più autorevole tra quelli di qualità e quello a maggiore tiratura della stampa nel segmento medio/basso. In Germania sono stati considerati Faz e Bild, in Danimarca Politiken ed Ekstra Bladet, in Francia Le Monde e Le Parisien, in Gran Bretagna The Times e The Sun, in Austria Die Presse e Kronen Zeitung, mentre in Polonia Gazeta Wyborcza e Super Express. Nel 2008, il team di ricercatori ha analizzato ben 4587 articoli in tutto. I risultati sono stati pubblicati sull’European Journal of Communication, riassunti da Michael Brüggemann, dell’università di Zurigo, e da Katharina Kleinen-von Königslow, dell’Università di Vienna. Tra i giornali confrontati, è Le Monde la testata che offre la più alta percentuale di reportage dall’estero. Nei servizi del quotidiano francese, infatti, viene la data parola a molti soggetti stranieri e i suoi reportage coprono un’ampia varietà di paesi: gli articoli che si occupano dei cinque maggiori paesi del mondo, infatti, si limitano a un terzo del totale dei reportage internazionali. Il dato del giornale francese è in controtendenza con quelli degli altri quotidiani analizzati: Die Presse, giornale austriaco di qualità, ad esempio, offre molti interventi di ospiti stranieri, ma un terzo di questi sono tedeschi, cosa che riduce notevolmente la diversificazione dei punti di vista. Il peggiore di tutti risulta essere invece il giornale scandalistico polacco Super Express, dove compaiono a malapena soggetti stranieri e quelli che vengono trattati provengono tutti dagli stessi cinque paesi. Il campione è stato assemblato così da comprendere grandi paesi, come la Germania e la Francia, e paesi piccoli, come l’Austria e la Polonia. Nazioni in cui gli abitanti si sentono parte di una comunità internazionale e nazioni dove i cittadini si identificano maggiormente con il proprio paese. Nel confronto tra i sei paesi, secondo l’Eurobarometro, è infatti la Polonia la nazione i cui abitanti si percepiscono in misura maggiore come “cittadini del mondo”, opinione condivisa da ben il 33% dei polacchi intervistati. La Gran Bretagna è, al contrario, il paese in cui meno persone si sentono tali, con solo il 15%. Per stabilire quale fosse il giornale più cosmopolita, i ricercatori hanno individuato tre diversi criteri: la presenza regolare di reportage sull’estero; uno scambio di opinioni transnazionale, che ospiti anche le idee di soggetti stranieri, e la presenza di reportage che siano veramente globali, che sappiano ovvero guardare anche oltre i paesi confinanti e alle grandi potenze planetarie. Per scoprire se le redazioni avessero un orientamento più o meno cosmopolita, invece, i ricercatori hanno intervistato in profondità i capiredattori e i corrispondenti dall’estero delle testate analizzate. A questo proposito, Alain Frachon di Le Monde ha dichiarato: “il nostro obiettivo è raccontare storie di un mondo globalizzato. Trattiamo la Francia all’interno di un contesto di sviluppo globale”. Secondo Brüggemann e Kleinen-von Königslow, questa affermazione mostra chiaramente che i giornali con ispirazione cosmopolita riflettono questa tendenza anche nel modo in cui coprono le notizie di politica interna. Come lo studio dimostra, il fattore decisivo, che denota un approccio davvero cosmopolita, è la linea editoriale scelta dalla redazione. È questa che in definitiva decide la quantità di tempo e di risorse economiche vengano investite nella copertura di notizie internazionali. A influire sulla linea editoriale più o meno cosmopolita, pesa anche la composizione delle redazioni. Tuttavia questa tendenza è direttamente collegata al numero di corrispondenti esteri: i giornali con un linea editoriale più internazionale hanno tendenzialmente un numero maggiore di corrispondenti dall’estero. Questi, a loro volta, interagendosi con la redazione di politica interna, influenzano il giornale e lo spingono ad assumere toni maggiormente esterofili. Agli occhi dei ricercatori viene messa in moto così una dinamica virtuosa come nel caso di Le Monde, che può vantare un copertura internazionale esemplare. Nel 2008, il giornale tedesco Faz poteva vantare, con quaranta collaboratori, il numero più cospicuo di corrispondenti esteri, mentre i giornali scandalistici avevano al massimo uno o addirittura nessun corrispondente dall’estero. Tuttavia l’analisi evidenzia che la distinzione tra giornale di qualità e giornale scandalistico non può basarsi esclusivamente sulla presenza o meno di servizi giornalistici di carattere internazionale. Entrambi gli illustri giornali The Times, inglese, che Politiken, danese, ad esempio, offrono altrettanti pochi contributi dall’estero come i loro equivalenti scandalistici The Sun e Ekstra Bladet. I ricercatori definiscono “preoccupante” che i più illustri giornali di Danimarca e Regno Unito non siano in grado di descrivere efficacemente gli effetti della globalizzazione ai loro lettori. È interessante notare, inoltre, come l’affermazione, sostenuta anche di sovente da molte redazioni, che la copertura mediatica si orienti a seconda degli interessi dei lettori, non è stata di fatto confermata. Ad una popolazione con ispirazione cosmopolita non corrisponde una copertura mediatica altrettanto globale, ma il contrario. Si prenda l’esempio della Polonia, dove molti cittadini si percepiscono come parte di una comunità transnazionale, ma in cui il giornale di maggior tiratura, Super Express, propone un copertura molto regionale. Brüggemann, Michael; Kleinen-von Königslöw, Katharina (2013). Explaining cosmopolitan coverage. In: European Journal of Communication, 28/ 3, pag. 361-378. Articolo tradotto dall’originale tedesco da Alessandra Filippi Photo credits: Hervé Photos / Flickr CC