Controffensiva di Berlusconi: mi scagionano 7 nuovi

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Controffensiva di Berlusconi: mi scagionano 7 nuovi
CON IL PDL
ANNO LXI N.274
Controffensiva di Berlusconi:
mi scagionano 7 nuovi testimoni
Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76
A Carlo Giuliani un monumento,
a Fabrizio Quattrocchi
nemmeno un poʼ di giustizia.
Che Italia è questa?
Francesco Signoretta
Viviamo in unʼItalia sempre
più strana e contraddittoria,
dominata da una forma volgare di ideologismo. La sentenza sullʼuccisione di
Fabrizio Quattrocchi in Iraq
lascia lʼamaro in bocca: secondo i giudici non fu omicidio di stampo terroristico e gli
imputati erano solo criminali
comuni. E così, dopo alcuni
anni, è stato umiliato anche
un atto eroico, è stato mortificato il ricordo di un giovane
che, poco prima di essere
ammazzato, pronunciò la famosa frase “Ora vi faccio vedere come muore un
italiano”. Eppure i carcerieri
assolti rivendicarono il sequesto a nome delle “Falangi
verdi di Maometto” e considerarono il rapimento come
uno strumento di ricatto di
d’Italia
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stampo terroristico per indurre
lʼItalia a ritirare le proprie
truppe da Baghdad. Alla fine è
stata scritta lʼennesima pagina
negativa della storia degli ultimi anni. Ma al di là delle polemiche, occorrerebbe una
riflessione: a Carlo Giuliani,
AMBROSIONI PAG.2
morto mentre stava per scaraventare un estintore contro i
carabinieri, è stata intitolata
unʼaula dei gruppi al Senato, è
stato realizzato un monumento
a Genova ed è stata posta una
lapide in memoria. A Fabrizio
Quattrocchi non è stata con-
martedì 26/11/2013
cessa nemmeno giustizia nei
tribunali italiani. Qualcosa non
funziona, i conti non tornano.
Ma non sarà certo una sentenza incredibile a far svanire
il ricordo di Fabrizio e di quel
terribile aprile del 2004. A rendergli onore basta il video
della sua morte, il cui contenuto fu reso noto dal giornalista del Tg1 Pino Scaccia:
«Fabrizio Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce
ferma: “Posso toglierla?” riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde “no”. E allora lui tenta
di togliersi la benda e dice:
“Adesso vi faccio vedere come
muore un italiano”. Passano
secondi e gli sparano da dietro
con la pistola. Tre colpi. Due
vanno a segno nella schiena.
Quattrocchi cade testa in giù.
Lo rigirano, gli tolgono la kefia,
mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro
una fossa già preparata. “È
nemico di Dio, è nemico di
Allah”, concludono in coro i sequestratori». Che secondo le
toghe non sono terroristi. Ma è
forse lʼatto eroico, quellʼorgoglio di essere italiano a dar fastidio a qualcuno.
Su RaiUno il film di Silvia Giralucci “Sfiorando il muro”: il terrore e la violenza raccontati senza censure
Annalisa Terranova
Ha ottenuto il 6,38 di share il film
documentario di Silvia Giralucci
“Sfiorando il muro” trasmesso ieri
sera da Raiuno nellʼambito dello
Speciale Tg1. Il lavoro di Silvia Giralucci e Luca Ricciardi era stato
presentato al festival del cinema di
Venezia del 2012. La trasmissione
sulle reti Rai di unʼopera come
“Sfiorando il muro” ha un grande
significato, poiché apre a una prospettiva differente sulla valutazione degli anni di piombo – e
Padova, come sappiamo, fu un laboratorio operativo e importante in
quel periodo della pratica violenta
e del terrore – che va al di là della
retorica sui “compagni che sbagliano”. Silvia Giralucci, figlia di un
padre che fu – con Giuseppe Mazzola – una delle prime vittime delle
Brigate Rosse, ha scelto per il suo
film un itinerario tutto incentrato
sulla ricerca (tra le scene più belle
quella di lei che sfoglia la colle-
zione del Secolo e osserva i servizi e le foto sui funerali di suo
padre). Il film non vuole “celebrare”
(ed evita anche di recriminare sulle
responsabilità), non vuole “interpretare” ma mira oggettivamente a
ricostruire un contesto. Lasciando
però che appaiano come “lampi”
offerti alla coscienza del pubblico
episodi molto utili a formulare un
giudizio. Per esempio Toni Negri
che rivendica la “resistenza” e le
lotte di quel periodo, e ancora la
città di Padova che a lungo ha rifiutato di ricordare Mazzola e Giralucci come vittime cui tributare un
doveroso omaggio, e da ultimo lʼintensa intervista a Stefania Paternò
(dirigente di primo piano del movimento giovanile negli anni Settanta, arrivata seconda dopo
Marco Tarchi al congresso del Fdg
del 1977, quello in cui Fini, nonostante fosse arrivato quarto, venne
scelto da Almirante come capo dei
giovani missini). Cosa dice Stefa-
nia Paternò? Che la guerra generazionale di quegli anni rappresentò un “brutto gioco” che non
deve ripetersi mai più, e lo dice
con le lacrime agli occhi. Basta
questo per far bollare il film, come
è avvenuto da parte di alcuni ambienti, come un documentario
“buonista”? Perché su questo si
apre un versante delicato: o quegli
anni si superano (senza dimenticare), o si cristallizzano nellʼeterna
fissità dei buoni e dei cattivi (e i rischi di questo chi li calcola?).
Di vero cʼè che lʼintento di Silvia Giralucci non era quello di rivolgersi
alla destra, di coltivare una memoria identitaria ma quello di dare un
senso a unʼassenza pesante, vissuta in un ambito tutto privato, familiare, in cui la politica non ha un
ruolo determinante (pensiamo che
fosse suo diritto scegliere la “prospettiva”). Certo è solo un punto di
vista, certo su Mazzola e Giralucci
si potevano dire molte altre cose,
e sappiamo che la destra è abituata a vedere anche quei due caduti nellʼambito del tragico
martirologio dei “cuori neri” che un
odio brutale ha sottratto alla vita.
Ma Silvia Giralucci si interroga su
suo padre, non sul militante politico. Lʼodio e il terrore, è la narrazione che scaturisce dal film, si
abbattevano con fanatismo distruttivo sui fascisti, sui professori, sugli
stessi comunisti che contrastavano gli autonomi. Forse questa è
stata lʼ«intrusione» che i “camerati”
di Giralucci non hanno gradito
troppo. Avrebbero preferito, forse,
accenti e toni più autoreferenziali,
chiusi al confronto col mondo
esterno. Un film più orientato alla
propaganda al posto di un film che
pone interrogativi. Ma lʼimportante
e che da parte di tutti si riconosca
che la verità, su quegli anni, può
essere solo “sfiorata”.
Decadenza,BerlusconisirivolgeaPdegril ini:
«Settenuovitestimonimiscagionano,il votovarinviato»
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Antonella Ambrosioni
Arrivano le prove nero su bianco. Arrivano poco dopo le 16 sul tavolo di
Berlusconi i documenti attesi da
tempo provenienti dagli Usa e che
potrebbero essere la soluzione decisiva per lʼex premier dopo che Presidente della Repubblica ha
eliminato ogni possibilità diconcessione di grazie. Altro che “socio occulto” di Frank Agrama. Il fisco
americano sta indagando proprio su
di lui. Per i giudici statunitensi
Agrama ha frodato Mediaset e lʼAmministrazione Usa. Un Berlusconi tirato ma deciso illustra i contenuti di
queste nuove carte che, a suo dire,
sono di una tale “gravità” da indurre
a chiedere alla corte dʼappello di Bresca la revisione del processo. Lʼex
premier smonta il castello accusatorio. «È una vicenda che ha altri protagonisti che sono indicati in modo
chiaro», dice tra lʼaltro aggiungendo
che ci sono testimoni che non sono
stati ascoltati dai giudici. Anzi, «ci
sono 12 testimonianze di cui 7 nuove
di zecca e altre già proposte in primo
e secondo grado, ma che sono state
respinte, 171 in tutto. Attendiamo in
queste ore – aggiunge- anche documenti da Hong Kong e dallʼIrlanda
che ribaltano completamente la tesi
accusatoria, e che condurranno necessariamente a una revisione del
Secolo
d’Italia
processo, e dal punto di vista politico
necessitano di rimandare la votazione
al Senato sulla mia decadenza», dice
deciso il Cav.
Prova numero uno: «Silvio Berlusconi
non ha mai ricevuto nessun pagamento da Agrama, Gordon o Lorenzano né da qualsiasi altra persona
loro connessa. Berlusconi non ha mai
partecipato allo schema da loro
ideato per spartirsi i profitti»: è il contenuto dellʼaffidavit dellʼex Ad del
gruppo Agrama – sentito tre volte dal
fisco Usa – che il Cavaliere legge ai
presenti e che «è stato già consegnato alla procura di Milano». Le novità importanti riguardano il fatto che
in Usa il fisco americano sta per procedere con una causa verso Frank
Agrama e altre persone ritenute responsabili di evasione fiscale. Il
gruppo Agrama, insomma, è protagonista di una vicenda da cui Silvio
Berlusconi è assolutamente estraneo. «I fondi creati da mister Agrama
– ha spiegato il testimone nel testo
letto da Berlusconi – non sono mai
stati nelle disponibilità di Berlusconi».
Anzi, Agrama avrebbe utilizzato i contatti con la Mediaset per ingannare i
fornitori, in particolare la Paramount,
e il fisco americano. Elementi, pesanti e di grande rilievo che riguardano la partita giudiziaria, ma è la
partita politica che sta a cuore Berlusconi, che dà lettura di una letteraappello inviata ai senatori del Pd e
del M5S. «Siamo avversari, ma que-
sto non pregiudica il rispetto reciproco e la tutela dei diritti. Vi chiedo –
prosegue – di riflettere nellʼintimo
della vostra coscienza a maggior ragione visto che il voto è palese. Non
tanto per la mia persona, ma per la
nostra democrazia. Valutate le nuove
prove e i documenti che stanno arrivando». Ai grillini dice: «La vostra opposizione è chiara, e trasparente e la
vostra indignazione è fondata. Non
sacrificate mai le vostre ragioni politiche e riflettete prima di prendere una
decisione».
Lasciate che si esprima la magistratura in Italia e in Europa, chiede il
Cav, «prima di assumere una decisione, in caso contrario vi assumerete una grave responsabilità » e sul
parlamento «ricadrebbe una macchia
incancellabile». Inizia la conferenza
stampa, arrivano le domande e le riposte. «Mai un passo indietro», risponde al cronista di Servizio
Pubblico.
Mai parlato, mai chiesto vie di fuga:
«Non solo non cʼè stato nessun patto
rispetto ad un salvacondotto ma non
cʼè stata alcuna contraffazione», risponde alla domanda se, quando è
nato lʼattuale governo sia stato siglato
un patto con Napolitano per garantire
la sua agibilità politica. «Desidero che
la verità giudiziaria emerga a tutto
tondo»
rabbia, perché molte delle
persone in piazza combattono
ogni giorno contro la morte»,
ha spiegato Davide Vannoni,
presidente di Stamina Foundation, aggiungendo che «il
ministro Lorenzin ha bloccato
la sperimentazione, ha scelto
di non voler conoscere». In
piazza sono state attuate
anche forme estreme di protesta come il dissanguamento di
Sandro Biviano e Roberto Meloni: i due si sono attaccati a
delle flebo che poi hanno
staccato per far uscire il sangue e hanno smesso solo
quando è arrivato lʼannuncio
che una delegazione sarebbe
stata ricevuta di lì a poco a
Palazzo Chigi e che il ministro
Lorenzin avrebbe inviato allʼincontro il direttore generale
dellʼAgenzia italiana del farmaco Luca Pani, il direttore
del Centro Nazionale Trapianti Alessandro Nanni Costa
e il direttore generale dei dispositivi medici del Ministero
della salute Marcella Marletta.
«Io come gli altri, siamo vite a
tempo se devo dare il mio
corpo lo do, tornerò a Lipari
dentro una bara, ma non ci
andrò senza una risposta»,
aveva detto Biviano.
In carrozzella bloccano il centro di Roma
per il metodo Stamina. Ricevuti a Palazzo Chigi
Redazione
Hanno ottenuto un incontro a
Palazzo Chigi i manifestanti
pro-metodo Stamina, che per
buona parte della mattinata
hanno tenuto bloccato il centro di Roma. Alla protesta
hanno partecipato i malati, fra
i quali anche bambini e persone in carrozzella, e le loro
famiglie.
Partiti da largo Chigi, si sono
poi spostati nelle vie intorno
a piazza San Silvestro e
verso via del Tritone, riuscendo a tenere in stallo il
traffico per diverse ore. «Stamina funziona anche tu
senza laurea lo puoi capire»,
«Non abbiamo più voglia di
morire», si leggeva su alcuni
dei cartelli esposti e indirizzati
al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, alla quale chiedono un decreto che consenta
di accedere al metodo Stamina come cura compassionevole e lo sblocco delle liste
dʼattesa a Brescia. «Oggi cʼè
MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013
Letta si prepara allo “showdown”: il governo
porrà la fiducia sulla legge di stabilità
MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013
Secolo
d’Italia
Aldo Di Lello
Prove tecniche di nuova maggioranza e di addio alle "larghe intese". Con Forza Italia avviata
sulla via dell'opposizione e con
vasti settori del Pd alle prese con i
mal di pancia congressuali, Enrico
Letta pare deciso a verificare da
subito la consistenza parlamentare del governo da lui presieduto.
Il voto in Senato sulla legge di stabilità sarà dunque l'occasione per
il primo, impegnativo "showdown".
L'annuncio, secco, delle intenzioni
"bellicose" del premier arriva dal
ministro per i Rapporti con il Parlamento,
Dario Franceschini
«Sulla legge di stabilità porremo la
fiducia. Rispetteremo il lavoro del
Parlamento ponendola sul testo
che la Commissione bilancio sta
ultimando». Il carattere politico
della decisione è sottolineato nel
passaggio successivo: «La fiducia
è però necessaria non soltanto per
garantire i tempi di approvazione
ma anche per verificare politicamente, con chiarezza e senza ambiguità, nel luogo proprio e sull'atto
più importante, il rapporto fiduciario tra governo e maggioranza parlamentare». Più chiari di così...
Letta ha insomma fretta di assistere alla nascita, di fatto, di una
nuova maggioranza politica. Il
primo a ribattere, con ironia, è
Maurizio Gasparri,: «Apprendiamo che il governo porrà la questione di fiducia sulla legge di
stabilità. Ma su cosa? A quest'ora
della giornata ancora non sappiamo che cosa intende fare l'esecutivo sulla casa e su altre
questioni fondamentali. Si pone la
fiducia, quindi, su quale testo?».
Proprio nelle stesse ore arriva la
notizia che è saltato in Commissione l'emendamento per la rivalutazione delle pensioni fino a
quattro volte il trattamento minimo
(2mila euro) e per il contributo di
solidarietà abbassato a 90 mila
euro dai precedenti 150mila. Al
premier risponde anche Daniela
Santanchè, che auspica il voto
contrario di FI a «questa legge di
stabilità che è tutta di aumento
tasse e praticamente zero tagli alla
spesa pubblica». Un appoggio alla
decisione del governo arriva invece da Maurizio Lupi, che è tra i
promotori di Ncd: «Naturale che il
governo ponga la fiducia sulla
legge di stabilità, che è la legge più
importante dell'anno». «Il problema – aggiunge – non è la fiducia ma come la legge di stabilità è
migliorata nel passaggio al Senato
e mi risulta che si sta completando
un buon lavoro».
redazione
È fissata al 20 febbraio 2014 la prima
udienza davanti al gup del Tribunale
di Pescara, Luca De Ninis relativa all'inchiesta sulla morte di Piermario
Morosini, il giocatore del Livorno, deceduto il 14 aprile 2012 allo stadio di
Pescara, nel corso della partita Pescara-Livorno. Tre gli imputati per i
quali il pm Valentina D'Agostino ha
presentato la richiesta di rinvio a giudizio: il medico sociale del Livorno
Manlio Porcellini, quello del Pescara
Ernesto Sabatini ed il medico del 118
allo stadio Vito Molfese. L'ipotesi di
reato a carico dei tre è di omicidio
colposo. Stralciata in attesa di archiviazione la posizione del primario di
cardiologia dell'ospedale di Pescara,
Leonardo Paloscia, quel giorno allo
stadio come tifoso e che intervenne
su Morosini scendendo direttamente
dagli spalti sul campo. Il 19 aprile
scorso si era tenuto davanti al gip del
Tribunale di Pescara, Maria Michela
Di Fine, l'incidente probatorio per
fare chiarezza sulla morte del calciatore. Secondo quanto emerso dalla
relazione dei periti del giudice Vittorio Fineschi, Francesco Della Corte
e Riccardo Cappato, i sanitari, a titolo diverso tra di loro, sarebbero responsabili dell'omesso uso del
defibrillatore il cui uso «avrebbe dato
qualche chance in più di sopravvivere» al giocatore. Il calciatore si era
accasciato al suolo al 31' del primo
tempo e, dopo i primi soccorsi sul
terreno di gioco, era stato trasportato
all'ospedale Santo Spirito di Pe-
scara. I medici hanno provato a
lungo a rianimare il calciatore anche
attraverso la somministrazione di
adrenalina. Ogni tentativo, però, si
è rivelato inutile. «Le abbiamo provate tutte per rianimarlo, ma non c'è
stato niente da fare», aveva detto il
professor Leonardo Paloscia, primario del reparto di cardiologia dell'ospedale Santo Spirito. «Il ragazzo
era già in arresto cardiorespiratorio.
Finché non si è deciso di interrompere la rianimazione, un'ora e
mezza dopo, non si è mai ripreso»
aveva spiegato Paloscia. «Le abbiamo provate tutte, abbiamo anche
applicato un pacemaker provvisorio, ma non c'è mai stato un accenno di ripresa del battito
cardiaco».
Morte di Morosini: chiesto il rinvio a giudizio
per i tre medici sul terreno di gioco
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Le associazioni
dei consumatori
chiedono un sabato
di sconti straordinari
Redazione
Le associazioni dei consumatori
aderenti al comitato Casper Assoutenti, Codacons, Codici, Confconsumatori e Movimento Difesa
del Cittadini lanciano a Roma l'iniziativa del Black Saturday , una
giornata di sconti straordinari da
organizzare, questa è la proposta,
per sabato 30 novembre o, in ogni
caso, prima di Natale. «Si tratta di
mutuare nella capitale - spiegano
in una nota - la tradizione americana del Black Friday , il venerdì
nero, il giorno che apre ufficialmente la stagione dello shopping
natalizio negli Stati Uniti, quest'anno previsto per il 29 novembre. La corsa ai regali di Natale
parte dalle prime ore dell'alba con
le maggiori catene che offrono i
prezzi più bassi dell'anno, con
sconti che possono arrivare
anche al 50%. Super-saldi dei
quali migliaia di consumatori approfittano. Una grande festa che
serve anche a lanciare un'offensiva anticrisi» Le associazioni
chiedono quindi al Comume, alla
la Regione e le associazioni di
commercianti, una giornata straordinaria di vendite promozionali
per sabato 30 novembre o per
una data antecedente al Natale. I
commercianti che vorranno aderire dovranno impegnarsi a praticare sconti almeno pari al 50% e
a tenere aperti i negozi più delle
solite 13 ore giornaliere, possibilmente fino a sera.
La Fiom verso la pace con la Fiat.
Ma con gli altri sindacati resta ai ferri corti
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Secolo
d’Italia
Valeria Gelsi
Sfatati i pronostici della vigilia, l'incontro di ieri tra Fiat e Fiom sul rinnovo del contratto in vigore in tutti
gli stabilimenti del gruppo, sia dell'Auto sia di Cnh Industrial, si è rivelato «utile». A dirlo è stato il
segretario generale del sindacato,
Maurizio Landini, chiarendo che il
confronto avvenuto all'Unione industriali di Torino «ha riaperto una discussioni con l'impegno a rivederci
entro metà dicembre». «Abbiamo
ricominciato da dove ci eravamo lasciati tre anni fa, abbiamo ripreso la
trattativa rientrando dalla porta prin-
cipale», ha proseguito Landini, il cui
obiettivo è «un tavolo unico con gli
altri sindacati». L'azienda dunque
«ha preso atto», per dirla con il segretario Fiom, della sentenza della
Corte Costituzionale che ha sancito
che anche chi non firma il contratto
può stare al tavolo della trattativa,
nonostante una clausola dello
stesso contratto Fiat preveda il contrario. Il problema di Landini, a questo punto, resta il rapporto con le
altre sigle sindacali, che l'azienda
ha incontrato nel pomeriggio. Nei
giorni scorsi c'era stato un duro
botta e risposta, con la Fiom che
minacciava denunce nel caso non
fosse stata inclusa nella trattativa e
le altre sigle che ribadivano che
senza firma del contratto e adesione alla piattaforma non se ne poteva fare nulla. «Noi difendiamo il
contratto che significa investimenti
ed occupazione. La Fiom fa l'esatto
contrario mettendo di fatto costantemente a repentaglio questi valori», aveva detto il segretario
generale della Uilm, Rocco Palombella. Ieri, ricordando i tentativi di ricostruire un rapporto, Landini ha
sostenuto che «è stata più veloce la
Fiat a risponderci, mentre Fim e
Uilm, che stanno nel nostro stesso
palazzo, non hanno trovato neanche il tempo di fare le scale». Il riferimento era a «una nostra lettera
del 12 aprile a Fim e Uilm, prima
dell'accordo interconfederale, in cui
indichiamo otto punti sulla base dei
quali riprendere rapporti dignitosi
all'interno della categoria. Ci fu risposto che bisognava aspettare
l'accordo interconfederale, poi la
sua applicazione». «Oggi dicono
che dobbiamo prima firmare l'accordo separato con Federmeccanica e quello con Fiat. Mi pare non
abbiano voglia di riprendere rapporti corretti», ha concluso Landini.
Redazione
Sulla difensiva, refrattarie a internet eppure capaci di assumere. È
la fotografia delle microimprese
italiane, quelle con un numero di
dipendenti da tre a nove, che
emerge dal Censimento generale
dell'industria e dei servizi, di cui
l'Istat ha divulgato ieri alcune analisi. In particolare, il mantenimento
della quota di mercato, in tempi di
crisi, è l'obiettivo di quasi il 70% di
questo tipo di aziende, che si presentano dunque molto prudenti e
poco inclini alla ricerca di nuovi
spazi per aumentare il fatturato.
Ne è un sintomo anche il rapporto
con il web: nel 2011, anno di riferimento del Censimento, la quota
delle piccole aziende che disponevano di una connessione a internet si fermava al 77%.
Addirittura il 42,2% delle microimprese reputa Internet non neces-
sario o inutile per l'attività che
svolge. «Sembrerebbe che le potenzialità del web non siano riconosciute appieno da questa
classe dimensionale», è il commento dell'Istat. Non a caso solo
un terzo di loro utilizza un sito o
pagine internet e appena l'11,6%
è presente sulla rete attraverso almeno uno dei social media tra i
più diffusi. Insomma, i risultati del
Censimento confermano le caratteristiche del sistema produttivo
italiano: struttura dimensionale
fortemente frammentata e una dimensione media tra le più basse
d'Europa. Basti pensare che le imprese con 3-9 addetti sono circa
837mila, pari al 19% di tutte le
aziende dell'industria dei servizi, e
occupano oltre il 23% degli addetti
(3,8 milioni). Ciononostante, nel
2011, a dispetto della recessione,
il 22,7% delle microimprese,
quindi quasi una su quattro, ha acquisito nuove risorse umane. In
particolare, il 18% ha assunto
nuovo personale dipendente, mentre il 7,7% ha fatto ricorso a nuovi
lavoratori autonomi, tra temporanei ex-interinali, collaboratori a
progetto e partite Iva. A fronte di
questo, però, l'Istat rileva un modesto investimento in figure professionali di elevato livello. Infatti
nel 2011 solo il 5,9% delle microimprese ha acquisito nuove risorse
ad
alta
qualifica
professionale come dirigenti, professionisti di elevata specializzazione, tecnici specializzati.
L'Istat fotografa le microaziende: sulla difensiva
e fuori dal web, però assumono
MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013
Meno sportelli
e meno dirigenti:
così la crisi cambia
le banche italiane
Redazione
Fiduciosa sulla possibilità di riaprire il dialogo con i sindacati,
l'Abi continua però a puntare i
piedi sul fatto che il contratto in
vigore non è più sostenibile nel
contesto attuale. Per questo, all'indomani del primo sciopero
della categoria in 13 anni, l'associazione bancaria italiana, in
un seminario a Ravenna, ha delineato un futuro in cui gli istituti
di credito avranno meno sportelli
"fisici" e un personale con meno
quadri e dirigenti e più impiegati
esperti nelle nuove tecnologie e
nella consulenza. La cornice è
quella di un forte calo della redditività, dovuto alla crisi economica e a un modello di business
non più valido. L'associazione
ha segnalato come in Italia vi
siano 55 sportelli bancari per
100mila abitanti contro una
media Ue di 41. Un dato frutto
della liberalizzazione degli anni
Novanta, che - è stato sottolineato - ha rotto il divieto che durava dagli anni Trenta di
apertura di sportelli per le banche. Altro tema sensibile e al
centro delle contestazioni dei
sindacati è quello del costo e
della organizzazione del lavoro.
La composizione del personale,
ha rilevato l'Abi, è sbilanciata
verso direttivi (2,3%) e quadri
(40,3%), che nel 2000 erano rispettivamente all'1,5% e al 29%.
I salari così, ha sostenuto l'associazione, sono cresciuti più dell'inflazione e non c'è stata una
perdita del potere di acquisto,
anche se il cuneo fiscale penalizza i bancari, al pari degli altri
lavoratori italiani, rispetto ai colleghi europei.
La Libia in piena guerra civile: scontri armati
nel cuore di Bengasi, quattordici morti
MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013
Secolo
d’Italia
5
Unione europea?
No grazie.Belgrado
preferisce Putin
Antonio Pannullo
La Libia precipita sempre più verso
la guerra civile: violenti scontri sono
nuovamente scoppiati a Bengasi tra
militari filo-governativi e miliziani di
Ansar al-Sharia. Lo riferiscono testimoni via Twitter. Il gruppo filo-al
Qaida è considerato responsabile
dell'attacco del 2011 contro il consolato della città in cui perse la vita
anche l'ambasciatore Usa, Chris
Stevens. I testimoni riferiscono di
veri e propri combattimenti in alcune
delle principali strade della città, a
colpi di armi pesanti, compresa l'artiglieria. Il bilancio, riferiscono fonti
ospedaliere, è pesantissimo, almeno 14 morti e decine di feriti. E
pensare che domenica il tema della
stabilità in Libia è stato al centro dell'incontro londinese tra il premier libico Ali Zeidan e il segretario di
Stato Usa, John Kerry. E a proposito di stabilità, il governatore militare di Bengasi ha posto in stato di
allerta le truppe governative dopo
gli scontri scoppiati con i miliziani di
Ansar al-Sharia, che sono proseguito per diverse ore. I residenti
sono stati invitati a rimanere nelle
proprie case. Intanto l'anarchia seguita all'omicidio di Gheddafi ha
dato la stura alle vendetti personali
e politiche da parte di tutte le fazioni
che compongono la maggioranza
governativa: non più tardi di sabato,
un ex agente dei servizi di sicurezza
del regime del leader libico Muammar Gheddafi, rovesciato nel 2011,
è stato ucciso a Derna, località nell'etremo est della Libia devstata da
continue violenze. Lo ha riferito un
responsabile della sicurezza: «Sconosciuti hanno aperto il fuoco su
Fares al Zarrouk, ex agente dei servizi della sicurezza interna durante il
regime di Gheddafi», ha detto la
fonte, aggiungendo che l'aggredito
è morto sul colpo e che i killer gli
hanno sparato con fucili automatici
in centro alla città, in una strada
piena di gente. Poi sono fuggiti. Da
numerosi giorni la città di Derna è
teatro di una serie di attacchi e omicidi che hanno colpito anche giudici,
dirigenti tribali, poliziotti e militari.
Secondo varie fonti sul posto, a
Derna ormai non esistono più uomini della sicurezza del governo di
Tripoli, a causa della presenza di
gruppi integralisti islamici che eliminano fisicamente tutti coloro che appartengono a un qualunque
organismo di sicurezza.
Giovanni Trotta
Nuove sanzioni anti-nucleari americane contro l'Iran significherebbero la
fine della storica intesa semestrale
raggiunta domenica a Ginevra con le
potenze del "5+1": come riportano
media iraniani, lo ha detto il ministro
degli Esteri iraniano Mohammad
Javad Zarif. «Se ci sono nuove sanzioni, allora non c'è accordo. È molto
chiaro. Fine dell'accordo, a causa dell'incapacità di una controparte di rispettare la propria parte del contratto»,
ha detto il ministro iraniano al network
statunitense Nbc. Domenica l'Iran e le
potenze del gruppo "5+1" hanno raggiunto una prima intesa su limiti che
l'Iran porrà al suo programma nucleare
sospettato di finalità militari e su allentamenti delle sanzioni internazionali
contro Teheran. L'accordo, ha ricordato Zarif, prevede che in questi sei
mesi non vengano imposte altre sanzioni. Ma senatori repubblicani hanno
annunciato che cercheranno di far votare al Congresso statunitense nuove
sanzioni economiche se l'Iran non rispetterà l'accordo. È previsto che il
Congresso voti nuove sanzioni con entrata in vigore dopo la scadenza dell'intesa semestrale raggiunta. Tuttavia
Israele resta preoccupato: la maggioranza degli israeliani condividono il
forte scetticismo espresso dal premier
Benyamin Netanyahu sull'accordo di
Ginevra fra i Paesi del "5+1" e l'Iran,
secondo un sondaggio pubblicato dal
giornale filogovernativo Israel "HaYom". Il 76,4 per cento non crede che,
in seguito a quell'accordo, l'Iran fermerà i propri progetti atomici. Il 57,8
per cento ritiene che gli Stati Uniti abbiano in questa circostanza arrecato
danno ad interessi nazionali israeliani.
Il 45,8 per cento è pronto a sostenere
un eventuale attacco solitario israeliano se l'Iran portasse avanti le componenti militari del progetto atomico. E
infine il 55,3 per cento trova giustificate
le critiche di Netanyahu all'accordo di
Ginevra. «Nei prossimi giorni una
équipe israeliana guidata dal Consigliere per la sicurezza nazionale Yossi
Cohen si recherà in Usa per discutere
con gli Stati Uniti dell'accordo definitivo
con l'Iran». Lo ha detto in parlamento il
premier israeliano Benyamin Netanyahu riferendo del suo colloquio telefonico con il presidente Barack
Obama. Netanyahu ha detto che le
pressioni esercitate da Israele nelle ultime settimane hanno dato «frutti parziali», eppure l'accordo raggiunto infine
a Ginevra resta cattivo. L'accordo definitivo fra i Paesi del "5+1" e l'Iran, secondo Netanyahu, «dovrà raggiungere
Nucleare, l'Iran avverte: se ci saranno altre sanzioni,
l'accordo appena siglato verrà considerato nullo
Redazione
Unione europea? No, grazie. I
serbi a quanto pare preferiscono
l'alleanza con la Russia all'integrazione nella Ue, e Vladimir Putin è il
politico estero più popolare nel
Paese. È quanto è emerso da un
sondaggio diffuso dai media.
Stando all'inchiesta condotta dal
magazine Nspm a inizio ottobre, a
favore dell'alleanza con la Russia
si è espresso il 67% degli intervistati, rispetto al 53,7% che si è
detto favorevole all'adesione della
Serbia alla Ue. Al tempo stesso
Putin si è rivelato il politico straniero
più amato dai serbi con un rating di
favori medio del 3.69, su una scala
da 1 a 5, dove 5 è il valore più alto.
I favori per l'Unione europea sono
tuttavia aumentati rispetto al minimo dello scorso aprile, quando
ad auspicare l'adesione alla Ue era
solo il 46%. La seconda personalità politica straniera più popolare in
Serbia è il cancelliere tedesco Angela Merkel, mentre il meno amato
è il premier turco Recep Tayyip Erdogan. Nei giorni scorsi, il premier
Ivica Dacic ha ribadito che la Serbia non darà mai il suo consenso
all'ingresso del Kosovo nelle Nazioni Unite. «Noi non riconosceremo mai l'indipendenza del
Kosovo e di conseguenza non daremo mai il nostro assenso all'adesione del Kosovo all'Onu», ha detto
Dacic ai giornalisti a Belgrado. Riferendosi alle dichiarazioni del "ministro degli esteri" kosovaro Enver
Hoxhaj, secondo cui Pristina intende presentare domanda di adesione a due o tre agenzie dell'Onu
nella prima metà del 2014, Dacic
ha sottolineato che tutto ciò non si
può fare senza previo negoziato e
senza un accordo con Belgrado.
un risultato: lo smantellamento delle
capacità militari nucleari dell'Iran». Netanyahu ha rilevato che ancora la settimana scorsa «i dirigenti dell'Iran
hanno ribadito il proprio impegno a distruggere lo Stato di Israele e quindi io
oggi ribadisco il nostro impegno ad impedire loro di conseguire il potenziale
necessario per farlo».
Milano, i residenti di corso Vercelli
contro l'apertura di una sala giochi
6
Secolo
d’Italia
Redazione
«Ho partecipato, unico rappresentante della Regione Lombardia e del Comune, all'iniziativa di
protesta dei residenti di corso
Vercelli, a Milano, contro l'apertura di una sala giochi nei locali
dove prima c'era un noto negozio per bambini». Lo dichiara
Riccardo De Corato, vicepresidente del Consiglio comunale e
capogruppo in Regione di Fratelli
d'Italia. «È da tempo che gli abitanti si battono contro questa
nuova sala slot. Una protesta
partita dal condominio dove do-
vrebbe aprire la sala giochi, che
si è estesa poi alle vie circostanti,
alla parrocchia di piazza Wagner
e alle scuole del quartiere. C'è di
mezzo una causa tra i condomini
e la società titolare dei locali. Intanto però i lavori vanno avanti e
gli abitanti non si sentono garantiti. Così hanno organizzato lo
“slot mob". Ho portato loro la mia
solidarietà – continua De Corato
– ed espresso la mia totale contrarietà all'apertura della nuova
sala slot. Ne avevamo bloccate
più di 60 fino al 2011 con una
norma urbanistica inserita nel
Piano regolatore che obbligava i
titolari a prevedere un minimo di
200 posti auto per poter aprire locali come appunto le sale gioco.
Norma che invece non è stata inserita nel nuovo Pgt. La nuova
legge regionale contro le ludopatie, approvata lo scorso ottobre e
alla quale come Fratelli d'Italia
abbiamo attivamente contribuito,
reintroduce questo vincolo limitando quindi l'apertura di sale
slot. Il gioco è un grave problema
sociale, basti pensare a quante
famiglie si rovinano a causa di un
componente dedito all'azzardo.
Sono soprattutto i più deboli a
pagare un prezzo altissimo, le
persone anziane, i disoccupati, i
giovani, le casalinghe che si illudono di arrotondare e invece
mandano a rotoli la famiglia. La
Lombardia ha il record di spesa
nazionale per il gioco lecito: 5,7
miliardi di euro nel 2012. Questa
legge – conclude l'esponente di
Fratelli d'Italia – impone regole
certe e contribuisce a sensibilizzare i cittadini aprendo un dibattito molto utile.
Certo il governo non aiuta, poiché il gioco rappresenta un gettito al quale non vuole rinunciare.
Bisognerebbe remare tutti dalla
stessa parte».
Redazione
«Sono quattro mesi che in Regione Lazio abbiamo approvato, dopo averla fortemente
voluta come opposizione, la
legge n.5 del 5 agosto 2013,
recante “Disposizioni per la
prevenzione e il trattamento
del gioco dʼazzardo patologico
(Gap)", e dal sindaco Marino
ancora non abbiamo visto
alcun tipo di iniziativa che recepisse quanto legiferato, se
non la sporadica quanto pregevole iniziativa del presidente
del Centro storico Alfonsi»,
così dichiara Fabrizio Santori,
consigliere regionale di La Destra e componente della commissione
Sociale,
denunciando lʼimmobilismo di
Roma Capitale nella lotta alle
ludopatie e a commento dei
preoccupanti dati sul fenomeno resi noti dalla Pontificia
Università Lateranense. «La
legge regionale non ammette
lʼapertura di sale da gioco nei
pressi di aree sensibili, quali
scuole, centri anziani, luoghi di
culto e ospedali, e prevede
sgravi fiscali per chi rimuove o
sceglie di non installare slot
machine e videolottery. Inoltre,
sempre nella norma, è contenuto il divieto di qualsiasi attività
pubblicitaria
relativa
allʼapertura di nuove sale o allʼesercizio che prevede vincite
in denaro, così come la concessione di spazi pubblicitari
istituzionali. I gestori, infine,
hanno lʼobbligo di esporre materiale informativo sul fenomeno del Gap e sui rischi
correlati al gioco e a monitorare il divieto di utilizzo ai minori di apparecchi che
prevedono vincite in denaro.
Bene, a tutte queste disposizioni, la cui applicazione noi
riteniamo della massima urgenza per far fronte a un fenomeno grave, in espansione
e dalle forti ripercussioni sociali, in che modo e con quale
tempistica Marino intende
dare seguito attraverso concreti provvedimenti? Dobbiamo rassegnarci anche su
questo tema allʼimmobilismo
del centrosinistra in Campidoglio?», conclude Santori.
Ludopatia, Santori incalza il sindaco:
da Roma capitale quali provvedimenti?
MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013
Berlato (Ppe): il tribunale
di Bassano
non deve chiudere
Redazione
«Rinnovo il mio sostegno agli avvocati e alle categorie economiche e sociali di Bassano che per
la loro giustissima causa hanno
lanciato lʼennesimo appello insieme a centinaia di cittadini, perché quello che è un servizio di
primaria importanza per la zona
non
venga
definitivamente
chiuso». Commenta così Sergio
Berlato, deputato al Parlamento
europeo del Ppe, la manifestazione a sostegno del tribunale di
Bassano del Grappa (Vicenza),
che il governo vorrebbe chiudere
e accorpare a quello di Vicenza,
che si è tenuta sul Ponte degli Alpini. «So che qualche spiraglio continua Berlato - perché il tribunale venga preservato si sta
aprendo a Roma, mi auguro
quindi che i colleghi in commissione Giustizia diano parere favorevole affinché il governo riveda la
Riforma. Al di là di tutto - conclude
il deputato europeo - non è davvero accettabile che, in caso di
accorpamento, oltre ai disagi causati alla cittadinanza, ci sarebbe
anche uno spreco notevole di risorse, gran parte delle quali già
utilizzate per la costruzione della
nuova cittadella della giustizia».
Le star cambiano look: ora i testimonial vip
puntano sulle tigri del Nepal e gli elefanti africani...
Secolo
MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013
d’Italia
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Priscilla Del Ninno
Un tifone ha devastato le Filippine. Una serie di
tornado abbattutisi sul Midwewst degli Stati Uniti
ha scaricato al suolo una potenza distruttrice,
coinvolgendo oltre 50 milioni di persone. E questo solo per parlare delle catastrofi naturali più
recenti e per tacere dei drammi umanitari che
investono le aeree disagiate del mondo. Eppure
– senza nulla togliere alle tematiche ambientaliste, e sperando di non risultare troppo antropocentrici – in nome di un innato egocentrismo
da star, i divi di Hollywood, di cui senz'altro
vanno apprezzati generosità d'intenti e sensibilità militante, sempre più spesso negli ultimi
tempi mettono volto, fama e portafoglio al servizio di cause nobili, ma forse non proprio di
stringente priorità. E dopo dopo le crociate spettacolari per la lotta all'aids, il jet set volta pagina
e i testimonial cambiano look e target benefico.
Così, dopo il ballo in maschera di qualche mese
fa a tema “Animalier”, indetto dalle “menti coronate” di Carlo e Camilla, che ha richiamato sulla
regale ribalta aristocratici, artisti ed eccentrici
milionari, spinti dal desiderio di salvare gli elefanti d'Africa. Dopo l'ultimo nudo d'autore pronto
ad aggiungersi all'interminabile lista di modelle
e dive ambientaliste, salutiste e ecologiste, con
la scusa della beneficenza, ciclicamente immortalate come mamma le ha fatte, in questi
giorni i riflettori tornano ad accendersi su Leonardo Di Caprio, protagonista del nobile gesto
di turno. Il divo di Holywood ha donato 3 milioni
dollari per contribuire a salvare le tigri in Nepal.
L'attore, stella de Il Grande Gatsby, ha realizzato la donazione attraverso la sua fondazione,
e subito la Bbc ha reso noto e amplificato il generoso gesto. Così l'attore ha avuto modo di argomentare la singolare scelta, ricaduta su
questo particolare tema animalista, perché «fiducioso che il denaro aiuterà a superare l'obiettivo di raddoppiare la popolazione delle tigri in
Nepal» che rischiano l'estinzione a causa della
distruzione dell'habitat in cui vivono e del bracconaggio illegale.
Un'iniziativa che si inserisce in un lavoro ad
ampio spettro della Fondazione di Di Caprio,
che solo dall'inizio di quest'anno ha raccolto
38,8 milioni dollari (23,9 milioni di euro), attraverso donazioni e un'asta d'arte di Christie a
New York, e che è nata con l'ambizioso scopo di
proteggere gli ultimi luoghi selvaggi della terra e
di favorire un rapporto armonioso tra l'umanità e
il mondo naturale. Ai posteri l'ardua sentenza...
o il tempestivo applauso e immediato ritorno
d'immagine.
Bianca Conte
Dalla fuga dei cervelli alla diaspora dei talenti
spettacolari: più che una necessità, a dire il vero,
sembra diventata una moda quella degli attori di
casa nostra pronti a chiedere asilo culturale in
Francia. E per una Anna Galiena che già nel '90
tornava a casa dopo aver incantato il pubblico
parigino sedotto dalle sue performance ne Il marito della parrucchiera di Patrice Leconte, oggi c'è
una Maya Sansa che va e resta oltralpe, decisa
a godersi onori e oneri dell'emigrazione istrionica.
«In Francia c'è un sistema che funziona e tutela
gli artisti e gli attori in modo concreto, dimostrando un grande rispetto del mestiere». Così
Maya Sansa, incontrando la stampa alle premiere di Moliere in bicicletta – film di Philippe Leguay dove recita insieme a Fabrice Luchini e
Lambert Wilson – affermava strizzando l'occhio
al suo nuovo pubblico cinefilo. Sarà, ma oggi che
il cinema italiano sembra aver oliato i suoi ingranaggi imprenditoriali, rinvigorito di nuova linfa
creativa autori e interpreti, e con l'aiuto decisamente anti-snobistico di cinepanettoni e dei vari
Checco Zalone, anche rimpinguato le sue casse,
è davvero un peccato andarsene. Una constatazione suffragata anche dai verdetti giornalistici e
dai riscontri popolari, confermati anche dai recenti dati Cinetel. Cifre e percentuali che ci dicono, per esempio, che solo dopo quattro
settimane di conquista incontrastata del box office, Sole a catinelle (che ha incassato ad oggi
un totale record che sfiora i 48 milioni) ha ceduto
lo scettro al film Disney Thor: the Dark World, la
pellicola che segna il ritorno dell'eroe Marvel atteso dal pubblico giovane. Aggiungendo che la
classifica è comunque molto tricolore se, ironia
della sorte, neanche a farlo apposta al terzo
posto figura la commedia del regista e attore livornese Paolo Ruffini, Fuga di cervelli. E allora,
in attesa di valutare la prova d'attrice della bella
e brava Maya Sansa – Moliere in bicicletta,
grande successo al box office francese, arriverà
nelle sale italiane il 12 dicembre prossimo – incrociamo le dita affinché non ci siano altri transfughi con la valigia in mano. Anche perché,
presto o tardi, vuoi per amor di patria, vuoi per
dovere di fiction, tornano tutti.
“Vive la France”: è Parigi la capitale della diaspora degli attori italiani
Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale
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SECOLO DʼITALIA SRL
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d’Italia
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7 agosto 1990 n. 250