L`evoluzione storica della penitenza fino al VI° secolo

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L`evoluzione storica della penitenza fino al VI° secolo
L'evoluzione storica della penitenza
di Josè Ramos Regidor
in “Com-Nuovi Tempi” n. 15 del 24 aprile 1983
Si è già parlato del peccato e della riconciliazione in alcune religioni del mondo antico (cfr. ComNuovi Tempi, n. 11, 20 marzo 1983). Il tema sarà ripreso da altri punti di vista. In queste pagine si
offre una breve sintesi dell'evoluzione storica del sacramento della penitenza dall'antichità fino ai
secoli XII-XIII in cui si stabilizza la sua forma attuale.
Per un'ulteriore informazione, cfr. lo studio storico di K. Rahner, La penitenza della chiesa, Ed.
Paoline, Roma, 1964; le antologie di C. Vogel, Il peccatore e la penitenza nella chiesa antica,
Ed. Ldc, TorinoLeumann, 1967; Id., Il peccatore e la penitenza nel medioevo, Ldc, 1970; e Josè
Ramos Regidor, Il sacramento della penitenza, Ldc, 4a ed., 1979, pp. 143-198.
Dalla riflessione sui dati storici possono sorgere alcune indicazioni e problemi che mi limito ad
elencare succintamente:
1) la conversione e la riconciliazione sono dimensioni necessarie dell'esistenza cristiana e la loro
celebrazione ecclesiale centrale sono il battesimo e l'eucarestia; di conseguenza, il sacramento della
penitenza è una, non l'unica celebrazione della conversione e riconciliazione del cristiano peccatore;
esso inoltre non è necessario per tutti i cristiani: nei primi secoli esso era precluso alla maggior parte
dei cristiani e situazioni più o meno simili potrebbero ripetersi. Quindi, dal punto di vista storicoteologico, non sono scontati i ripetuti appelli di Wojtyla alla confessione individuale.
2) Le forme storiche che il sacramento della penitenza ha avuto nel passato sono molto diverse
dalla confessione privata o auricolare come si è imposta dal medioevo in poi; ciò vuol dire che lo
stesso sacramento potrà acquistare nel futuro forme nuove, anche molto diverse da quelle del
passato e del presente. L'impulso alle successive innovazioni è venuto dallo Spirito di Cristo in
rapporto ai bisogni storici delle comunità, a volte dal basso, anche in contrasto con le decisioni
dei pastori. In questa storia si è fatto presente il peccato che segna la stessa chiesa, come è apparso
dalle deviazioni e dagli abusi realmente esistiti. Si può osservare la presenza di un difetto
abbastanza comune alle sue diverse forme storiche: un certo slittamento dalla sfera del mistero
della Parola di riconciliazione verso la sfera giuridica che fa del sacramento uno strumento di
controllo ecclesiale e sociale.
3)La situazione attuale pone fra gli altri alcuni problemi: come valorizzare concretamente
l'eucaristia come sacramento della conversione e riconciliazione del cristiano peccatore? È
possibile superare il ritualismo, il legalismo e l'autoritarismo della confessione individuale o
auricolare, e la sua utilizzazione oggettiva come strumento di controllo e di ricompattamento
ecclesiale? Come ridare alle celebrazioni del sacramento della penitenza la loro dimensione
comunitaria, per far sì che il soggetto della stessa celebrazione non sia soltanto il ministro ordinato
ma tutto il popolo di Dio? Come sottolineare la dimensione personale del peccato e della
conversione, che sappia utilizzare i contributi della conversione, che sappia utilizzare i
contributi delle scienze antropologiche e della psicologia moderna, per superare una concezione
troppo «cosista», legalista e giuridica del peccato, della conversione e della grazia stessa di Dio?
Come integrare nella celebrazione ecclesiale della conversione e riconciliazione la dimensione
sociale e storica del peccato, facendo evidenziare che l'interlocutore e il soggetto principale della
stessa celebrazione sono i poveri e la loro lotta di liberazione?
fino al VI° secolo
Almeno fino al secolo IV, la comunità ecclesiale era formata da cristiani che, nella loro
maggioranza, avevano ricevuto il battesimo da adulti, spesso dopo un prolungato sforzo di
conversione gestito dalla comunità. In questa situazione nacque una forma specifica di celebrare
la penitenza e la riconciliazione dei cristiani peccatori, forma profondamente diversa da quella della
chiesa occidentale post-tridentina. Nelle sue grandi linee, questa prassi penitenziale appare
sufficientemente strutturata nei testi del secolo III, anche se vi si trovano tracce in altri testi del
secolo precedente. In generale, viene indicata dagli storici come penitenza canonica perché regolata
da alcune norme o canoni stabiliti in alcuni concili della prima metà del secolo IV e in alcune
lettere penitenziali particolarmente importanti. Viene anche caratterizzata come penitenza
ecclesiastica, per sottolineare la sua dimensione ecclesiale, e come penitenza antica, per accentuare
la sua diversità nei confronti della prassi che ha avuto inizio nei secoli VI-VII e che arriverà alla
forma attuale soltanto dal secolo XIII in poi.
Peccati sottomessi alla penitenza canonica.
In teoria soltanto i peccati gravi erano oggetto di questa prassi penitenziale, e con frequenza i testi
parlano di quei peccati che, secondo il Nuovo testamento, escludono dal regno, dal corpo di
Cristo, dalla salvezza. C'era però a quei tempi una grande flessibilità e incertezza nel distinguere i
peccati mortali da quelli lievi. Di fatto, si ritiene generalmente oggi che la penitenza ecclesiastica
fino al secolo VI non è andata molto al di là dei casi pubblici e notori di peccati capitali, cioè
soprattutto dell'apostasia-idolatria, omicidio e adulterio. Ma si deve aggiungere che la
situazione era più o meno rigida e aperta secondo i tempi e le regioni.
La liturgia penitenziale.
La celebrazione della conversione e riconciliazione dei cristiani peccatori nella chiesa antica
comprendeva le tre fasi seguenti:
I) Ingresso fra i penitenti. Consisteva in un atto liturgico formato da diversi gesti, come
l'imposizione delle mani, la vestizione del cilicio, l'espulsione simbolica dalla comunità e
l'entrata nell'ordine o gruppo dei penitenti. Presentarsi come soggetti di questo rito era
già riconoscersi pubblicamente peccatori. A volte, lo stesso rito richiedeva una confessione
pubblica ma generica. Con frequenza, la confessione particolareggiata si faceva al vescovo
(ad uno «spirituale» o ad un sacerdote) prima della liturgia penitenziale, per consigliare o
decidere se il cristiano peccatore doveva sottomettersi a questa penitenza canonica.
II) Esercizio delle opere di penitenza. La sua durata, generalmente di vari anni, era stabilita
dal vescovo, tenuto conto della gravità dei peccati, delle prescrizioni dei concili e della
volontà di conversione del penitente. Durante questo periodo i penitenti rimanevano esclusi
dalla comunione eucaristica e, generalmente, erano classificati e divisi in gruppi diversi
secondo il grado di possibile partecipazione alla celebrazione dell'eucarestia («ordini di
penitenti»). Dovevano condurre una vita mortificata, dedicata alla preghiera e all'elemosina,
essere corretti, consigliati e aiutati dalla comunità. Si proibiva loro la professione delle
armi, l'esercizio di cariche pubbliche e di attività commerciali, l'ingresso nel clero, il
matrimonio e i rapporti sessuali con il legittimo coniuge. Queste proibizioni o «interdetti
penitenziali» rimanevano in vigore, generalmente, anche dopo di avere ottenuta la
riconciliazione, per tutta la vita.
III) La riconciliazione o «assoluzione della penitenza». Aveva, luogo alla fine del periodo
penitenziale mediante un rito liturgico più o meno solenne. Generalmente i penitenti
invocavano la preghiera dei fratelli per chiedere il dono dello Spirito di Cristo che li
riconciliava con Dio e con la chiesa. Il vescovo imponeva le mani ai penitenti e diceva la
preghiera di riconciliazione. Normalmente il rito finiva con l'ammissione dei penitenti alla
partecipazione piena all'eucarestia mediante la comunione. A partire dal secolo V questo rito
aveva luogo, generalmente, il giovedì santo. I presbiteri potevano conferire la penitenza e la
riconciliazione solo in casi di necessità e di imminente pericolo di morte.
Caratteristiche della penitenza antica.
Quello che principalmente distingue la prassi penitenziale antica da quella che si introdusse a partire
dai secoli VI-VII è la sua irrepetibilità, poiché si concedeva una sola volta nella vita. Questo
principio appare affermato per la prima volta nello scritto noto come «Pastore di Erma» (140-155)
e permane nella sua rigidità finché durò questa forma di penitenza canonica. Se il cristiano già
riconciliato ricadeva nel peccato, lo si poteva ammettere di nuovo fra i penitenti, si pregava per lui,
ma mai gli si concedeva la riconciliazione ufficiale o l'assoluzione una seconda volta; se era apparso
pentito per un certo periodo, poteva ricevere la comunione eucaristica nel momento della morte,
senza previa assoluzione o riconciliazione ufficiale.
Questo principio, la sua durata e l'insieme degli interdetti penitenziali di cui si è parlato sopra,
mostrano come la penitenza antica fosse sommamente rigida. Il peccato mortale, specialmente
dopo il battesimo ricevuto generalmente da adulti, era considerato come un male serio e
profondo, che penetra tutta la persona (oggi diremo la sua opzione fondamentale) e che, per
questo, richiede uno sforzo doloroso e prolungato di conversione. Inoltre, con questa rigidità la
comunità primitiva cercava di difendersi e di mantenere la sua integrità.
Appare dal fin qui detto che questa prassi penitenziale aveva una chiara dimensione ecclesiale o
comunitaria. È tutta la comunità che interviene nella conversione e nella riconciliazione del
fratello peccatore: con l'ascolto della parola di Dio, con l'esempio della loro fede, con la preghiera
e con la carità, con la correzione fraterna e con la partecipazione attiva al rito della
riconciliazione. L'intera liturgia penitenziale ha come soggetti il cristiano peccatore, gli altri
fratelli della comunità e i pastori (vescovo o presbiteri); benché i modi di agire e i ruoli rispettivi
siano diversi, essi sono ritenuti inseparabili.
Infine, la penitenza canonica era qualcosa di eccezionale, in quanto erano relativamente pochi i
cristiani che vi ricorrevano. Innanzitutto per la continua fluidità e incertezza nella
caratterizzazione dei peccati mortali perché di fatto erano sottomessi alla penitenza
ecclesiastica solo i peccati gravi e in certo modo notori e perché spesso, nei primi secoli, le
comunità cristiane erano di solito piccole e fervorose. Anche quando aumentò il numero dei
cristiani, ben pochi ricorrevano alla penitenza canonica a causa della rigidità delle obbligazioni e
delle conseguenze di carattere personale e sociale che ne derivavano.
Alcune categorie di cristiani, come i chierici e i religiosi, non erano ammessi alla penitenza
ecclesiastica. I chierici che avevano commesso peccati gravi venivano deposti (se i peccati erano
pubblici) ma non venivano ammessi fra i penitenti e se poi apparivano veramente pentiti erano
ammessi alla comunione eucaristica senza previa assoluzione. A causa del principio della sua
non-repetibilità e della sua rigidità, alcuni vescovi (tra cui Ambrogio di Milano) e concili
giunsero a consigliare e a stabilire che non fosse concessa la penitenza ai giovani e alle persone
sposate. La fedeltà ai canoni e alla tradizione portò ad una sua sclerotizzazione.
Ma lo stesso suo carattere eccezionale fa vedere come la penitenza canonica non era
considerata come l'unica possibile forma di celebrazione ecclesiale della conversione dei cristiani
peccatori. Per tutti gli altri che non potevano o di fatto non ricorrevano a questa forma c'era
soprattutto la partecipazione piena all'eucarestia, le liturgie dei tempi penitenziali, la preghiera
in comune e anche la correzione e la carità fraterna. Da notare il ricorso ad uno «spirituale»,
sacerdote o laico, cui confessare i propri peccati affinché i suoi consigli e le sue preghiere
aiutassero il penitente nel suo sforzo di conversione. A partire dai secoli IV-V si estese,
particolarmente in Oriente, la consuetudine di fare questo tipo di confessione o «direzione
spirituale» ai monaci, anche non sacerdoti.
la penitenza tariffata
Origine e sviluppo.
La prima testimonianza certa di un nuovo tipo di prassi penitenziale ci è offerta da una sua
condanna da parte dai vescovi della Spagna e della Gallia Narbonense nel Concilio di Toledo del
maggio 589: «Poiché siamo a conoscenza che in alcune chiese della Spagna gli uomini facciano
penitenza per i loro peccati non secondo i canoni, ma in modo del tutto indegno, così che ogni
volta che peccano chiedono al sacerdote di esser riconciliati, al fine di stroncare questa esecranda
presunzione viene stabilito dal santo concilio che la penitenza venga data secondo la forma
canonica degli antichi» (canone 11).
Circa sessanta anni dopo la stessa prassi appare pacificamente accettata nel Concilio di Chalonsur-Saône (tra il 647-653) in Francia: «Per quanto riguarda la penitenza, che è la medicina
dell'anima, crediamo che sia della massima utilità a tutti gli uomini; così come tutti i sacerdoti
sono concordi nell'affermare che ai penitenti, ogni volta che abbiano fatto la confessione, sia data
loro la penitenza» (Canone 8)
Sembra che questo nuovo tipo penitenza sia nato e si sia sviluppato dal basso, grosso modo tra i
secoli VI-VII, a partire dai monasteri celti e anglosassoni. Essa fu diffusa nel continente dai
monaci irlandesi che vi arrivarono a partire dal secolo VI. Nel secolo VIII la nuova prassi era
probabilmente estesa ovunque.
Caratteristiche
Ciò che principalmente la distingue dalla penitenza antica è la sua reiterabilità. Il rito
liturgico diventa più privato nelle sue tre fasi: 1) il peccatore si presenta al sacerdote e confessa i
suoi peccati privatamente; il sacerdote impone le pene adeguate a ciascun peccato seguendo
speciali tariffari (chiamati «Libri penitentiales») analoghi a quelli che forniscono le leggi
barbariche dominanti; l'accento era posto sulla tassazione precisa delle colpe e per questo la si
conosce con il nome di penitenza tariffata o tassata; 2) il penitente, per giorni, mesi e anche
anni, viene escluso dalla comunione eucaristica e deve fare le opere di penitenza: digiuno a
pane ed acqua, mortificazioni corporali, veglie corporali, recita di preghiere specialmente dei
salmi, ecc.; 3) quando il penitente ha compiuto le opere di penitenza assegnategli, ritorna una
seconda volta dal suo confessore e riceve l'assoluzione in privato.
Questa nuova forma di penitenza diventa subito più frequente e più generalizzata: perché
estesa a peccati meno gravi, anche quelli veniali; perché non comporta gli interdetti che
segnavano il peccatore, anche socialmente, per tutta la vita; e perché era aperta anche ai preti e
ai religiosi. Anche per queste ragioni il ministro diventa quasi esclusivamente il presbitero.
Alcune norme giuridiche della disciplina penitenziale.
Le tariffe variavano secondo i diversi Libri penitenziali. Ma le pene imposte per ogni peccato si
sommavano e così si potevano totalizzare delle penitenze che oltrepassavano la durata della vita.
Per ovviare a questi inconvenienti, gli stessi Libri penitenziali erano corredati da speciali tabelle
per le commutazioni delle pene lunghe con altre più brevi che potevano essere più rigide.
Inoltre, conformemente all'uso del diritto civile germanico e celtico della «Wehrgeld», secondo cui
un delitto poteva essere riscattato da una somma di denaro proporzionata, si ammise anche la
composizione o riscatto delle opere di penitenza mediante una somma di danaro o facendo
celebrare un determinato numero di messe. Nei Libri penitenziali ci sono delle tariffe da pagare
per ogni messa. Ogni sacerdote poteva celebrare sette e, su richiesta, anche venti e più messe al
giorno. E poiché il clero parrocchiale non bastava a coprire le richieste, i monaci diventarono
sacerdoti in più grande numero. C'era poi un altro tipo di riscatto adatto soprattutto ai ricchi: far
compiere le opere di penitenza ad un'altra persona, un «giusto» (con frequenza i monaci), dietro
compenso. Tutta questa prassi fu una fonte di guadagno per i sacerdoti, per i monaci e per i
monasteri, tenuto anche presente il fatto che ai penitenti più ricchi si assegnava come
«composizione» la donazione di terre, la costruzione di chiese o di conventi, ecc.
Si può quindi dire che questa nuova forma di penitenza, nata per facilitare la conversione dei
cristiani, diventò una fonte di abusi che portò alla perdita del senso cristiano delle opere di
penitenza.
il passaggio alla forma attuale
La penitenza canonica antica, gestita dal vescovo, rimase vigente, limitata a peccati pubblici e
particolarmente scandalosi, fin verso il secolo XVI.
Con la scomparsa delle tariffe da assegnare per ogni peccato, condannate ad un certo tempo dai
teologi e dai pastori, nei secoli XII-XIII si arrivò ad un cambiamento notevole nella stessa
struttura del rito sacramentale Essa rimase centrata nell'accusa dei peccati come segno di
conversione e nell'assoluzione del sacerdote, riducendo al minimo le opere di penitenza da
adempiere dopo l'assoluzione. È questa particolare forma del sacramento della penitenza quella
che ebbe presente la teologia scolastica e il concilio di Trento. Questa teologia si concentrò sulla
integrità della confessione e sul valore giudiziale dell'assoluzione, favorendo una concezione
individualistica, privata, moralistica, giuridicista e legalistica del sacramento della penitenza,
dimenticando la sua dimensione comunitaria e anche la sua dimensione misterica di annuncio di
fede nel dono della misericordia e della giustizia di Dio.
All'inizio l'accusa dei peccati avveniva nell'abitazione presbitero. Ma già dagli inizi del sec. XI
tutto il rito si svolgeva generalmente in chiesa, davanti all'altare, con ministro seduto in una
semplice sedia. Alla fine del medioevo e con il Concilio di Trento fu prescritta una sede chiusa,
che solo a partire dal secolo XVII divenne il mobile in uso attualmente nella chiesa cattolica (il
«confessionale»).
Quanto alla sua frequenza, fu richiesta una certa periodicità fin dal sec. IX. Ma soltanto nel
Concilio Lateranense IV, nel 1215, fu prescritta la confessione annuale a tutti i cristiani che si
riconoscessero colpevoli di peccato grave.
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Penitenza diversa per ricchi e poveri
Il Penitenziale dello pseudo-Teodoro, verso 1'830-847, riporta tra gli altri una norma comune: «Chi non conosce i salmi e, a
causa della sua debolezza, non può digiunare nè postrarsi per ter ra, costui scelga qualcuno che compia la penitenza al suo
posto e lo paghi per questo, poiché sta scritto: portate gli uni i pesi degli altri».
Questa prassi portò ad abusi scandalosi, a volte ingiustificati dagli stessi libri penitenziali. Per esempio, nei Canoni del re
Edgardo, pubblicati verso il 967, si legge:
«1. L'uomo potente che ha molti amici può attenuare notevolmente la penitenza col loro aiuto. Prima di tutto nel nome di Dio e
per mezzo del suo confessore, darà la prova della sua fede sin cera. Egli perdonerà coloro che lo hanno offeso e farà una
confessione coraggiosa. Prometterà di essere astinente e riceverà con lacrime la sua penitenza.
2.Poi deporrà le armi, abbandonerà il lusso inutile dei vestiti, prenderà il bastone dei pellegrini e marcerà a piedi nudi. Si
vestirà di lana e di un cilicio, non dormirà in un letto ma per terra, e farà in modo da riscattare 7 anni di penitenza in 3
giorni, seguendo questo metodo.
3.Prenderà 12 uomini che facciano digiuno al suo posto durante 3 giorni, mangiando solo pa ne, acqua e legumi secchi.
Cercherà subito per 7 volte altri 120 uomini che facciano digiuno al suo posto durante 3 giorni. I giorni di digiuno così
sommati sono uguali al numero di giorni contenuti in 7 anni.
4.Questo è il tipo di commutazione penitenziale che si potrà permettere un uomo ricco e che ha degli amici. Il povero non potrà
agire nello stesso modo, ma dovrà fare tutto da solo. Ed è giu sto che ognuno faccia da sè l'espiazione dei propri peccati,
poiché sta scritto: Ognuno porti il proprio fardello».
Da notare soltanto l'uso strumentale di due frasi che si trovano nella Lettera di Paolo ai Galati, capitolo 6: il versetto 2 («Portate
gli uni i pesi degli altri») nel primo dei documenti riportati, e il versetto 5 («Ognuno porti il proprio fardello») nel secondo.