Leggi - isiss “f.fedele”

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LA PENITENZA-RICONCILIAZIONE
(breve sintesi ad uso degli studenti)
INTRODUZIONE
Il sacramento della “penitenza-riconciliazione” è conosciuto anche col termine «confessione».
Questa diversità terminologica è dovuta al fatto che, mentre nei primi 6-7 secoli in Occidente la sua celebrazione avveniva in forma “pubblica” e in due momenti (un primo in cui si aveva l’accusa dei peccati
e l’imposizione della penitenza; un secondo, a distanza generalmente di settimane, in cui si celebrava
la riconciliazione), nei secoli successivi, con l’affermarsi della penitenza “privata”, i due momenti sono
stati unificati ed il sacramento è stato indicato prevalentemente con il termine «Penitenza», oltre che
col nome «Confessione» oppure «Riconciliazione».
Il Concilio Vaticano II (1962-1965) ha usato tutti e tre i termini, prediligendo comunque il primo,
cioè “penitenza”.
Oggi il sacramento della penitenza viene indicato con l’espressione unitaria di “sacramento della
Riconciliazione e della Penitenza», perché si tratta di un incontro interpersonale tra Dio (che chiama
l’uomo alla conversione) e l’uomo (che, nella sua libertà, è invitato a riconoscere, confessare ed espiare la propria colpa). In altri termini è il sacramento della “misericordia di Dio”, che esige la «conversione» nell’uomo.
“Conversione” viene da «con-vertere», che esprime sia l’idea di chi, accortosi di avere sbagliato
cammino, “inverte” il senso di marcia per ritornare all’origine e da qui incamminarsi verso una meta
nuova, sia l’idea di chi cambia modo di pensare, abbandonando il precedente per costruirne uno nuovo. La «conversione», in altre parole, è qualcosa che si decide nella mente e nel cuore e si realizza con
atti concreti nella vita. Questo aspetto è stato ben delineato da Gesù nella parabola del «figlio prodigo»,
in cui il figlio che aveva abbandonato la casa paterna per vivere a modo proprio nel divertimento e dimentico del padre, rientrato in se stesso si “mette in cammino” (per ritornare indietro alla situazione iniziale, che era di comunione) e “viene dal padre” (cioè è atteso e riaccolto nella comunione del padre e
della comunità familiare, ad eccezione del fratello maggiore). La “conversione” è il cammino che il Signore ci invita a percorrere per essere felici con noi stessi, con gli altri e la natura, con Dio.
1. LA PENITENZA NELLA BIBBIA
1.1. La Penitenza nell’A.T.
La confessione non è stata inventata dalla Chiesa. L’A.T. ci fa sapere che gli ebrei praticavano liturgie penitenziali, che potevano essere:
•
occasionali, cioè celebrate di fronte ad eventi catastrofici avvertiti come conseguenza di un
atteggiamento di peccato individuale o collettivo;
•
cicliche, cioè celebrate periodicamente nel corso degli anni (per esempio il Kippur).
Nell’AT, inoltre, i peccati vengono distinti sia per tipologia (si distinguono cioè peccati di pensiero,
di parola, di opera e di omissione1) sia per gravità. A tal riguardo si parla di:
→ peccati commessi “per inavvertenza” e facilmente perdonati attraverso le opere della penitenza ed il sacrificio di espiazione;
1
cfr. Lv 5,1ss
→ peccati commessi “con la mano alzata”, cioè deliberatamente; peccati per i quali non c’è possibilità di riparazione mediante i sacrifici di espiazione e puniti con la morte per lapidazione o col rogo.
Erano sottoposti a tale condanna gli apostati, gli idolatri, gli omicidi, gli adulteri, gli impudichi, i bestemmiatori, i falsi testimoni, coloro che opprimevano i poveri, gli orfani, le vedove, coloro che sequestravano persone, coloro che maltrattavano i genitori. Chi si macchiava di tali colpe, seppur condannato e punito dagli uomini, poteva però sperare nella misericordia di Dio (come Davide, colpevole di omicidio ed
adulterio), perché il Signore non vuole la morte del peccatore, ma attende che si converta e viva.
1.2. La Penitenza nel N.T.
Il N.T. si pone, nei confronti dell’A.T., in un rapporto di “continuità”, perché è sempre Dio che perdona e per sua libera iniziativa, ed al tempo stesso di “superamento-novità”, perché entrano in scena
due nuove realtà:
→ Cristo: è nel suo sangue “prezioso” (termine che etimologicamente viene da «praetium», che
significa “pagare”) che il popolo di Dio ottiene il perdono e la riconciliazione di tutti i peccati (cioè, a differenza dell’A.T., in cui la gravità di alcuni peccati era punita con la morte, in Gesù nessun peccato è
talmente grave da non poter ottenere il perdono, fatta eccezione per il peccato contro lo Spirito Santo,
ovvero quell’atteggiamento volontario di rifiuto con la mente ed il cuore della Persona di Gesù, della
sua mediazione unica nell’incontro con Dio);
→ la Chiesa: è nella Chiesa che il perdono di Cristo giunge all’uomo; e ciò per sua espressa volontà. A Pietro Gesù dice: «A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà
legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»2. Il potere di rimettere i peccati
è esteso da Gesù agli apostoli, allorché dice loro: «Tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato
anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo» 3. Da notare che i
termini “legare-sciogliere” non indicano due possibilità, l’una delle quali esclude l’altra (= voi potere o legare o sciogliere), ma un unico fatto considerato nella sua totalità. Il potere che Gesù affida alla Chiesa
è quello di «legare per sciogliere» (cioè di imporre al peccatore la penitenza in vista della sua conversione e della riconciliazione). I peccati vengono distinti in «leggeri» (che sono perdonati con la preghiera, l’elemosina, il digiuno) e «gravi» (per i quali è previsto l’intervento della Chiesa che lega per sciogliere dalla colpa). Alla loro confessione deve seguire il compimento di opere penitenziali non solo in
senso negativo (= non fare..., non mangiare ..., ecc.) ma principalmente positivo (= accogliere i bisognosi, rendersi disponibili agli altri, condividere i propri beni, ecc.).
2. LA PENITENZA NELLA STORIA DELLA CHIESA
La Chiesa dei primi secoli vede il primo e fondamentale sacramento della riconciliazione nel Battesimo, perché segna l’ingresso nella vita di grazia. Però, siccome al cristiano non basta tale sacramento per essere immune dal peccato, ecco allora il sacramento della Penitenza, mediante il quale si
ha la possibilità di ritornare ad essere in grazia di Dio. Il sacramento della Penitenza infatti è riferito
esclusivamente ai peccati gravi (l’idolatria, l’omicidio, l’adulterio, la magia, l’avarizia, il furto, l’invidia, la
falsa testimonianza, ecc.) ed è celebrato in forma “pubblica”. Ciò non per mettere in difficoltà il peccatore ma perché in questi secoli il senso della comunità è così sviluppato che il peccato grave di un suo
componente è avvertito come qualcosa che danneggia la crescita spirituale e la comunione di tutti i
membri della comunità. Da qui il coinvolgimento dell’intera assemblea, che si fa carico del cammino di
2
3
Mt 16,19
Mt 18,18
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riconversione di ogni suo componente; cammino che va vissuto dal battezzato con serietà. La Penitenza pubblica, in altre parole, costituisce una seconda opportunità di salvezza data al fedele che, dopo il
Battesimo, è tornato a peccare gravemente. Se dopo averne usufruito (e quindi dopo essere stato reintegrato nell’assemblea ecclesiale) pecca ancora gravemente, gli è concesso di beneficiare del sacramento un’ultima volta. Se persiste ancora nel suo peccato ciò vuol dire che la sua conversione non è
autentica; per cui difficilmente gli sarebbero di giovamento ulteriori Penitenze.
Per i peccati «leggeri» invece non è richiesto il sacramento della Penitenza ma la confessione del
proprio intimo ad un fratello della comunità accompagnata dalla preghiera, dall’elemosina, dal digiuno.
A partire dal IV secolo, in seguito al riconoscimento del cristianesimo come religione di Stato ed
alle conversioni di massa, la Chiesa si è trovata ad amministrare il sacramento della Penitenza a gente
che non aveva alle spalle un vero cammino di fede; e incapace, quindi, di compiere con serietà il cammino penitenziale. A tutto ciò va aggiunto il fatto che, nei secoli successivi, la Chiesa si è trovata ad affrontare una realtà nuova e difficile: l’evangelizzazione dei popoli barbari, dai comportamenti spesso
rozzi e violenti. Per fronteggiare la situazione la Chiesa ha fissato i «canoni», cioè ha fatto degli elenchi
in cui ad ogni peccato corrispondeva una pena ben specifica da scontare. Gradualmente ma inesorabilmente la penitenza pubblica è stata trascurata e al suo posto si è diffuso l’uso della penitenza privata. Il
passaggio dalla penitenza pubblica a quella privata è avvenuto nel giro di pochi decenni, alla fine del VI
secolo, quando in Europa sono arrivati i monaci irlandesi (cioè della Chiesa celtica, che avevano praticato da sempre la penitenza privata). La loro disciplina penitenziale è stata accolta dai fedeli come una
“liberazione”. Nei secoli VII e VIII la penitenza pubblica è stata riservata solo per i peccati pubblici e
particolarmente gravi, fino a scomparire del tutto nel X secolo. La penitenza privata si è affermata come
l’unica forma celebrativa del sacramento, in cui, i due tempi della celebrazione (la penitenza e la riconciliazione), ravvicinati sempre più, sono stati unificati. Per cui si è affermato l’uso di impartire l’assoluzione subito dopo l’accusa dei peccati e l’imposizione della penitenza, perché si vedeva nella vergogna
che il peccatore vinceva confessando i propri peccati l’elemento espiatorio richiesto per dare l’assoluzione.
Questo modo di concepire il sacramento della Penitenza si è conservato fino al Concilio Vaticano
II, grazie al quale nella Chiesa si è avviato un cambiamento tutt’ora in atto: si sta recuperando gradualmente e faticosamente la dimensione globale del sacramento, visto come incontro tra Dio misericordioso e il peccatore pentito; incontro che esige e al tempo stesso promuove la conversione.
3. IL RITO DELLA PENITENZA-RICONCILIAZIONE
La Chiesa riconosce tre modi di celebrare il sacramento della Penitenza.
3.1. Rito per la riconciliazione dei singoli penitenti.
E’ quello più comunemente praticato nelle nostre realtà ecclesiali. Per viverlo bene occorre che si
abbia:
→ la preparazione del sacerdote e del penitente con la preghiera;
→ l’accoglienza del penitente da parte del sacerdote, il quale deve ricevere il penitente con affabilità, esortandolo a confidare nella misericordia di Dio;
→ la lettura della Parola di Dio, che aiuta il penitente a porsi con tutto il cuore alla Sua presenza
(tale lettura è facoltativa; il non farla però impoverisce parecchio la confessione);
→ l’accusa dei peccati, al termine della quale il confessore impone la penitenza;
→ l’atto di dolore, col quale il penitente manifesta apertamente la sua amarezza per i peccati fatti
e assume dinanzi a Dio l’impegno di correggersi col Suo aiuto;
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→ l’assoluzione che il confessore impartisce imponendo le mani sul capo del penitente, recitando
la formula di assoluzione e facendo il segno della croce;
→ il rendimento di grazie.
3.2. Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione individuale.
E’ quello che la Chiesa consiglia di attuare preferibilmente in tutte le comunità parrocchiali. La celebrazione si svolge nel seguente modo:
→ canto iniziale fatto dall’assemblea, cui segue una breve introduzione fatta da colui che presiede la celebrazione e una orazione;
→ celebrazione della Parola di Dio accompagnata da una breve omelia attraverso la quale guidare l’assemblea a focalizzare la mente ed il cuore sia sui propri peccati ma in modo particolare sulla
misericordia di Dio, che non vuole la morte del peccatore ma che creda nel Suo perdono e si apra al
Suo amore;
→ alcuni minuti di silenzio, in cui far risuonare nell’intimo dei cuori quanto ascoltato;
→ tutta l’assemblea prega con il Confesso ed il Padre nostro;
→ i sacerdoti si portano nei luoghi in cui ricevere le confessioni. Ogni penitente, recatosi da uno
di loro, deve limitarsi solamente a fare l’accusa dei peccati ed a ricevere l’assoluzione. Quindi ritorna al
proprio posto;
→ terminate le confessioni tutti i sacerdoti ritornano all’altare e colui che presiede invita tutta l’assemblea a rendere grazie a Dio con un inno o un salmo o la preghiera litanica;
→ il presidente congeda l’assemblea.
Questo rito è quello che la Chiesa predilige perché aiuta il peccatore a crescere nella consapevolezza che il proprio peccato non è solo un fatto “individuale” ma è anche un impoverimento per tutta la
comunità. La riconciliazione, parimenti, è qualcosa che aiuta il singolo fedele a sentirsi parte vita di un
tutto: il Corpo mistico di Cristo.
3.3. Rito per la riconciliazione di più penitenti con la confessione e l’assoluzione generale.
Questo rito è consigliato in circostanze in cui non è possibile celebrare il sacramento nelle forme
di cui sopra. La struttura della celebrazione è la seguente: il sacerdote invita i presenti ad inginocchiarsi
e ad accusare i propri peccati recitando il «Confesso a Dio». A scelta si può fare anche un canto adatto
o una preghiera litanica al termine della quale si prega tutti assieme col «Padre nostro». Quindi il sacerdote impartisce l’assoluzione con una delle formule consigliate al riguardo dalla Chiesa e tenendo le
mani stese sui penitenti. A conclusione del rito il sacerdote invita tutti i presenti a render grazie a Dio e,
dopo un canto, benedice il popolo e lo congeda.
In caso di urgenza (per es.: pericolo di morte prossima in seguito ad una calamità, ecc.), il Rito
può essere abbreviato. Basta una breve lettura biblica e, dopo l’imposizione della soddisfazione, si invitano i penitenti alla confessione generale dicendo, per esempio, il «Confesso a Dio». Quindi il sacerdote impartisce l’assoluzione.
In pericolo imminente di morte (per esempio un aereo che precipita) basta che il sacerdote pronunzi la formula dell’assoluzione.
E’ bene ricordare che il fedele che ha ricevuto l’assoluzione sacramentale generale da peccati
gravi, nel caso in cui scampa al pericolo è obbligato a confessare specificatamente i peccati stessi nella
prima confessione individuale.-
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