intimo piacere da solo

Transcript

intimo piacere da solo
Il giorno dopo Munà era impegnata tutto il giorno all’università. Lui si dedicò alla
traduzione di un racconto e approfittò del pomeriggio per andare a salutare Nazìh il
poeta, divenuto anche suo caro amico oltre che del Prof che glielo aveva fatto
conoscere ormai una decina d’anni prima. Dovette lottare per sfuggire ai pressanti
inviti dell’amico che lo voleva trattenere con sé a cena visto che da una paio di
settimane era sparito. Gli tacque che sarebbe partito pochi giorni dopo, altrimenti non
avrebbe avuto scuse. Riuscì ad andarsene sostenendo che quella sera aspettava una
telefonata da Luisa, la fidanzata.
Era vero. Solo che doveva essere lui a chiamare da una cabina telefonica perché nella
stanza di Hàssan non ce n’era la possibilità.
Telefonava a Luisa un paio di volte alla settimana. Lui la teneva al corrente delle sue
ricerche, delle sue traduzioni. Degli incontri con amici, conoscenti, scrittori. Lei
parlava dei suoi esami e della tesi di laurea che stava preparando. Per carattere,
nessuno dei due andava molto sul sentimentale. Specie lì, per telefono.
Anche quella sera gli argomenti furono quelli soliti. Ma… con qualcosa in meno. Fece
mente locale che ultimamente le loro erano conversazioni da cui lui usciva senza il
piacere intimo che gli procuravano anche solo poco tempo addietro. Ora sentiva la
ragazza come distaccata. Reiterava sempre le stesse cose, secondo gli stessi schemi,
quasi con formalità, senza partecipazione. Neanche il fatto di averle sottolineato che
si sarebbero rivisti pochi giorni dopo parve rianimarla. Percependo una quasi
freddezza era stato istintivo per lui chiederle: «Cos’hai? Qualcosa non va? Stai
male?». «No, no. Tutto a posto. Forse sono un po’ stanca». Poco convincente. L’aveva
lasciata riagganciando innervosito.
Aveva chiamato anche sua madre, annunciandole il suo prossimo ritorno. «Finalmente
Igor. Non riesco mai ad abituarmi a questi tuoi viaggi e alle tue lunghe assenze».
Uscendo dalla cabina del telefono col magone provocato da quel senso d’irrequietezza
che le due parole con sua madre non avevano attenuato, cercò di analizzarsi, di
indagare in fondo al suo animo e provare a capire se la sua amicizia – solo amicizia? gli
veniva da chiedersi – con Munà influisse e si riflettesse nell’atmosfera di quelle
telefonate. Nel qual caso poteva dedurre che quel clima percepito nascesse da lui
stesso. Forse dagli inevitabili sensi di colpa provocatigli da questa sua frequentazione
in cui l’aspetto affettivo cominciava a manifestarsi chiaro. Specie nella ragazza, ma da
cui neanche lui si sentiva immune. Motivo di intimo piacere se lo pensava di per sé, ma
anche di turbamento quando lo relazionava a Luisa.
Tuttavia, ragionandoci, realizzò che questa sensazione di apatia nella ragazza – fino a
poco prima ancora indistinta – l’aveva avuta già da prima di conoscere Munà. Era in
Siria dai primi di luglio, finita la sessione estiva d’esami. E già fin dalle loro prime
telefonate aveva provato un qualche vago disagio cui non avrebbe saputo attribuire
una causa chiara. Sentiva Luisa… lontana. Gli parlava, ma non era con lui. E ora quelle
telefonate sembravano esser divenute uno stanco rituale.
1
Stentò ad addormentarsi su queste considerazioni. Poi entrò in uno stato di circa
dormiveglia in cui l’immagine corrucciata di Luisa si alternava ossessivamente a quella
quieta di Munà in una sarabanda di sentimenti che andavano dalla malinconia
all’inquietudine con punte d’angoscia.
La mattina si svegliò spossato di buonora. Era il penultimo giorno di agosto. Venerdì,
giorno festivo, per cui sperava che Munà si fosse fatta viva fin dalla mattinata.
Disteso a letto prese a riflettere. Conosceva Munà da tre settimane. Due giorni dopo
lui doveva partire. Due giorni che – di prammatica – erano riservati a salutare un bel
po’ di gente, comprendendo pranzi e cene coi più intimi e le dure battaglie per
giustificarsi con gli esclusi dalla visita conviviale. Ma questa volta il giovane aveva
deciso di ‘sparire’ per tutti. Sarebbe stato solo per Munà. Fino a quel momento
nessuno dei due aveva ancora accennato all’evento della partenza e al conseguente
distacco, anche se inevitabilmente era inchiodato nella mente di tutt’e due. Ormai
l’affetto reciproco stava montando. «In amore?», si chiedeva Igor. Osservando come
lo guardava Munà, come lo cercasse in tutti i momenti possibili, egli pensava, si
lusingava, temeva, che ormai fosse proprio così per la ragazza. E per lui? Riflettendo
realizzava che anch’egli ormai gioiva solo quand’era con lei. E che l’idea di dover
partire gli stava procurando un forte senso d’accoramento.
Sicuro ormai del mutuo sentimento che li legava, Igor faceva mente locale sul fatto
che nessuno dei due l’aveva ancora manifestato apertamente all’altro. Igor era
frenato dai suoi scrupoli. E considerava che i freni di Munà potessero derivare
dall’educazione e dal suo carattere schivo. Il massimo a cui erano giunti fino ad allora
si limitava all’incontro di mani con le mani – specie lei – e, evoluzione recente, i quasi
formali bacio e abbraccio di saluto.
S’alzò con un certo sforzo, nell’idea che la ragazza giungesse presto e lo trovasse
ancora a letto.
Dovette sopportare la propria impazienza, e anche un certo timore che lei fosse in
qualche modo impedita, fino a metà pomeriggio. Come suonò il campanello, scattò dal
divanetto, dove stava distratto credendo di leggere il giornale, subito rincuorato.
Munà gli parve radiosa. Come si chiuse la porta dietro ci furono i due baci formali sulle
guance, ma subito lei gli si strinse addosso di slancio come non aveva mai fatto. «Mi sei
mancato, Igor, habìbi, amor mio». Igor sentì i seni di lei premere sul suo petto. La
tenera sensazione gli fece cadere le barriere psicologiche, gli scrupoli e non seppe
trattenersi. A sua volta la strinse cercandole la bocca. Che trovò bramosa di trovar la
sua. Fu un bacio interminabile, tra guizzi di lingua da parte di lui e un certo statico
impaccio da parte di lei. Un bacio cui nessuno dei due pareva voler por fine. E quando
le labbra si staccarono, non si staccò l’abbraccio. «Non ce la facevo più a star senza
vederti. Da due giorni ho sognato questo momento. Igor, baciami ancora ». Le labbra si
ritrovarono in un’ebbrezza di felicità che li portò verso il letto dove si sedettero.
Munà gli prese la mano e se la portò al cuore: «Senti come batte». Il palmo della sua
2
mano non percepì il battito del cuore, distratto dal seno morbido che lo spinse a
sfilarle delicatamente la blusa. E poi il reggiseno. Lei, gli occhi chiusi e l’ombra di un
sorriso, lasciava fare agevolandolo. E si lasciò baciare sospirando: «Habìbi, habìbi».
Attimi dopo, lo allontanò con dolcezza. Si alzò e lentamente prese a sfilarsi i pantaloni,
senza guardarlo, senza ombra di civetteria, ponendo sulla sedia l’indumento.
Stordito, Igor ne seguiva i movimenti, certo di sognare. Non poteva essere vero. Ma
era vero.
Poi Munà si rivolse a lui, ch’era rimasto seduto sul letto, e prese a sbottonargli la
camicia. Igor realizzò finalmente ch’era tutto vero. E non provava l’imbarazzo che
avrebbe potuto immaginare solo poco prima in una tale situazione.
Ma, quando lei gli si sdraiò supina accanto e fece per attrarlo a sé, lui ebbe un moto di
reazione. «No. Non voglio farlo. Per te, Munà». E lei, sussurrando: «Igor, ti prego. Non
impermalirti. Non sono vergine. Viviamo assieme questo meraviglioso momento. Poi ti
dirò».
Meraviglia, stupore, sorpresa. Delusione? No. Meraviglia.
Prevalse la meraviglia e non si oppose quando lei gli prese la testa per baciarlo.
Si svegliarono abbracciati ch’era quasi buio. Si rivestirono in silenzio nella penombra,
sorridendosi. Igor cominciava a provare il solito rammarico di quando lei doveva
andarsene. Di solito, proprio con la prima oscurità. E quella sera accentuato. Ma…
«Igor, mi piacerebbe bere un bicchiere di birra con te». «Non devi andartene?».
Sorrise. «No. Ho voluto farti una sorpresa. E finora non avevo avuto modo di dirtelo –
risatina – ho detto ai miei genitori che sarei andata alla festa di compleanno di
un’amica e che sarei rientrata dopo cena. Ti spiace?». Il rammarico s’involò, lasciando
il posto ad una inaspettata gioia. L’abbracciò stretta. «È il secondo gran regalo che mi
fai oggi». «Non ti ho fatto alcun regalo. Me li son fatti a me», ribatté seria,
stringendolo a sua volta.
Felice, Igor uscì tornando poco dopo con un paio di bottiglie di birra, fatàyer, le
pizzette a barchetta di carne e verdure, un piatto di shawùrma col corredo di crema
d’aglio e sottaceti, e un pacco di raghìf di pane. Come lo vide carico lei batté le mani.
«Bravo Igor, bravo habìbi». Aveva preparato il tavolino usando come tovaglia una
kufìyya. Lo aiutò a distribuirvi sopra cibi e bevande.
Mangiarono in allegria, spazzolando tutto.
Poi continuarono le loro birre seduti sulle poltroncine, chiacchierando come quel loro
straordinario momento non dovesse aver fine.
Fu lei ad affrontare il discorso: «Ti sarai chiesto come mai non sia più intatta. Ed è
chiaro cosa si possa pensare di una ragazza in questo caso, al di là dei giudizi morali. E
cioè che… l’ha già fatto. La mia storia è banalmente diversa. Credimi. Ti va che te la
racconti?». «Certo, se lo ritieni opportuno». «Sì. Mi sembra giusto dirtelo. Parto da
lontano. Tu sai quanto sia importante per le ragazze arabe giunger vergini al
matrimonio. Ne va del loro onore e di quello delle loro famiglie. Esibire il lenzuolo
macchiato di sangue dopo la prima notte di nozze da parte della madre della sposa era
3
uno spettacolo consueto fino a poche decenni fa, mi si dice. Sembra che nelle
campagne perduri. Senza arrivare a tanto, anche ora il pensar comune mantiene questa
opinione. Al punto che se una ragazza perde la verginità prima di sposarsi può trovarsi
costretta a quell’intervento di ricucitura per ripristinare la situazione intesa
‘naturale’. Quell’operazione di ‘re-verginizzazione’ che chiama le ragazze che l’hanno
subita ‘vergini medicalmente assistite’ – Munà rise – l’ha fatta una mia cara amica per
non rischiare di perdere il suo fidanzato, dopo essersi lasciata andare con un amore
precedente che poi era finito. Per me è stato diverso. E sostanzialmente incolpevole.
Il fatto di non essere più vergine l’ho scoperto casualmente un anno fa nel corso di una
visita ginecologica di controllo. La dottoressa mi aveva chiesto se avevo mai avuto
rapporti sessuali completi. Al momento preoccupata, risposi di no. “Lei non è vergine”,
mi informò, mettendomi in ambasce. Come poteva essere successo? mi chiedevo. “Ha
fatto qualche sport tipo ginnastica artistica o simili”. No, mai fatto alcuno sport. “Si
ricorda se da bambina qualche uomo di famiglia l’abbia toccata?”. Non mi ricordavo.
Però m’è venuto in mente che, sì, da bambina avevo qualche volta giocato, come si dice,
‘ai dottori’ con un cuginetto di qualche anno più di me. Mi aveva toccata un po’ di volte.
E ricordo che una volta m’aveva fatto male. Da allora avevo rifiutato di giocare ancora
con lui. Poi s’era trasferito altrove con la famiglia e non l’ho più visto. “Probabile che
sia successo così”, aveva concluso la ginecologa. Mi propose di farmi ‘ricucire’ da un
medico amico suo, specializzato in quel tipo d’operazioni. La lasciai dicendole che ci
avrei pensato. Ci pensai e decisi di lasciar perdere, nella speranza di trovare un uomo
che non desse sovverchia importanza alla questione. Ecco, caro Igor, la storia
dell’anomalia. Spero tu mi creda». Lui allungò le mani invitandola a sedere sulle sue
ginocchia. Stettero così in silenzio. Poi: «Ora devo proprio andare. Non puoi
immaginare quanto mi dispiaccia». «Anche a me. Ma ci vediamo domani, comunque». «In
sha’ Allàh. Ti amo Igor. Ti amo troppo». «Non si ama mai troppo. Ti amo anch’io». Si
baciarono, ora timidamente.
La guardò allontanarsi. Lei si girò una volta e sparì all’angolo.
(continua alla prossima)
4