Il privilegio di fare parte di una storia. Se dovessi pensare a tutto ciò
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Il privilegio di fare parte di una storia. Se dovessi pensare a tutto ciò
Il privilegio di fare parte di una storia. Se dovessi pensare a tutto ciò che quasi quattordici anni in questa associazione mi hanno dato, forse sarebbe per me impossibile descrivere tutto e metterlo in un quadro completo, coerente, condivisibile. Ma innanzitutto devo dire che trasformare sentimenti, passioni, pensieri e suggestioni in un insieme verbalizzabile, è forse la più potente delle abilità che BiR mi ha aiutato a costruire in questi anni. Anche oggi, che mi ritrovo a lavorare e vivere lontano dall’Italia, non posso fare altro che ripercorrere con il pensiero, le tappe che mi hanno fatto arrivare fino a qui, in Palestina, dove sto lavorando come psicologa per un’organizzazione umanitaria, e dove sto mettendo a frutto, non solo le aspirazioni di una vita, ma soprattutto il proseguimento di una traiettoria che ha avuto origine proprio quattordici anni fa in quell’orfanotrofio in Romania. Mai come oggi è presente dentro di me la consapevolezza che BiR ha giocato un ruolo fondamentale nell’aiutarmi a realizzare questo sogno, offrendomi un intenso cammino di crescita dove pensiero e azione si sono incontrati e fusi, rincorrendosi appassionatamente. Vorrei iniziare dall’azione, forse perché è più facile per me spiegare qualcosa di concreto, ma soprattutto perché è così che è iniziato questo percorso. Partire per i campi di volontariato in Romania, è stato solo il primo passo; l’essere calata cioè in una realtà tanto vicina quanto scioccantemente diversa. Come si poteva anche solo immaginare che nel 2000 i più elementari diritti dell’uomo e dell’infanzia, fossero calpestati e sbriciolati e tenuti nascosti agli occhi del mondo? Forse era il mondo che non voleva guardare, ma ancora ricordo la sensazione ustionante che saliva dallo stomaco e che solo a tratti riusciva a trasformarsi in pensiero. L’indignazione. Parola divenuta poi uno degli slogan associativi che ci ha accompagnato nel tempo nelle campagne di sensibilizzazione, “l’indignazione non basta”. Eh già, l’indignazione non poteva proprio bastare; poteva forse essere la scintilla iniziale, ma di certo sentivo che non mi apparteneva il restare immobile a bocca aperta. Bisognava agire. Pensiero fisiologico, quanto inevitabile. Chiunque sia dotato di una coscienza, credo possa aver sentito questo almeno una volta nella vita, verso un fratello, un amico o una causa comune. Sentire che l’azione deve diventare pensiero e poi quindi azione. Il come, è stato un percorso molto meno rapido o istintivo; il come appartiene al pensiero. Se penso al come, mi vengono in mente le infiorate della nostra tradizione italiana; si lavora su piccoli pezzi alla volta, curando i dettagli, a volte dimenticando il disegno nel suo insieme, e allora bisogna fare un passo indietro, magari due, per riorientarsi e riorientare il lavoro comune. Solo alla fine è però possibile ammirarne l’insieme e godere delle simmetrie, delle rette come delle curve. Delle evoluzioni grafiche. Ma in BiR il quadro non è mai completo; è sempre cresciuto e si è espanso. Ha preso forma nelle periferie e nei centri di questa grande creazione collettiva e questi centri e periferie spesso si sono sovrapposti e scambiati di ruolo. È stata probabilmente la fucina più importante della mia esistenza, nel periodo forse più stimolante e incerto della mia giovane vita di studentessa ai tempi dell’università. Ho visto persone molto stupite in passato di questa mia dichiarazione, ma sono assolutamente consapevole che niente avrebbero potuto le centinaia di libri di psicologia che ho dovuto studiare, se non fossero stati integrati da questa esperienza. Perché? La risposta dentro di me è chiara, ma non sono sicura di riuscire a spiegarla chiaramente a chi sta leggendo, un po’ come quando condividi il racconto di un viaggio con qualcuno che non c’era, ma allo stesso tempo, raccontarlo, ti aiuta a fissare nella memoria ricordi e emozioni e a riordinare il tutto. BiR ha scelto di essere un laboratorio di esperienza umana, che partisse dai campi estivi negli orfanotrofi e proseguisse con la formazione di cittadinanze, aprendo spazi di confronto e crescita per gli abitanti del mondo di oggi e di domani, per sentirsi responsabili del proprio tempo, connettere storie e alfabeti, stabilire legami, elaborare una propria identità etica e civica. BiR ha scelto di non essere mai uguale a se stessa, auspicando il cambiamento, privilegiando la crisi alla tranquillità, rivolgendo domande a se stessa piuttosto che all’esterno, considerando i giovani come la più grande premessa e dando loro in mano le redini del futuro di questa associazione. Ho avuto la grande opportunità di trovare uno luogo etico dove connettere pensieri e sentimenti, azioni e ideali, affetti e gesti, politica e spiritualità. Ora che vi scrivo da questa martoriata terra, violentata nella sua identità e debilitata da pensieri e azioni che ancora non conoscono il significato della parola pace, realizzo ogni giorno la profondità di queste connessioni e riscopro la responsabilità di averle scolpite nel mio cuore e nella mia mente insieme alle tante persone che rendono ogni giorno questa associazione viva e pulsante e molto speciale. Riconosco nei tempi e negli spazi che scorrono dentro di me, il privilegio di far parte di una storia. Questo per me è BiR. Da Hebron (Palestina), Alessandra Lontano? Sono volontario BiR da dieci anni, cioè da una vita. É come dire che i primi bambini romeni che ho incontrato, sull’asfalto rovente del parco giochi di Rupea, nell’estate 2005, sono diventati adulti, o quanto meno adolescenti –anche se a me interesserebbe solo sapere se sono diventati almeno un po’ più felici. In questi dieci anni di BiR di acqua sotto i ponti ne è passata tanta: ho più rughe e meno capelli, un bel prefisso ‘dott.’ davanti al nome, una miriade di amici in più, un numero imprecisato di campi di volontariato sulle spalle – ‘sulle spalle’, non ‘alle spalle’: quello mai - e perfino un ruolo nel Consiglio Direttivo – io, che ero arrivato in BiR con i calzoni corti e lo zaino Invicta su una spalla sola. Ma se ci penso sono di più le cose che non sono cambiate: l’emozione di rivedere i vecchi compagni di viaggio e di conoscerne di nuovi, l’entusiasmo per un nuovo progetto, la trepidazione dei giorni che precedono i weekend di formazione e di verifica, il mondo che ti si schiude di fronte agli occhi in ogni campo estivo. In questi anni BiR è cresciuta e sono cresciuto io. In questi anni mi ha dato soddisfazioni immense e mi ha riempito di orgoglio, mi ha fatto stancare come una bestia da soma e ridere come un bambino che gioca sulla spiaggia, mi ha strappato tante lacrime, mi ha fatto compagnia, mi ha spinto a riflettere, mi ha insegnato mille cose, mi ha anche – qualche volta, pochissime - fatto arrabbiare. Insomma, BiR è stata un’amica, un’Amica vera –e la sacra parola, ‘amico’, per una volta non è spesa a vuoto. E come in ogni amicizia vera la distanza fisica non ha mai contato, se non per il dispiacere di non poterci vivere nella quotidianità come sarebbe bellissimo fare. Per tanti anni all’ombra della mia splendida Torre di Pisa, come in questi ultimi mesi, sperduto nel grigiume della più cupa Inghilterra, BiR ha saputo farmi non solo sentire, ma essere realmente parte di essa, come se abitassi nello stesso isolato della sede. E questo, forse, è il vero incantesimo e l’autentica marcia in più di questa Associazione, oltre a tutti i meriti che non mi stancherò mai di riconoscerle, e che dalla mia prospettiva privilegiata di osservatore ahimè un po’ esterno spiccano particolarmente, specie in un contesto come quello del mondo del volontariato che non sempre brilla da questi punti di vista: un’attenzione senza eguali alla formazione del volontario, una serietà ed un rigore quasi scientifico nella progettazione e nella gestione, una notevole trasparenza finanziaria, un grande equilibrio fra le varie anime che compongono l’associazione stessa, un processo di crescita e di miglioramento della qualità che procede di anno in anno. Tutti temi che mi rendono orgoglioso, e che sorprendono positivamente e convincono tutti coloro ai quali ho mostrato, a decine o centinaia o migliaia di chilometri da Milano, principi, iniziative e meccanismi dell’Associazione che rappresento. Mi era stata chiesta mezza pagina su ‘BiR vista da lontano’. Mi rendo conto di aver scritto tutt’altro, ma semplicemente perché BiR vista da lontano non esiste: BiR sa coinvolgerti e valorizzarti, chiunque tu sia e dovunque tu sia. Anzi, semmai difficile potrebbe essere l’allontanarsi da BiR. Ma, del resto, chi è che ne ha voglia? Da Wolverhampton (UK), Michele