Numero 48 La vergogna è nata in Paradiso Non vergognamoci
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Numero 48 La vergogna è nata in Paradiso Non vergognamoci
“ARRIVANO I NOSTRI ” Distribuzione gratuita Bollettino periodico dei giovani da 8 a 98 anni S . P i o X - Balduina www.sanpiodecimo.it Numero 48 APRILE-MAGGIO 2012 Anno VI° La vergogna è nata in Paradiso Non vergognamoci della nostra Fede Un nemico di nome vergogna La vergogna di vivere senza virtù e senza coscienza Canzone della vergogna per Alì Dalla vergogna al rimorso, al pentimento, alla conversione La vergogna di una giovane maestra Non nominare il nome di Dio invano ! La vergogna Africa Express: Ben Bellà, il leone d’Algeria Aborto legale: la soluzione di chi non vuole vedere Il viaggio del Papa in Sud America 30 anni di sacerdozio per il nostro parroco ! STAZIONE SAN PIETRO a cura di Sandro Morici UN PELLEGRINO DELLA CARITà CHE SALUTA... COL SOMBRERO! Il Papa ha recentemente fatto visita alle popolazioni del Messico e di Cuba, ove ha trascorso “giorni indimenticabili di gioia e di speranza” e dove ha “voluto abbracciare idealmente l’intero continente dell’America Latina”. Un continente ove permangono segni cruenti di violenze e di ingiustizie sociali, al quale, malgrado tutto, il Santo Padre, sulle orme del beato Giovanni Paolo II, continua a rivolgere un augurio affinché si costruisca “nella comunione ecclesiale e con coraggio evangelico un futuro di pace e di fraternità”. Giá, durante il volo di andata, Benedetto XVI aveva spiegato ai giornalisti i significati profondi del suo pellegrinaggio: “…è grande responsabilità della Chiesa educare le coscienze, educare alla responsabilità morale e smascherare il male, smascherare questa idolatria del denaro, che schiavizza gli uomini solo per questa cosa; smascherare anche le false promesse, la menzogna, la truffa, che sta dietro la droga. Dobbiamo vedere che l’uomo ha bisogno dell’infinito….” E il messaggio si é reso ancora piu’ esplicito attraverso l’omelia rivolta ai vescovi del Messico e dell’America Latina, tenuta il 25 marzo a León nella cattedrale della Madre Santissima della Luce: “…Attendevo con grande desiderio questo incontro con voi, Pastori della Chiesa di Cristo che peregrina in Messico e nei diversi Paesi di questo grande Continente, come un’occasione per guardare insieme Cristo, che vi ha affidato il prezioso compito di annunciare il Vangelo in questi Paesi di forte tradizione cattolica. La situazione attuale delle vostre diocesi presenta certamente sfide e difficoltà di origine molto diversa. Ma, sapendo che il Signore è risorto, possiamo proseguire fiduciosi, con la convinzione che il male non ha l’ultima parola della storia, e che Dio è capace di aprire nuovi spazi ad una speranza che non delude (cfr Rm 5,5)”. Il Papa cosí ha proseguito: “… La fede cattolica ha segnato in modo significativo la vita, i costumi e la storia di questo Continente, nel quale molte delle sue nazioni stanno commemorando il bicentenario della propria indipendenza. È un momento storico nel quale ha continuato a splendere il nome di Cristo, arrivato qui per opera di insigni e generosi missionari che lo proclamarono con coraggio e con sapienza. Essi donarono tutto per Cristo, mostrando che l’uomo trova in Lui la propria consistenza e la forza necessaria per vivere in pienezza ed edificare una società degna dell’essere umano, come il suo Creatore l’ha voluto. L’ideale di non anteporre nulla al Signore e di far penetrare la Parola di Dio in tutti, servendosi delle caratteristiche proprie e delle migliori tradizioni, continua ad essere un prezioso orientamento per i Pastori di oggi”. Benedetto XVI ha quindi richiamato, con puntuale e analitica sequenza, le tante iniziative da sviluppare ”nell’Anno della fede”, in termini di rinnovamento ecclesiale, di attivitá pastorali, di opere di evangelizzazione, di vicinanza ai sacerdoti, di attenzione ai laici impegnati nella catechesi e negli ambiti sociali. Ed ecco la parte conclusiva dell’omelia: “Con questi fervidi auspici, vi invito ad essere sentinelle che proclamano giorno e notte la gloria di Dio, che è la vita dell’uomo. Siate dalla parte di coloro che sono emarginati dalla violenza, dal potere o da una ricchezza che ignora coloro ai quali manca quasi tutto. La Chiesa non può separare la lode a Dio dal servizio agli uomini. L’unico Dio Padre e Creatore è quello che ci ha costituiti fratelli: essere uomo è essere fratello e custode del prossimo. In questo cammino, unita a tutta l’umanità, la Chiesa deve rivivere ed attualizzare quello che è stato Gesù: il Buon Samaritano, che venendo da lontano si è inserito nella storia degli uomini, ci ha sollevati e si è prodigato per la nostra guarigione. Cari Fratelli nell’Episcopato, la Chiesa in America Latina, che molte volte si è unita a Gesù Cristo nella sua passione, deve continuare ad essere seme di speranza, che permetta a tutti di vedere come i frutti della Risurrezione raggiungono ed arricchiscono queste terre. Che la Madre di Dio, invocata con il titolo di Maria Santissima della Luce, dissipi le tenebre del nostro mondo e illumini il nostro cammino, affinché possiamo confermare nella fede il popolo latinoamericano nelle sue fatiche e speranze, con fermezza, con coraggio e con fede ferma in Colui che tutto può e tutti ama fino all’estremo. Amen.” L’invito del Papa alla speranza non si é tuttavia fermato all’Episcopato di quella Regione, perché incontrando i bambini nella piazza della Pace di Gunajuato, cosí li salutava: “Sono felice di potervi incontrare e di vedere i vostri volti allegri che riempiono questa bella piazza. Voi occupate un posto molto importante nel cuore del Papa. E in questo momento desidero che lo sappiano tutti i bambini del Messico, particolarmente quelli che sopportano il peso della sofferenza, l’abbandono, la violenza o la fame, che in questi mesi, a causa della siccità, si è fatta sentire fortemente in alcune regioni. Grazie per questo incontro di fede, per la presenza festosa e la gioia, che avete espresso con i canti. Oggi siamo pieni di giubilo, e questo è importante. Dio vuole che siamo sempre felici. Egli ci conosce e ci ama. Se lasciamo che l’amore di Cristo cambi il nostro cuore, allora noi potremo cambiare il mondo. Questo e’ il segreto della felicita’ autentica... Sono venuto perché sentiate il mio affetto. Ciascuno di voi è un regalo di Dio per il Messico e per il mondo. La vostra famiglia, la Chiesa, la scuola e chi ha responsabilità nella società devono lavorare uniti perché voi possiate ricevere come eredità un mondo migliore senza invidie ne’ divisioni... Voi, miei piccoli amici, non siete soli. Contate sull’aiuto di Cristo e della sua Chiesa per condurre uno stile di vita cristiano. Partecipate alla Messa domenicale, alla catechesi, a qualche gruppo di apostolato, cercando luoghi di preghiera, fraternità e carità. …Vi benedico di cuore e vi invito a portare l’affetto e la benedizione del Papa ai vostri genitori e fratelli, così come a tutti gli altri che vi sono cari. Che la Vergine vi accompagni.” Cosa ci resta da commentare? Il nostro stupore nel vedere il Papa, grande teologo ma al tempo stesso umile pellegrino della caritá, che viene accolto da folle immense, fa il giro col sombrero in testa e si intrattiene con centinaia di bambini festosi. -2- LA VERGOGNA È NATA IN PARADISO don Paolo Tammi La vergogna è nata in Paradiso. Incredibile, ma vero. Dove tutto era di Dio e tutto era dell’uomo. Con le dovute differenze, ci mancherebbe! Dove tutto era comune, dove il comunismo, quello vero, se l’era inventato Dio prima che Marx e Engels riempissero le pagine di ideologia, ebbene proprio lì l’uomo e la donna hanno avvertito per la prima volta la vergogna. Dobbiamo dunque capire che è successo. Si sono vergognati perché? E di che cosa? Qualcuno pensa al costume adamitico – una bella fogliona di fico – che copriva le vergognose nudità. Ecco la vergogna, si pensa. Manco per niente! Qualcuno pensa alla grande paura dell’imminente punizione divina, che portava con sé la melma della vergogna. Forse era così. La realtà è che l’uomo, il primo essere umano, si è vergognato di se stesso. Di quanto era stato stupido. Aveva tutto e ha buttato tutto. Aveva potere, signoria, ricchezza, benessere, cibo e compagnia (quel gran bel tipo di Dio aveva capito che non poteva stare solo e gli aveva costruito una compagna). E cionondimeno perde tutto, per una sciocchezza. L’uomo si rovina quando comincia a dire: è mio! Comincia così già da bambino: mio, mamma! “Mio” significa non suo, non di altri. È l’affermazione più ovvia possibile ma anche la più egocentrica. E se esistono altri attorno a me, me ne accorgo in genere quando ne ho bisogno, quando li uso, quando me ne soddisfo, in maniera anche molto lecita e sobria. Ma li “uso” per me. Gli altri sono miei, guai a chi me li tocca! E quando non mi servono più, possono scomparire. Esisto io. Questo è più o meno ciò che ha fatto la persona umana in Paradiso. Tutto a disposizione sua eppure quell’albero sembrava il più gradevole di tutti. Lo mangia e si accorge di essere nudo. Nudo di che? Nudo di Dio. Nudo dunque di se stesso. Il godimento aveva senso solo perché era Dio la fonte di esso. Solo perché era giusto e saggio godere insieme a Dio e, chissà poi, quanti altri sarebbero nati da quell’unione, che sarebbe cresciuta davanti a Dio. Ma godere con un altro non si può, nemmeno con Dio. E l’uomo Lo perde. Comincia la vergogna. Dunque cosa è la vergogna secondo la Bibbia? È la lucida percezione che tutto (o quasi) è crollato per un inesplicabile atto di appropriazione, di egoismo. È aver capito di avere sbagliato opzione. Questa è la vergogna positiva. Cioè è quella che “sta” ancora davanti a Dio, che è ancora visibile da Dio, offerta a Dio e che chiede con voce roca il perdono. Adamo e Eva il perdono non l’hanno chiesto, anzi si sono accusati l’un l’altro. Non era ancora tempo biblico della richiesta di perdono. Ma in realtà il Dio creatore li perdona. Tutti dicono che li punisce. Che sciocchezza! Li perdona, altro che! Li allontana da dove essi stessi si erano autoesclusi ma offre loro protezione. Dà loro per la prima volta il senso della fatica, del lavoro, dello sforzo. Dà loro ancora una terra. Non una giardino, ma una terra da coltivare si. Non li distrugge, non li umilia nemmeno. Li perdona, in vista di quel perdono definitivo che avverrà attraverso Gesù Cristo. Si vergognano gli uomini ancora? Si vergognano quelli che hanno il senso del ridicolo. Ma guarda un po’ dove mi sono andato a infilare - dicono questi - per la mia sbadataggine, il mio orgoglio, la mia disobbedienza! Il mio tenere le orecchie tappate. Si vergognano e chiedono scusa. Sono i figli e le figlie di Dio che hanno in sé non la perfezione, ma sicuramente la saggezza, quella minima che basta a capire di avere sbagliato, a ritrattare, a ritornare sui propri passi. Il sacramento della Confessione è stato istituito proprio per questo. La sua icona evangelica più bella è il pubblicano che entra al tempio. Fuori è un personaggio rispettato, temuto, forse anche amato (da alcuni) e odiato (da molti altri). Però è uno che non ha bisogno di niente. Non ha risolto tuttavia il problema della felicità. Gli rimane ancora un po’ di lucida coscienza per entrare dentro e dire: abbi pietà di me! E così il Signore si inventa un sacramento, un segno perenne ed efficace attraverso il quale l’uomo si può inginocchiare e dire: chiedo perdono! Quelli che dicono che fanno tutto da soli non hanno capito un tubo. Perdonarsi da soli – cioè compiere il male e poi autoassolversi – è la sciocchezza colossale dell’uomo moderno. Dal suo ego viene il male, dal suo ego si pretende venga anche la cancellazione del male. È davvero ridicolo! Vergognarsi fa bene. Quel che fa male è avere i sensi di colpa distruttivi, è dipendere. È lasciarsi tiranneggiare dai ricatti affettivi. Non lo è vergognarsi. Infatti c’è gente che non si vergogna mai perché si è talmente abituata al male e tiene il punto, convinta che senza mai chiedere scusa si dia affermazione di potenza e si appaia più rispettabili. Il poliziotto che ha sparato su Gabriele Sandri, nonostante una condanna passata in giudicato per omicidio volontario, non ha mai fatto una telefonata alla famiglia per chiedere scusa. Mai. Il diacono di Cagliari che ha diffamato il sottoscritto – e al quale diverse ritrattazioni erano state proposte con lo scopo di evitare un penoso processo - mai ha chiesto scusa. Vedremo nel futuro, se la condanna subita in primo grado gli darà un sussulto di vergogna. Né mai hanno chiesto scusa quelli che l’hanno aiutato. Si vergognano questi? C’è da chiederselo seriamente. Chissà! La vera forza dell’uomo sta nell’umiltà. Solo se si è davvero umili, si superano poi anche i sensi di quell’inferiorità che può derivare da un’umiltà eccessiva e nevrotica. Il senso della realtà purtroppo manca a molti. E questo provoca tante infelicità. Sovrana Viaggi ARRIVANO I NOSTRI Autorizzazione del Tribunale n°89 del 6 marzo 2008 DIRETTORE RESPONSABILE Giulia Bondolfi TERZA PAGINA don Paolo Tammi DIRETTORE EDITORIALE Marco Di Tillo COLLABORATORI: Lùcia e Miriam Aiello, Bianca Maria Alfieri, Renato Ammannati, Alessandra e Marco Angeli, Paola Baroni, Giancarlo e Fabrizio Bianconi, Pier Luigi Blasi, Michele Bovi, Leonardo Cancelli, Alessandra Chianese, Monica Chiantore, Cesare Catarinozzi, Laura, Giuseppe Del Coiro, Gabriella Ambrosio De Luca, Giorgio Lattanzio, Massimo Gatti, Paola Giorgetti, Pietro Gregori, Giampiero Guadagni, Luigi Guidi, Lucio, Rosella e Silvia Laurita Longo, Lydia Longobardi, don Nico Lugli, don Roberto Maccioni, Maria Pia Maglia, Luciano e Luigi Milani, Cristian Molella, Alfonso Molinaro, Sandro Morici, Agnese Ortone, Alfredo Palieri, Gregorio Paparatti, Camilla Paris, Maria Rossi, Eugenia Rugolo, Alessandro e Maria Lucia Saraceni, Elena Scurpa, Antonio Stamegna, Francesco Tani, Stefano Valariano, Gabriele, Roberto e Valerio Vecchione, Celina e Giuseppe Zingale. Numeri arretrati online su www.sanpiodecimo.it OFFERTE Per mantenere in vita il nostro giornale lasciate un’offerta libera in una busta nella nostra casella di posta della segreteria parrocchiale. Chi vuole inviare articoli, disegni, suggerimenti è pregato di inviare mail: arrivanoinostri@ fastwebnet.it (oppure lasciare una busta presso la segreteria) INSERZIONISTI La tua agenzia! -3- È richiesto un contributo di Euro 30 per ogni numero, da lasciare ad un nostro incaricato, oppure in una busta in segreteria, nella cassetta della nostra posta, con un vostro biglietto da visita. STAMPA TIPOGRAFIA MEDAGLIE D’ORO “AFRICA EXPRESS” NOTIZIE E CURIOSITà DAL CONTINENTE NERO a cura di Lucio Laurita Longo BEN BELLà, IL LEONE D’ALGERIA Lo scorso 11 aprile ad Algeri è morto, all’età di 95 anni, Ahmed Ben Bellà. È stato il primo Presidente della Repubblica DemocraticoPopolare di Algeria. Questo nome a molti giovani di oggi dirà poco o niente ma per una intera generazione, quella degli odierni 50enni, rappresenta un mito, una vera icona assoluta della propria giovinezza, rievocando molti ricordi, tutti cementati da un film cult: “La Battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo, girato nel 1966, per celebrare la guerra di Algeria per l’indipendenza del paese dalla dominazione della Francia, di cui era uno dei tanti “dipartimenti d’oltremare”. Il nome di Ben Bellà era, all’epoca, accomunato a quasi tutti i grandi personaggi rivoluzionari in auge in quel periodo, da Che Guevara a Fidel Castro, da Ho Chi Min a Mao Tse Tung, da Malcom X a M. Luther King ma anche a miti pacifisti come Nelson Mandela o il Mahatma Ghandi. Ma chi era esattamente, e cosa ha rappresentato, Ben Bellà? Era nato il 25 dicembre 1916 in un piccolo villaggio al confine con il Marocco, Maghnia, da poverissimi genitori di origine marocchina entrati in Algeria come semplici contadini. Il padre dopo alcuni anni riuscì a migliorare sensibilmente la propria posizione sociale diventando commerciante e permettendo quindi, al giovane Ahmed di poter compiere anche gli studi superiori. Subito dopo fece il servizio militare nell’esercito francese partecipando anche, nel 1944, alla battaglia di Monte Cassino. Tornò in patria alla fine della guerra e trovò, lui come moltissimi altri soldati algerini arruolati nell’Armée de France, le proprie famiglie decimate dai massacri dell’8 maggio 1945, conosciuti come i “fatti di Setif e Kherrata”, in cui furono uccisi centinaia di migliaia di civili che avevano osato protestare contro il governo per chiedere più diritti e più pane. Già da quell’anno i primi ribelli contro il regime che allora governava la nazione, decisero di entrare in clandestinità fondando il Partito del Popolo Algerino che cambiò nome più volte fino a diventare, nel 1949, il CRUA, Comitato Rivoluzionario per l’Unità e l’Azione. Ben Bellà entrò in questo movimento nel 1949 ma dopo pochi mesi viene arrestato per le sue attività, considerate sovversive. Evase dal carcere nel 1952 fuggendo in Egitto per continuare, da questo paese ed insieme ad altri latitanti, la lotta per la libertà nel suo paese. Nel 1956 l’aereo sul quale volava insieme ad altri fuoriusciti per recarsi in Tunisia, con la complicità del pilota francese atterra in territorio algerino dove tutti vengono arrestati e trasferiti in carcere, prima in Algeria poi in Francia. Lì egli rimane fino al 1962, anno in cui, finita la guerra di rivoluzione che ha sancito l’indipendenza dell’Algeria, egli entra ad Algeri a capo dei combattenti per la liberazione ed appoggiato da parte delle forze armate regolari, capeggiate dal colonnello Boumediène. Divenne prima vicepresidente poi presidente della Repubblica del nuovo stato e mai leader di questo paese fu più amato di lui. Per due anni Algeri e l’Algeria divennero la meta prediletta di tutti i giovani europei dell’epoca, innamorati di questo paese e degli ideali, poi rivelatisi utopistici, che rappresentavano per loro. Il 19 giugno del 1965 il suo amico fidato Boumediène lo destituisce con un colpo di stato, incarcerandolo nuovamente. Rimarrà in prigione per oltre 24 anni, subendo condizioni durissime, specialmente nei primi anni, finalizzate all’annientamento della sua personalità ed a farlo dimenticare da tutti. Le guardie carcerarie non potevano mai rivolgergli la parola e lui recitava il Corano, l’unico libro che poteva tenere con sé, per poter sentire la sua voce. In pratica volevano costringerlo a suicidarsi cosa che, però, lui non fece mai. Solo nel 1980 egli, che era stato il primo Presidente dell’Algeria libera ed indipendente, venne graziato dal nuovo Presidente, il più pragmatico Chadli Benjedid, succeduto a Boumediène. Il vecchio leone d’Algeria, anche se ha solo 62 anni, è ormai stremato da oltre 24 anni di carcere e decide di “auto esiliarsi” in Francia e Svizzera dove fonda il Movimento per la Democrazia in Algeria che, però, non riuscirà mai ad avere un grosso peso politico. Nel 1990 decide di rientrare in patria cercando di rivitalizzare, con la sua carismatica presenza, il proprio movimento, partecipando anche ad una tornata elettorale, senza, però, grande successo. Il popolo algerino, che tanto gli doveva per la sua infaticabile e dura lotta per la libertà e la democrazia, ormai non si ricordava quasi più di lui. Si ritira, quindi, dalla politica attiva per dedicarsi alle questioni internazionali dell’area mediorientale, ed in particolare alla lotte per la liberazione della Palestina. Lo scorso 11 aprile è morto in solitudine, assistito solo dalla figlia Mehdia da lui adottata insieme ad un’altra bambina e ad un ragazzo tetraplegico. Unico riconoscimento ricevuto post-mortem è stato quello di essere sepolto nel cimitero monumentale di Algeri, dove riposano tutti i personaggi che hanno fatto grande l’Algeria. -4- Dr. Paolo Gabrieli Dottore Commercialista Revisore dei conti Viale Capitan Casella, 50 Roma Tel. 06.64671016 - Fax 06.56309567 e-mail: [email protected] NON NOMINARE IL NOME DI DIO INVANO! Alessandra Angeli La mia casa affaccia su un parco: da quando è stato attrezzato a verde pubblico, a parte il degrado in cui viene mantenuto da chi di dovere, ne subisce un altro. I giovani che la frequentato bestemmiano con molta facilità, come intercalare o durante furiosi litigi. Lavorando spesso a casa, ogni tanto mi arrivano queste staffilate: allora mi sento avvampare, il calore mi sale dalle gote alle orecchie e ho un momento di gelo, rimango come immobilizzata. Da una parte la vergogna dell’offesa recata al Signore; dall’altra la mia vergogna, dovuta al fatto di sapere di dover intervenire ma avere timore. Allora, dopo una preghiera di riparazione, una volta sono uscita sul terrazzo e, gridando per farmi sentire a sufficienza, ricordo di aver detto più o meno: “Non bestemmiate, non ce n’è bisogno; se non volete farlo per Lui, fatelo almeno per voi...” Sarà stato l’esempio materno, perché mia madre è una che fa così, ma quella volta ce l’ho fatta. Hanno smesso di litigare e se ne sono andati a testa bassa, non mi hanno nemmeno risposto. Spero in futuro di riuscire sempre a dare testimonianza, ad aiutare chi veramente “non sa quello che fa”, superando la vergogna, ma vergogna poi di che? La vera vergogna sta nel vedere la gioventù così abbrutita, senza rispetto nemmeno per il Creatore; forse nessuno gli ha mai parlato veramente bene di chi sia Gesù Cristo, della Madonna. Della lotta spirituale tra bene ed il male. Il degrado di parte della chiesa (altra vergogna), inaridisce e disperde le loro anime, squarcia loro il cuore; il marciume dei massmedia (altra vergogna), martellandoli senza tregua, li disorienta e li trascina via come il pifferaio di Hamelin. E non sanno che ad ogni bestemmia ti si appiccica uno strano figuro che passandoti un braccio intorno alle spalle, ti porta verso il buio. Vergogna questo mondo occidentale, ammosciato dal benessere degli ultimi decenni, che ha tirato su dei giovani confusi e senza validi riferimenti. Che il Signore abbia misericordia di loro, nati in tempi in cui la vita non è mai stata così comoda, ma così difficile da vivere. DIECI COSE CHE DIO TI CHIEDERà Dio non ti chiederà che modello di auto usavi, ti chiederà a quanta gente hai dato un passaggio Dio non ti chiederà i metri quadri della tua casa, ti chiederà quanta gente hai ospitato. Dio non ti chiederà la marca dei vestiti nel tuo armadio, ti chiederà quanta gente hai aiutato a vestirsi. Dio non ti chiederà quanto alto era il tuo stipendio, ti chiederà se hai venduto la tua coscienza per ottenerlo. Dio non ti chiederà qual’era il tuo titolo di studio, ti chiederà se hai fatto il tuo lavoro al meglio delle tue capacità. Dio non ti chiederà quanti amici avevi, ti chiederà quanta gente ti considerava amico. Dio non ti chiederà in che quartiere vivevi, ti chiederà come trattavi i tuoi vicini. Dio non ti chiederà il colore della tua pelle, ti chiederà la purezza della tua anima. Dio non ti chiederà perché hai tardato tanto a cercare la salvezza, Dio ti porterà con amore alla Sua casa in Cielo e non alle porte dell’inferno. Dio non ti chiederà a quante persone hai mandato questo messaggio, ti chiederà se ti sei vergognato di farlo. Dio non accusa, ti chiede solo di predicare con l’esempio. N.B. Trovata su Internet e inviataci da Alfredo Palieri SORRISI a cura di Gregorio Paparatti Codice della strada: Non capisco cosa spinga i moscerini a prendere sempre l'autostrada contromano. Nomi fuorvianti: Perchè si chiama contagocce, se poi le gocce te le devi contare tu? Dall'indovino: - Toc, Toc... - Chi è? – - Ah, cominciamo bene! POWERPOINT s.a.s. Timbri - Targhe- Incisioni Fotocopie B/N e Colori Pulsantiere Citofoniche Stampa sublimazione Via Duccio Galimberti 41-43 Roma tel/fax 0639736980 [email protected] -5- MOMENTI DI VERGOGNA PER LE MIE AZIONI E PER QUELLE DELLA CHIESA Luciano Milani La Redazione della nostra rivista pare sia presa dalla voglia di approfondire ed esplorare il mondo dei sentimenti. Il tema prescelto per l’ultimo numero infatti era sul sentimento dell’incontro: quel che un incontro può suscitare in noi o lasciare nella nostra memoria; la forza di un incontro, aspettato o inaspettato che sia; buono o cattivo. Pare insomma che si voglia scandagliare l’uomo nel profondo della sua psiche. Anche il tema suggerito per il prossimo numero attiene ai sentimenti umani. La parola Vergogna deriva infatti dal latino Verecundia. Ricordo la forte invettiva di Cicerone nella Catilinaria, quando chiama Catilina Homo inverecundus: uomo che non conosce vergogna. La vergogna infatti è un sentimento del disonore che ci viene, o temiamo possa venirci, da nostre azioni o da fatti che comunque ci riguardano da vicino; che induce rammarico del male commesso o ritegno a commetterlo. Io ho forte il ricordo di qualche azione che da piccolo suscitò in me un senso di vergogna di fronte ai miei genitori o ai miei maestri. Ricordo ancora con vivezza di particolari la grande vergogna provata per un piccolo furto commesso ai danni di mia madre all’età di nove anni e subito scoperto dai miei genitori. Ho ancora presente nella memoria la vergogna di fronte al maestro ed ai miei compagni per essere stato pubblicamente ripreso per un compito quasi interamente copiato. Ma più di tutto ancora mi affigge questo sentimento così negativo le molte volte che l’ho provato di fronte al Signore, quando mi sono comportato in modo sconveniente con Lui. Non sono poche le circostanze, nelle quali il mio atteggiamento non è stato del tutto confacente ai suoi precetti e dopo ho provato questo triste sentimento. Ma di recente ho sperimentato la vergogna anche per fatti che non riguardavano direttamente la mia persona, bensì gli organismi per così dire di appartenenza. Rileggendo la storia della Chiesa sono molti i fatti che in me hanno suscitato un senso vivissimo di vergogna. Ne menzionerò soltanto alcuni tra quelli più remoti. Ricordo appena qualche figura di papi dissoluti. Per tutti il personaggio di papa Borgia. La dissolutezza di questo papa spagnolo mi ha lasciato veramente un senso di vergogna disarmante. Solo il pensiero che in ultima analisi la barca della Chiesa è guidata da una mano superiore che imprime la manovra al nocchiero che materialmente la conduce, ha attenuato il mio QUANDO GIORGIO MANGANELLI INTERVISTò DIO! Luigi Milani È di nuovo disponibile, direttamente in formato eBook (libro digitale), Intervista a Dio, un testo pressoché inedito, in quanto apparso di sfuggita diversi anni fa, di Giorgio Manganelli, il grande narratore, critico, giornalista, saggista e traduttore scomparso nel 1990. Sgombriamo subito il campo da pregiudizi o timori di sorta: l’opera del grande intellettuale milanese è certamente singolare, e per certi versi provocatoria. Non a caso, fu l’unica, tra le sue celebri Interviste Impossibili, a incontrare difficoltà di pubblicazione, dipendenti però soprattutto dall’atteggiamento miope e poco coraggioso che a volte contraddistingue anche importanti editori, come quelli con i quali abitualmente pubblicava Manganelli. Ma non è questa la sede per sterili polemiche dietrologiche. Quello che conta adesso è che questa Intervista non sia caduta nell’oblio, a dispetto della sua grande importanza sul disagio ed il mio senso di vergogna di fronte a tanta dissolutezza riscontrata in un Papa. La lotta condotta con tanto accanimento da alcuni papi per affermare il potere incontrastato della Chiesa nella società civile, in certi momenti, ha provocato in me oltre ad un senso di vergogna, anche un certo disorientamento sull’intervento dello Spirito Santo nella elezione del Vicario di Cristo in terra. Ma vergogna hanno prodotto in me anche i gravi atteggiamenti della mia Chiesa e dei suoi rappresentanti in tempi più recenti. Ho vivissimo il senso di vergogna e quasi di smarrimento che produssero in me le forti parole del Card. Ratzinger, fatte gridare nella Via Crucis del 2005 al Colosseo, sulla sporcizia annidata nella Chiesa. E chi di noi cattolici non prova a tutt’oggi vergogna per i fatti gravissimi di pedofilia commessi da sacerdoti e tollerati da qualche vescovo in varie parti del mondo? È verissimo che rapportati alla massa essi rappresentano una minoranza esigua, ma non ci viene insegnato fin dai banchi del Catechismo che la nostra Chiesa è santa e immacolata e come essa devono essere i suoi pastori e rappresentanti? E che dire dell’atteggiamento tenuto dalla nostra Chiesa nei confronti dei nostri fratelli ebrei. Viva è la vergogna che ha suscitato in me l’ostracismo della nostra Chiesa verso questi nostri fratelli. Un senso di sollievo ha provocato in me il documento conciliare Nostra aetate, che finalmente dopo 19 secoli riesce a superare questa cesura tra i nostri fratelli maggiori e la nostra Chiesa. Certo, sono molti i fatti e i personaggi della mia chiesa che provocano in me un senso di vergogna, ma la somma algebrica che appena riesco a fare mi ripaga abbondantemente, considerando quanto più numerosi sono i santi e i martiri che in ogni tempo la hanno popolata. Per mia consolazione mi sfilano davanti gli innumerevoli missionari che hanno portato in tutto il mondo, oltre che la luce del Vangelo, anche la civiltà in generale. E ad attenuare ancor di più fino a farlo sparire definitivamente il sentimento della vergogna per gli uomini della mia Chiesa è oggi la constatazione che i Papi degli ultimi due secoli fino a quello sedente a tutt’oggi sulla sedia di Pietro sono tutti santi. Questa constatazione mi conferma la veridicità della mia fede, che tende ogni giorno a purificarsi dalle scorie del mondo e a risplendere sempre più quale unico faro di verità e di amore tra gli uomini. Abbiamo detto all’inizio che la vergogna è un sentimento. Ebbene, perché sia di utilità a chi lo prova, questo sentimento deve essere seguito da un altro sentimento: quello del pentimento dell’azione compiuta od omessa, che ha dato luogo al primo. Solo allora la vergogna si arricchirà di frutti per chi la prova. fronte letterario e contenutistico. Ma in sostanza di che si tratta, si staranno chiedendo gli amici lettori di Arrivano i Nostri? È presto detto: dopo aver intervistato nell’oltretomba dodici celebri personaggi storici, Manganelli decise di cimentarsi nell’intervista forse più audace e suggestiva, quella a Dio appunto, utilizzando una forma e un approccio altamente sperimentali, senza rinunciare dunque alle caratteristiche innovative che segnano gran parte della sua produzione. Da segnalare che l’opera ha conosciuto diversi adattamenti teatrali, anche in tempi recenti. L’opera si avvale inoltre della preziosa consulenza della figlia di Giorgio Manganelli, Lietta Manganelli, attenta custode della memoria e del vastissimo Corpus delle opere paterne; sua è anche anche la prefazione a questa nuova edizione. Il libro digitale è in vendita al prezzo pressoché simbolico di 1,99 € sul sito Kipple (www.kipple.it) e sui principali negozi digitali (Amazon, Simplicissimus, Bookrepublic, BOL, ecc.). Come accade per tutti gli ebook della casa editrice Kipple, è rigorosamente privo dei “lucchetti digitali” DRM ed è disponibile sia in formato ePub, che Mobi. In altre parole è facilmente fruibile su qualunque lettore digitale, dagli ereader specifici come il Kindle ai tablet come l’iPad, senza dimenticare gli ormai diffusissimi smartphone. -6- LA VERGOGNA DI VIVERE SENZA VIRTù E SENZA COSCIENZA Roberto Vecchione L’uomo che non ha virtù non può essere buono ed è fondamentalmente un egotico. Tale condizione può essere evitata ove ci si comporti secondo le virtù, con particolare riferimento a quelle cardinali ossia la temperanza, la fortezza, la prudenza e la giustizia. La prudenza infatti aiuta la ragione ad operare un buon discernimento e ad individuare i mezzi opportuni per attuare il Bene. La giustizia ci spinge ad occuparci dei diritti degli altri per dare loro ciò che è dovuto. La fortezza poi ci è di supporto nelle difficoltà e ci aiuta a non abbandonare la strada del bene ed infine la temperanza modera l’impeto delle passioni e ci impedisce di usare male i Beni creati e messi a disposizione dell’uomo. San Tommaso sosteneva che l’uomo ha la capacità di riconoscere il Bene ed il Vero, il Male e il Falso attraverso la coscienza, grazie alla quale, si distinguono gli atti buoni da quelli cattivi. Sant’Agostino riteneva che la coscienza altro non fosse che la voce di Dio che parla al cuore dell’uomo. Il filosofo Josef Pieper (1904-1997) (nella foto, ndr.) nel suo saggio “La realtà e il bene” sosteneva invece che l’uomo che vuole compiere il bene, deve tenere conto oltre che della coscienza anche della realtà e del proprio intelletto e deve porre particolare attenzione al sentimento anche se spesso non è affidabile. Personalmente ritengo che colui che minimizza la cattiveria commessa, ne attribuisce la responsabilità alle circostanze ed è eccessivamente indulgente con se stesso, distrugge la propria coscienza e dunque “mette a tacere Dio” e di ciò dovrebbe avere vergogna. L’uomo virtuoso dunque sa usare bene la ragione, ha fede in Dio, sa amare ed è amato e sa distinguere il bene dal male. CORSO PERSONALIZZATO DI INFORMATICA A DOMICILIO sig. ENZO DALLA CHIESA cell. 3483344983 [email protected] LA PORTA VERDE Gianpiero Guadagni Voci, musiche, musiche di voci. Sapeva di amicizia, una calda amicizia complice e confidenziale, la vita che arrivava da quel posto: un giardino chissà, o forse una strada nascosta che lui non conosceva. Un posto che gli sarebbe davvero piaciuto frequentare, e che era lì, a due passi, dietro una porta verde, misteriosa e bellissima. Aveva 13 anni, la prima volta che la vide: era il giorno dell’orale degli esami di terza media, andava di fretta e pensò: la prossima volta mi fermo e busso. In realtà per un bel pezzo non gli capitò più di passare da quelle parti. E neppure di pensarci, a quella porta verde. Se la ritrovò di fronte qualche anno dopo, ebbe un tuffo al cuore, ma stava andando a scuola a vedere il voto della Maturità e pensò: ora proprio non posso, busserò la prossima volta. Trascorse tempo. Iniziò l’Università: tanto studio impegnativo ma anche un senso forte di libertà. Forte e spesso rumorosa, tanto rumorosa che più volte lui passò di fretta davanti alla porta verde senza mai sentire né voci, né musiche, né musiche di voci. Il giorno della laurea, il solito passo svelto e questa volta anche orgoglioso, neppure fece caso alla strada che percorreva. Trascorse altro tempo. Il primo giorno di lavoro: orgoglioso anche stavolta e impaziente di raccontare la sera quell’esperienza alla sua ragazza. Orgoglio e impazienza erano però accompagnate da una strana inquietudine affascinante. Quando passò davanti alla porta verde provò un sussulto antico e nuovo, percepito con altri sensi oltre l’udito. Ma non poteva fare tardi proprio quel giorno e pensò: la prossima volta mi fermo e busso. Ricapitò lì un giorno di settembre luminoso, come la donna che stava per partire da casa sua e fermarsi, in un’altra, con lui. E quel giorno le voci, le musiche, le musiche di voci non le sentiva altrove ma dentro il suo cuore. Trascorse ancora molto altro tempo. Ebbe un nuovo, migliore incarico di lavoro: il giorno dell’insediamento preparò vestito e discorso e salì fiero in auto. Ma in un momento preciso e con forza crescente si impadronì di lui la nostalgia della porta verde, fece marcia indietro ma per andare avanti, la cercò con ostinazione, finalmente la trovò, frenò bruscamente e dolcemente frenò anche il respiro. Abbassò infine il finestrino per mettersi in ascolto con il desiderio incalzante di scendere e bussare ed entrare. Si sentì in quel momento davvero arrivato. Ma un sms al cellulare: “Fai presto, ti aspettano”, gli fece di nuovo alzare il finestrino, riprendere respiro, fare marcia indietro ma stavolta proprio per tornare indietro. Come un rapito dopo il pagamento del riscatto, fu riconsegnato scosso alla realtà. Almeno quella che di solito noi definiamo realtà. Da quella volta si inventò ogni occasione per passare davanti alla porta verde e ascoltare anche solo per qualche secondo quelle voci, quelle musiche, quelle musiche di voci. Un mondo del quale per tanti anni, in qualche modo, si era sentito parte; e del quale ora, all’improvviso, non si sentiva più degno. Troppe volte quella promessa a se stesso: la prossima volta mi fermo e busso… Sarà mai entrato, alla fine? Avrà avuto proprio quel senso di indegnità il potere di farlo andare oltre? Me lo chiedo da anni. Da quando, giovane catechista, raccontai con altri termini più o meno questa stessa storia (perché di storia si tratta, non di favola) per fare incuriosire e innamorare dell’Oltre quei piccoli, capienti cuori che stavano andando ad incontrare Gesù per la prima volta. Non so se qualcuno di loro si è mai ricordato della porta verde. So che io, dopo, ci sono passato davanti tantissime volte: le voci, le musiche, le musiche di voci sono la gioia di un Oltre che sento di dover condividere con chi fatica a sperarci. E per ogni volta che io non ho bussato è come se non l’avessi fatto mai. È questo il mio senso di vergogna, che oggi mi fa passare a testa bassa davanti a quel giovane catechista, alla sua gioia per l’Oltre; a ruoli invertiti, ora è quella porta verde che bussa ogni giorno alla mia vita. -7- SIAMO ALLE SOLITE, SANDRUCCIO! Sandro Morici Se “Telefono Azzurro” fosse stato istituito alla fine degli anni ’40 del secolo scorso, il bambino Sandruccio (cioe’ lo scrivente) ne avrebbe usufruito, presumibilmente a suo vantaggio. È vero, era un ragazzino vivace, biricchino e amante della burla, ma, al tempo stesso, era piuttosto timido e, se rimproverato o colto in flagrante, il suo viso si colorava di rosso vermiglio. Come tanti bambini di quell’età era preso dalla tentazione della trasgressione (infantile, beninteso) ma poi era colto dai sensi di colpa e, a modo suo e con un pizzico di orgoglio, si poneva una domanda troppo grande per lui: “Quanto e’ equa la giustizia umana?”, alias “summum ius summa iniuria” (Cicerone, De officiis). Con queste premesse tentiamo allora di raccontare qualche marachella del nostro marmocchio e come lui l’abbia vissuta. A voi scoprire quale sia stato il suo vero grado di vergogna... Siamo in paese e a quei tempi si giocava per strada: pochi pericoli e, in compenso, tanti ciotoli sparsi qua e là. Verso l’imbrunire tra alcuni ragazzini si scatena una accesa battaglia con l’uso delle fionde per i soliti motivi spontaneamente banali. Sandruccio è impegnato in prima linea: scansa una pietra e ne rilancia un’altra. Sbaglia la mira e colpisce in pieno la vetrina della farmacia posta all’angolo. Un fragore enorme e, mentre i ragazzini si dileguano come saette, mezzo paese accorre incuriosito. Il vecchio farmacista è inferocito e si preoccupa poco delle cause e delle contingenze. Lui chiede subito notizie dell’autore del misfatto perché, essendo molto tirchio, vuole sapere a chi deve rivolgersi per il risarcimento dei danni. Viene ben presto rassicurato che la famiglia ”dell’irresponsabile” è solvibile. Il problema quindi si trasferisce in famiglia e qui comincia il processo a Sandruccio: “Com’è accaduto?, perché non eri rientrato prima?, le sassaiole non sono degne di ragazzi educati come dovresti essere tu, dovrai consegnarci il tuo salvadanaio, pensa alla reputazione della famiglia, ecc.”. La “pecora nera” era cascata vittima del sempre vigile e irremissibile “occhio della gente”: quest’ultimo era infatti uno dei tanti tabù della società rurale di quei tempi. Solo mio nonno, quando la sfuriata fu placata, mi prese per mano e mi sussurrò: “Occorre redimersi. Domani mattina ce ne andiamo in campagna e tiriamo un pò con la fionda: vedrai, è tutta questione di esercizio”. Non passò molto tempo e Sandruccio ne combinò un’altra delle sue. Eravamo in casa dei nonni e si giocava a nascondino. A un certo momento con mio cugino vediamo entrare in bagno la zia Lucilla. Sandruccio propone di interrompere il gioco precedente e di farne uno nuovo: accostare l’occhio sul buco della serratura della porta del bagno per vedere come erano fatti i mutandoni della vecchia zia. E così, un pò a vicenda e in atteggiamento spionistico, cominciamo a fare i “guardoni” scambiandoci commenti sarcastici e risolini maliziosi. Non ci accorgiamo pero’ che dal fondo del corridoio, con le sue ciabatte di feltro, arrivava in silenzio la sorella della zia Lucilla, anch’essa anziana e per di più zitella, con l’aggravante dell’innata insofferenza nei riguardi dei bambini. Questa lancia un grido straziante, così forte che anche il cane e il gatto di casa fanno un gran zompo dalle rispettive cuccie. E lì, presi i due ragazzini per le orecchie e trascinati al cospetto dei nonni è cominciato il processo (beninteso, con diversi pubblici ministeri e senza l’ombra di un avvocato difensore, seppure d’ufficio). Ma ancora una volta il nonno, nella veste di giudice supremo, dava prova di saggezza: condannando aspramente il grave fatto, di cui bisognava vergognarsi profondamente, tuttavia andava evidenziata l’attitudine degli imputati ad una voglia di conoscere il mondo e le sue creature. E aveva previsto bene, perché mio cugino nella vita ha esercitato la professione di medico specialista mentre io ho fatto il ricercatore in un ente tecnico-scientifico. Tornando ora ai ricordi di quell’età gioiosa, mi viene ancora in mente il progetto architettato con un mio compagnetto di scuola, nipote di un sacerdote, che aveva in custodia una chiesa del paese. Si trattava di approfittare della momentanea assenza del prete per impadronirsi della chiave della torre campanaria, entrare dentro e cominciare a tirare le corde delle campane, in modo scomposto, così che suonassero un pò “a morto” e un pò “a festa”. Con quel sistema avremmo fatto accorrere in chiesa un sacco di gente, sicuramente incuriosita o addirittura preoccupata per qualche evento imprevisto accaduto in paese. In effetti il progetto della bravata non fu mai realizzato ma io, che avevo studiato tutti i particolari, sognavo spesso tutto il susseguirsi dell’operazione fino alle estreme conseguenze: mi svegliavo di notte e dal mio sogno vedevo ancora gli occhi puntati contro di me di tutta quella gente arrivata di corsa in chiesa, che, con gesti minacciosi, condannava la burla e chiedeva pubblica ammenda. Ed io, nel dormiveglia, mi vedevo tutto rosso in viso mentre il prete benevolo cercava di placare gli animi cosi’: “Si’, hanno sbagliato e si devono vergognare chiedendo scusa, però dobbiamo riflettere. Ormai che siamo tutti qui, riuniti in chiesa, perché non cogliamo l’occasione per pregare insieme? In fondo c’é stato uno scampato pericolo!” Con quel cenno di perdono il mio sonno riprendeva tranquillo, ma al mattino dopo... la fantasia era di nuovo al lavoro... Poi il tempo e’ passato e passo passo l’ex bambino Sandruccio veniva a conoscenza di ben piu’ gravi vergogne del mondo, come le ingiustizie sociali e le violenze inflitte a popolazioni intere. Ma questa è un’altra storia, una storia da grandi, che riguarda tutti noi. -8- UN NEMICO DI NOME VERGOGNA MI VERGOGNO DI… Maria Rossi Mi vergogno di non saper leggere uno spartito musicale. Vero. A casa di papà una zia era Marco Di Tillo diplomata in pianoforte a Santa Cecilia, una suonava bene il violino, la terza il violoncello Q u a l c h e ma siccome papà (il piccolo di casa) ricordava giorno fa un come un incubo le lezioni di pianoforte che amico mi ha un’amica di famiglia, maestra di pianoforte, detto che, da veniva a dargli e ci raccontava del suo scappaquando in re a nascondersi, non volle che noi imparassiChiesa sono mo. E mamma era d’accordo. Eppure il melostate tolte le mane di casa era lui. Da lui abbiamo imparato grate dai confessionali, si vergo- a conoscere Beethoven e Bach, Mozart e Vivaldi, Smetana e Czaikowski. gna un po’ ad andare a confessarsi. Lui aveva un orecchio eccezionale, lui fischiettava e canticchiava, lui Dice che preferiva il vecchio modo comprava i dischi, e lui e mamma ebbero l’abbonamento a Santa Cecilia con l’inginocchiatoio esterno e, finché poterono andare… Eppure noi, tutte intonate, chi più chi meno, appunto, la grata divisoria, quando non sappiamo leggere le note di uno spartito. Amare la musica non è quele labbra del confessore si intra- sto. È vero. E quando da Fazio a Che tempo che fa ho sentito il giovane vedevano appena, senza distin- direttore d’orchestra Andrea Battistoni affermare senza esitazioni che guersi troppo. Era una divisione studiare il flauto alle Medie fa odiare la musica, mentre sarebbe mille simbolica, in effetti, ma significativa volte meglio far conoscere le biografie dei musicisti e far “ascoltare” la e più “soft” rispetto all’attuale loro musica, ho pensato che avesse ragione, che anche papà avesse dritto per dritto, occhi negli occhi. ragione. È meglio amare la Patetica, sognare con la Pastorale, viaggiare È vero, direte voi, quando si è con la Moldava e ballare con il Bolero… anche se non si conoscono davvero pronti a rendere testimo- le note! nianza a Dio delle proprie azioni, questi dovrebbero essere problemi Mi vergogno di quando ascoltai con gusto una compagna parlar male della madre di un’altra. Vero anche questo. Andavo ancora a scuola dalle già superati. Ma non è così perché, ricordiamoci, suore (la vecchia “S. Maria degli Angeli”), non ricordo se ero in Quinta sempre piccoli e deboli esseri elementare o in Prima media. Due compagne, amiche per la pelle (come umani restiamo, impregnati delle si diceva allora), litigarono e una delle due mi venne a raccontare cose nostre angosce, delle nostre ansie orribili sulla madre dell’altra (orribili e grottesche, anche perché - poi lo e, infine, delle nostre vergogne. seppi – non vere). Ascoltai. Mi sembrava qualcosa di assurdo e il fatto Appunto, la vergogna, il tema di che lo ricordi dopo quasi 50 anni è significativo! Le due fecero pace, fui questo mese del nostro giornalino. messa in mezzo. Ma non fu tanto questo a farmi vergognare, quanto Brutta bestia la vergogna. In l’aver prestato ascolto… molte parrocchie, ad esempio, ci Da allora – grazie a Dio – rifuggo da chiacchiere e pettegolezzi. Sorrido, sdrammatizzo e svicolo. Mi brucia ancora quel ricordo. sono dei centri d’ascolto familiari, a disposizione di tutti. Potrebbe Mi vergogno di quanto ero paurosa da bambina. Ragni, scarafaggi, andarci chiunque a parlare dei scorpioni in campagna erano il mio incubo. Tra le risate di mia sorella che propri problemi che, si sa, possono sul comò nella camera, che condividevamo, teneva sotto formalina una essere davvero un elenco infinito: serpe, per fortuna, morta… Lei si laureò in Scienze biologiche (ovvio!); io la tossicodipendenza del figlio, la mi vergogno ancora un po’ delle mie paure di allora e dei pianti quando perdita del lavoro del marito, lo volavo giù dalla bicicletta e avevo le ginocchia piene di graffi e buchi. stadio di malattia terminale di un Lei… rideva se si faceva male; ma era meno imbranata di me e cadeva parente, l’alcoolismo, la solitudi- molto meno. Però, alla fine, ho imparato ad andare molto bene in bici. ne e chi più ne ha più ne E con il tempo, vergognandomi di…, imparai un minimo a nuotare, un metta.Una persona specializzata è minimo a reggermi sugli sci, un minimo a… fare altre cose. lì a disposizione, in alcuni giorni della settimana, ad orari fissi. Poi, finalmente, è arrivata l’età in cui Eppure spesso sono troppo poche non ci si vergogna più. le persone che approfittano di tale In cui ci si accetta con i propri pregi HOTEL MODIGLIANI servizio. Perché? Risposta facile: e le proprie debolezze, in cui si per la vergogna. La vergogna di sopportano i propri difetti e non si ha farsi vedere da qualcuno che ti paura di dire quello che si pensa. conosce, la vergogna di far Evviva! presente che nella propria fami- È l’età della maturità. Dovrebbe esseglia le cose non vanno così bene re l’età della serenità. come sembra, la vergogna di Oggi mi auguro di non vergognarmi spiattellare ad un estraneo una mai delle mie idee di Fede, di morale verità a volte terribile, che è più e di politica. Vorrei avere - oggi e nel LA TUA CASA AL facile lasciare dentro che tirare futuro - la capacità, senza arroganza fuori. Così, a causa della vergo- né presunzione, ma con chiarezza CENTRO DI ROMA! gna, non ci si apre con qualcuno e fermezza, di difendere sempre i che invece potrebbe aiutare valori in cui credo le persone che Via della Purificazione 42 moltissimo, potrebbe contribuire amo, anche se venissero attaccate e criticate. ad un miglioramento personale e (piazza Barberini) si preferisce mantenere le tristi Oggi mi vergognerei soltanto di non tel.0642815226 - fax 0642814791 realtà all’interno della propria avere il coraggio e la forza di affertesta, del proprio cuore, con il mare quello che penso; di non [email protected] risultato di vedere aumentare dere quelli che ritengo vittime di ingiustizia. Di qualunque ingiustizia l’angoscia, giorno dopo giorno. www.hotelmodigliani.com si tratti. Brutta bestia la vergogna... -9- DAL DIARIO DI UNA VOLONTARIA GUARDA, SOLO LA VERGOGNA ! Giancarlo Bianconi Elena Scurpa Nella mia trentennale esperienza di volontariato nel Policlinico Gemelli di Roma, riaffiorano nella mia mente figure, situazioni, stati d’animo di tanti pazienti che hanno colpito la mia sensibilità e che difficilmente dimenticherò. Bastiano, un contadino ciociaro, precisamente di un paesino vicino a Cassino, è un paziente umile che suscita particolare tenerezza. L’aspetto fisico denota una dura vita di stenti per migliorare una condizione di miseria. È piuttosto restio a parlare per eccesso di timidezza e perché si esprime solo in dialetto a volte poco comprensibile, anche per difficoltà di parola che gli procura una fastidiosa protuberanza alla gola. Ricoverato per sospetto tumore alla tiroide, è docile nel letto e cerca di capire, dall’espressione di chi lo circonda, la natura del suo male. La sua meraviglia è grande quando per incoraggiarlo a parlare, gli dico che sono ciociara anch’io. Il suo viso si illumina e da quel momento divento la sua protettrice e confidente. Mi racconta con nostalgia della sua casetta in campagna, dell’ombra di una quercia secolare, al cui tronco era solito legare due pecore, che per lui rappresentano un capitale accumulato con grandi sacrifici. Si rammarica che anche la moglie non può più accudire alle faccende domestiche sistematicamente, perché si reca spesso a trovarlo. Quanta pietà desta questa situazione! Anche la moglie è una donnetta semplice, spaurita, che sosta per molte ore nel salottino della corsia, in attesa che i medici terminino le visite, per parlare con il marito e ripartire in serata per il paese, non avendo possibilità di pernottare a Roma. Anche lei mi dimostra tanta simpatia, incoraggiata dalla mia disponibilità, si raccomanda di seguire e confortare il marito. Bastiano si sente ormai protetto e aspetta con ansia la mia visita. È diventato più spigliato, più socievole ed ai compagni di corsia chiede spesso se è venuta la sua compaesana. Quanta gioia prova una mattina quando, dovendo sottoporsi ad un’analisi piuttosto dolorosa, mi offro di accompagnarlo; attraversando le corsie, sostenuto dal mio braccio, gioisce dell’attenzione che gli è rivolta. Povero Bastiano! La sua umile condizione di contadino, forse ancora condizionato da residua mentalità medievale, non gli aveva mai consentito di essere trattato con fraterna sollecitudine. Un altro giorno lo trovo molto preoccupato, quasi piangente. Gli chiedo il motivo e mi risponde in dialetto ciociaro “chisti me vonno accide” indicando il personale dell’ospedale. È veramente spaventato perché, a causa di una analisi più approfondita, ha provato la sensazione di soffocarsi. La caposala mi spiega che, nonostante i ripetuti tentativi, non sono riusciti a completare la terapia e pertanto, essendo per il momento migliorata la difficoltà respiratoria, può tornarsene a casa, come è suo grande desiderio, in attesa di un successivo controllo. Bastiano mi dà questa notizia con immensa euforia e nel salutarmi si fa promettere che, se durante l’estate fossi tornata al mio paese, sarei andata a trovarlo; gli avrei portato tanta gioia. «Guarda! solo la vergogna di...». Quando ero piccolo questa era la rituale formula con cui i miei genitori erano soliti dare avvio al commento di un qualsiasi evento men che limpido o, tanto più, disonesto e immorale di cui si veniva a conoscenza dai notiziari diffusi dai mezzi d’informazione di allora: stampa quotidiana e radio. «Ma adesso con che occhi potrà continuare a guardare i propri figli? - proseguivano. Con quale coscienza, mi domando io? E i figli? I figli, come pensi tu che potranno guardare il proprio genitore sorpreso a compiere o comunque resosi colpevole di un’azione indegna?». Eccoli i vocaboli nodali del “bel tempo andato”: “vergogna” e “coscienza”. L e N. de Liguori s.r.l. Agenzia Generale HDI Assicurazioni 00195 Roma- Via Timavo, 3 Tel. 063759141 (r.a.) - Fax 0637517006 [email protected] Oggi, mi domando io, questi due termini hanno ancora un significato, un senso, meglio: hanno ancora una propria concreta effettività nell’odierna vita sociale? Esiste veramente qualcuno che provi ancora il disagioso sentimento della vergogna o crisi seria di coscienza? Ho più di qualche dubbio in proposito. Mi verrebbe perciò spontaneo - dico la verità - rispondermi di “no”. Tali e tanti sono gli scandali di ogni genere compiuti da soggetti di ogni ceto, ordine e grado che, giorno dopo giorno, vengono alla luce in ogni settore della vita sociale, da quello della politica a quello della finanza, da quello della sanità a quello dell’amministrazione pubblica e privata, da quello artistico a quello sessuale a quello sportivo e persino a quello religioso, che, francamente, mi riesce alquanto difficile immaginare che questi si possa ancora provare tal genere di sentimenti. E a questo proposito mi viene in mente un simpatico episodio (che, poi tanto simpatico in fondo in fondo non è, come si vedrà alla fine) avvenuto un giorno mentre ero in fila a mensa. Ad un certo punto un nostro spiritoso collega (questo sì, veramente spiritoso) uscito dalla fila con un sorrisetto sulle labbra si era messo a contare ciascuno di noi. Chiaramente, tutti lo stavamo osservando incuriositi, e anche un po’ divertiti conoscendo il soggetto. Mi parve naturale a quel punto domandargli cosa stesse facendo. E lui: “sto contando quanti ladri, stupratori, falsari, truffatori... quanti malfattori, insomma, ci stanno adesso qui fra di noi in attesa di sedersi a tavola. Ho letto sul giornale, infatti, che da una indagine compiuta da uno dei tanti istituti di ricerca che adesso vanno così di moda, risulta che in Italia esiste un ladro ogni sette cittadini, uno stupratore ogni cinque, un omicida ogni venti, e così via; per cui vedi, lui (indicando un altro collega) è un ladro, lei è una stu... no, lei no, lei non può essere ma lui sì (indicando il collega che le stava accanto), lui sì che è uno stupratore...”. L’episodio, come è ovvio, si concluse con una risata generale. Benché veramente spiritoso il modo con cui era stato condotto, l’episodio in sé stesso tuttavia rivelava in fondo in fondo una verità tutt’altro che simpatica, anzi alquanto sconcertante e, soprattutto, preoccupante. Ed è questa la ragione di tanti miei dubbi nel dare una risposta affermativa al dubbio rappresentato poc’anzi. Un tempo si provava vergogna pure per il solo fatto di aver potuto “anche solo concepire” l’idea di compiere un’azione appena-appena biasimevole. E ci si andava di corsa a confessare: “padre, ho fatto un brutto pensiero, ho ...”. Ma oggi? Oggi direi che la vergogna o la coscienza la si prova e la si sente solo quando il vantaggio ricavato dal compimento di un’azione riprovevole è decisamente inferiore, o addirittura nullo, rispetto a quello sperato. “Vergogna”, in particolare, è un’espressione che di tanto in tanto mi capita di udire solo da qualche mamma che l’impiega per rimproverare il proprio figlioletto macchiatosi di qualche piccolo capriccio, o per qualche disobbedienza o per qualche altro banale fatterello tipico della tenera età. E tutto ciò ha un comune denominatore? Personalmente ritengo di sì: l’avidità. L’avidità di denaro in particolare, a mio parere, generata dall’infinito egoismo di ciascun individuo. Se infatti ci si interessasse meno di sé stessi e un po’ più del prossimo, delle sue tribolazioni e dei suoi bisogni e se ci si attivasse seriamente e fattivamente per alleviare situazioni di disagio di ogni genere, se si fosse meno egoisti in altri termini, gli scandali di cui ci giungono notizie tutti i santi giorni farebbero registrare una più che decisiva flessione. È un’utopia questa mia? Chissà! well di Nicoletta Palmieri CENTRO ESTETICA & BENESSERE Via Lattanzio 1/a - 00136- Roma tel. 06 39751438 - Cell. 3384724534 www.esteticanicolettapalmieri.it [email protected] - 10 - NON VERGOGNAMOCI DELLA NOSTRA FEDE Cesare Catarinozzi La vergogna emerge nei nostri momenti di maggiore vulnerabilità. Più mi apro all’altro e più ho la possibilità di essere compreso, ma anche di essere ferito. Le situazioni di vergogna comportano sempre l’esposizione allo sguardo altrui. Uno dei sogni tipici legati alla vergogna è l’imbarazzo per la propria nudità. In questo tipo di sogno non sono gli altri a farci notare la nostra nudità, sembrano invece non accorgersene. Quasi sempre le persone davanti alle quali ci si vergogna sono persone estranee. Secondo Freud i sogni di nudità sono sogni di esibizione, mentre per Fromm il corpo nudo rappresenta il nostro vero Io e gli abiti il nostro Io sociale. Il desiderio che si nasconde dietro questo sogno è quello di essere veramente se stessi, mentre l’imbarazzo provato potrebbe riflettere il timore di essere disapprovati dagli altri, se si vuole essere apertamente se stessi. Sognare di essere nudi in pubblico, tra l’indifferenza della gente, può indicare la necessità di abbandonare le nostre paure di essere rifiutati. Viviamo in una società laicista e ampiamente secolarizzata: gli abiti sociali sono il conformismo, l’agnosticismo, il disinteresse per il senso della vita. Ma se il nostro vero Io si pone le domande: “Chi siamo?” – “Da dove veniamo?” – “Dove andiamo?”, si interroga sul mistero della vita e della morte, allora la vergogna non può più essere un alibi, dobbiamo testimoniare con forza il nostro modo di essere. Può veramente essere nato tutto dal caso? Penso che anche l’ateo più impenitente tremi difronte a questa domanda. Spetta a noi testimoniare con forza e senza vergogna alcuna il nostro punto di vista. In verità anche all’occhio più miope appare difficile negare quella che Tiziano Terzani chiama “una mente pensante”. Ma Terzani, rivolgendosi al figlio, sostiene che a questa mente pensante chi vuole può mettere la barba e chiamarla Dio. Un concetto molto astratto. Come non credere piuttosto in un Dio – Persona, si chiami Allah, Zoroastro… Ma quale Dio è più persona di quello cristiano, fattosi uomo per la nostra redenzione, nato nel grembo di una donna? Se crediamo questo, dobbiamo testimoniarlo senza vergogna alcuna. “Chi si vergognerà di me – dice Gesù – il Padre mio si vergognerà di lui”. Occorre svestirsi di quelli che Fromm chiama gli abiti sociali e mettere allo scoperto il nostro vero Io. L’esempio più bello ci viene forse da S. Francesco. Il poverello d’Assisi mai si vergognò di essere considerato un pazzo o almeno uno stolto, ma andò avanti fino in fondo per la sua strada, affrontando le umiliazioni con serena letizia. Per questo fu chiamato “alter Cristus”. Quando S. Paolo parlò all’Areopago di Atene non si vergognò di proclamare la Resurrezione, nonostante i presenti gli ridessero in faccia. CANZONE PER ALì Italo Spada Non aver visto in quelle rughe le fauci dell’onda che ha ingoiato i tuoi sogni non aver capito che la tua mano era àncora di zattera in cerca di salvezza non aver sentito nella tua voce la malinconia del griot che narrava antiche leggende non aver dipinto sulla tua pelle d’ebano lucente i mille colori dell’arcobaleno LA VERGOGNA È UN MURO DIETRO AL QUALE NASCONDIAMO NOI STESSI Monica Chiantore Partiamo da questo presupposto: l’essere umano ha la ragione, strumento conoscitivo che lo differenzia dagli altri animali del mondo in cui vive. La vergogna è un sentimento che nasce dal cuore, si, ma che proviene anche dal nostro cervello. É l’avvertimento di qualcosa che ci sta scomodo, entro il quale ci sentiamo a disagio. É un muro che alziamo e dietro al quale nascondiamo noi stessi. Pensiamoci: un cane non si vergogna, non prova pudore a fare i suoi bisogni per strada, a “provarci”, se è ammesso usare tale verbo per un animale, con qualche cagnolina con la quale ha avuto un colpo di fulmine. Noi genere umano siamo molto complicati. Tendiamo un po’ a perdere quella naturalità dei nostri sentimenti, delle nostre emozioni e delle nostre necessità. Superare la vergogna di un gesto, di una situazione, di una qualsivoglia cosa, vuol dire iniziare a fare le cose in maniera più spontanea. Vuol dire essere più noi stessi. Attenzione però, bisogna tener conto che tra vergogna e pudore vi è una linea abbastanza spessa che divide due modi di essere molto diversi tra loro. Essere vergognosi non vuol dire non essere spudorati! Una buone dose di pudore è sempre buono mantenerla e conservarla. - 11 - non aver diviso con te all’ombra d’una palma il pane della mia bisaccia non aver tolto la sabbia che il ghibli del deserto ammassa sul tuo cuore berbero non aver pensato al tuo e mio fratello che sconfinò in Egitto duemila anni or sono è questa, Alì la pioggia di piccoli sassi che s’è fatta macigno e impasta la mia Vergogna! Ma la vergogna è bene iniziare ad affrontarla, a guardarla in faccia e con un bel sorriso convincerla a farsi da parte. Prendiamo per esempio chi si vergogna di credere. Chi tiene in un cassetto del proprio cuore i pensieri e le proprie profonde convinzioni, la propria fede i propri talenti. E non li tira fuori per ché si vergogna e ha paura. Se da una parte abbiamo una dose di pudore, forza e coraggio con una dose di sana e giusta “sfacciataggine”! In senso buono, ovviamente. Parlo di un bicchiere pieno di energia e forza d’animo, per far sentire la voce dei propri pensieri, del proprio cuore. É giusto che ognuno di noi liberi in un volo alto e leggero le proprie idee. Le idee non hanno gambe, hanno ali, altrimenti non riuscirebbero mai a scavalcare quel muro che ogni tanto ci blocca, che a volte ci impedisce di mostrare ciò che i nostri occhi nascondono, che spesso ci fa arrossire. Quel muro appunto chiamato vergogna. RENÉ GIRARD: MIMETISMO E VERGOGNA Renato Ammannati René Girard è oggi uno dei più celebrati pensatori cristiani. Nato ad Avignone il giorno di Natale del 1923, si trasferisce dopo la guerra negli Stati Uniti e nel 1981 approda all’Università di Stanford, dove ha insegnato fino alla fine della sua carriera universitaria. Nel 1961 Girard pubblica un saggio dal titolo Menzogna romantica e verità romanzesca. Tema centrale è l’indagine intorno al desiderio dell’uomo, che per lo studioso francese è sempre mimetico, cioè imitativo. In questa prima opera ed in una seconda pubblicata due anni dopo (Dostoevskij. Dal doppio all’unità), Girard pone le basi per l’individuazione del rapporto fra psicologia e religione, fondato sull’assolutizzazione del desiderio umano. È tuttavia con La violenza e il sacro, pubblicato nel 1972, che si ha un notevole avanzamento nella formulazione della teoria mimetica. Da questo momento, infatti, la ricerca girardiana viene proiettata nella dimensione antropologica. Ispirato a quanto pare da alcuni suoi colleghi, Girard studia la letteratura etnologica che lo porta a formulare tre ipotesi fondamentali fra loro collegate: un certo tipo di desiderio conduce alla violenza e questa violenza, nella dimensione comunitaria, è risolta attraverso il meccanismo del capro espiatorio (o meccanismo vittimario). Esso è radicato a tal punto nel comportamento umano che è individuabile nei miti e nei riti religiosi delle culture di qualsiasi epoca e di qualsiasi parte del pianeta. Il capro espiatorio, una volta ucciso, crea il «sacro», in altri termini il religioso arcaico. Da queste incursioni nel terreno antropologico, Girard riporta risultati di incalcolabile valore. Essi conducono alla formulazione di un’ipotesi che diventerà il fondamento della sua teoria generale: tutte le forme culturali umane, più o meno complesse, hanno all’origine un avvenimento tremendo da cui l’uomo, in una qualche maniera, cerca di tenersi lontano. Tale avvenimento non è posto tuttavia solo all’origine di tutte le forme culturali ma si situa addirittura a fondamento dell’intera storia umana. Sulle idee elaborate in La violenza e il sacro nasce il suo secondo capolavoro letterario e scientifico, Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo. Con quest’opera Girard amplia ulteriormente il campo di ricerca, poiché finisce per confrontarsi con la Scrittura biblica, con lo scopo di dimostrare la validità della sua teoria anche per l’interpretazione dei testi giudaico-cristiani. Qui però l’indagine giunge ad un punto di svolta. La figura di Gesù Cristo, IL VALORE DELLA VERGOGNA Alessandra Chianese Il dizionario della lingua italiana recita: “Vergogna – Turbamento dello spirito di chi ha commesso o sta per commettere un atto disdicevole”, A dirla tutta, c’è anche un altro significato che i timidi come me conoscono molto bene: è quell”imbarazzo che impedisce, a vari livelli, di esprimere sentimenti, di parlare in pubblico, di far valere le proprie ragioni, che arrossa le guance o blocca le parole. Ho impiegato una vita a tirar fuori un po’ di spavalderia e a superare la frase tipica “No, non lo dico. Mi vergogno!”. Non è a questo, però che mi riferisco. Voglio tornare al primo significato, a quel turbamento della coscienza che sembra aver perso diritto di cittadinanza nei giorni in cui stiamo vivendo l’apice di una crisi che non è solo economica, ma anche e soprattutto morale. Siamo in una situazione un po’ paradossale in cui, a volte, si potrebbe pensare di trovarsi sul set di qualche commedia italiana degli anni ’70, quelle un po’ “trash” che piacciono tanto a Quentin Tarantino. particolarmente nel momento della Passione, costituisce il centro dell’antropologia apocalittica girardiana: Cristo è venuto a rivelare ciò che era posto alla fondazione del mondo, cioè il sacrificio della vittima innocente a causa del desiderio perverso dell’uomo. Per meglio capire il ruolo svolto dal desiderio nella nostra storia, personale e collettiva, spiega Girard, occorre innanzitutto «partire dalla distinzione fondamentale tra desiderio e appetito. Appetiti quali quello per il cibo o il sesso hanno carattere fisiologico e non sono necessariamente legati al desiderio. Però non appena appare un modello da imitare, qualsiasi appetito può venire contaminato dal desiderio mimetico. La presenza del modello è l’elemento chiave della mia teoria». La legge universale del comportamento umano, secondo Girard, consiste nel carattere mimetico (nel senso di imitativo) del desiderio. In altre parole, noi imitiamo gli altri (rendendoli nostri modelli), i loro desideri, le loro opinioni, il loro stile di vita. Imitare è una cosa giusta o sbagliata? L’imitazione non deve essere considerata una cosa negativa; anzi, essa è alla base della nostra capacità di apprendimento. Senza imitazione, infatti, non sarebbero ad esempio possibili la trasmissione di modelli culturali e l’apprendimento delle forme di linguaggio. Noi, pertanto, siamo ciò che siamo proprio perché imitiamo. Perché imitiamo? Perché l’immagine di felicità e di sicurezza degli altri suscita in noi (che ne siamo coscienti o meno) il desiderio di fare ciò che essi fanno al fine di ottenere quella stessa felicità e quella stessa alta considerazione di sé. In altre parole, scegliamo alcune persone e le eleviamo a nostri modelli. Tipici modelli nella nostra vita sono i genitori, il leader del gruppo, gli amici, le figure carismatiche nella politica, nello spettacolo, negli sport, nell’economia e così via. Imitando ciò che gli altri fanno, riveliamo così l’intento reale del nostro imitare: vogliamo essere ciò che i nostri modelli sono. Per questo René Girard parla di desiderio metafisico: «ogni desiderio è desiderio d’essere», cioè desiderio di ottenere quella “pienezza di essere” di cui, pensiamo, il nostro modello sia in possesso. Tutti noi imitiamo perché tutti noi abbiamo modelli, e imitiamo a qualsiasi età. C’è tuttavia una notevole differenza fra l’imitazione suscitata dal desiderio infantile e quella suscitata dal desiderio degli adulti. Mentre un giovane non avrà problemi a manifestare il desiderio di possedere un’auto tanto bella quanto quella del suo amico, e rivelare così l’origine del suo desiderio, l’adulto, al contrario, sarà meno incline ad ammettere che il suo desiderio sia stato suggerito da un altro. Gli adulti, infatti, si vergognano, a differenza dei giovani, di ammettere di avere modelli da imitare perché a loro dà fastidio rivelare, per motivi di orgoglio, la mancanza di essere. Così accade che il sentimento della vergogna finisca per nascondere alla coscienza adulta lo svolgersi di questa importante attività. La vergogna, pertanto, compie negli adulti un’importante opera di mascheramento dei reali motivi per cui certe decisioni vengono prese. Non siamo, però, in una fiction e i protagonisti mettono in mostra un repertorio completo di comportamenti discutibili, a volte esibiti con ostentazione, a volte negati anche di fronte all’evidenza. In questo 2012 sembriamo esserci accorti che non c’è più vergogna, né turbamento, neanche davanti alle cose più turpi, ma solo coscienze anestetizzate, pronte a giustificare qualsiasi azione in nome di un sentimento distorto di autoaffermazione. Tutto è lecito, i casi di coscienza sono “roba da sfigati”. Purtroppo non è solo un fenomeno isolato, ma è pervasivo. Eduardo de Filippo chiudeva la sua commedia “Napoli Milionaria” in cui aveva descritto in maniera emblematica il degrado di una famiglia e il desiderio finale di riscatto, con la celebre battuta “Ha da passà a nuttata”. Ma qui la nottata non passa mai! Il tarlo della disonestà e della corruzione si è insinuato a tal punto nella società civile, da coinvolgere anche la gente comune, conquistata dalla mentalità della scappatoia facile che consente di superare gli altri senza meriti particolari che non siano quell’abusata furbizia che contraddistingue tanti. E se è vero che vogliamo riscattarci ed uscire dal buio, anche l’ammissione della propria vergogna può diventare un segno di responsabilità. - 12 - LA RUBRICA DELLA VITA a cura di Giuseppe del Coiro bero aiutare e sostenere le situazioni di effettiva difficoltà, è un ulteriore fallimento della norma. ABORTO LEGALE: LA SOLUZIONE DI CHI NON VUOLE VEDERE PROSPETTIVE Delle centinaia di morti in disastri naturali si parla tanto, come è giusto che sia. Delle migliaia di morti a causa dei conflitti civili in corso in varie zone del mondo si dice molto meno: è una delle tante conferme che il principio di uguaglianza non vale per i mass media. Anche in Italia tante sono state le vittime della legge n. 194 del 22 maggio 1978, che da più di trent’anni disciplina la pratica dell’aborto “legale”. Si legge nei rapporti periodici del ministero competente che vi sono state un certo numero di IVG. “IVG” — come molti sanno — sono le iniziali di “interruzione volontaria della gravidanza”, che è una elegante circonlocuzione adoperata per non pronunciare il più impegnativo e traumatico termine “aborto”; il grado di asetticità è più elevato se si pronunciano le sole iniziali. Ma di chi stiamo parlando? I difensori a oltranza dell’aborto “legale” continuano a evitare imbarazzate risposte riguardo l’identità del nascituro: se, cioè fin dal momento del concepimento ci si trovi davanti a un essere umano, dotato di patrimonio genetico completo, unico e irripetibile, nel quale è scritto se sarà uomo o donna e quale sarà il colore dei suoi capelli, o meno. A questo punto, giova a poco constatare che dopo la legge vi è stato un lieve decremento. Nel 1978 la legge si proponeva di azzerare gli aborti terapeutici; di ridurre gli aborti spontanei; di assistere quelli clandestini, nonché di favorire la procreazione cosciente, di aiutare la maternità, di tutelare la vita umana dal suo inizio. È stato raggiunto questo scopo? La legge è diventata semplicemente uno strumento di controllo delle nascite. Oggi chi pratica con maggior frequenza l’aborto sta operando un’opzione culturale, favorita, avallata e sostenuta finanziariamente dallo Stato. Oggi lo stesso Stato da un lato elimina progressivamente l’assistenza sanitaria e la gratuità dei farmaci anche a chi ne ha reale necessità, con “strette” finanziarie sempre più pesanti, dall’altro non rinuncia a stanziare i fondi per il genocidio sistematico in atto da oltre tre decenni. E gli altri obiettivi enunciati a suo tempo? È fallito il proposito dell’aiuto alla maternità e della tutela della vita umana, perché la legge n. 194 ha conferito il “diritto” di sopprimere ciò che fa diventare madre, e quindi di violare irreparabilmente la vita umana. Ma non basta. Un profilo preoccupante della banalizzazione del ricorso all’aborto è l’assenza della fase della dissuasione, che pure la legge prevede: secondo quest’ultima, quando la gestante si rivolge al consultorio, o a una struttura sociosanitaria, o al proprio medico di fiducia, costoro dovrebbero indurla a riflettere, prospettando le possibili alternative all’aborto. Il non funzionamento delle strutture pubbliche, che dovreb- In un contesto in cui questa legge non offre aiuti reali e concreti, vediamo che le migliori prospettive sono offerte dalle persone di buona volontà, che hanno sperimentato l’amore e la misericordia di Dio e sono spinte proprio da questa esperienza verso il prossimo. Così sono emerse tante associazioni di volontariato che sostengono la vita e le persone in difficoltà. Le persone, i genitori o, quando succede, la donna che resta da sola. In Parrocchia annualmente sosteniamo il Segretariato Sociale per la Vita, nel cui sito (www.segretariatoperlavita.it) si legge: “nel solco dell´esperienza storica dei Centri di Aiuto alla Vita da sempre abbiamo voluto condividere uno dei momenti più significativi dell´esistenza umana: l´attesa di un figlio ma soprattutto la problematicità che accompagna quanti, donne e coppie, sono alle prese con una gravidanza difficile o inattesa. Grazie alle migliaia di persone conosciute in questi anni abbiamo imparato a vivere insieme a loro questi momenti, a capire cosa significa trovarsi di fronte ad una decisione così importante come quella di portare o no alla luce un figlio... A condividere, in particolare con le donne, lacrime e sentimenti: di abbandono, paura, solitudine; di delusione, impotenza, rabbia verso chi in un momento come questo anziché proteggerti ti volta la faccia. Per questo e tanti altri motivi ancora abbiamo fatto dell´accoglienza e dell´ascolto, del rispetto per ogni persona umana i tratti caratteristici del nostro agire. “Insieme” è la nostra parola chiave, un messaggio che tradotto significa: noi ci siamo. Sia nel momento della massima criticità per una decisione da prendere che cambierà la propria vita; sia per affrontare i problemi, valutare risorse, trovare aiuti e opportunità perché a tutti, anche a chi è in difficoltà, sia data la possibilità di accogliere un figlio. Sia per andare fino in fondo accompagnando ogni donna durante la gravidanza nel suo percorso personalissimo che la porterà a diventare mamma. Cosí pure per ogni coppia sposata e non, alle prese con l´arrivo di un figlio e i problemi del convivere quotidiano. In particolare ci siamo per quei giovani e giovanissime alle prese con qualcosa di più grande di loro e che hanno bisogno più di altri di trovare persone e un luogo accogliente e sicuro dove esprimersi liberamente, senza condizionamenti e paure. Ci siamo anche per accogliere la sofferenza profonda e nascosta per una vita mancata”. Allora se la descrizione della realtà sociale, così come si è andata realizzando negli anni, può farci vergognare come esseri umani e come cristiani fratelli, questa prospettiva realizzata da semplici persone di buona volontà ci indica una strada di riscatto per la vita. Cambiamo il nostro modo di essere nei confronti del mondo, come ci ha chiesto Gesù, e avviciniamo il prossimo con il cuore, come nostro fratello, cosicché si realizzi una cultura per la vita, che porti ad affermare il rispetto per ogni persona umana, dal concepimento alla morte naturale. - 13 - RIGUARDO ALLA VERGOGNA Lydia Longobardi La vergogna è un sentimento che molti provano quando compiono un’azione che non avrebbero voluto compiere e ne provano rimorso. Purtroppo alcuni questo sentimento non lo provano mai! Io ricordo un piccolo episodio per cui ho provato molta vergogna. Era una giovanissima insegnante nel primo giorno di scuola in una prima media. Entravano in classe tanti ragazzini, tutti ben vestiti, con cravattine dai colori sgargianti ed il sorriso sulle labbra. Spiccava tra gli altri un ragazzino vestito modestamente con una cravatta nera. Lo guardai e, impulsivamente in tono di leggero rimprovero, gli chiesi: “E tu, perché ti sei messo la cravattina nera? Non sei contento di venire a scuola, non è un bel giorno per te?” Il ragazzino chinò timido e confuso il capo, poi alzandosi in miedi mormorò a voce bassa: “Pochi giorni fa è morta mia mamma, con la sorellina che aspettava”. Io rimasi impietrita dalla vergogna, sarei voluta scomparire dalla classe. Dopo un attimo di silenzio generale, lo chiamai alla cattedra, lo abbracciai e baciai chiedendogli scusa più volte. Col passar dei giorni divenne un po’ il mio “cocco” per tutti e tre gli anni di scuola. Ora, qualche volta, lo incontro più che cinquantenne per via de Carolis. È molto affettuoso con me. Ma io ancora mi vergogno… Il campo della vergogna è vasto. Alcune volte, leggendo sui giornali azioni assai riprovevoli di persone di cui si aveva fiducia, penso che esse si dovrebbero vergognare. Attualmente in questo paese il senso della vergogna si è perso perché si è perso il senso del peccato. Tutto è permesso per poter raggiungere successo e ricchezza. Chi ha potere si sente al sicuro da tutto e non prova vergogna neanche nei riguardi di Dio, di cui per interesse gli è comodo anche ignorare l’esistenza. A volte penso che anche noi cristiani praticanti, spesso dovremmo vergognarci per quanto poco ricambiamo col nostro comportamento l’amore infinito che Dio ci dona, quanto poco ci siamo capaci di rinnegare noi stessi per seguirlo. Meditando su queste realtà, forse riusciremo ad amare di più Gesù e vergognarci di meno. DALLA VERGOGNA, AL RIMORSO. DAL PENTIMENTO ALLA CONVERSIONE. Alfredo Palieri Nel romanzo di Luigi Capuana il marchese di Roccaverdina è responsabile di un omicidio ma ha talmente rigirato le carte da far finire in prigione un povero innocente. Una notte sente un enorme vergogna per il suo comportamento ed è spinto a cercare un sacerdote al quale confessa tutto, aggiungendo infine: “Adesso, padre, come penitenza mi obblighi pure a versare tutte le somme che crede alle orfanelle e alle opere di carità!”. “No.”, gli risponde il sacerdote” Adesso devi andare dal giudice, dirgli come stanno le cose e far uscire di prigione quel povero innocente. Tu devi avere il coraggio di essere processato.” Ma il marchese tentenna. La vergogna gli aveva dato una spinta salutare ma lui ha ipnotizzato la propria coscienza ed è rimasto al semplice ed inefficace stadio del rimorso. Anche noi spesso siamo tentati di ipnotizzare la nostra coscienza molte volte e ci sembra che il semplice rimorso sia sufficiente a recuperare. “Si, va bene. Sono stato io a causare quel danno con la mia macchina. Ma nessuno se n’è accorto che la colpa era mia”. Ben diverso l’esempio di Zaccheo, l’esattore delle imposte. Per riscuotere dal contribuente cento sesterzi se ne fa dare duecento: cento per l’agenzia delle entrate dell’Impero Romano e cento come suo aggio elettorale, incurante delle lamentele e dei pianti del poveraccio che non sa come tirare avanti con la famiglia. Zaccheo sente vergogna quando vede la folla che si addensa intorno a “qualcuno” che lui non sa ancora bene chi sia. Il nostro don Gianni, in una sua omelia, ha illustrato che, mentre gli altri si accontentavano soltanto di vedere, invece Zaccheo vuole incontrare quel qualcuno e sale su un albero per facilitare l’incontro. E, come ha spiegato anche bene ad Ostia nella chiesa dei paraplegici Don Franco, quel qualcuno e cioè Gesù, non disse “voglio” ma “devo venire a casa tua, Zaccheo!”. Perché Gesù sente che lui deve compiere la volontà del padre. Zaccheo dalla vergogna non passa attraverso il rimorso ma giunge subito al pentimento e alla conversione. E padre Insolera, da buon siciliano, commentava ridendo: “Però a Zaccheo cara gli costò quella conversione!” Un semplice calcolo, infatti. Dare la metà del proprio patrimonio ai poveri, poi restituire quattro volte tanto agli aggi elettorali. Comunque Zaccheo doveva avere proprio un bel patrimonio, visto che, dopo la conversione, gli restò ancora qual cosina per lui. Infine un bel concetto ascoltato durante una messa e cioè quante volte nel Vangelo ricorre in modo fondamentale la parola “oggi”. Oggi è nato il Salvatore (Natale). Oggi sarai con me in Paradiso (al buon ladrone). Oggi la salvezza è entrata in questa casa (a Zaccheo). - 14 - Lettere LA VERGOGNA, QUESTA SCONOSCIUTA Luigi Guidi Il dizionario della lingua italiana dice che la vergogna è: 1) Sentimento di colpa o di umiliante mortificazione che si prova per atti o comportamenti, propri o altrui, sentiti come disonesti, sconvenienti, indecenti; 2) Senso di impaccio, di timore dovuto a timidezza o ritrosia; 3) Disonore, infamia. Pensando a queste definizioni, soprattutto la prima, mi sento un po’ come don Abbondio quando si chiedeva: “Carneade. Chi era costui?” e mi viene da dire “La vergogna. Chi era costei?”. Viviamo infatti in un’epoca in cui il comune senso della vergogna è totalmente stravolto, ammesso che ancora sussista. Alcuni esempi. Si processano dopo vent’anni i presunti colpevoli di ieri mentre i grandi (e certissimi) ladri di oggi girano indisturbati. La strage degli innocenti è contrabbandata come conquista di civiltà e di autonomia sociale. Si ruba a piene mani e si chiamano ladri gli altri. Si pagano profumatamente le persone affinché appaiano meno giovani di quanto in realtà sono. Si cambia partner quasi con la stessa facilità con la quale si mette da parte un vestito che non va più di moda o che comunque non piace più. Eccetera, eccetera, eccetera. Si assiste dunque – probabilmente a causa di un processo perverso di scristianizzazione, di laicizzazione della vita – ad uno stravolgimento, o meglio ancora ad un rovesciamento di valori, in forza del quale ciò che è bene agli occhi di Dio è visto come male, e ciò che è male agli occhi di Dio è visto come bene. Restando in tema, si può dire che ci si vergogna del bene e non ci si vergogna del male. Si cade cioè in una condizione tremenda, nella quale, non riconoscendo più il male ed il peccato come tali, si perde il timore di Dio e, con esso, la possibilità di chiedere ed ottenere il perdono delle colpe. Disse Gesù a S. Brigida (v. “Ciò che disse Cristo a Santa Brigida”, Ed. San Paolo, con prefazione del Card. Camillo Ruini): “Perciò il timore è come un’introduzione al cielo; molti infatti caddero nel baratro della propria morte, perché avevano allontanato da sé il timore di Dio e si vergognarono di confessare davanti a Dio. Perciò mi rifiuterò di sollevare dal peccato chi trascura di chiedere perdono.” (Opera citata, Libro III, capitolo 19). E poco più oltre: “Dio infatti sopporta l’uomo fino all’ultimo e aspetta, semmai il peccatore voglia rimuovere totalmente la sua libera volontà dall’affetto al peccato. Ma quando la volontà non si corregge, l’anima è avvinta quasi invincibilmente, perché il diavolo sa che ognuno sarà giudicato secondo la coscienza e la volontà e fa ogni sforzo in quel punto, affinché l’anima prenda la cosa alla leggera e s’allontani dalla retta intenzione. E Dio lo permette, perché l’anima, quando doveva, non volle vigilare.” Vergognarsi di confessare davanti a Dio i propri peccati conduce dunque alla morte. Questo tipo di vergogna è da evitare nel modo più assoluto. Che cosa può fare, allora, chi, per caso, si trovasse con l’anima avvinta quasi invincibilmente al peccato? Ci viene in soccorso, come sempre, la SS. Vergine che dice a S. Brigida (op. cit. libro I, capitolo 22): “Allora la Vergine Maria disse: …pensa alla misericordia di Dio, poiché nessun uomo è tanto peccatore che il suo peccato non sia perdonato, se lo chiederà col proposito di emendarsi e con contrizione.” - 15 - VITE CHE SI INCONTRANO, DESTINI CHE SI INCROCIANO Elena Gionta Un Venerdì pomeriggio seguo la via Crucis nella nostra parrocchia di S.Pio X e, ad una Stazione, mi inginocchio ad un banco. Leggo una delle la targhette d’ottone offerte dai parenti in ricordo dei defunti e il cuore mi fa un balzo. C’è scritto: “Venerando Torrisi!” Cerco di non distrarmi ma, inevitabilmente, il pensiero corre indietro, molto indietro, nel tempo. È il luglio del 1948, precisamente il quattordici luglio. Devo affrontare la prova scritta d’Italiano per gli esami di Maturità classica presso di Liceo Pitagora di Crotone. Succede un fatto grave: per la prima volta un esame di Stato viene rimandato per l’attentato all’onorevole Palmiro Togliatti. Si comincia qualche giorno dopo. Noi studenti conosciamo i membri della commissione che ci esamineranno. Il presidente esterno è un preside di Catania, il professor Venerando Torrisi. Una figura indimenticabile ! Passano gli anni. Io mi avvio agli studi universitari di Matematica e Fisica all’Università di Roma. Per le vacanze natalizie torno al mio paese in Calabria: Fuscaldo, così chiamato per le vicine terme sulfuree. E faccio un incontro che mi cambierà la vita. Un giovane, nato a Syracusa in America e residente a Roma, viene a far visita ad un suo zio sacerdote, padre passionista, che vive in un convento del mio paese e mi conosce. Le nostre vite, la mia e quella del giovane, si incontrano così occasionalmente, e sarà per sempre. Sarà lo stesso zio sacerdote ad unirci in matrimonio a Pompei. Ci stabiliamo a Roma, ma molto spesso soggiorniamo a Formia da dove ha origine la famiglia di mio marito e dove abbiamo una casa. Ed è in questa località che, per la seconda volta, incontro il prof. Venerando Tossisi che, capitato a Formia per motivi scolastici, se n’era innamorato. Passano ancora degli anni. Noi ci spostiamo dal quartiere Prati alla Balduina e qui, per la terza volta, ho il piacere di imbattermi nel prof. Torrisi, trasferitosi nel frattempo a Roma nel mio stesso quartiere. Ora ritrovo il suo nome su un banco della mia Chiesa ed il mio pensiero va a ritroso, agli anni della mia gioventù, al ricordo nostalgico di questo carissimo professore che ho avuto il privilegio di incrociare più volte nella mia vita e alle tante sorprese che il destino ci riserva. IL NOSTRO GIORNALE SI PRENDE UNA PAUSA “Arrivano i Nostri” vanta un gran numero di appassionati lettori ed una folta schiera di collaboratori che da più di sei anni inviano regolarmente articoli, disegni, poesie, lettere e contributi vari. Il giornale viene realizzato graficamente da una sola persona attraverso il programma professionale Quark X Press. È un lavoro piuttosto lungo. Si tratta di assemblare gli articoli arrivati via mail, riscrivere da capo al computer quelli giunti in redazione per lettera e scritti a mano con calligrafia non sempre chiarissima, scannerizzare immagini e lavorarle al photoshop, trovare sul web foto e disegni da utilizzare. Poi si impagina, via via che arrivano i contributi e spesso rimontando di nuovo tavole che sembravano già finite, fino all’ultimo giorno offerto ai collaboratori per l’invio dei materiali. Quindi si confeziona il cd da portare in tipografia, passando subito dopo alla lettura delle bozze e alla stampa. Infine c’è la consegna. Alcune copie vanno in parrocchia, altre portate sempre dalla stessa persona e dalla gentile signora Alessandra Angeli ad edicole e negozi vari del quartiere. Da quando si è aggiunta poi la possibilità di inserire spazi pubblicitari, dopo un iniziale entusiasmo e offerta d’aiuto da parte di alcuni, la stessa persona ha l’onere di andare a chiedere un’offerta ai vari negozianti, non sempre disponibili a contributi “alla parrocchia”. Le offerte ricevute servono a coprire circa la metà dei costi mensili. Insomma un po’ di fatica che, questa persona e cioè il sottoscritto, anche a causa di un momento di sovraccarico familiare e lavorativo, desidera rallentare per un po’. L’ho fatto finora sempre con grande entusiasmo ed amore, ricevendo in cambio stima e solidarietà da parte di moltissime persone, la prima delle quali è il mio parroco che ha sempre collaborato e sostenuto l’iniziativa. Sono convinto che in questa grande parrocchia la presenza di un giornale sia importante e anche necessaria ma, probabilmente, dovrà nel prossimo futuro essere ripensato e riorganizzato, in modo che l’impegno possa essere distribuito tra più persone. Spero molto che i nostri giovani, prima o poi, possano essere interessati a riprendere questo discorso, magari in modo diverso e, forse, “ridisegnato” completamente da loro stessi. Io sarò sempre qui per dare una mano, consigli ed aiuto pratico. Un saluto a tutti, Marco Di Tillo NOTIZIE, NOTIZIE, NOTIZIE 30 ANNI DI SACERDOZIO PER DON PAOLO! Il nostro parroco don Paolo Tammi ha fatto 30! È stato ordinato sacerdote, infatti, il 24 aprile 1982 dal cardinal Poletti, Vicario di Roma. Lunedì 23 aprile alle ore 19 ha voluto festeggiare celebrando la S.Messa davanti ai suoi parrocchiani. È proprio il caso di dire: EVVIVA PAOLO! da l 1 966 a l l a B a l du i n a STAMPA A RILIEVO - OFFSET - DIGITALE (foto di Maurizio Degol) - 16 -