Numero 48 La vergogna è nata in Paradiso Non vergognamoci

Transcript

Numero 48 La vergogna è nata in Paradiso Non vergognamoci
“ARRIVANO
I NOSTRI ”
Distribuzione gratuita
Bollettino periodico dei
giovani da 8 a 98 anni
S . P i o X - Balduina
www.sanpiodecimo.it
Numero 48
APRILE-MAGGIO
2012
Anno VI°
La vergogna è
nata in Paradiso
Non vergognamoci
della nostra Fede
Un nemico di nome
vergogna
La vergogna di
vivere senza virtù
e senza coscienza
Canzone della
vergogna per Alì
Dalla vergogna
al rimorso,
al pentimento,
alla conversione
La vergogna di
una giovane
maestra
Non nominare il
nome di Dio
invano !
La vergogna
Africa Express:
Ben Bellà,
il leone d’Algeria
Aborto legale:
la soluzione di chi
non vuole vedere
Il viaggio del
Papa in Sud
America
30 anni di
sacerdozio per il
nostro parroco !
STAZIONE SAN PIETRO
a cura di Sandro Morici
UN PELLEGRINO
DELLA CARITà CHE
SALUTA...
COL SOMBRERO!
Il Papa ha recentemente fatto
visita alle popolazioni del
Messico e di Cuba, ove ha
trascorso “giorni indimenticabili di gioia e di speranza” e
dove ha “voluto abbracciare
idealmente l’intero continente
dell’America Latina”. Un continente ove permangono segni cruenti di violenze e
di ingiustizie sociali, al quale, malgrado tutto, il
Santo Padre, sulle orme del beato Giovanni Paolo II,
continua a rivolgere un augurio affinché si costruisca
“nella comunione ecclesiale e con coraggio evangelico
un futuro di pace e di fraternità”.
Giá, durante il volo di andata, Benedetto XVI aveva
spiegato ai giornalisti i significati profondi del suo
pellegrinaggio: “…è grande responsabilità della
Chiesa educare le coscienze, educare alla responsabilità morale e smascherare il male, smascherare
questa idolatria del denaro, che schiavizza gli
uomini solo per questa cosa; smascherare anche le
false promesse, la menzogna, la truffa, che sta dietro
la droga. Dobbiamo vedere che l’uomo ha bisogno
dell’infinito….”
E il messaggio si é reso ancora piu’ esplicito attraverso
l’omelia rivolta ai vescovi del Messico e dell’America
Latina, tenuta il 25 marzo a León nella cattedrale
della Madre Santissima della Luce: “…Attendevo con
grande desiderio questo incontro con voi, Pastori
della Chiesa di Cristo che peregrina in Messico e nei
diversi Paesi di questo grande Continente, come
un’occasione per guardare insieme Cristo, che vi ha
affidato il prezioso compito di annunciare il Vangelo
in questi Paesi di forte tradizione cattolica.
La situazione attuale delle vostre diocesi presenta
certamente sfide e difficoltà di origine molto diversa.
Ma, sapendo che il Signore è risorto, possiamo
proseguire fiduciosi, con la convinzione che il male
non ha l’ultima parola della storia, e che Dio è
capace di aprire nuovi spazi ad una speranza che non
delude (cfr Rm 5,5)”.
Il Papa cosí ha proseguito: “… La fede cattolica ha
segnato in modo significativo la vita, i costumi e la
storia di questo Continente, nel quale molte delle sue
nazioni stanno commemorando il bicentenario della
propria indipendenza. È un momento storico nel
quale ha continuato a splendere il nome di Cristo,
arrivato qui per opera di insigni e generosi missionari
che lo proclamarono con coraggio e con sapienza.
Essi donarono tutto per Cristo, mostrando che
l’uomo trova in Lui la propria consistenza e la forza
necessaria per vivere in pienezza ed edificare una
società degna dell’essere umano, come il suo
Creatore l’ha voluto. L’ideale di non anteporre nulla
al Signore e di far penetrare la Parola di Dio in tutti,
servendosi delle caratteristiche proprie e delle
migliori tradizioni, continua ad essere un prezioso
orientamento per i Pastori di oggi”.
Benedetto XVI ha quindi richiamato, con puntuale e
analitica sequenza, le tante iniziative da sviluppare
”nell’Anno della fede”, in termini di rinnovamento
ecclesiale, di attivitá pastorali, di opere di evangelizzazione, di vicinanza ai sacerdoti, di attenzione ai
laici impegnati nella catechesi e negli ambiti sociali.
Ed ecco la parte conclusiva dell’omelia: “Con questi
fervidi auspici, vi invito ad essere sentinelle che
proclamano giorno e notte la gloria di Dio, che è la
vita dell’uomo. Siate dalla parte di coloro che sono
emarginati dalla violenza, dal potere o da una
ricchezza che ignora coloro ai quali manca quasi
tutto. La Chiesa non può separare la lode a Dio dal
servizio agli uomini. L’unico Dio Padre e Creatore è
quello che ci ha costituiti fratelli: essere uomo è
essere fratello e custode del prossimo. In questo
cammino, unita a tutta l’umanità, la Chiesa deve
rivivere ed attualizzare quello che è stato Gesù:
il Buon Samaritano, che venendo da lontano si è
inserito nella storia degli uomini, ci ha sollevati e si
è prodigato per la nostra guarigione. Cari Fratelli
nell’Episcopato, la Chiesa in America Latina, che
molte volte si è unita a Gesù Cristo nella sua
passione, deve continuare ad essere seme di
speranza, che permetta a tutti di vedere come i
frutti della Risurrezione raggiungono ed arricchiscono
queste terre.
Che la Madre di Dio, invocata con il titolo di Maria
Santissima della Luce, dissipi le tenebre del nostro
mondo e illumini il nostro cammino, affinché possiamo
confermare nella fede il popolo latinoamericano nelle
sue fatiche e speranze, con fermezza, con coraggio e
con fede ferma in Colui che tutto può e tutti ama fino
all’estremo. Amen.”
L’invito del Papa alla speranza non si é tuttavia
fermato all’Episcopato di quella Regione, perché
incontrando i bambini nella piazza della Pace di
Gunajuato, cosí li salutava: “Sono felice di potervi
incontrare e di vedere i vostri volti allegri che
riempiono questa bella piazza. Voi occupate un posto
molto importante nel cuore del Papa. E in questo
momento desidero che lo sappiano tutti i bambini del
Messico, particolarmente quelli che sopportano il
peso della sofferenza, l’abbandono, la violenza o la
fame, che in questi mesi, a causa della siccità, si è
fatta sentire fortemente in alcune regioni. Grazie per
questo incontro di fede, per la presenza festosa e la
gioia, che avete espresso con i canti. Oggi siamo
pieni di giubilo, e questo è importante. Dio vuole che
siamo sempre felici. Egli ci conosce e ci ama. Se
lasciamo che l’amore di Cristo cambi il nostro cuore,
allora noi potremo cambiare il mondo. Questo e’ il
segreto della felicita’ autentica... Sono venuto
perché sentiate il mio affetto. Ciascuno di voi è un
regalo di Dio per il Messico e per il mondo. La vostra
famiglia, la Chiesa, la scuola e chi ha responsabilità
nella società devono lavorare uniti perché voi
possiate ricevere come eredità un mondo migliore
senza invidie ne’ divisioni... Voi, miei piccoli amici,
non siete soli. Contate sull’aiuto di Cristo e della sua
Chiesa per condurre uno stile di vita cristiano.
Partecipate alla Messa domenicale, alla catechesi, a
qualche gruppo di apostolato, cercando luoghi di
preghiera, fraternità e carità.
…Vi benedico di cuore e vi invito a portare l’affetto e
la benedizione del Papa ai vostri genitori e fratelli,
così come a tutti gli altri che vi sono cari. Che la
Vergine vi accompagni.”
Cosa ci resta da commentare? Il nostro stupore nel
vedere il Papa, grande teologo ma al tempo stesso
umile pellegrino della caritá, che viene accolto da
folle immense, fa il giro col sombrero in testa e si
intrattiene con centinaia di bambini festosi.
-2-
LA VERGOGNA
È NATA IN
PARADISO
don Paolo Tammi
La vergogna è nata in Paradiso. Incredibile,
ma vero. Dove tutto era di Dio e tutto
era dell’uomo. Con le dovute differenze, ci
mancherebbe! Dove tutto era comune, dove il
comunismo, quello vero, se l’era inventato
Dio prima che Marx e Engels riempissero le
pagine di ideologia, ebbene proprio lì l’uomo
e la donna hanno avvertito per la prima volta
la vergogna. Dobbiamo dunque capire che è
successo. Si sono vergognati perché? E di che
cosa? Qualcuno pensa al costume adamitico
– una bella fogliona di fico – che copriva le
vergognose nudità. Ecco la vergogna, si
pensa. Manco per niente! Qualcuno pensa
alla grande paura dell’imminente punizione
divina, che portava con sé la melma della
vergogna. Forse era così. La realtà è che
l’uomo, il primo essere umano, si è vergognato
di se stesso. Di quanto era stato stupido.
Aveva tutto e ha buttato tutto. Aveva potere,
signoria, ricchezza, benessere, cibo e compagnia (quel gran bel tipo di Dio aveva capito
che non poteva stare solo e gli aveva costruito
una compagna). E cionondimeno perde tutto,
per una sciocchezza.
L’uomo si rovina quando comincia a dire: è
mio! Comincia così già da bambino: mio,
mamma! “Mio” significa non suo, non di altri.
È l’affermazione più ovvia possibile ma anche
la più egocentrica. E se esistono altri attorno
a me, me ne accorgo in genere quando ne ho
bisogno, quando li uso, quando me ne soddisfo, in maniera anche molto lecita e sobria.
Ma li “uso” per me. Gli altri sono miei, guai a
chi me li tocca! E quando non mi servono più,
possono scomparire. Esisto io. Questo è più o
meno ciò che ha fatto la persona umana in
Paradiso. Tutto a disposizione sua eppure
quell’albero sembrava il più gradevole di
tutti. Lo mangia e si accorge di essere nudo.
Nudo di che? Nudo di Dio. Nudo dunque di se
stesso. Il godimento aveva senso solo perché
era Dio la fonte di esso. Solo perché era
giusto e saggio godere insieme a Dio e,
chissà poi, quanti altri sarebbero nati da
quell’unione, che sarebbe cresciuta davanti a
Dio. Ma godere con un altro non si può,
nemmeno con Dio. E l’uomo Lo perde.
Comincia la vergogna. Dunque cosa è la
vergogna secondo la Bibbia? È la lucida
percezione che tutto (o quasi) è crollato per
un inesplicabile atto di appropriazione, di
egoismo. È aver capito di avere sbagliato
opzione. Questa è la vergogna positiva. Cioè
è quella che “sta” ancora davanti a Dio, che è
ancora visibile da Dio, offerta a Dio e che
chiede con voce roca il perdono. Adamo e Eva
il perdono non l’hanno chiesto, anzi si sono
accusati l’un l’altro. Non era ancora tempo
biblico della richiesta di perdono. Ma in
realtà il Dio creatore li perdona. Tutti dicono
che li punisce. Che sciocchezza! Li perdona,
altro che! Li allontana da dove essi stessi si
erano autoesclusi ma offre loro protezione.
Dà loro per la prima volta il senso della
fatica, del lavoro, dello sforzo. Dà loro
ancora una terra. Non una giardino, ma una
terra da coltivare si. Non li distrugge, non li
umilia nemmeno. Li perdona, in vista di quel
perdono definitivo che avverrà attraverso
Gesù Cristo.
Si vergognano gli uomini ancora? Si vergognano quelli che hanno il senso del ridicolo.
Ma guarda un po’ dove mi sono andato a
infilare - dicono questi - per la mia sbadataggine, il mio orgoglio, la mia disobbedienza!
Il mio tenere le orecchie tappate. Si vergognano e chiedono scusa. Sono i figli e le figlie
di Dio che hanno in sé non la perfezione, ma
sicuramente la saggezza, quella minima che
basta a capire di avere sbagliato, a ritrattare,
a ritornare sui propri passi. Il sacramento
della Confessione è stato istituito proprio per
questo. La sua icona evangelica più bella è il
pubblicano che entra al tempio. Fuori è un
personaggio rispettato, temuto, forse anche
amato (da alcuni) e odiato (da molti altri).
Però è uno che non ha bisogno di niente. Non
ha risolto tuttavia il problema della felicità.
Gli rimane ancora un po’ di lucida coscienza
per entrare dentro e dire: abbi pietà di me! E
così il Signore si inventa un sacramento, un
segno perenne ed efficace attraverso il quale
l’uomo si può inginocchiare e dire: chiedo
perdono! Quelli che dicono che fanno tutto da
soli non hanno capito un tubo. Perdonarsi da
soli – cioè compiere il male e poi autoassolversi – è la sciocchezza colossale dell’uomo
moderno. Dal suo ego viene il male, dal suo
ego si pretende venga anche la
cancellazione del male. È davvero ridicolo!
Vergognarsi fa bene. Quel che fa male è
avere i sensi di colpa distruttivi, è dipendere.
È lasciarsi tiranneggiare dai ricatti affettivi.
Non lo è vergognarsi. Infatti c’è gente che
non si vergogna mai perché si è talmente
abituata al male e tiene il punto, convinta che
senza mai chiedere scusa si dia affermazione
di potenza e si appaia più rispettabili. Il
poliziotto che ha sparato su Gabriele Sandri,
nonostante una condanna passata in giudicato
per omicidio volontario, non ha mai fatto una
telefonata alla famiglia per chiedere scusa.
Mai. Il diacono di Cagliari che ha diffamato il
sottoscritto – e al quale diverse ritrattazioni
erano state proposte con lo scopo di evitare
un penoso processo - mai ha chiesto scusa.
Vedremo nel futuro, se la condanna subita in
primo grado gli darà un sussulto di vergogna.
Né mai hanno chiesto scusa quelli che
l’hanno aiutato. Si vergognano questi? C’è da
chiederselo seriamente. Chissà!
La vera forza dell’uomo sta nell’umiltà. Solo
se si è davvero umili, si superano poi anche i
sensi di quell’inferiorità che può derivare da
un’umiltà eccessiva e nevrotica. Il senso
della realtà purtroppo manca a molti. E
questo provoca tante infelicità.
Sovrana
Viaggi
ARRIVANO I NOSTRI
Autorizzazione del Tribunale n°89
del 6 marzo 2008
DIRETTORE RESPONSABILE
Giulia Bondolfi
TERZA PAGINA
don Paolo Tammi
DIRETTORE EDITORIALE
Marco Di Tillo
COLLABORATORI:
Lùcia e Miriam Aiello, Bianca
Maria Alfieri, Renato Ammannati,
Alessandra e Marco Angeli,
Paola Baroni, Giancarlo e Fabrizio
Bianconi, Pier Luigi Blasi, Michele
Bovi, Leonardo Cancelli,
Alessandra Chianese, Monica
Chiantore, Cesare Catarinozzi,
Laura, Giuseppe Del Coiro,
Gabriella Ambrosio De Luca,
Giorgio Lattanzio, Massimo Gatti,
Paola Giorgetti, Pietro Gregori,
Giampiero Guadagni, Luigi Guidi,
Lucio, Rosella e Silvia Laurita
Longo, Lydia Longobardi, don
Nico Lugli, don Roberto Maccioni,
Maria Pia Maglia, Luciano e Luigi
Milani, Cristian Molella, Alfonso
Molinaro, Sandro Morici, Agnese
Ortone, Alfredo Palieri, Gregorio
Paparatti, Camilla Paris, Maria
Rossi, Eugenia Rugolo,
Alessandro e Maria Lucia
Saraceni, Elena Scurpa, Antonio
Stamegna, Francesco Tani,
Stefano Valariano, Gabriele,
Roberto e Valerio Vecchione,
Celina e Giuseppe Zingale.
Numeri arretrati online su
www.sanpiodecimo.it
OFFERTE
Per mantenere in vita il
nostro giornale lasciate
un’offerta libera in una busta
nella nostra casella di posta
della segreteria parrocchiale.
Chi vuole inviare
articoli, disegni,
suggerimenti è
pregato di inviare mail:
arrivanoinostri@
fastwebnet.it
(oppure lasciare una busta
presso la segreteria)
INSERZIONISTI
La tua
agenzia!
-3-
È richiesto un contributo di Euro
30 per ogni numero,
da lasciare ad un nostro
incaricato, oppure in una busta
in segreteria, nella cassetta
della nostra posta, con un
vostro biglietto da visita.
STAMPA TIPOGRAFIA
MEDAGLIE D’ORO
“AFRICA EXPRESS”
NOTIZIE E CURIOSITà
DAL CONTINENTE NERO
a cura di Lucio Laurita Longo
BEN BELLà,
IL LEONE D’ALGERIA
Lo scorso 11 aprile ad Algeri è
morto, all’età di 95 anni,
Ahmed Ben Bellà.
È stato il primo Presidente
della Repubblica DemocraticoPopolare di Algeria. Questo
nome a molti giovani di oggi
dirà poco o niente ma per una
intera
generazione,
quella
degli odierni 50enni, rappresenta un mito, una vera
icona assoluta della propria giovinezza, rievocando
molti ricordi, tutti cementati da un film cult: “La
Battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo, girato nel
1966, per celebrare la guerra di Algeria per l’indipendenza del paese dalla dominazione della Francia, di
cui era uno dei tanti “dipartimenti d’oltremare”.
Il nome di Ben Bellà era, all’epoca, accomunato a
quasi tutti i grandi personaggi rivoluzionari in auge in
quel periodo, da Che Guevara a Fidel Castro, da Ho Chi
Min a Mao Tse Tung, da Malcom X a M. Luther King ma
anche a miti pacifisti come Nelson Mandela o il
Mahatma Ghandi. Ma chi era esattamente, e cosa ha
rappresentato, Ben Bellà?
Era nato il 25 dicembre 1916 in un piccolo villaggio
al confine con il Marocco, Maghnia, da poverissimi
genitori di origine marocchina entrati in Algeria come
semplici contadini. Il padre dopo alcuni anni riuscì a
migliorare sensibilmente la propria posizione sociale
diventando commerciante e permettendo quindi, al
giovane Ahmed di poter compiere anche gli studi
superiori.
Subito dopo fece il servizio militare nell’esercito
francese partecipando anche, nel 1944, alla battaglia
di Monte Cassino.
Tornò in patria alla fine della guerra e trovò, lui come
moltissimi altri soldati algerini arruolati nell’Armée
de France, le proprie famiglie decimate dai massacri
dell’8 maggio 1945, conosciuti come i “fatti di Setif e
Kherrata”, in cui furono uccisi centinaia di migliaia di
civili che avevano osato protestare contro il governo
per chiedere più diritti e più pane.
Già da quell’anno i primi ribelli contro il regime che
allora governava la nazione, decisero di entrare in
clandestinità fondando il Partito del Popolo Algerino
che cambiò nome più volte fino a diventare, nel 1949,
il CRUA, Comitato Rivoluzionario per l’Unità e
l’Azione.
Ben Bellà entrò in questo movimento nel 1949 ma
dopo pochi mesi viene arrestato per le sue attività,
considerate sovversive.
Evase dal carcere nel 1952 fuggendo in Egitto per
continuare, da questo paese ed insieme ad altri
latitanti, la lotta per la libertà nel suo paese.
Nel 1956 l’aereo sul quale volava insieme ad altri
fuoriusciti per recarsi in Tunisia, con la complicità del
pilota francese atterra in territorio algerino dove tutti
vengono arrestati e trasferiti in carcere, prima in
Algeria poi in Francia.
Lì egli rimane fino al 1962, anno in cui, finita la
guerra di rivoluzione che ha sancito l’indipendenza
dell’Algeria, egli entra ad Algeri a capo dei combattenti per la liberazione ed appoggiato da parte delle
forze armate regolari, capeggiate dal colonnello
Boumediène.
Divenne prima vicepresidente poi presidente della
Repubblica del nuovo stato e mai leader di questo
paese fu più amato di lui.
Per due anni Algeri e l’Algeria divennero la meta
prediletta di tutti i giovani europei dell’epoca, innamorati di questo paese e degli ideali, poi rivelatisi
utopistici, che rappresentavano per loro.
Il 19 giugno del 1965 il suo amico fidato Boumediène
lo destituisce con un colpo di stato, incarcerandolo
nuovamente.
Rimarrà in prigione per oltre 24 anni, subendo condizioni durissime, specialmente nei primi anni, finalizzate all’annientamento della sua personalità ed a
farlo dimenticare da tutti.
Le guardie carcerarie non potevano mai rivolgergli
la parola e lui recitava il Corano, l’unico libro che
poteva tenere con sé, per poter sentire la sua voce.
In pratica volevano costringerlo a suicidarsi cosa che,
però, lui non fece mai.
Solo nel 1980 egli, che era stato il primo Presidente
dell’Algeria libera ed indipendente, venne graziato dal
nuovo Presidente, il più pragmatico Chadli Benjedid,
succeduto a Boumediène.
Il vecchio leone d’Algeria, anche se ha solo 62 anni, è
ormai stremato da oltre 24 anni di carcere e decide di
“auto esiliarsi” in Francia e Svizzera dove fonda il
Movimento per la Democrazia in Algeria che, però,
non riuscirà mai ad avere un grosso peso politico.
Nel 1990 decide di rientrare in patria cercando di
rivitalizzare, con la sua carismatica presenza, il
proprio movimento, partecipando anche ad una
tornata elettorale, senza, però, grande successo.
Il popolo algerino, che tanto gli doveva per la sua
infaticabile e dura lotta per la libertà e la democrazia,
ormai non si ricordava quasi più di lui. Si ritira,
quindi, dalla politica attiva per dedicarsi alle questioni
internazionali dell’area mediorientale, ed in particolare
alla lotte per la liberazione della Palestina.
Lo scorso 11 aprile è morto in solitudine, assistito
solo dalla figlia Mehdia da lui adottata insieme ad
un’altra bambina e ad un ragazzo tetraplegico.
Unico riconoscimento ricevuto post-mortem è stato
quello di essere sepolto nel cimitero monumentale di
Algeri, dove riposano tutti i personaggi che hanno
fatto grande l’Algeria.
-4-
Dr. Paolo Gabrieli
Dottore Commercialista
Revisore dei conti
Viale Capitan Casella, 50
Roma
Tel. 06.64671016 - Fax 06.56309567
e-mail: [email protected]
NON NOMINARE IL
NOME DI DIO INVANO!
Alessandra Angeli
La mia casa affaccia su un parco: da quando
è stato attrezzato a verde pubblico, a parte il
degrado in cui viene mantenuto da chi di
dovere, ne subisce un altro.
I giovani che la frequentato bestemmiano
con molta facilità, come intercalare o durante
furiosi litigi.
Lavorando spesso a casa, ogni tanto mi
arrivano queste staffilate: allora mi sento
avvampare, il calore mi sale dalle gote alle
orecchie e ho un momento di gelo, rimango
come immobilizzata.
Da una parte la vergogna dell’offesa recata
al Signore; dall’altra la mia vergogna, dovuta
al fatto di sapere di dover intervenire ma
avere timore.
Allora, dopo una preghiera di riparazione,
una volta sono uscita sul terrazzo e, gridando
per farmi sentire a sufficienza, ricordo di
aver detto più o meno:
“Non bestemmiate, non ce n’è bisogno; se
non volete farlo per Lui, fatelo almeno per
voi...” Sarà stato l’esempio materno, perché
mia madre è una che fa così, ma quella volta
ce l’ho fatta. Hanno smesso di litigare e se ne
sono andati a testa bassa, non mi hanno
nemmeno risposto.
Spero in futuro di riuscire sempre a dare
testimonianza, ad aiutare chi veramente
“non sa quello che fa”, superando la vergogna, ma vergogna poi di che? La vera vergogna sta nel vedere la gioventù così abbrutita,
senza rispetto nemmeno per il Creatore;
forse nessuno gli ha mai parlato veramente
bene di chi sia Gesù Cristo, della Madonna.
Della lotta spirituale tra bene ed il male.
Il degrado di parte della chiesa (altra vergogna), inaridisce e disperde le loro anime,
squarcia loro il cuore; il marciume dei massmedia (altra vergogna), martellandoli senza
tregua, li disorienta e li trascina via come il
pifferaio di Hamelin.
E non sanno che ad ogni bestemmia ti si
appiccica uno strano figuro che passandoti
un braccio intorno alle spalle, ti porta verso
il buio.
Vergogna questo mondo occidentale, ammosciato dal benessere degli ultimi decenni, che
ha tirato su dei giovani confusi e senza
validi riferimenti. Che il Signore abbia misericordia di loro, nati in tempi in cui la vita non
è mai stata così comoda, ma così difficile da
vivere.
DIECI COSE CHE DIO TI CHIEDERà
Dio non ti chiederà che modello di auto usavi,
ti chiederà a quanta gente hai dato un passaggio
Dio non ti chiederà i metri quadri della tua casa,
ti chiederà quanta gente hai ospitato.
Dio non ti chiederà la marca dei vestiti nel tuo armadio,
ti chiederà quanta gente hai aiutato a vestirsi.
Dio non ti chiederà quanto alto era il tuo stipendio,
ti chiederà se hai venduto la tua coscienza per ottenerlo.
Dio non ti chiederà qual’era il tuo titolo di studio,
ti chiederà se hai fatto il tuo lavoro al meglio
delle tue capacità.
Dio non ti chiederà quanti amici avevi,
ti chiederà quanta gente ti considerava amico.
Dio non ti chiederà in che quartiere vivevi,
ti chiederà come trattavi i tuoi vicini.
Dio non ti chiederà il colore della tua pelle,
ti chiederà la purezza della tua anima.
Dio non ti chiederà perché hai tardato tanto
a cercare la salvezza,
Dio ti porterà con amore alla Sua casa in Cielo
e non alle porte dell’inferno.
Dio non ti chiederà a quante persone
hai mandato questo messaggio,
ti chiederà se ti sei vergognato di farlo.
Dio non accusa, ti chiede solo di predicare con l’esempio.
N.B. Trovata su Internet e inviataci da Alfredo Palieri
SORRISI
a cura di Gregorio Paparatti
Codice della strada:
Non capisco cosa spinga i
moscerini a prendere sempre
l'autostrada contromano.
Nomi fuorvianti:
Perchè si chiama contagocce, se poi le gocce te
le devi contare tu?
Dall'indovino:
- Toc, Toc...
- Chi è? –
- Ah, cominciamo bene!
POWERPOINT s.a.s.
Timbri - Targhe- Incisioni
Fotocopie B/N e Colori
Pulsantiere Citofoniche
Stampa sublimazione
Via Duccio Galimberti 41-43 Roma
tel/fax 0639736980
[email protected]
-5-
MOMENTI DI VERGOGNA PER LE MIE
AZIONI E PER QUELLE DELLA CHIESA
Luciano Milani
La Redazione della nostra rivista pare sia presa dalla voglia
di approfondire ed esplorare il mondo dei sentimenti.
Il tema prescelto per l’ultimo numero infatti era sul
sentimento dell’incontro: quel che un incontro può suscitare
in noi o lasciare nella nostra memoria; la forza di un incontro, aspettato o inaspettato che sia; buono o cattivo. Pare
insomma che si voglia scandagliare l’uomo nel profondo
della sua psiche. Anche il tema suggerito per il prossimo
numero attiene ai sentimenti umani.
La parola Vergogna deriva infatti dal latino Verecundia.
Ricordo la forte invettiva di Cicerone nella Catilinaria,
quando chiama Catilina Homo inverecundus: uomo che non
conosce vergogna. La vergogna infatti è un sentimento del
disonore che ci viene, o temiamo possa venirci, da nostre
azioni o da fatti che comunque ci riguardano da vicino; che
induce rammarico del male commesso o ritegno a commetterlo. Io ho forte il ricordo di qualche azione che da piccolo
suscitò in me un senso di vergogna di fronte ai miei genitori
o ai miei maestri. Ricordo ancora con vivezza di particolari
la grande vergogna provata per un piccolo furto commesso
ai danni di mia madre all’età di nove anni e subito scoperto
dai miei genitori. Ho ancora presente nella memoria la
vergogna di fronte al maestro ed ai miei compagni per
essere stato pubblicamente ripreso per un compito quasi
interamente copiato. Ma più di tutto ancora mi affigge
questo sentimento così negativo le molte volte che l’ho
provato di fronte al Signore, quando mi sono comportato in
modo sconveniente con Lui. Non sono poche le circostanze,
nelle quali il mio atteggiamento non è stato del tutto confacente ai suoi precetti e dopo ho provato questo triste sentimento. Ma di recente ho sperimentato la vergogna anche
per fatti che non riguardavano direttamente la mia persona,
bensì gli organismi per così dire di appartenenza.
Rileggendo la storia della Chiesa sono molti i fatti che in me
hanno suscitato un senso vivissimo di vergogna. Ne menzionerò soltanto alcuni tra quelli più remoti. Ricordo appena
qualche figura di papi dissoluti. Per tutti il personaggio di
papa Borgia. La dissolutezza di questo papa spagnolo mi ha
lasciato veramente un senso di vergogna disarmante. Solo
il pensiero che in ultima analisi la barca della Chiesa è
guidata da una mano superiore che imprime la manovra al
nocchiero che materialmente la conduce, ha attenuato il mio
QUANDO GIORGIO
MANGANELLI
INTERVISTò DIO!
Luigi Milani
È di nuovo disponibile,
direttamente in formato
eBook (libro digitale),
Intervista a Dio, un
testo pressoché inedito,
in quanto apparso di
sfuggita diversi anni fa,
di Giorgio Manganelli,
il grande narratore,
critico, giornalista, saggista e traduttore scomparso nel 1990. Sgombriamo subito il campo da pregiudizi o
timori di sorta: l’opera del grande intellettuale milanese è
certamente singolare, e per certi versi provocatoria. Non a
caso, fu l’unica, tra le sue celebri Interviste Impossibili, a
incontrare difficoltà di pubblicazione, dipendenti però
soprattutto dall’atteggiamento miope e poco coraggioso che
a volte contraddistingue anche importanti editori, come
quelli con i quali abitualmente pubblicava Manganelli. Ma
non è questa la sede per sterili polemiche dietrologiche.
Quello che conta adesso è che questa Intervista non sia
caduta nell’oblio, a dispetto della sua grande importanza sul
disagio ed il mio senso di vergogna di fronte a tanta dissolutezza riscontrata in un Papa. La lotta condotta con tanto
accanimento da alcuni papi per affermare il potere incontrastato della Chiesa nella società civile, in certi momenti, ha
provocato in me oltre ad un senso di vergogna, anche un
certo disorientamento sull’intervento dello Spirito Santo
nella elezione del Vicario di Cristo in terra. Ma vergogna
hanno prodotto in me anche i gravi atteggiamenti della mia
Chiesa e dei suoi rappresentanti in tempi più recenti. Ho
vivissimo il senso di vergogna e quasi di smarrimento che
produssero in me le forti parole del Card. Ratzinger, fatte
gridare nella Via Crucis del 2005 al Colosseo, sulla sporcizia
annidata nella Chiesa. E chi di noi cattolici non prova a
tutt’oggi vergogna per i fatti gravissimi di pedofilia
commessi da sacerdoti e tollerati da qualche vescovo in
varie parti del mondo? È verissimo che rapportati alla massa
essi rappresentano una minoranza esigua, ma non ci viene
insegnato fin dai banchi del Catechismo che la nostra Chiesa
è santa e immacolata e come essa devono essere i suoi
pastori e rappresentanti? E che dire dell’atteggiamento
tenuto dalla nostra Chiesa nei confronti dei nostri fratelli
ebrei. Viva è la vergogna che ha suscitato in me l’ostracismo
della nostra Chiesa verso questi nostri fratelli. Un senso di
sollievo ha provocato in me il documento conciliare Nostra
aetate, che finalmente dopo 19 secoli riesce a superare
questa cesura tra i nostri fratelli maggiori e la nostra
Chiesa. Certo, sono molti i fatti e i personaggi della mia
chiesa che provocano in me un senso di vergogna, ma
la somma algebrica che appena riesco a fare mi ripaga
abbondantemente, considerando quanto più numerosi sono
i santi e i martiri che in ogni tempo la hanno popolata. Per
mia consolazione mi sfilano davanti gli innumerevoli
missionari che hanno portato in tutto il mondo, oltre che la
luce del Vangelo, anche la civiltà in generale.
E ad attenuare ancor di più fino a farlo sparire definitivamente il sentimento della vergogna per gli uomini della mia
Chiesa è oggi la constatazione che i Papi degli ultimi due
secoli fino a quello sedente a tutt’oggi sulla sedia di Pietro
sono tutti santi. Questa constatazione mi conferma la
veridicità della mia fede, che tende ogni giorno a purificarsi
dalle scorie del mondo e a risplendere sempre più quale
unico faro di verità e di amore tra gli uomini.
Abbiamo detto all’inizio che la vergogna è un sentimento.
Ebbene, perché sia di utilità a chi lo prova, questo sentimento
deve essere seguito da un altro sentimento: quello del
pentimento dell’azione compiuta od omessa, che ha dato
luogo al primo. Solo allora la vergogna si arricchirà di frutti
per chi la prova.
fronte letterario e contenutistico.
Ma in sostanza di che si tratta, si staranno chiedendo gli
amici lettori di Arrivano i Nostri?
È presto detto: dopo aver intervistato nell’oltretomba
dodici celebri personaggi storici, Manganelli decise di
cimentarsi nell’intervista forse più audace e suggestiva,
quella a Dio appunto, utilizzando una forma e un approccio
altamente sperimentali, senza rinunciare dunque alle caratteristiche innovative che segnano gran parte della sua produzione.
Da segnalare che l’opera ha conosciuto diversi adattamenti
teatrali, anche in tempi recenti.
L’opera si avvale inoltre della preziosa consulenza della
figlia di Giorgio Manganelli, Lietta Manganelli, attenta
custode della memoria e del vastissimo Corpus delle opere
paterne; sua è anche anche la prefazione a questa nuova
edizione.
Il libro digitale è in vendita al prezzo pressoché simbolico di
1,99 € sul sito Kipple (www.kipple.it) e sui principali negozi digitali (Amazon, Simplicissimus, Bookrepublic, BOL,
ecc.). Come accade per tutti gli ebook della casa editrice
Kipple, è rigorosamente privo dei “lucchetti digitali” DRM ed
è disponibile sia in formato ePub, che Mobi. In altre parole
è facilmente fruibile su qualunque lettore digitale, dagli
ereader specifici come il Kindle ai tablet come l’iPad, senza
dimenticare gli ormai diffusissimi smartphone.
-6-
LA VERGOGNA
DI VIVERE SENZA
VIRTù E SENZA
COSCIENZA
Roberto Vecchione
L’uomo che non ha virtù
non può essere buono ed è
fondamentalmente
un
egotico. Tale condizione
può essere evitata ove ci si
comporti secondo le virtù, con particolare
riferimento a quelle cardinali ossia la temperanza,
la fortezza, la prudenza e la giustizia. La prudenza
infatti aiuta la ragione ad operare un buon discernimento e ad individuare i mezzi opportuni per
attuare il Bene. La giustizia ci spinge ad occuparci
dei diritti degli altri per dare loro ciò che è dovuto.
La fortezza poi ci è di supporto nelle difficoltà e ci
aiuta a non abbandonare la strada del bene
ed infine la temperanza modera l’impeto delle
passioni e ci impedisce di usare male i Beni creati
e messi a disposizione dell’uomo.
San Tommaso sosteneva che l’uomo ha la capacità
di riconoscere il Bene ed il Vero, il Male e il Falso
attraverso la coscienza, grazie alla quale, si distinguono gli atti buoni da quelli cattivi.
Sant’Agostino riteneva che la coscienza altro
non fosse che la voce di Dio che parla al cuore
dell’uomo. Il filosofo Josef Pieper (1904-1997)
(nella foto, ndr.) nel suo saggio “La realtà e il
bene” sosteneva invece che l’uomo che vuole
compiere il bene, deve tenere conto oltre che
della coscienza anche della realtà e del proprio
intelletto e deve porre particolare attenzione al
sentimento anche se spesso non è affidabile.
Personalmente ritengo che colui che minimizza la
cattiveria commessa, ne attribuisce la responsabilità alle circostanze ed è eccessivamente indulgente
con se stesso, distrugge la propria coscienza e
dunque “mette a tacere Dio” e di ciò dovrebbe
avere vergogna.
L’uomo virtuoso dunque sa usare bene la ragione,
ha fede in Dio, sa amare ed è amato e sa distinguere il bene dal male.
CORSO
PERSONALIZZATO
DI INFORMATICA A
DOMICILIO
sig. ENZO
DALLA CHIESA
cell. 3483344983
[email protected]
LA PORTA VERDE
Gianpiero Guadagni
Voci, musiche, musiche di voci. Sapeva di amicizia, una calda
amicizia complice e confidenziale, la vita che arrivava da quel
posto: un giardino chissà, o forse una strada nascosta che lui
non conosceva. Un posto che gli sarebbe davvero piaciuto frequentare, e che era lì, a due passi, dietro una porta verde,
misteriosa e bellissima.
Aveva 13 anni, la prima volta che la vide: era il giorno dell’orale degli esami di terza media, andava di fretta e pensò: la
prossima volta mi fermo e busso.
In realtà per un bel pezzo non gli capitò più di passare da
quelle parti. E neppure di pensarci, a quella porta verde.
Se la ritrovò di fronte qualche anno dopo, ebbe un tuffo al
cuore, ma stava andando a scuola a vedere il voto della
Maturità e pensò: ora proprio non posso, busserò la prossima
volta. Trascorse tempo.
Iniziò l’Università: tanto studio impegnativo ma anche un
senso forte di libertà. Forte e spesso rumorosa, tanto rumorosa
che più volte lui passò di fretta davanti alla porta verde senza
mai sentire né voci, né musiche, né musiche di voci.
Il giorno della laurea, il solito passo svelto e questa volta
anche orgoglioso, neppure fece caso alla strada che percorreva.
Trascorse altro tempo. Il primo giorno di lavoro: orgoglioso
anche stavolta e impaziente di raccontare la sera quell’esperienza alla sua ragazza. Orgoglio e impazienza erano però
accompagnate da una strana inquietudine affascinante.
Quando passò davanti alla porta verde provò un sussulto
antico e nuovo, percepito con altri sensi oltre l’udito. Ma non
poteva fare tardi proprio quel giorno e pensò: la prossima volta
mi fermo e busso.
Ricapitò lì un giorno di settembre luminoso, come la donna che
stava per partire da casa sua e fermarsi, in un’altra, con lui.
E quel giorno le voci, le musiche, le musiche di voci non le
sentiva altrove ma dentro il suo cuore.
Trascorse ancora molto altro tempo.
Ebbe un nuovo, migliore incarico di lavoro: il giorno dell’insediamento preparò vestito e discorso e salì fiero in auto. Ma in
un momento preciso e con forza crescente si impadronì di lui
la nostalgia della porta verde, fece marcia indietro ma per
andare avanti, la cercò con ostinazione, finalmente la trovò,
frenò bruscamente e dolcemente frenò anche il respiro.
Abbassò infine il finestrino per mettersi in ascolto con il
desiderio incalzante di scendere e bussare ed entrare. Si sentì
in quel momento davvero arrivato. Ma un sms al cellulare: “Fai
presto, ti aspettano”, gli fece di nuovo alzare il finestrino,
riprendere respiro, fare marcia indietro ma stavolta proprio
per tornare indietro. Come un rapito dopo il pagamento del
riscatto, fu riconsegnato scosso alla realtà. Almeno quella che
di solito noi definiamo realtà.
Da quella volta si inventò ogni occasione per passare davanti
alla porta verde e ascoltare anche solo per qualche secondo
quelle voci, quelle musiche, quelle musiche di voci. Un mondo
del quale per tanti anni, in qualche modo, si era sentito parte;
e del quale ora, all’improvviso, non si sentiva più degno.
Troppe volte quella promessa a se stesso: la prossima volta mi
fermo e busso…
Sarà mai entrato, alla fine? Avrà avuto proprio quel senso di
indegnità il potere di farlo andare oltre? Me lo chiedo da anni.
Da quando, giovane catechista, raccontai con altri termini più
o meno questa stessa storia (perché di storia si tratta, non di
favola) per fare incuriosire e innamorare dell’Oltre quei
piccoli, capienti cuori che stavano andando ad incontrare Gesù
per la prima volta.
Non so se qualcuno di loro si è mai ricordato della porta verde.
So che io, dopo, ci sono passato davanti tantissime volte: le
voci, le musiche, le musiche di voci sono la gioia di un Oltre che
sento di dover condividere con chi fatica a sperarci. E per ogni
volta che io non ho bussato è come se non l’avessi fatto mai.
È questo il mio senso di vergogna, che oggi mi fa passare a
testa bassa davanti a quel giovane catechista, alla sua gioia
per l’Oltre; a ruoli invertiti, ora è quella porta verde che bussa
ogni giorno alla mia vita.
-7-
SIAMO ALLE SOLITE,
SANDRUCCIO!
Sandro Morici
Se
“Telefono
Azzurro”
fosse stato istituito alla
fine degli anni ’40 del
secolo scorso, il bambino
Sandruccio (cioe’ lo scrivente) ne avrebbe usufruito,
presumibilmente a suo vantaggio. È vero, era un
ragazzino vivace, biricchino e amante della burla,
ma, al tempo stesso, era piuttosto timido e, se
rimproverato o colto in flagrante, il suo viso si
colorava di rosso vermiglio.
Come tanti bambini di quell’età era preso dalla
tentazione della trasgressione (infantile, beninteso)
ma poi era colto dai sensi di colpa e, a modo suo e
con un pizzico di orgoglio, si poneva una domanda
troppo grande per lui: “Quanto e’ equa la giustizia
umana?”, alias “summum ius summa iniuria”
(Cicerone, De officiis).
Con queste premesse tentiamo allora di raccontare
qualche marachella del nostro marmocchio e come
lui l’abbia vissuta. A voi scoprire quale sia stato il suo
vero grado di vergogna...
Siamo in paese e a quei tempi si giocava per strada:
pochi pericoli e, in compenso, tanti ciotoli sparsi qua
e là. Verso l’imbrunire tra alcuni ragazzini si scatena
una accesa battaglia con l’uso delle fionde per i
soliti motivi spontaneamente banali. Sandruccio è
impegnato in prima linea: scansa una pietra e ne
rilancia un’altra. Sbaglia la mira e colpisce in pieno la
vetrina della farmacia posta all’angolo. Un fragore
enorme e, mentre i ragazzini si dileguano come
saette, mezzo paese accorre incuriosito.
Il vecchio farmacista è inferocito e si preoccupa poco
delle cause e delle contingenze. Lui chiede subito
notizie dell’autore del misfatto perché, essendo
molto tirchio, vuole sapere a chi deve rivolgersi per
il risarcimento dei danni. Viene ben presto rassicurato
che la famiglia ”dell’irresponsabile” è solvibile.
Il problema quindi si trasferisce in famiglia e qui
comincia il processo a Sandruccio: “Com’è accaduto?, perché non eri rientrato prima?, le sassaiole
non sono degne di ragazzi educati come dovresti
essere tu, dovrai consegnarci il tuo salvadanaio,
pensa alla reputazione della famiglia, ecc.”.
La “pecora nera” era cascata vittima del sempre
vigile e irremissibile “occhio della gente”: quest’ultimo
era infatti uno dei tanti tabù della società rurale di
quei tempi. Solo mio nonno, quando la sfuriata fu
placata, mi prese per mano e mi sussurrò: “Occorre
redimersi. Domani mattina ce ne andiamo in
campagna e tiriamo un pò con la fionda: vedrai, è
tutta questione di esercizio”.
Non passò molto tempo e Sandruccio ne combinò
un’altra delle sue. Eravamo in casa dei nonni e si giocava a nascondino. A un certo momento con mio
cugino vediamo entrare in bagno la zia Lucilla.
Sandruccio propone di interrompere il gioco precedente e di farne uno nuovo: accostare l’occhio sul
buco della serratura della porta del bagno per vedere come erano fatti i mutandoni della vecchia zia.
E così, un pò a vicenda e in atteggiamento spionistico,
cominciamo a fare i “guardoni” scambiandoci
commenti sarcastici e risolini maliziosi.
Non ci accorgiamo pero’ che dal fondo del corridoio,
con le sue ciabatte di feltro, arrivava in silenzio la
sorella della zia Lucilla, anch’essa anziana e per di
più zitella, con l’aggravante dell’innata insofferenza
nei riguardi dei bambini.
Questa lancia un grido straziante, così forte che
anche il cane e il gatto di casa fanno un gran zompo
dalle rispettive cuccie. E lì, presi i due ragazzini per
le orecchie e trascinati al cospetto dei nonni è
cominciato il processo (beninteso, con diversi pubblici ministeri e senza l’ombra di un avvocato
difensore, seppure d’ufficio).
Ma ancora una volta il nonno, nella veste di giudice
supremo, dava prova di saggezza: condannando
aspramente il grave fatto, di cui bisognava vergognarsi profondamente, tuttavia andava evidenziata
l’attitudine degli imputati ad una voglia di conoscere
il mondo e le sue creature. E aveva previsto bene,
perché mio cugino nella vita ha esercitato la professione di medico specialista mentre io ho fatto il
ricercatore in un ente tecnico-scientifico.
Tornando ora ai ricordi di quell’età gioiosa, mi viene
ancora in mente il progetto architettato con un mio
compagnetto di scuola, nipote di un sacerdote, che
aveva in custodia una chiesa del paese.
Si trattava di approfittare della momentanea assenza
del prete per impadronirsi della chiave della torre
campanaria, entrare dentro e cominciare a tirare le
corde delle campane, in modo scomposto, così che
suonassero un pò “a morto” e un pò “a festa”.
Con quel sistema avremmo fatto accorrere in chiesa
un sacco di gente, sicuramente incuriosita o addirittura preoccupata per qualche evento imprevisto
accaduto in paese.
In effetti il progetto della bravata non fu mai realizzato ma io, che avevo studiato tutti i particolari,
sognavo spesso tutto il susseguirsi dell’operazione
fino alle estreme conseguenze: mi svegliavo di notte
e dal mio sogno vedevo ancora gli occhi puntati
contro di me di tutta quella gente arrivata di corsa in
chiesa, che, con gesti minacciosi, condannava la
burla e chiedeva pubblica ammenda.
Ed io, nel dormiveglia, mi vedevo tutto rosso in viso
mentre il prete benevolo cercava di placare gli animi
cosi’: “Si’, hanno sbagliato e si devono vergognare
chiedendo scusa, però dobbiamo riflettere.
Ormai che siamo tutti qui, riuniti in chiesa, perché
non cogliamo l’occasione per pregare insieme?
In fondo c’é stato uno scampato pericolo!”
Con quel cenno di
perdono il mio sonno
riprendeva tranquillo,
ma al mattino dopo...
la fantasia era di
nuovo al lavoro...
Poi il tempo e’ passato e passo passo l’ex
bambino Sandruccio
veniva a conoscenza
di ben piu’ gravi vergogne del mondo,
come le ingiustizie
sociali e le violenze
inflitte a popolazioni
intere.
Ma questa è un’altra
storia, una storia da
grandi, che riguarda
tutti noi.
-8-
UN NEMICO
DI NOME
VERGOGNA
MI VERGOGNO DI…
Maria Rossi
Mi vergogno di non saper leggere uno spartito
musicale. Vero. A casa di papà una zia era
Marco Di Tillo
diplomata in pianoforte a Santa Cecilia, una
suonava bene il violino, la terza il violoncello
Q u a l c h e
ma siccome papà (il piccolo di casa) ricordava
giorno fa un
come un incubo le lezioni di pianoforte che
amico mi ha
un’amica di famiglia, maestra di pianoforte,
detto che, da
veniva a dargli e ci raccontava del suo scappaquando
in
re a nascondersi, non volle che noi imparassiChiesa sono
mo. E mamma era d’accordo. Eppure il melostate tolte le
mane di casa era lui. Da lui abbiamo imparato
grate dai confessionali, si vergo- a conoscere Beethoven e Bach, Mozart e Vivaldi, Smetana e Czaikowski.
gna un po’ ad andare a confessarsi. Lui aveva un orecchio eccezionale, lui fischiettava e canticchiava, lui
Dice che preferiva il vecchio modo comprava i dischi, e lui e mamma ebbero l’abbonamento a Santa Cecilia
con l’inginocchiatoio esterno e, finché poterono andare… Eppure noi, tutte intonate, chi più chi meno,
appunto, la grata divisoria, quando non sappiamo leggere le note di uno spartito. Amare la musica non è quele labbra del confessore si intra- sto. È vero. E quando da Fazio a Che tempo che fa ho sentito il giovane
vedevano appena, senza distin- direttore d’orchestra Andrea Battistoni affermare senza esitazioni che
guersi troppo. Era una divisione studiare il flauto alle Medie fa odiare la musica, mentre sarebbe mille
simbolica, in effetti, ma significativa volte meglio far conoscere le biografie dei musicisti e far “ascoltare” la
e più “soft” rispetto all’attuale loro musica, ho pensato che avesse ragione, che anche papà avesse
dritto per dritto, occhi negli occhi. ragione. È meglio amare la Patetica, sognare con la Pastorale, viaggiare
È vero, direte voi, quando si è con la Moldava e ballare con il Bolero… anche se non si conoscono
davvero pronti a rendere testimo- le note!
nianza a Dio delle proprie azioni,
questi dovrebbero essere problemi Mi vergogno di quando ascoltai con gusto una compagna parlar male
della madre di un’altra. Vero anche questo. Andavo ancora a scuola dalle
già superati.
Ma non è così perché, ricordiamoci, suore (la vecchia “S. Maria degli Angeli”), non ricordo se ero in Quinta
sempre piccoli e deboli esseri elementare o in Prima media. Due compagne, amiche per la pelle (come
umani restiamo, impregnati delle si diceva allora), litigarono e una delle due mi venne a raccontare cose
nostre angosce, delle nostre ansie orribili sulla madre dell’altra (orribili e grottesche, anche perché - poi lo
e, infine, delle nostre vergogne. seppi – non vere). Ascoltai. Mi sembrava qualcosa di assurdo e il fatto
Appunto, la vergogna, il tema di che lo ricordi dopo quasi 50 anni è significativo! Le due fecero pace, fui
questo mese del nostro giornalino. messa in mezzo. Ma non fu tanto questo a farmi vergognare, quanto
Brutta bestia la vergogna. In l’aver prestato ascolto…
molte parrocchie, ad esempio, ci Da allora – grazie a Dio – rifuggo da chiacchiere e pettegolezzi. Sorrido,
sdrammatizzo e svicolo. Mi brucia ancora quel ricordo.
sono dei centri d’ascolto familiari,
a disposizione di tutti. Potrebbe
Mi vergogno di quanto ero paurosa da bambina. Ragni, scarafaggi,
andarci chiunque a parlare dei
scorpioni in campagna erano il mio incubo. Tra le risate di mia sorella che
propri problemi che, si sa, possono sul comò nella camera, che condividevamo, teneva sotto formalina una
essere davvero un elenco infinito: serpe, per fortuna, morta… Lei si laureò in Scienze biologiche (ovvio!); io
la tossicodipendenza del figlio, la mi vergogno ancora un po’ delle mie paure di allora e dei pianti quando
perdita del lavoro del marito, lo volavo giù dalla bicicletta e avevo le ginocchia piene di graffi e buchi.
stadio di malattia terminale di un Lei… rideva se si faceva male; ma era meno imbranata di me e cadeva
parente, l’alcoolismo, la solitudi- molto meno. Però, alla fine, ho imparato ad andare molto bene in bici.
ne e chi più ne ha più ne E con il tempo, vergognandomi di…, imparai un minimo a nuotare, un
metta.Una persona specializzata è minimo a reggermi sugli sci, un minimo a… fare altre cose.
lì a disposizione, in alcuni giorni
della settimana, ad orari fissi. Poi, finalmente, è arrivata l’età in cui
Eppure spesso sono troppo poche non ci si vergogna più.
le persone che approfittano di tale In cui ci si accetta con i propri pregi
HOTEL MODIGLIANI
servizio. Perché? Risposta facile: e le proprie debolezze, in cui si
per la vergogna. La vergogna di sopportano i propri difetti e non si ha
farsi vedere da qualcuno che ti paura di dire quello che si pensa.
conosce, la vergogna di far Evviva!
presente che nella propria fami- È l’età della maturità. Dovrebbe esseglia le cose non vanno così bene re l’età della serenità.
come sembra, la vergogna di Oggi mi auguro di non vergognarmi
spiattellare ad un estraneo una mai delle mie idee di Fede, di morale
verità a volte terribile, che è più e di politica. Vorrei avere - oggi e nel
LA TUA CASA AL
facile lasciare dentro che tirare futuro - la capacità, senza arroganza
fuori. Così, a causa della vergo- né presunzione, ma con chiarezza
CENTRO DI ROMA!
gna, non ci si apre con qualcuno e fermezza, di difendere sempre i
che invece potrebbe aiutare valori in cui credo le persone che
Via della Purificazione 42
moltissimo, potrebbe contribuire amo, anche se venissero attaccate e
criticate.
ad un miglioramento personale e
(piazza Barberini)
si preferisce mantenere le tristi Oggi mi vergognerei soltanto di non tel.0642815226 - fax 0642814791
realtà all’interno della propria avere il coraggio e la forza di affertesta, del proprio cuore, con il mare quello che penso; di non [email protected]
risultato di vedere aumentare dere quelli che ritengo vittime di
ingiustizia. Di qualunque ingiustizia
l’angoscia, giorno dopo giorno.
www.hotelmodigliani.com
si tratti.
Brutta bestia la vergogna...
-9-
DAL DIARIO DI UNA VOLONTARIA
GUARDA, SOLO LA VERGOGNA !
Giancarlo Bianconi
Elena Scurpa
Nella mia trentennale esperienza di volontariato nel
Policlinico Gemelli di Roma, riaffiorano nella mia
mente figure, situazioni, stati d’animo di tanti
pazienti che hanno colpito la mia sensibilità e che
difficilmente dimenticherò. Bastiano, un contadino
ciociaro, precisamente di un paesino vicino a Cassino,
è un paziente umile che suscita particolare tenerezza.
L’aspetto fisico denota una dura vita di stenti per
migliorare una condizione di miseria. È piuttosto
restio a parlare per eccesso di timidezza e perché si
esprime solo in dialetto a volte poco comprensibile,
anche per difficoltà di parola che gli procura una
fastidiosa protuberanza alla gola. Ricoverato per
sospetto tumore alla tiroide, è docile nel letto e cerca
di capire, dall’espressione di chi lo circonda, la natura
del suo male. La sua meraviglia è grande quando per
incoraggiarlo a parlare, gli dico che sono ciociara
anch’io. Il suo viso si illumina e da quel momento
divento la sua protettrice e confidente. Mi racconta
con nostalgia della sua casetta in campagna, dell’ombra di una quercia secolare, al cui tronco era solito
legare due pecore, che per lui rappresentano un
capitale accumulato con grandi sacrifici. Si rammarica
che anche la moglie non può più accudire alle
faccende domestiche sistematicamente, perché si
reca spesso a trovarlo. Quanta pietà desta questa
situazione! Anche la moglie è una donnetta semplice,
spaurita, che sosta per molte ore nel salottino della
corsia, in attesa che i medici terminino le visite, per
parlare con il marito e ripartire in serata per il paese,
non avendo possibilità di pernottare a Roma. Anche
lei mi dimostra tanta simpatia, incoraggiata dalla mia
disponibilità, si raccomanda di seguire e confortare il
marito. Bastiano si sente ormai protetto e aspetta con
ansia la mia visita. È diventato più spigliato, più
socievole ed ai compagni di corsia chiede spesso se è
venuta la sua compaesana. Quanta gioia prova una
mattina quando, dovendo sottoporsi ad un’analisi
piuttosto dolorosa, mi offro di accompagnarlo;
attraversando le corsie, sostenuto dal mio braccio,
gioisce dell’attenzione che gli è rivolta. Povero
Bastiano! La sua umile condizione di contadino, forse
ancora condizionato da residua mentalità medievale,
non gli aveva mai consentito di essere trattato con
fraterna sollecitudine. Un altro giorno lo trovo molto
preoccupato, quasi piangente. Gli chiedo il motivo
e mi risponde in dialetto ciociaro “chisti me vonno
accide” indicando il personale dell’ospedale. È veramente spaventato perché, a causa di una analisi più
approfondita, ha provato la sensazione di soffocarsi.
La caposala mi spiega che, nonostante i ripetuti tentativi, non sono riusciti a completare la terapia e pertanto, essendo per il momento migliorata la difficoltà
respiratoria, può tornarsene a casa, come è suo
grande desiderio, in attesa di un successivo controllo.
Bastiano mi dà questa notizia con immensa euforia e
nel salutarmi si fa promettere che, se durante l’estate
fossi tornata al mio paese, sarei andata a trovarlo; gli
avrei portato tanta gioia.
«Guarda! solo la vergogna di...». Quando ero piccolo questa era la
rituale formula con cui i miei genitori erano soliti dare avvio al
commento di un qualsiasi evento men che limpido o, tanto più,
disonesto e immorale di cui si veniva a conoscenza dai notiziari diffusi
dai mezzi d’informazione di allora: stampa quotidiana e radio. «Ma
adesso con che occhi potrà continuare a guardare i propri figli?
- proseguivano. Con quale coscienza, mi domando io? E i figli? I figli,
come pensi tu che potranno guardare il proprio genitore sorpreso a
compiere o comunque resosi colpevole di un’azione indegna?». Eccoli i
vocaboli nodali del “bel tempo andato”: “vergogna” e “coscienza”.
L e N. de Liguori s.r.l.
Agenzia Generale HDI
Assicurazioni
00195 Roma- Via Timavo, 3
Tel. 063759141 (r.a.) - Fax 0637517006
[email protected]
Oggi, mi domando io, questi due termini hanno ancora un significato,
un senso, meglio: hanno ancora una propria concreta effettività
nell’odierna vita sociale? Esiste veramente qualcuno che provi ancora il
disagioso sentimento della vergogna o crisi seria di coscienza? Ho più
di qualche dubbio in proposito. Mi verrebbe perciò spontaneo - dico la
verità - rispondermi di “no”. Tali e tanti sono gli scandali di ogni
genere compiuti da soggetti di ogni ceto, ordine e grado che, giorno
dopo giorno, vengono alla luce in ogni settore della vita sociale, da
quello della politica a quello della finanza, da quello della sanità a
quello dell’amministrazione pubblica e privata, da quello artistico a
quello sessuale a quello sportivo e persino a quello religioso, che,
francamente, mi riesce alquanto difficile immaginare che questi si
possa ancora provare tal genere di sentimenti. E a questo proposito mi
viene in mente un simpatico episodio (che, poi tanto simpatico in fondo
in fondo non è, come si vedrà alla fine) avvenuto un giorno mentre ero
in fila a mensa. Ad un certo punto un nostro spiritoso collega (questo
sì, veramente spiritoso) uscito dalla fila con un sorrisetto sulle labbra
si era messo a contare ciascuno di noi. Chiaramente, tutti lo stavamo
osservando incuriositi, e anche un po’ divertiti conoscendo il soggetto.
Mi parve naturale a quel punto domandargli cosa stesse facendo. E lui:
“sto contando quanti ladri, stupratori, falsari, truffatori... quanti malfattori, insomma, ci stanno adesso qui fra di noi in attesa di sedersi a
tavola. Ho letto sul giornale, infatti, che da una indagine compiuta da
uno dei tanti istituti di ricerca che adesso vanno così di moda, risulta
che in Italia esiste un ladro ogni sette cittadini, uno stupratore ogni
cinque, un omicida ogni venti, e così via; per cui vedi, lui (indicando un
altro collega) è un ladro, lei è una stu... no, lei no, lei non può essere
ma lui sì (indicando il collega che le stava accanto), lui sì che è uno
stupratore...”.
L’episodio, come è ovvio, si concluse con una risata generale.
Benché veramente spiritoso il modo con cui era stato condotto, l’episodio in sé stesso tuttavia rivelava in fondo in fondo una verità tutt’altro
che simpatica, anzi alquanto sconcertante e, soprattutto, preoccupante. Ed è questa la ragione di tanti miei dubbi nel dare una risposta
affermativa al dubbio rappresentato poc’anzi. Un tempo si provava vergogna pure per il solo fatto di aver potuto “anche solo concepire” l’idea
di compiere un’azione appena-appena biasimevole. E ci si andava di
corsa a confessare: “padre, ho fatto un brutto pensiero, ho ...”. Ma
oggi? Oggi direi che la vergogna o la coscienza la si prova e la si sente
solo quando il vantaggio ricavato dal compimento di un’azione riprovevole è decisamente inferiore, o addirittura nullo, rispetto a quello sperato.
“Vergogna”, in particolare, è un’espressione che di tanto in tanto mi
capita di udire solo da qualche mamma che l’impiega per rimproverare il proprio figlioletto macchiatosi di qualche piccolo capriccio, o
per qualche disobbedienza o per qualche altro banale fatterello tipico
della tenera età. E tutto ciò ha un comune denominatore?
Personalmente ritengo di sì: l’avidità. L’avidità di denaro in particolare,
a mio parere, generata dall’infinito egoismo di ciascun individuo. Se
infatti ci si interessasse meno di sé stessi e un po’ più del prossimo,
delle sue tribolazioni e dei suoi bisogni e se ci si attivasse seriamente
e fattivamente per alleviare situazioni di disagio di ogni genere, se si
fosse meno egoisti in altri termini, gli scandali di cui ci giungono
notizie tutti i santi giorni farebbero registrare una più che decisiva
flessione. È un’utopia questa mia? Chissà!
well
di Nicoletta Palmieri
CENTRO
ESTETICA & BENESSERE
Via Lattanzio 1/a - 00136- Roma
tel. 06 39751438 - Cell. 3384724534
www.esteticanicolettapalmieri.it
[email protected]
- 10 -
NON
VERGOGNAMOCI
DELLA
NOSTRA FEDE
Cesare
Catarinozzi
La vergogna emerge
nei nostri momenti
di maggiore vulnerabilità. Più mi apro
all’altro e più ho la
possibilità di essere
compreso, ma anche
di essere ferito. Le
situazioni di vergogna comportano sempre l’esposizione allo sguardo altrui. Uno dei sogni tipici
legati alla vergogna è l’imbarazzo per la propria
nudità. In questo tipo di sogno non sono gli altri a
farci notare la nostra nudità, sembrano invece non
accorgersene. Quasi sempre le persone davanti
alle quali ci si vergogna sono persone estranee.
Secondo Freud i sogni di nudità sono sogni di
esibizione, mentre per Fromm il corpo nudo
rappresenta il nostro vero Io e gli abiti il nostro Io
sociale. Il desiderio che si nasconde dietro questo
sogno è quello di essere veramente se stessi,
mentre l’imbarazzo provato potrebbe riflettere il
timore di essere disapprovati dagli altri, se si vuole
essere apertamente se stessi. Sognare di essere
nudi in pubblico, tra l’indifferenza della gente, può
indicare la necessità di abbandonare le nostre
paure di essere rifiutati. Viviamo in una società
laicista e ampiamente secolarizzata: gli abiti sociali
sono il conformismo, l’agnosticismo, il disinteresse
per il senso della vita. Ma se il nostro vero Io
si pone le domande: “Chi siamo?” – “Da dove
veniamo?” – “Dove andiamo?”, si interroga sul
mistero della vita e della morte, allora la vergogna
non può più essere un alibi, dobbiamo testimoniare
con forza il nostro modo di essere. Può veramente
essere nato tutto dal caso? Penso che anche l’ateo
più impenitente tremi difronte a questa domanda.
Spetta a noi testimoniare con forza e senza
vergogna alcuna il nostro punto di vista. In verità
anche all’occhio più miope appare difficile negare
quella che Tiziano Terzani chiama “una mente
pensante”. Ma Terzani, rivolgendosi al figlio,
sostiene che a questa mente pensante chi vuole
può mettere la barba e chiamarla Dio. Un concetto
molto astratto. Come non credere piuttosto in un
Dio – Persona, si chiami Allah, Zoroastro… Ma
quale Dio è più persona di quello cristiano, fattosi
uomo per la nostra redenzione, nato nel grembo di
una donna? Se crediamo questo, dobbiamo
testimoniarlo senza vergogna alcuna. “Chi si
vergognerà di me – dice Gesù – il Padre mio si
vergognerà di lui”. Occorre svestirsi di quelli che
Fromm chiama gli abiti sociali e mettere allo
scoperto il nostro vero Io. L’esempio più bello ci
viene forse da S. Francesco. Il poverello d’Assisi
mai si vergognò di essere considerato un pazzo o
almeno uno stolto, ma andò avanti fino in fondo
per la sua strada, affrontando le umiliazioni con
serena letizia. Per questo fu chiamato “alter
Cristus”. Quando S. Paolo parlò all’Areopago di
Atene non si vergognò di proclamare la
Resurrezione, nonostante i presenti gli ridessero
in faccia.
CANZONE PER ALì
Italo Spada
Non aver visto in quelle rughe
le fauci dell’onda
che ha ingoiato i tuoi sogni
non aver capito che la tua mano
era àncora di zattera
in cerca di salvezza
non aver sentito nella tua voce
la malinconia del griot
che narrava antiche leggende
non aver dipinto sulla tua pelle
d’ebano lucente
i mille colori dell’arcobaleno
LA VERGOGNA È UN
MURO DIETRO AL
QUALE NASCONDIAMO
NOI STESSI
Monica Chiantore
Partiamo da questo presupposto: l’essere umano ha la
ragione, strumento conoscitivo che lo differenzia dagli
altri animali del mondo in cui
vive. La vergogna è un sentimento che nasce dal cuore,
si, ma che proviene anche dal
nostro cervello. É l’avvertimento di qualcosa che ci sta
scomodo, entro il quale ci
sentiamo a disagio.
É un muro che alziamo e
dietro al quale nascondiamo
noi stessi. Pensiamoci: un
cane non si vergogna, non
prova pudore a fare i suoi
bisogni per strada, a “provarci”, se è ammesso usare
tale verbo per un animale,
con qualche cagnolina con la
quale ha avuto un colpo di
fulmine.
Noi genere umano siamo
molto complicati. Tendiamo
un po’ a perdere quella naturalità dei nostri sentimenti,
delle nostre emozioni e delle
nostre necessità.
Superare la vergogna di un
gesto, di una situazione, di
una qualsivoglia cosa, vuol
dire iniziare a fare le cose in
maniera più spontanea. Vuol
dire essere più noi stessi.
Attenzione però, bisogna
tener conto che tra vergogna
e pudore vi è una linea
abbastanza spessa che divide
due modi di essere molto
diversi tra loro. Essere vergognosi non vuol dire non essere
spudorati! Una buone dose
di pudore è sempre buono
mantenerla e conservarla.
- 11 -
non aver diviso con te
all’ombra d’una palma
il pane della mia bisaccia
non aver tolto la sabbia
che il ghibli del deserto
ammassa sul tuo cuore berbero
non aver pensato
al tuo e mio fratello
che sconfinò in Egitto
duemila anni or sono
è questa, Alì
la pioggia di piccoli sassi
che s’è fatta macigno
e impasta la mia Vergogna!
Ma la vergogna è bene iniziare
ad affrontarla, a guardarla in
faccia e con un bel sorriso
convincerla a farsi da parte.
Prendiamo per esempio chi si
vergogna di credere.
Chi tiene in un cassetto del
proprio cuore i pensieri e le
proprie profonde convinzioni,
la propria fede i propri talenti.
E non li tira fuori per ché si
vergogna e ha paura. Se da
una parte abbiamo una dose
di pudore, forza e coraggio
con una dose di sana e giusta
“sfacciataggine”!
In senso buono, ovviamente.
Parlo di un bicchiere pieno di
energia e forza d’animo, per
far sentire la voce dei propri
pensieri, del proprio cuore.
É giusto che ognuno di noi
liberi in un volo alto e leggero
le proprie idee.
Le idee non hanno gambe,
hanno ali, altrimenti non
riuscirebbero mai a scavalcare
quel muro che ogni tanto ci
blocca, che a volte ci impedisce di mostrare ciò che i
nostri occhi nascondono,
che spesso ci fa arrossire.
Quel muro appunto chiamato
vergogna.
RENÉ GIRARD:
MIMETISMO E
VERGOGNA
Renato Ammannati
René Girard è oggi uno dei più
celebrati pensatori cristiani.
Nato ad Avignone il giorno di
Natale del 1923, si trasferisce dopo
la guerra negli Stati Uniti e nel
1981 approda all’Università di
Stanford, dove ha insegnato fino
alla fine della sua carriera universitaria. Nel 1961 Girard pubblica un
saggio dal titolo Menzogna romantica e verità romanzesca.
Tema centrale è l’indagine intorno al desiderio dell’uomo,
che per lo studioso francese è sempre mimetico, cioè
imitativo. In questa prima opera ed in una seconda pubblicata due anni dopo (Dostoevskij. Dal doppio all’unità),
Girard pone le basi per l’individuazione del rapporto fra
psicologia e religione, fondato sull’assolutizzazione del
desiderio umano. È tuttavia con La violenza e il sacro,
pubblicato nel 1972, che si ha un notevole avanzamento
nella formulazione della teoria mimetica. Da questo
momento, infatti, la ricerca girardiana viene proiettata nella
dimensione antropologica. Ispirato a quanto pare da alcuni
suoi colleghi, Girard studia la letteratura etnologica che lo
porta a formulare tre ipotesi fondamentali fra loro collegate:
un certo tipo di desiderio conduce alla violenza e questa
violenza, nella dimensione comunitaria, è risolta attraverso
il meccanismo del capro espiatorio (o meccanismo vittimario). Esso è radicato a tal punto nel comportamento umano
che è individuabile nei miti e nei riti religiosi delle culture di
qualsiasi epoca e di qualsiasi parte del pianeta.
Il capro espiatorio, una volta ucciso, crea il «sacro», in altri
termini il religioso arcaico. Da queste incursioni nel terreno
antropologico, Girard riporta risultati di incalcolabile valore.
Essi conducono alla formulazione di un’ipotesi che diventerà
il fondamento della sua teoria generale: tutte le forme
culturali umane, più o meno complesse, hanno all’origine un
avvenimento tremendo da cui l’uomo, in una qualche
maniera, cerca di tenersi lontano.
Tale avvenimento non è posto tuttavia solo all’origine di
tutte le forme culturali ma si situa addirittura a fondamento
dell’intera storia umana.
Sulle idee elaborate in La violenza e il sacro nasce il suo
secondo capolavoro letterario e scientifico, Delle cose
nascoste sin dalla fondazione del mondo. Con quest’opera
Girard amplia ulteriormente il campo di ricerca, poiché
finisce per confrontarsi con la Scrittura biblica, con lo scopo
di dimostrare la validità della sua teoria anche per l’interpretazione dei testi giudaico-cristiani. Qui però l’indagine
giunge ad un punto di svolta. La figura di Gesù Cristo,
IL VALORE DELLA VERGOGNA
Alessandra Chianese
Il dizionario della lingua italiana recita: “Vergogna
– Turbamento dello spirito di chi ha commesso o sta per
commettere un atto disdicevole”,
A dirla tutta, c’è anche un altro significato che i timidi come
me conoscono molto bene: è quell”imbarazzo che impedisce, a vari livelli, di esprimere sentimenti, di parlare in
pubblico, di far valere le proprie ragioni, che arrossa le
guance o blocca le parole.
Ho impiegato una vita a tirar fuori un po’ di spavalderia e a
superare la frase tipica “No, non lo dico. Mi vergogno!”.
Non è a questo, però che mi riferisco. Voglio tornare al primo
significato, a quel turbamento della coscienza che sembra
aver perso diritto di cittadinanza nei giorni in cui stiamo
vivendo l’apice di una crisi che non è solo economica, ma
anche e soprattutto morale. Siamo in una situazione un po’
paradossale in cui, a volte, si potrebbe pensare di trovarsi
sul set di qualche commedia italiana degli anni ’70, quelle un
po’ “trash” che piacciono tanto a Quentin Tarantino.
particolarmente nel momento della Passione, costituisce
il centro dell’antropologia apocalittica girardiana: Cristo è
venuto a rivelare ciò che era posto alla fondazione del
mondo, cioè il sacrificio della vittima innocente a causa del
desiderio perverso dell’uomo. Per meglio capire il ruolo
svolto dal desiderio nella nostra storia, personale e collettiva,
spiega Girard, occorre innanzitutto «partire dalla distinzione
fondamentale tra desiderio e appetito. Appetiti quali quello
per il cibo o il sesso hanno carattere fisiologico e non sono
necessariamente legati al desiderio. Però non appena
appare un modello da imitare, qualsiasi appetito può venire
contaminato dal desiderio mimetico. La presenza del modello
è l’elemento chiave della mia teoria». La legge universale
del comportamento umano, secondo Girard, consiste nel
carattere mimetico (nel senso di imitativo) del desiderio.
In altre parole, noi imitiamo gli altri (rendendoli nostri
modelli), i loro desideri, le loro opinioni, il loro stile di vita.
Imitare è una cosa giusta o sbagliata? L’imitazione non deve
essere considerata una cosa negativa; anzi, essa è alla base
della nostra capacità di apprendimento. Senza imitazione,
infatti, non sarebbero ad esempio possibili la trasmissione
di modelli culturali e l’apprendimento delle forme di linguaggio. Noi, pertanto, siamo ciò che siamo proprio perché
imitiamo. Perché imitiamo?
Perché l’immagine di felicità e di sicurezza degli altri suscita
in noi (che ne siamo coscienti o meno) il desiderio di fare
ciò che essi fanno al fine di ottenere quella stessa felicità e
quella stessa alta considerazione di sé.
In altre parole, scegliamo alcune persone e le eleviamo a
nostri modelli. Tipici modelli nella nostra vita sono i genitori,
il leader del gruppo, gli amici, le figure carismatiche nella
politica, nello spettacolo, negli sport, nell’economia e così
via. Imitando ciò che gli altri fanno, riveliamo così l’intento
reale del nostro imitare: vogliamo essere ciò che i nostri
modelli sono. Per questo René Girard parla di desiderio
metafisico: «ogni desiderio è desiderio d’essere», cioè
desiderio di ottenere quella “pienezza di essere” di cui,
pensiamo, il nostro modello sia in possesso.
Tutti noi imitiamo perché tutti noi abbiamo modelli, e imitiamo
a qualsiasi età.
C’è tuttavia una notevole differenza fra l’imitazione suscitata
dal desiderio infantile e quella suscitata dal desiderio degli
adulti. Mentre un giovane non avrà problemi a manifestare
il desiderio di possedere un’auto tanto bella quanto quella
del suo amico, e rivelare così l’origine del suo desiderio,
l’adulto, al contrario, sarà meno incline ad ammettere che il
suo desiderio sia stato suggerito da un altro. Gli adulti,
infatti, si vergognano, a differenza dei giovani, di ammettere
di avere modelli da imitare perché a loro dà fastidio rivelare,
per motivi di orgoglio, la mancanza di essere. Così accade
che il sentimento della vergogna finisca per nascondere alla
coscienza adulta lo svolgersi di questa importante attività.
La vergogna, pertanto, compie negli adulti un’importante
opera di mascheramento dei reali motivi per cui certe
decisioni vengono prese.
Non siamo, però, in una fiction e i protagonisti mettono in
mostra un repertorio completo di comportamenti discutibili,
a volte esibiti con ostentazione, a volte negati anche di
fronte all’evidenza. In questo 2012 sembriamo esserci
accorti che non c’è più vergogna, né turbamento, neanche
davanti alle cose più turpi, ma solo coscienze anestetizzate,
pronte a giustificare qualsiasi azione in nome di un sentimento distorto di autoaffermazione. Tutto è lecito, i casi di
coscienza sono “roba da sfigati”.
Purtroppo non è solo un fenomeno isolato, ma è pervasivo.
Eduardo de Filippo chiudeva la sua commedia “Napoli
Milionaria” in cui aveva descritto in maniera emblematica il
degrado di una famiglia e il desiderio finale di riscatto, con
la celebre battuta “Ha da passà a nuttata”.
Ma qui la nottata non passa mai! Il tarlo della disonestà e
della corruzione si è insinuato a tal punto nella società
civile, da coinvolgere anche la gente comune, conquistata
dalla mentalità della scappatoia facile che consente di
superare gli altri senza meriti particolari che non siano
quell’abusata furbizia che contraddistingue tanti.
E se è vero che vogliamo riscattarci ed uscire dal buio, anche
l’ammissione della propria vergogna può diventare un segno
di responsabilità.
- 12 -
LA RUBRICA
DELLA VITA
a cura di
Giuseppe del Coiro
bero aiutare e sostenere le situazioni di effettiva difficoltà, è
un ulteriore fallimento della norma.
ABORTO LEGALE:
LA SOLUZIONE DI CHI
NON VUOLE VEDERE
PROSPETTIVE
Delle centinaia di morti in disastri naturali
si parla tanto, come è giusto che sia.
Delle migliaia di morti a causa dei conflitti civili
in corso in varie zone del mondo si dice molto meno:
è una delle tante conferme che il principio
di uguaglianza non vale per i mass media.
Anche in Italia tante sono state le vittime della legge n. 194
del 22 maggio 1978, che da più di trent’anni disciplina la
pratica dell’aborto “legale”.
Si legge nei rapporti periodici del ministero competente che
vi sono state un certo numero di IVG. “IVG” — come molti
sanno — sono le iniziali di “interruzione volontaria della
gravidanza”, che è una elegante circonlocuzione adoperata
per non pronunciare il più impegnativo e traumatico termine
“aborto”; il grado di asetticità è più elevato se si pronunciano
le sole iniziali. Ma di chi stiamo parlando?
I difensori a oltranza dell’aborto “legale” continuano a evitare
imbarazzate risposte riguardo l’identità del nascituro: se,
cioè fin dal momento del concepimento ci si trovi davanti a
un essere umano, dotato di patrimonio genetico completo,
unico e irripetibile, nel quale è scritto se sarà uomo o donna
e quale sarà il colore dei suoi capelli, o meno. A questo
punto, giova a poco constatare che dopo la legge vi è stato
un lieve decremento.
Nel 1978 la legge si proponeva di azzerare gli aborti terapeutici; di ridurre gli aborti spontanei; di assistere quelli
clandestini, nonché di favorire la procreazione cosciente, di
aiutare la maternità, di tutelare la vita umana dal suo inizio.
È stato raggiunto questo scopo?
La legge è diventata semplicemente uno strumento di
controllo delle nascite. Oggi chi pratica con maggior frequenza
l’aborto sta operando un’opzione culturale, favorita, avallata
e sostenuta finanziariamente dallo Stato. Oggi lo stesso
Stato da un lato elimina progressivamente l’assistenza
sanitaria e la gratuità dei farmaci anche a chi ne ha reale
necessità, con “strette” finanziarie sempre più pesanti,
dall’altro non rinuncia a stanziare i fondi per il genocidio
sistematico in atto da oltre tre decenni.
E gli altri obiettivi enunciati a suo tempo? È fallito il proposito dell’aiuto alla maternità e della tutela della vita umana,
perché la legge n. 194 ha conferito il “diritto” di sopprimere
ciò che fa diventare madre, e quindi di violare irreparabilmente la vita umana.
Ma non basta. Un profilo preoccupante della banalizzazione
del ricorso all’aborto è l’assenza della fase della dissuasione,
che pure la legge prevede: secondo quest’ultima, quando la
gestante si rivolge al consultorio, o a una struttura sociosanitaria, o al proprio medico di fiducia, costoro dovrebbero
indurla a riflettere, prospettando le possibili alternative
all’aborto.
Il non funzionamento delle strutture pubbliche, che dovreb-
In un contesto in cui questa legge non offre aiuti reali e
concreti, vediamo che le migliori prospettive sono offerte
dalle persone di buona volontà, che hanno sperimentato
l’amore e la misericordia di Dio e sono spinte proprio da
questa esperienza verso il prossimo.
Così sono emerse tante associazioni di volontariato che
sostengono la vita e le persone in difficoltà. Le persone, i
genitori o, quando succede, la donna che resta da sola.
In Parrocchia annualmente sosteniamo il Segretariato
Sociale per la Vita, nel cui sito (www.segretariatoperlavita.it)
si legge: “nel solco dell´esperienza storica dei Centri di Aiuto
alla Vita da sempre abbiamo voluto condividere uno dei
momenti più significativi dell´esistenza umana: l´attesa di
un figlio ma soprattutto la problematicità che accompagna
quanti, donne e coppie, sono alle prese con una gravidanza
difficile o inattesa.
Grazie alle migliaia di persone conosciute in questi anni
abbiamo imparato a vivere insieme a loro questi momenti, a
capire cosa significa trovarsi di fronte ad una decisione così
importante come quella di portare o no alla luce un figlio...
A condividere, in particolare con le donne, lacrime e
sentimenti: di abbandono, paura, solitudine; di delusione,
impotenza, rabbia verso chi in un momento come questo
anziché proteggerti ti volta la faccia.
Per questo e tanti altri motivi ancora abbiamo fatto
dell´accoglienza e dell´ascolto, del rispetto per ogni persona
umana i tratti caratteristici del nostro agire.
“Insieme” è la nostra parola chiave, un messaggio che
tradotto significa: noi ci siamo.
Sia nel momento della massima criticità per una
decisione da prendere che cambierà la propria vita; sia per
affrontare i problemi, valutare risorse, trovare aiuti e opportunità perché a tutti, anche a chi è in difficoltà, sia data la
possibilità di accogliere un figlio.
Sia per andare fino in fondo accompagnando ogni
donna durante la gravidanza nel suo percorso personalissimo
che la porterà a diventare mamma.
Cosí pure per ogni coppia sposata e non, alle prese con
l´arrivo di un figlio e i problemi del convivere quotidiano.
In particolare ci siamo per quei giovani e giovanissime
alle prese con qualcosa di più grande di loro e che hanno
bisogno più di altri di trovare persone e un luogo accogliente
e sicuro dove esprimersi liberamente, senza condizionamenti
e paure.
Ci siamo anche per accogliere la sofferenza profonda e
nascosta per una vita mancata”.
Allora se la descrizione della realtà sociale, così come si è
andata realizzando negli anni, può farci vergognare come
esseri umani e come cristiani fratelli, questa prospettiva
realizzata da semplici persone di buona volontà ci indica una
strada di riscatto per la vita.
Cambiamo il nostro modo di essere nei confronti del mondo,
come ci ha chiesto Gesù, e avviciniamo il prossimo con il
cuore, come nostro fratello, cosicché si realizzi una cultura
per la vita, che porti ad affermare il rispetto per ogni persona
umana, dal concepimento alla morte naturale.
- 13 -
RIGUARDO
ALLA
VERGOGNA
Lydia Longobardi
La vergogna è un
sentimento che molti
provano quando compiono un’azione che
non avrebbero voluto
compiere e ne provano
rimorso.
Purtroppo alcuni questo sentimento non lo
provano mai!
Io ricordo un piccolo
episodio per cui ho provato molta vergogna.
Era una giovanissima insegnante nel primo giorno
di scuola in una prima media. Entravano in classe
tanti ragazzini, tutti ben vestiti, con cravattine dai
colori sgargianti ed il sorriso sulle labbra.
Spiccava tra gli altri un ragazzino vestito modestamente con una cravatta nera. Lo guardai e, impulsivamente in tono di leggero rimprovero, gli chiesi:
“E tu, perché ti sei messo la cravattina nera? Non
sei contento di venire a scuola, non è un bel giorno
per te?”
Il ragazzino chinò timido e confuso il capo, poi
alzandosi in miedi mormorò a voce bassa: “Pochi
giorni fa è morta mia mamma, con la sorellina che
aspettava”.
Io rimasi impietrita dalla vergogna, sarei voluta
scomparire dalla classe. Dopo un attimo di silenzio
generale, lo chiamai alla cattedra, lo abbracciai e
baciai chiedendogli scusa più volte.
Col passar dei giorni divenne un po’ il mio “cocco”
per tutti e tre gli anni di scuola. Ora, qualche volta,
lo incontro più che cinquantenne per via de Carolis.
È molto affettuoso con me. Ma io ancora mi
vergogno… Il campo della vergogna è vasto.
Alcune volte, leggendo sui giornali azioni assai
riprovevoli di persone di cui si aveva fiducia, penso
che esse si dovrebbero vergognare.
Attualmente in questo paese il senso della vergogna si è perso perché si è perso il senso del peccato.
Tutto è permesso per poter raggiungere successo e
ricchezza. Chi ha potere si sente al sicuro da tutto
e non prova vergogna neanche nei riguardi di Dio,
di cui per interesse gli è comodo anche ignorare
l’esistenza. A volte penso che anche noi cristiani
praticanti, spesso dovremmo vergognarci per
quanto poco ricambiamo col nostro comportamento
l’amore infinito che Dio ci dona, quanto poco ci
siamo capaci di rinnegare noi stessi per seguirlo.
Meditando su queste realtà, forse riusciremo ad
amare di più Gesù e vergognarci di meno.
DALLA VERGOGNA,
AL RIMORSO.
DAL PENTIMENTO
ALLA CONVERSIONE.
Alfredo Palieri
Nel romanzo di Luigi Capuana
il marchese di Roccaverdina è
responsabile di un omicidio ma
ha talmente rigirato le carte da
far finire in prigione un povero innocente. Una notte
sente un enorme vergogna per il suo comportamento ed
è spinto a cercare un sacerdote al quale confessa tutto,
aggiungendo infine:
“Adesso, padre, come penitenza mi obblighi pure a
versare tutte le somme che crede alle orfanelle e alle
opere di carità!”.
“No.”, gli risponde il sacerdote” Adesso devi andare dal
giudice, dirgli come stanno le cose e far uscire di prigione
quel povero innocente. Tu devi avere il coraggio di essere
processato.”
Ma il marchese tentenna. La vergogna gli aveva dato
una spinta salutare ma lui ha ipnotizzato la propria
coscienza ed è rimasto al semplice ed inefficace stadio
del rimorso. Anche noi spesso siamo tentati di ipnotizzare
la nostra coscienza molte volte e ci sembra che il
semplice rimorso sia sufficiente a recuperare. “Si, va
bene. Sono stato io a causare quel danno con la mia
macchina. Ma nessuno se n’è accorto che la colpa era
mia”. Ben diverso l’esempio di Zaccheo, l’esattore delle
imposte. Per riscuotere dal contribuente cento sesterzi
se ne fa dare duecento: cento per l’agenzia delle entrate
dell’Impero Romano e cento come suo aggio elettorale,
incurante delle lamentele e dei pianti del poveraccio che
non sa come tirare avanti con la famiglia. Zaccheo sente
vergogna quando vede la folla che si addensa intorno a
“qualcuno” che lui non sa ancora bene chi sia. Il nostro
don Gianni, in una sua omelia, ha illustrato che, mentre
gli altri si accontentavano soltanto di vedere, invece
Zaccheo vuole incontrare quel qualcuno e sale su un
albero per facilitare l’incontro. E, come ha spiegato
anche bene ad Ostia nella chiesa dei paraplegici Don
Franco, quel qualcuno e cioè Gesù, non disse “voglio”
ma “devo venire a casa tua, Zaccheo!”. Perché Gesù
sente che lui deve compiere la volontà del padre.
Zaccheo dalla vergogna non passa attraverso il rimorso
ma giunge subito al pentimento e alla conversione. E
padre Insolera, da buon siciliano, commentava ridendo:
“Però a Zaccheo cara gli costò quella conversione!”
Un semplice calcolo, infatti. Dare la metà del proprio
patrimonio ai poveri, poi restituire quattro volte tanto
agli aggi elettorali. Comunque Zaccheo doveva avere
proprio un bel patrimonio, visto che, dopo la conversione,
gli restò ancora qual cosina per lui.
Infine un bel concetto ascoltato durante una messa e
cioè quante volte nel Vangelo ricorre in modo fondamentale la parola “oggi”. Oggi è nato il Salvatore
(Natale). Oggi sarai con me in Paradiso (al buon ladrone).
Oggi la salvezza è entrata in questa casa (a Zaccheo).
- 14 -
Lettere
LA VERGOGNA,
QUESTA SCONOSCIUTA
Luigi Guidi
Il dizionario della lingua italiana dice che la vergogna è:
1) Sentimento di colpa o di umiliante mortificazione che si prova
per atti o comportamenti, propri o altrui, sentiti come disonesti,
sconvenienti, indecenti;
2) Senso di impaccio, di timore dovuto a timidezza o ritrosia;
3) Disonore, infamia.
Pensando a queste definizioni, soprattutto la prima, mi sento un
po’ come don Abbondio quando si chiedeva: “Carneade. Chi era
costui?” e mi viene da dire “La vergogna. Chi era costei?”.
Viviamo infatti in un’epoca in cui il comune senso della vergogna
è totalmente stravolto, ammesso che ancora sussista. Alcuni
esempi.
Si processano dopo vent’anni i presunti colpevoli di ieri mentre i
grandi (e certissimi) ladri di oggi girano indisturbati. La strage
degli innocenti è contrabbandata come conquista di civiltà e di
autonomia sociale.
Si ruba a piene mani e si chiamano ladri gli altri.
Si pagano profumatamente le persone affinché appaiano meno
giovani di quanto in realtà sono. Si cambia partner quasi con la
stessa facilità con la quale si mette da parte un vestito che non va
più di moda o che comunque non piace più. Eccetera, eccetera,
eccetera. Si assiste dunque – probabilmente a causa di un processo
perverso di scristianizzazione, di laicizzazione della vita – ad uno
stravolgimento, o meglio ancora ad un rovesciamento di valori, in
forza del quale ciò che è bene agli occhi di Dio è visto come male,
e ciò che è male agli occhi di Dio è visto come bene. Restando in
tema, si può dire che ci si vergogna del bene e non ci si vergogna
del male. Si cade cioè in una condizione tremenda, nella quale, non
riconoscendo più il male ed il peccato come tali, si perde il timore
di Dio e, con esso, la possibilità di chiedere ed ottenere il perdono
delle colpe. Disse Gesù a S. Brigida (v. “Ciò che disse Cristo a
Santa Brigida”, Ed. San Paolo, con prefazione del Card. Camillo
Ruini): “Perciò il timore è come un’introduzione al cielo; molti
infatti caddero nel baratro della propria morte, perché avevano
allontanato da sé il timore di Dio e si vergognarono di confessare
davanti a Dio. Perciò mi rifiuterò di sollevare dal peccato chi
trascura di chiedere perdono.” (Opera citata, Libro III, capitolo 19).
E poco più oltre: “Dio infatti sopporta l’uomo fino all’ultimo e
aspetta, semmai il peccatore voglia rimuovere totalmente la sua
libera volontà dall’affetto al peccato. Ma quando la volontà non si
corregge, l’anima è avvinta quasi invincibilmente, perché il diavolo
sa che ognuno sarà giudicato secondo la coscienza e la volontà e
fa ogni sforzo in quel punto, affinché l’anima prenda la cosa alla
leggera e s’allontani dalla retta intenzione. E Dio lo permette,
perché l’anima, quando doveva, non volle vigilare.” Vergognarsi di
confessare davanti a Dio i propri peccati conduce dunque alla
morte. Questo tipo di vergogna è da evitare nel modo più assoluto.
Che cosa può fare, allora, chi, per caso, si trovasse con l’anima
avvinta quasi invincibilmente al peccato? Ci viene in soccorso,
come sempre, la SS. Vergine che dice a S. Brigida (op. cit. libro I,
capitolo 22): “Allora la Vergine Maria disse: …pensa alla misericordia di Dio, poiché nessun uomo è tanto peccatore che il
suo peccato non sia perdonato, se lo chiederà col proposito di
emendarsi e con contrizione.”
- 15 -
VITE CHE SI
INCONTRANO,
DESTINI CHE SI
INCROCIANO
Elena Gionta
Un Venerdì pomeriggio
seguo la via Crucis
nella nostra parrocchia
di S.Pio X e, ad una
Stazione, mi inginocchio ad un banco. Leggo una delle la
targhette d’ottone offerte dai parenti in
ricordo dei defunti e il cuore mi fa un
balzo.
C’è scritto: “Venerando Torrisi!”
Cerco di non distrarmi ma, inevitabilmente, il pensiero corre indietro, molto indietro, nel tempo. È il luglio del 1948,
precisamente il quattordici luglio. Devo
affrontare la prova scritta d’Italiano per
gli esami di Maturità classica presso di
Liceo Pitagora di Crotone.
Succede un fatto grave: per la prima
volta un esame di Stato viene rimandato
per l’attentato all’onorevole Palmiro
Togliatti. Si comincia qualche giorno
dopo. Noi studenti conosciamo i membri
della commissione che ci esamineranno.
Il presidente esterno è un preside di
Catania, il professor Venerando Torrisi.
Una figura indimenticabile ! Passano gli
anni. Io mi avvio agli studi universitari di
Matematica e Fisica all’Università di
Roma.
Per le vacanze natalizie torno al mio
paese in Calabria: Fuscaldo, così chiamato
per le vicine terme sulfuree. E faccio un
incontro che mi cambierà la vita. Un
giovane, nato a Syracusa in America e
residente a Roma, viene a far visita ad
un suo zio sacerdote, padre passionista,
che vive in un convento del mio paese e
mi conosce.
Le nostre vite, la mia e quella del giovane,
si incontrano così occasionalmente, e
sarà per sempre. Sarà lo stesso zio sacerdote ad unirci in matrimonio a Pompei.
Ci stabiliamo a Roma, ma molto spesso
soggiorniamo a Formia da dove ha origine
la famiglia di mio marito e dove abbiamo
una casa.
Ed è in questa località che, per la seconda
volta, incontro il prof. Venerando Tossisi
che, capitato a Formia per motivi scolastici, se n’era innamorato.
Passano ancora degli anni.
Noi ci spostiamo dal quartiere Prati alla
Balduina e qui, per la terza volta, ho il
piacere di imbattermi nel prof. Torrisi,
trasferitosi nel frattempo a Roma nel mio
stesso quartiere.
Ora ritrovo il suo nome su un banco della
mia Chiesa ed il mio pensiero va a ritroso,
agli anni della mia gioventù, al ricordo
nostalgico di questo carissimo professore
che ho avuto il privilegio di incrociare più
volte nella mia vita e alle tante sorprese
che il destino ci riserva.
IL NOSTRO
GIORNALE
SI PRENDE
UNA PAUSA
“Arrivano i Nostri” vanta un gran numero di appassionati lettori ed una folta schiera di collaboratori che
da più di sei anni inviano regolarmente articoli,
disegni, poesie, lettere e contributi vari.
Il giornale viene realizzato graficamente da una sola
persona attraverso il programma professionale
Quark X Press. È un lavoro piuttosto lungo.
Si tratta di assemblare gli articoli arrivati via mail,
riscrivere da capo al computer quelli giunti in
redazione per lettera e scritti a mano con calligrafia
non sempre chiarissima, scannerizzare immagini e
lavorarle al photoshop, trovare sul web foto e disegni
da utilizzare. Poi si impagina, via via che arrivano i
contributi e spesso rimontando di nuovo tavole che
sembravano già finite, fino all’ultimo giorno offerto ai
collaboratori per l’invio dei materiali. Quindi si confeziona il cd da portare in tipografia, passando subito
dopo alla lettura delle bozze e alla stampa. Infine c’è
la consegna. Alcune copie vanno in parrocchia, altre
portate sempre dalla stessa persona e dalla gentile
signora Alessandra Angeli ad edicole e negozi vari del
quartiere. Da quando si è aggiunta poi la possibilità
di inserire spazi pubblicitari, dopo un iniziale entusiasmo e offerta d’aiuto da parte di alcuni, la stessa
persona ha l’onere di andare a chiedere un’offerta ai
vari negozianti, non sempre disponibili a contributi
“alla parrocchia”. Le offerte ricevute servono a coprire
circa la metà dei costi mensili. Insomma un po’ di
fatica che, questa persona e cioè il sottoscritto, anche
a causa di un momento di sovraccarico familiare e
lavorativo, desidera rallentare per un po’. L’ho fatto
finora sempre con grande entusiasmo ed amore,
ricevendo in cambio stima e solidarietà da parte
di moltissime persone, la prima delle quali è il mio
parroco che ha sempre collaborato e sostenuto
l’iniziativa.
Sono convinto che in questa grande parrocchia la
presenza di un giornale sia importante e anche
necessaria ma, probabilmente, dovrà nel prossimo
futuro essere ripensato e riorganizzato, in modo che
l’impegno possa essere distribuito tra più persone.
Spero molto che i nostri giovani, prima o poi, possano
essere interessati a riprendere questo discorso,
magari in modo diverso e, forse, “ridisegnato”
completamente da loro stessi. Io sarò sempre qui per
dare una mano, consigli ed aiuto pratico.
Un saluto a tutti,
Marco Di Tillo
NOTIZIE, NOTIZIE, NOTIZIE
30 ANNI DI SACERDOZIO
PER DON PAOLO!
Il nostro parroco don Paolo Tammi ha
fatto 30! È stato ordinato sacerdote,
infatti, il 24 aprile 1982 dal cardinal
Poletti, Vicario di Roma. Lunedì 23 aprile
alle ore 19 ha voluto festeggiare
celebrando la S.Messa davanti ai suoi
parrocchiani. È proprio il caso di dire:
EVVIVA PAOLO!
da l 1 966 a l l a B a l du i n a
STAMPA A RILIEVO - OFFSET - DIGITALE
(foto di Maurizio Degol)
- 16 -