Lutero e la Bibbia. Un binomio simbiotico Cécile, donna che ha Dio

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Lutero e la Bibbia. Un binomio simbiotico Cécile, donna che ha Dio
CULTURA
Lutero e la Bibbia. Un binomio simbiotico
Uno studio di Franco Buzzi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana
L
SERGIO PAOLO RONCHI
utero, un fenomeno specificamente tedesco, radicale e fatale». Un preciso ritratto del Riformatore,
questo di Karl Löwith, il cui destino (ma non solo
il suo) venne plasmato dalle pagine scritturali, una a una,
libro per libro. Qui, la sua radicalità e fatalità.
In circa 35 anni di insegnamento universitario, il Sassone tenne solo corsi di esegesi biblica. Lutero-Bibbia, un
binomio, dunque, inscindibile e simbiotico. Nella sua vita
– spesa fra cattedra e pulpito – lesse la Bibbia almeno venti
volte e sconsigliava la lettura dei propri testi per concentrarsi esclusivamente sul Libro. Senza di esso non avrebbe potuto essere né qualificarsi con veemenza «D. Martin
Luther». «Non sono solo un pazzo – scriverà alla nobiltà
tedesca – ma un dottore giurato nella Sacra Scrittura». Una
auto-comprensione che andava a tracciare a un tempo, con
chiarezza, anche definizione e compito della teologia. Insomma, «la passione di una vita», come si esprime Franco
Buzzi in un recente studio dedicato alla Bibbia di Lutero*.
«
stici attinti a «una lingua sintatticamente semplice, foneticamente chiara e semanticamente trasparente, quella utilizzata dalla cancelleria della Sassonia, badando però anche al
tedesco comunemente parlato dalla gente al lavoro». E nelle
sue continue e costanti revisioni (dal 1522 al 1544), radicate
in «una consuetudine di tipo esegetico», Lutero cerca sempre di mantenere un equilibrio fra la lingua di partenza e la
lingua di arrivo: per lui, il tedesco parlato prevaleva sul tedesco scritto; detti criteri lo annoverano fra i padri della lingua
nazionale moderna.
Tale impresa che assorbì il Riformatore esistenzialmente
e per l’intera sua vita era mirata a «offrire la Bibbia a una
lettura personale del popolo». Le varie edizioni recavano
prefazioni e commenti a ogni singolo libro: quelle pagine
andavano spiegate e interpretate per essere lette e predicate.
Non fanatismo fondamentalista, dunque, bensì un primato della Parola annunciata su quella scritta: è l’annuncio di
Gesù Cristo stesso quale contenuto dell’annuncio orale.
I primi incontri di Lutero con la Bibbia hanno luogo a Erfurt, nella Biblioteca prima e
Infatti, la teologia di Lutero, fondata esegeticamente, è cristocentrica: l’intero Anti-
co Testamento ruota intorno al tema della Legge e conduce a Gesù Cristo; i profeti
di Israele, in particolare, lo annunciano
insieme al suo Regno («tutto il discorso
dei Profeti ruota intorno all’importanza
fondamentale del primo comandamento») e il Salterio è la fonte della dottrina
della giustificazione per grazia. Il Nuovo Testamento e l’Evangelo coincidono: esso, «propriamente, non contiene
nient’altro che l’Evangelo e la promessa
di Dio, insieme alle storie di coloro che
hanno creduto a questo annuncio».
* Franco Buzzi, La Bibbia di
Lutero, Torino, Claudiana-Emi, 2016, pp. 96, euro 9,50.
nel monastero degli agostiniani poi; gli
scontri sulla Bibbia, invece, dal 1508, a
Wittenberg, con i suoi colleghi universitari dediti a una teologia speculativa e
astratta. Ciò, precisa Buzzi, spiega «come
l’esigenza, fortemente avvertita da Lutero, di tradurre la Bibbia sia nata dalla
necessità di rievangelizzare le terre della
Germania, offrendo a tutti i tesori di spiritualità racchiusi nel testo sacro».
Prima di Lutero, in Germania giravano già varie traduzioni; a partire da lui,
però, si poté disporre di una versione
dalle caratteristiche peculiari: versione
dall’ebraico e dal greco e criteri lingui-
Cécile, donna che ha Dio dalla sua parte
Nel romanzo di Graziella Bonansea una visione diversa del secolo XVII
L
BRUNA PEYROT
a storia di Cécile – ultimo romanzo di Graziella Bonansea* –
ci trasporta nell’Europa del ’600,
il «secolo di ferro» che, fra guerre di
religione e miserie sociali, non colpirà,
tuttavia, l’avventura emancipatrice di
questa mercante di tessuti. «Di sete e
di acque», recita il sottotitolo del libro.
Infatti, il lungo viaggio di Cécile inizia
a Parigi, dove abita lungo la Senna, e
finirà a Roma, dove, ispirata da Teresa
d’Avila, alla chiesa di santa Maria della
Vittoria, ricapitolerà il suo lungo navigare sui fiumi e anche i densi incontri
che l’hanno resa adulta, consapevole e
fiera di sé. Fra questi, un uomo, Baldev,
che ha rappresentato per lei la possibilità di una nuova «sistemazione», dopo
la morte del marito, come donna coniugata, che tuttavia rifiuta per continuare a inseguire i colori della vita. E
poi un’altra donna, la pittrice Elisabetta Sirani (1638-1655), davvero esistita,
che la «inebria» con le sue tinture, pur
con accostamenti «azzardati».
«Di sete e di acque», dicevamo, recita il sottotitolo. In realtà, «sete», ossia
stoffe e broccati da un lato, e le onde
dei fiumi solcati che Cécile naviga per
scendere verso la penisola italiana,
attraversando tutta
la Francia, dall’altro,
sono le sponde entro
le quali si disegnano via via i paesaggi
– le frontiere? – che
la protagonista deve
superare per scoprire
e realizzare se stessa,
accompagnata con affetto da un «cerchio
luminoso» femminile che, vicino, come
la fida governante
Geneviève, o lontano, come la cognata
Anne alla quale scrive lunghe lettere, condividono con lei
la riflessione sulla vita.
Cécile è una donna che non s’insuperbisce. «Lavora per la sua missione
e tace. Tace e prega. A chiunque vuole
sapere, dice che è volontà di Dio. E Dio
è dalla sua parte». Si dedica al figlio
Henri-Charles, ma con la stessa passione al mercato dei broccati. I colori
delle tele prolungano i loro riflessi nei
sentimenti che prova per gli altri e nei
paesaggi che capta andando.
Ancora una volta, dunque, l’autrice ci
accompagna nei moti dell’animo di una
donna, lasciandola specchiare nei panorami della vita e nella natura che
ci circonda, spesso colti
nel loro essere proiezione di quelli interni e viceversa. Come per Margherita, Madre d’acqua
(1999), oppure come in
Tre inverni (2005), dove,
ancora una volta, un
barcone «porta» nuove
storie anche in vicende
tragiche – come quella dell’ebreo praghese
Michele, violoncellista.
L’autrice, con Cécile, ha
ancora una volta sottolineato, offrendoceli con delicata narrazione letteraria,
ciò che accade negli incontri fra donne,
fra uomini e donne, fra padri e figli, fra
madre e figlie, là dove una parola, una
scena, un paesaggio, un fiume – un’acqua, appunto – riconduce sempre alla
nascita di sé, come nel grembo materno.
* Graziella Bonansea,
Cécile. Di sete e di acque.
Torino, Neos Edizioni,
2016, pp. 256, euro 16,80.
Riforma · numero 6 · 10 febbraio 2017 · pagina 6
Ma noi
predichiamo Cristo
RAFFAELE VOLPE
inalmente un libro sulla Riforma protestante scritto per
me! Per me cristiano di oggi
invitato dall’autore a interrogarsi
sulla fede e sulla chiesa. Un libro
ecumenico che pone ogni confessione e ogni credente davanti (o
forse dovrei dire sotto) la Parola di
Dio: Gesù Cristo. Il Cristo due volte
umano: nella sua incarnazione e
nell’annuncio. Soltanto la Bibbia,
nel raccogliere questa duplice
umanità, fa udire la voce di Dio che
si avvicina a noi con il suo imperativo: siate umani! Umani nell’accogliere la nostra vulnerabile condizione, quale unica postazione in
grado di farsi luogo di incontro con
Dio; umani nel sottinteso richiamo
etico a umanizzarsi di fronte alle
disumanizzanti pretese di una creatura che non ha mai superato il
complesso di Adamo.
Questa è la Riforma, altrimenti
non è! È l’incontro con Cristo. E se
è necessario abbattere i muri dei
templi religiosi, la Riforma lo fa.
Se bisogna mettere in discussione
una tradizione secolare, la Riforma lo fa. Se deve interrompere il
noioso borbottio di nuovi maestri
onnisapienti, la Riforma lo fa. Se
deve mettere a nudo l’anima e far
udire nuovamente il giudizio e la
grazia, la Riforma lo fa. Ma non fa
tutto questo per il gusto di farlo,
lo fa perché l’incontro con Cristo si
possa realizzare.
Al terzo giorno di trattative ad Augusta con il cardinale Gaetano, la
sera del 14 ottobre 1518, lo stanco
Lutero scrive una lettera al suo
amico Carlostadio: «So che sarei la
persona più gradita e cara, se pronunciassi quest’unica parola: revoco, cioè “ritratto”, ma non voglio
diventare un eretico ritrattando
l’opinione mediante la quale sono
diventato un cristiano; preferisco
piuttosto morire, essere bruciato
vivo, messo al bando e maledetto».
Ecco le due parole risolutive: riforma o revoca! Il libro del pastore
e teologo Ruggiero Lattanzio pone
il lettore e la lettrice di questo libro di fronte a quest’alternativa.
Che cosa vuoi fare? Vuoi credere
in Cristo e iniziare o riprendere
un cammino di riforma della tua
vita che durerà fino al giorno della tua morte? O vuoi continuare
a rimandare, revocare, derogare,
cancellare, rinviare? Scegli la prima alternativa, e la celebrazione
della Riforma avrà realizzato il
suo obiettivo!
F
* Ruggiero Lattanzio, Ma noi predichiamo Cristo. Publielim, 2016,
euro 10,00. Per ordinazioni: [email protected]
(il testo qui pubblicato costituisce
la prefazione al libro)