Controffensiva di Berlusconi: mi scagionano 7 nuovi
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Controffensiva di Berlusconi: mi scagionano 7 nuovi
CON IL PDL ANNO LXI N.274 Controffensiva di Berlusconi: mi scagionano 7 nuovi testimoni Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76 A Carlo Giuliani un monumento, a Fabrizio Quattrocchi nemmeno un poʼ di giustizia. Che Italia è questa? Francesco Signoretta Viviamo in unʼItalia sempre più strana e contraddittoria, dominata da una forma volgare di ideologismo. La sentenza sullʼuccisione di Fabrizio Quattrocchi in Iraq lascia lʼamaro in bocca: secondo i giudici non fu omicidio di stampo terroristico e gli imputati erano solo criminali comuni. E così, dopo alcuni anni, è stato umiliato anche un atto eroico, è stato mortificato il ricordo di un giovane che, poco prima di essere ammazzato, pronunciò la famosa frase “Ora vi faccio vedere come muore un italiano”. Eppure i carcerieri assolti rivendicarono il sequesto a nome delle “Falangi verdi di Maometto” e considerarono il rapimento come uno strumento di ricatto di d’Italia WWW.SECOLODITALIA.IT stampo terroristico per indurre lʼItalia a ritirare le proprie truppe da Baghdad. Alla fine è stata scritta lʼennesima pagina negativa della storia degli ultimi anni. Ma al di là delle polemiche, occorrerebbe una riflessione: a Carlo Giuliani, AMBROSIONI PAG.2 morto mentre stava per scaraventare un estintore contro i carabinieri, è stata intitolata unʼaula dei gruppi al Senato, è stato realizzato un monumento a Genova ed è stata posta una lapide in memoria. A Fabrizio Quattrocchi non è stata con- martedì 26/11/2013 cessa nemmeno giustizia nei tribunali italiani. Qualcosa non funziona, i conti non tornano. Ma non sarà certo una sentenza incredibile a far svanire il ricordo di Fabrizio e di quel terribile aprile del 2004. A rendergli onore basta il video della sua morte, il cui contenuto fu reso noto dal giornalista del Tg1 Pino Scaccia: «Fabrizio Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: “Posso toglierla?” riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde “no”. E allora lui tenta di togliersi la benda e dice: “Adesso vi faccio vedere come muore un italiano”. Passano secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. “È nemico di Dio, è nemico di Allah”, concludono in coro i sequestratori». Che secondo le toghe non sono terroristi. Ma è forse lʼatto eroico, quellʼorgoglio di essere italiano a dar fastidio a qualcuno. Su RaiUno il film di Silvia Giralucci “Sfiorando il muro”: il terrore e la violenza raccontati senza censure Annalisa Terranova Ha ottenuto il 6,38 di share il film documentario di Silvia Giralucci “Sfiorando il muro” trasmesso ieri sera da Raiuno nellʼambito dello Speciale Tg1. Il lavoro di Silvia Giralucci e Luca Ricciardi era stato presentato al festival del cinema di Venezia del 2012. La trasmissione sulle reti Rai di unʼopera come “Sfiorando il muro” ha un grande significato, poiché apre a una prospettiva differente sulla valutazione degli anni di piombo – e Padova, come sappiamo, fu un laboratorio operativo e importante in quel periodo della pratica violenta e del terrore – che va al di là della retorica sui “compagni che sbagliano”. Silvia Giralucci, figlia di un padre che fu – con Giuseppe Mazzola – una delle prime vittime delle Brigate Rosse, ha scelto per il suo film un itinerario tutto incentrato sulla ricerca (tra le scene più belle quella di lei che sfoglia la colle- zione del Secolo e osserva i servizi e le foto sui funerali di suo padre). Il film non vuole “celebrare” (ed evita anche di recriminare sulle responsabilità), non vuole “interpretare” ma mira oggettivamente a ricostruire un contesto. Lasciando però che appaiano come “lampi” offerti alla coscienza del pubblico episodi molto utili a formulare un giudizio. Per esempio Toni Negri che rivendica la “resistenza” e le lotte di quel periodo, e ancora la città di Padova che a lungo ha rifiutato di ricordare Mazzola e Giralucci come vittime cui tributare un doveroso omaggio, e da ultimo lʼintensa intervista a Stefania Paternò (dirigente di primo piano del movimento giovanile negli anni Settanta, arrivata seconda dopo Marco Tarchi al congresso del Fdg del 1977, quello in cui Fini, nonostante fosse arrivato quarto, venne scelto da Almirante come capo dei giovani missini). Cosa dice Stefa- nia Paternò? Che la guerra generazionale di quegli anni rappresentò un “brutto gioco” che non deve ripetersi mai più, e lo dice con le lacrime agli occhi. Basta questo per far bollare il film, come è avvenuto da parte di alcuni ambienti, come un documentario “buonista”? Perché su questo si apre un versante delicato: o quegli anni si superano (senza dimenticare), o si cristallizzano nellʼeterna fissità dei buoni e dei cattivi (e i rischi di questo chi li calcola?). Di vero cʼè che lʼintento di Silvia Giralucci non era quello di rivolgersi alla destra, di coltivare una memoria identitaria ma quello di dare un senso a unʼassenza pesante, vissuta in un ambito tutto privato, familiare, in cui la politica non ha un ruolo determinante (pensiamo che fosse suo diritto scegliere la “prospettiva”). Certo è solo un punto di vista, certo su Mazzola e Giralucci si potevano dire molte altre cose, e sappiamo che la destra è abituata a vedere anche quei due caduti nellʼambito del tragico martirologio dei “cuori neri” che un odio brutale ha sottratto alla vita. Ma Silvia Giralucci si interroga su suo padre, non sul militante politico. Lʼodio e il terrore, è la narrazione che scaturisce dal film, si abbattevano con fanatismo distruttivo sui fascisti, sui professori, sugli stessi comunisti che contrastavano gli autonomi. Forse questa è stata lʼ«intrusione» che i “camerati” di Giralucci non hanno gradito troppo. Avrebbero preferito, forse, accenti e toni più autoreferenziali, chiusi al confronto col mondo esterno. Un film più orientato alla propaganda al posto di un film che pone interrogativi. Ma lʼimportante e che da parte di tutti si riconosca che la verità, su quegli anni, può essere solo “sfiorata”. Decadenza,BerlusconisirivolgeaPdegril ini: «Settenuovitestimonimiscagionano,il votovarinviato» 2 Antonella Ambrosioni Arrivano le prove nero su bianco. Arrivano poco dopo le 16 sul tavolo di Berlusconi i documenti attesi da tempo provenienti dagli Usa e che potrebbero essere la soluzione decisiva per lʼex premier dopo che Presidente della Repubblica ha eliminato ogni possibilità diconcessione di grazie. Altro che “socio occulto” di Frank Agrama. Il fisco americano sta indagando proprio su di lui. Per i giudici statunitensi Agrama ha frodato Mediaset e lʼAmministrazione Usa. Un Berlusconi tirato ma deciso illustra i contenuti di queste nuove carte che, a suo dire, sono di una tale “gravità” da indurre a chiedere alla corte dʼappello di Bresca la revisione del processo. Lʼex premier smonta il castello accusatorio. «È una vicenda che ha altri protagonisti che sono indicati in modo chiaro», dice tra lʼaltro aggiungendo che ci sono testimoni che non sono stati ascoltati dai giudici. Anzi, «ci sono 12 testimonianze di cui 7 nuove di zecca e altre già proposte in primo e secondo grado, ma che sono state respinte, 171 in tutto. Attendiamo in queste ore – aggiunge- anche documenti da Hong Kong e dallʼIrlanda che ribaltano completamente la tesi accusatoria, e che condurranno necessariamente a una revisione del Secolo d’Italia processo, e dal punto di vista politico necessitano di rimandare la votazione al Senato sulla mia decadenza», dice deciso il Cav. Prova numero uno: «Silvio Berlusconi non ha mai ricevuto nessun pagamento da Agrama, Gordon o Lorenzano né da qualsiasi altra persona loro connessa. Berlusconi non ha mai partecipato allo schema da loro ideato per spartirsi i profitti»: è il contenuto dellʼaffidavit dellʼex Ad del gruppo Agrama – sentito tre volte dal fisco Usa – che il Cavaliere legge ai presenti e che «è stato già consegnato alla procura di Milano». Le novità importanti riguardano il fatto che in Usa il fisco americano sta per procedere con una causa verso Frank Agrama e altre persone ritenute responsabili di evasione fiscale. Il gruppo Agrama, insomma, è protagonista di una vicenda da cui Silvio Berlusconi è assolutamente estraneo. «I fondi creati da mister Agrama – ha spiegato il testimone nel testo letto da Berlusconi – non sono mai stati nelle disponibilità di Berlusconi». Anzi, Agrama avrebbe utilizzato i contatti con la Mediaset per ingannare i fornitori, in particolare la Paramount, e il fisco americano. Elementi, pesanti e di grande rilievo che riguardano la partita giudiziaria, ma è la partita politica che sta a cuore Berlusconi, che dà lettura di una letteraappello inviata ai senatori del Pd e del M5S. «Siamo avversari, ma que- sto non pregiudica il rispetto reciproco e la tutela dei diritti. Vi chiedo – prosegue – di riflettere nellʼintimo della vostra coscienza a maggior ragione visto che il voto è palese. Non tanto per la mia persona, ma per la nostra democrazia. Valutate le nuove prove e i documenti che stanno arrivando». Ai grillini dice: «La vostra opposizione è chiara, e trasparente e la vostra indignazione è fondata. Non sacrificate mai le vostre ragioni politiche e riflettete prima di prendere una decisione». Lasciate che si esprima la magistratura in Italia e in Europa, chiede il Cav, «prima di assumere una decisione, in caso contrario vi assumerete una grave responsabilità » e sul parlamento «ricadrebbe una macchia incancellabile». Inizia la conferenza stampa, arrivano le domande e le riposte. «Mai un passo indietro», risponde al cronista di Servizio Pubblico. Mai parlato, mai chiesto vie di fuga: «Non solo non cʼè stato nessun patto rispetto ad un salvacondotto ma non cʼè stata alcuna contraffazione», risponde alla domanda se, quando è nato lʼattuale governo sia stato siglato un patto con Napolitano per garantire la sua agibilità politica. «Desidero che la verità giudiziaria emerga a tutto tondo» rabbia, perché molte delle persone in piazza combattono ogni giorno contro la morte», ha spiegato Davide Vannoni, presidente di Stamina Foundation, aggiungendo che «il ministro Lorenzin ha bloccato la sperimentazione, ha scelto di non voler conoscere». In piazza sono state attuate anche forme estreme di protesta come il dissanguamento di Sandro Biviano e Roberto Meloni: i due si sono attaccati a delle flebo che poi hanno staccato per far uscire il sangue e hanno smesso solo quando è arrivato lʼannuncio che una delegazione sarebbe stata ricevuta di lì a poco a Palazzo Chigi e che il ministro Lorenzin avrebbe inviato allʼincontro il direttore generale dellʼAgenzia italiana del farmaco Luca Pani, il direttore del Centro Nazionale Trapianti Alessandro Nanni Costa e il direttore generale dei dispositivi medici del Ministero della salute Marcella Marletta. «Io come gli altri, siamo vite a tempo se devo dare il mio corpo lo do, tornerò a Lipari dentro una bara, ma non ci andrò senza una risposta», aveva detto Biviano. In carrozzella bloccano il centro di Roma per il metodo Stamina. Ricevuti a Palazzo Chigi Redazione Hanno ottenuto un incontro a Palazzo Chigi i manifestanti pro-metodo Stamina, che per buona parte della mattinata hanno tenuto bloccato il centro di Roma. Alla protesta hanno partecipato i malati, fra i quali anche bambini e persone in carrozzella, e le loro famiglie. Partiti da largo Chigi, si sono poi spostati nelle vie intorno a piazza San Silvestro e verso via del Tritone, riuscendo a tenere in stallo il traffico per diverse ore. «Stamina funziona anche tu senza laurea lo puoi capire», «Non abbiamo più voglia di morire», si leggeva su alcuni dei cartelli esposti e indirizzati al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, alla quale chiedono un decreto che consenta di accedere al metodo Stamina come cura compassionevole e lo sblocco delle liste dʼattesa a Brescia. «Oggi cʼè MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013 Letta si prepara allo “showdown”: il governo porrà la fiducia sulla legge di stabilità MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013 Secolo d’Italia Aldo Di Lello Prove tecniche di nuova maggioranza e di addio alle "larghe intese". Con Forza Italia avviata sulla via dell'opposizione e con vasti settori del Pd alle prese con i mal di pancia congressuali, Enrico Letta pare deciso a verificare da subito la consistenza parlamentare del governo da lui presieduto. Il voto in Senato sulla legge di stabilità sarà dunque l'occasione per il primo, impegnativo "showdown". L'annuncio, secco, delle intenzioni "bellicose" del premier arriva dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini «Sulla legge di stabilità porremo la fiducia. Rispetteremo il lavoro del Parlamento ponendola sul testo che la Commissione bilancio sta ultimando». Il carattere politico della decisione è sottolineato nel passaggio successivo: «La fiducia è però necessaria non soltanto per garantire i tempi di approvazione ma anche per verificare politicamente, con chiarezza e senza ambiguità, nel luogo proprio e sull'atto più importante, il rapporto fiduciario tra governo e maggioranza parlamentare». Più chiari di così... Letta ha insomma fretta di assistere alla nascita, di fatto, di una nuova maggioranza politica. Il primo a ribattere, con ironia, è Maurizio Gasparri,: «Apprendiamo che il governo porrà la questione di fiducia sulla legge di stabilità. Ma su cosa? A quest'ora della giornata ancora non sappiamo che cosa intende fare l'esecutivo sulla casa e su altre questioni fondamentali. Si pone la fiducia, quindi, su quale testo?». Proprio nelle stesse ore arriva la notizia che è saltato in Commissione l'emendamento per la rivalutazione delle pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo (2mila euro) e per il contributo di solidarietà abbassato a 90 mila euro dai precedenti 150mila. Al premier risponde anche Daniela Santanchè, che auspica il voto contrario di FI a «questa legge di stabilità che è tutta di aumento tasse e praticamente zero tagli alla spesa pubblica». Un appoggio alla decisione del governo arriva invece da Maurizio Lupi, che è tra i promotori di Ncd: «Naturale che il governo ponga la fiducia sulla legge di stabilità, che è la legge più importante dell'anno». «Il problema – aggiunge – non è la fiducia ma come la legge di stabilità è migliorata nel passaggio al Senato e mi risulta che si sta completando un buon lavoro». redazione È fissata al 20 febbraio 2014 la prima udienza davanti al gup del Tribunale di Pescara, Luca De Ninis relativa all'inchiesta sulla morte di Piermario Morosini, il giocatore del Livorno, deceduto il 14 aprile 2012 allo stadio di Pescara, nel corso della partita Pescara-Livorno. Tre gli imputati per i quali il pm Valentina D'Agostino ha presentato la richiesta di rinvio a giudizio: il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini, quello del Pescara Ernesto Sabatini ed il medico del 118 allo stadio Vito Molfese. L'ipotesi di reato a carico dei tre è di omicidio colposo. Stralciata in attesa di archiviazione la posizione del primario di cardiologia dell'ospedale di Pescara, Leonardo Paloscia, quel giorno allo stadio come tifoso e che intervenne su Morosini scendendo direttamente dagli spalti sul campo. Il 19 aprile scorso si era tenuto davanti al gip del Tribunale di Pescara, Maria Michela Di Fine, l'incidente probatorio per fare chiarezza sulla morte del calciatore. Secondo quanto emerso dalla relazione dei periti del giudice Vittorio Fineschi, Francesco Della Corte e Riccardo Cappato, i sanitari, a titolo diverso tra di loro, sarebbero responsabili dell'omesso uso del defibrillatore il cui uso «avrebbe dato qualche chance in più di sopravvivere» al giocatore. Il calciatore si era accasciato al suolo al 31' del primo tempo e, dopo i primi soccorsi sul terreno di gioco, era stato trasportato all'ospedale Santo Spirito di Pe- scara. I medici hanno provato a lungo a rianimare il calciatore anche attraverso la somministrazione di adrenalina. Ogni tentativo, però, si è rivelato inutile. «Le abbiamo provate tutte per rianimarlo, ma non c'è stato niente da fare», aveva detto il professor Leonardo Paloscia, primario del reparto di cardiologia dell'ospedale Santo Spirito. «Il ragazzo era già in arresto cardiorespiratorio. Finché non si è deciso di interrompere la rianimazione, un'ora e mezza dopo, non si è mai ripreso» aveva spiegato Paloscia. «Le abbiamo provate tutte, abbiamo anche applicato un pacemaker provvisorio, ma non c'è mai stato un accenno di ripresa del battito cardiaco». Morte di Morosini: chiesto il rinvio a giudizio per i tre medici sul terreno di gioco 3 Le associazioni dei consumatori chiedono un sabato di sconti straordinari Redazione Le associazioni dei consumatori aderenti al comitato Casper Assoutenti, Codacons, Codici, Confconsumatori e Movimento Difesa del Cittadini lanciano a Roma l'iniziativa del Black Saturday , una giornata di sconti straordinari da organizzare, questa è la proposta, per sabato 30 novembre o, in ogni caso, prima di Natale. «Si tratta di mutuare nella capitale - spiegano in una nota - la tradizione americana del Black Friday , il venerdì nero, il giorno che apre ufficialmente la stagione dello shopping natalizio negli Stati Uniti, quest'anno previsto per il 29 novembre. La corsa ai regali di Natale parte dalle prime ore dell'alba con le maggiori catene che offrono i prezzi più bassi dell'anno, con sconti che possono arrivare anche al 50%. Super-saldi dei quali migliaia di consumatori approfittano. Una grande festa che serve anche a lanciare un'offensiva anticrisi» Le associazioni chiedono quindi al Comume, alla la Regione e le associazioni di commercianti, una giornata straordinaria di vendite promozionali per sabato 30 novembre o per una data antecedente al Natale. I commercianti che vorranno aderire dovranno impegnarsi a praticare sconti almeno pari al 50% e a tenere aperti i negozi più delle solite 13 ore giornaliere, possibilmente fino a sera. La Fiom verso la pace con la Fiat. Ma con gli altri sindacati resta ai ferri corti 4 Secolo d’Italia Valeria Gelsi Sfatati i pronostici della vigilia, l'incontro di ieri tra Fiat e Fiom sul rinnovo del contratto in vigore in tutti gli stabilimenti del gruppo, sia dell'Auto sia di Cnh Industrial, si è rivelato «utile». A dirlo è stato il segretario generale del sindacato, Maurizio Landini, chiarendo che il confronto avvenuto all'Unione industriali di Torino «ha riaperto una discussioni con l'impegno a rivederci entro metà dicembre». «Abbiamo ricominciato da dove ci eravamo lasciati tre anni fa, abbiamo ripreso la trattativa rientrando dalla porta prin- cipale», ha proseguito Landini, il cui obiettivo è «un tavolo unico con gli altri sindacati». L'azienda dunque «ha preso atto», per dirla con il segretario Fiom, della sentenza della Corte Costituzionale che ha sancito che anche chi non firma il contratto può stare al tavolo della trattativa, nonostante una clausola dello stesso contratto Fiat preveda il contrario. Il problema di Landini, a questo punto, resta il rapporto con le altre sigle sindacali, che l'azienda ha incontrato nel pomeriggio. Nei giorni scorsi c'era stato un duro botta e risposta, con la Fiom che minacciava denunce nel caso non fosse stata inclusa nella trattativa e le altre sigle che ribadivano che senza firma del contratto e adesione alla piattaforma non se ne poteva fare nulla. «Noi difendiamo il contratto che significa investimenti ed occupazione. La Fiom fa l'esatto contrario mettendo di fatto costantemente a repentaglio questi valori», aveva detto il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella. Ieri, ricordando i tentativi di ricostruire un rapporto, Landini ha sostenuto che «è stata più veloce la Fiat a risponderci, mentre Fim e Uilm, che stanno nel nostro stesso palazzo, non hanno trovato neanche il tempo di fare le scale». Il riferimento era a «una nostra lettera del 12 aprile a Fim e Uilm, prima dell'accordo interconfederale, in cui indichiamo otto punti sulla base dei quali riprendere rapporti dignitosi all'interno della categoria. Ci fu risposto che bisognava aspettare l'accordo interconfederale, poi la sua applicazione». «Oggi dicono che dobbiamo prima firmare l'accordo separato con Federmeccanica e quello con Fiat. Mi pare non abbiano voglia di riprendere rapporti corretti», ha concluso Landini. Redazione Sulla difensiva, refrattarie a internet eppure capaci di assumere. È la fotografia delle microimprese italiane, quelle con un numero di dipendenti da tre a nove, che emerge dal Censimento generale dell'industria e dei servizi, di cui l'Istat ha divulgato ieri alcune analisi. In particolare, il mantenimento della quota di mercato, in tempi di crisi, è l'obiettivo di quasi il 70% di questo tipo di aziende, che si presentano dunque molto prudenti e poco inclini alla ricerca di nuovi spazi per aumentare il fatturato. Ne è un sintomo anche il rapporto con il web: nel 2011, anno di riferimento del Censimento, la quota delle piccole aziende che disponevano di una connessione a internet si fermava al 77%. Addirittura il 42,2% delle microimprese reputa Internet non neces- sario o inutile per l'attività che svolge. «Sembrerebbe che le potenzialità del web non siano riconosciute appieno da questa classe dimensionale», è il commento dell'Istat. Non a caso solo un terzo di loro utilizza un sito o pagine internet e appena l'11,6% è presente sulla rete attraverso almeno uno dei social media tra i più diffusi. Insomma, i risultati del Censimento confermano le caratteristiche del sistema produttivo italiano: struttura dimensionale fortemente frammentata e una dimensione media tra le più basse d'Europa. Basti pensare che le imprese con 3-9 addetti sono circa 837mila, pari al 19% di tutte le aziende dell'industria dei servizi, e occupano oltre il 23% degli addetti (3,8 milioni). Ciononostante, nel 2011, a dispetto della recessione, il 22,7% delle microimprese, quindi quasi una su quattro, ha acquisito nuove risorse umane. In particolare, il 18% ha assunto nuovo personale dipendente, mentre il 7,7% ha fatto ricorso a nuovi lavoratori autonomi, tra temporanei ex-interinali, collaboratori a progetto e partite Iva. A fronte di questo, però, l'Istat rileva un modesto investimento in figure professionali di elevato livello. Infatti nel 2011 solo il 5,9% delle microimprese ha acquisito nuove risorse ad alta qualifica professionale come dirigenti, professionisti di elevata specializzazione, tecnici specializzati. L'Istat fotografa le microaziende: sulla difensiva e fuori dal web, però assumono MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013 Meno sportelli e meno dirigenti: così la crisi cambia le banche italiane Redazione Fiduciosa sulla possibilità di riaprire il dialogo con i sindacati, l'Abi continua però a puntare i piedi sul fatto che il contratto in vigore non è più sostenibile nel contesto attuale. Per questo, all'indomani del primo sciopero della categoria in 13 anni, l'associazione bancaria italiana, in un seminario a Ravenna, ha delineato un futuro in cui gli istituti di credito avranno meno sportelli "fisici" e un personale con meno quadri e dirigenti e più impiegati esperti nelle nuove tecnologie e nella consulenza. La cornice è quella di un forte calo della redditività, dovuto alla crisi economica e a un modello di business non più valido. L'associazione ha segnalato come in Italia vi siano 55 sportelli bancari per 100mila abitanti contro una media Ue di 41. Un dato frutto della liberalizzazione degli anni Novanta, che - è stato sottolineato - ha rotto il divieto che durava dagli anni Trenta di apertura di sportelli per le banche. Altro tema sensibile e al centro delle contestazioni dei sindacati è quello del costo e della organizzazione del lavoro. La composizione del personale, ha rilevato l'Abi, è sbilanciata verso direttivi (2,3%) e quadri (40,3%), che nel 2000 erano rispettivamente all'1,5% e al 29%. I salari così, ha sostenuto l'associazione, sono cresciuti più dell'inflazione e non c'è stata una perdita del potere di acquisto, anche se il cuneo fiscale penalizza i bancari, al pari degli altri lavoratori italiani, rispetto ai colleghi europei. La Libia in piena guerra civile: scontri armati nel cuore di Bengasi, quattordici morti MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013 Secolo d’Italia 5 Unione europea? No grazie.Belgrado preferisce Putin Antonio Pannullo La Libia precipita sempre più verso la guerra civile: violenti scontri sono nuovamente scoppiati a Bengasi tra militari filo-governativi e miliziani di Ansar al-Sharia. Lo riferiscono testimoni via Twitter. Il gruppo filo-al Qaida è considerato responsabile dell'attacco del 2011 contro il consolato della città in cui perse la vita anche l'ambasciatore Usa, Chris Stevens. I testimoni riferiscono di veri e propri combattimenti in alcune delle principali strade della città, a colpi di armi pesanti, compresa l'artiglieria. Il bilancio, riferiscono fonti ospedaliere, è pesantissimo, almeno 14 morti e decine di feriti. E pensare che domenica il tema della stabilità in Libia è stato al centro dell'incontro londinese tra il premier libico Ali Zeidan e il segretario di Stato Usa, John Kerry. E a proposito di stabilità, il governatore militare di Bengasi ha posto in stato di allerta le truppe governative dopo gli scontri scoppiati con i miliziani di Ansar al-Sharia, che sono proseguito per diverse ore. I residenti sono stati invitati a rimanere nelle proprie case. Intanto l'anarchia seguita all'omicidio di Gheddafi ha dato la stura alle vendetti personali e politiche da parte di tutte le fazioni che compongono la maggioranza governativa: non più tardi di sabato, un ex agente dei servizi di sicurezza del regime del leader libico Muammar Gheddafi, rovesciato nel 2011, è stato ucciso a Derna, località nell'etremo est della Libia devstata da continue violenze. Lo ha riferito un responsabile della sicurezza: «Sconosciuti hanno aperto il fuoco su Fares al Zarrouk, ex agente dei servizi della sicurezza interna durante il regime di Gheddafi», ha detto la fonte, aggiungendo che l'aggredito è morto sul colpo e che i killer gli hanno sparato con fucili automatici in centro alla città, in una strada piena di gente. Poi sono fuggiti. Da numerosi giorni la città di Derna è teatro di una serie di attacchi e omicidi che hanno colpito anche giudici, dirigenti tribali, poliziotti e militari. Secondo varie fonti sul posto, a Derna ormai non esistono più uomini della sicurezza del governo di Tripoli, a causa della presenza di gruppi integralisti islamici che eliminano fisicamente tutti coloro che appartengono a un qualunque organismo di sicurezza. Giovanni Trotta Nuove sanzioni anti-nucleari americane contro l'Iran significherebbero la fine della storica intesa semestrale raggiunta domenica a Ginevra con le potenze del "5+1": come riportano media iraniani, lo ha detto il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. «Se ci sono nuove sanzioni, allora non c'è accordo. È molto chiaro. Fine dell'accordo, a causa dell'incapacità di una controparte di rispettare la propria parte del contratto», ha detto il ministro iraniano al network statunitense Nbc. Domenica l'Iran e le potenze del gruppo "5+1" hanno raggiunto una prima intesa su limiti che l'Iran porrà al suo programma nucleare sospettato di finalità militari e su allentamenti delle sanzioni internazionali contro Teheran. L'accordo, ha ricordato Zarif, prevede che in questi sei mesi non vengano imposte altre sanzioni. Ma senatori repubblicani hanno annunciato che cercheranno di far votare al Congresso statunitense nuove sanzioni economiche se l'Iran non rispetterà l'accordo. È previsto che il Congresso voti nuove sanzioni con entrata in vigore dopo la scadenza dell'intesa semestrale raggiunta. Tuttavia Israele resta preoccupato: la maggioranza degli israeliani condividono il forte scetticismo espresso dal premier Benyamin Netanyahu sull'accordo di Ginevra fra i Paesi del "5+1" e l'Iran, secondo un sondaggio pubblicato dal giornale filogovernativo Israel "HaYom". Il 76,4 per cento non crede che, in seguito a quell'accordo, l'Iran fermerà i propri progetti atomici. Il 57,8 per cento ritiene che gli Stati Uniti abbiano in questa circostanza arrecato danno ad interessi nazionali israeliani. Il 45,8 per cento è pronto a sostenere un eventuale attacco solitario israeliano se l'Iran portasse avanti le componenti militari del progetto atomico. E infine il 55,3 per cento trova giustificate le critiche di Netanyahu all'accordo di Ginevra. «Nei prossimi giorni una équipe israeliana guidata dal Consigliere per la sicurezza nazionale Yossi Cohen si recherà in Usa per discutere con gli Stati Uniti dell'accordo definitivo con l'Iran». Lo ha detto in parlamento il premier israeliano Benyamin Netanyahu riferendo del suo colloquio telefonico con il presidente Barack Obama. Netanyahu ha detto che le pressioni esercitate da Israele nelle ultime settimane hanno dato «frutti parziali», eppure l'accordo raggiunto infine a Ginevra resta cattivo. L'accordo definitivo fra i Paesi del "5+1" e l'Iran, secondo Netanyahu, «dovrà raggiungere Nucleare, l'Iran avverte: se ci saranno altre sanzioni, l'accordo appena siglato verrà considerato nullo Redazione Unione europea? No, grazie. I serbi a quanto pare preferiscono l'alleanza con la Russia all'integrazione nella Ue, e Vladimir Putin è il politico estero più popolare nel Paese. È quanto è emerso da un sondaggio diffuso dai media. Stando all'inchiesta condotta dal magazine Nspm a inizio ottobre, a favore dell'alleanza con la Russia si è espresso il 67% degli intervistati, rispetto al 53,7% che si è detto favorevole all'adesione della Serbia alla Ue. Al tempo stesso Putin si è rivelato il politico straniero più amato dai serbi con un rating di favori medio del 3.69, su una scala da 1 a 5, dove 5 è il valore più alto. I favori per l'Unione europea sono tuttavia aumentati rispetto al minimo dello scorso aprile, quando ad auspicare l'adesione alla Ue era solo il 46%. La seconda personalità politica straniera più popolare in Serbia è il cancelliere tedesco Angela Merkel, mentre il meno amato è il premier turco Recep Tayyip Erdogan. Nei giorni scorsi, il premier Ivica Dacic ha ribadito che la Serbia non darà mai il suo consenso all'ingresso del Kosovo nelle Nazioni Unite. «Noi non riconosceremo mai l'indipendenza del Kosovo e di conseguenza non daremo mai il nostro assenso all'adesione del Kosovo all'Onu», ha detto Dacic ai giornalisti a Belgrado. Riferendosi alle dichiarazioni del "ministro degli esteri" kosovaro Enver Hoxhaj, secondo cui Pristina intende presentare domanda di adesione a due o tre agenzie dell'Onu nella prima metà del 2014, Dacic ha sottolineato che tutto ciò non si può fare senza previo negoziato e senza un accordo con Belgrado. un risultato: lo smantellamento delle capacità militari nucleari dell'Iran». Netanyahu ha rilevato che ancora la settimana scorsa «i dirigenti dell'Iran hanno ribadito il proprio impegno a distruggere lo Stato di Israele e quindi io oggi ribadisco il nostro impegno ad impedire loro di conseguire il potenziale necessario per farlo». Milano, i residenti di corso Vercelli contro l'apertura di una sala giochi 6 Secolo d’Italia Redazione «Ho partecipato, unico rappresentante della Regione Lombardia e del Comune, all'iniziativa di protesta dei residenti di corso Vercelli, a Milano, contro l'apertura di una sala giochi nei locali dove prima c'era un noto negozio per bambini». Lo dichiara Riccardo De Corato, vicepresidente del Consiglio comunale e capogruppo in Regione di Fratelli d'Italia. «È da tempo che gli abitanti si battono contro questa nuova sala slot. Una protesta partita dal condominio dove do- vrebbe aprire la sala giochi, che si è estesa poi alle vie circostanti, alla parrocchia di piazza Wagner e alle scuole del quartiere. C'è di mezzo una causa tra i condomini e la società titolare dei locali. Intanto però i lavori vanno avanti e gli abitanti non si sentono garantiti. Così hanno organizzato lo “slot mob". Ho portato loro la mia solidarietà – continua De Corato – ed espresso la mia totale contrarietà all'apertura della nuova sala slot. Ne avevamo bloccate più di 60 fino al 2011 con una norma urbanistica inserita nel Piano regolatore che obbligava i titolari a prevedere un minimo di 200 posti auto per poter aprire locali come appunto le sale gioco. Norma che invece non è stata inserita nel nuovo Pgt. La nuova legge regionale contro le ludopatie, approvata lo scorso ottobre e alla quale come Fratelli d'Italia abbiamo attivamente contribuito, reintroduce questo vincolo limitando quindi l'apertura di sale slot. Il gioco è un grave problema sociale, basti pensare a quante famiglie si rovinano a causa di un componente dedito all'azzardo. Sono soprattutto i più deboli a pagare un prezzo altissimo, le persone anziane, i disoccupati, i giovani, le casalinghe che si illudono di arrotondare e invece mandano a rotoli la famiglia. La Lombardia ha il record di spesa nazionale per il gioco lecito: 5,7 miliardi di euro nel 2012. Questa legge – conclude l'esponente di Fratelli d'Italia – impone regole certe e contribuisce a sensibilizzare i cittadini aprendo un dibattito molto utile. Certo il governo non aiuta, poiché il gioco rappresenta un gettito al quale non vuole rinunciare. Bisognerebbe remare tutti dalla stessa parte». Redazione «Sono quattro mesi che in Regione Lazio abbiamo approvato, dopo averla fortemente voluta come opposizione, la legge n.5 del 5 agosto 2013, recante “Disposizioni per la prevenzione e il trattamento del gioco dʼazzardo patologico (Gap)", e dal sindaco Marino ancora non abbiamo visto alcun tipo di iniziativa che recepisse quanto legiferato, se non la sporadica quanto pregevole iniziativa del presidente del Centro storico Alfonsi», così dichiara Fabrizio Santori, consigliere regionale di La Destra e componente della commissione Sociale, denunciando lʼimmobilismo di Roma Capitale nella lotta alle ludopatie e a commento dei preoccupanti dati sul fenomeno resi noti dalla Pontificia Università Lateranense. «La legge regionale non ammette lʼapertura di sale da gioco nei pressi di aree sensibili, quali scuole, centri anziani, luoghi di culto e ospedali, e prevede sgravi fiscali per chi rimuove o sceglie di non installare slot machine e videolottery. Inoltre, sempre nella norma, è contenuto il divieto di qualsiasi attività pubblicitaria relativa allʼapertura di nuove sale o allʼesercizio che prevede vincite in denaro, così come la concessione di spazi pubblicitari istituzionali. I gestori, infine, hanno lʼobbligo di esporre materiale informativo sul fenomeno del Gap e sui rischi correlati al gioco e a monitorare il divieto di utilizzo ai minori di apparecchi che prevedono vincite in denaro. Bene, a tutte queste disposizioni, la cui applicazione noi riteniamo della massima urgenza per far fronte a un fenomeno grave, in espansione e dalle forti ripercussioni sociali, in che modo e con quale tempistica Marino intende dare seguito attraverso concreti provvedimenti? Dobbiamo rassegnarci anche su questo tema allʼimmobilismo del centrosinistra in Campidoglio?», conclude Santori. Ludopatia, Santori incalza il sindaco: da Roma capitale quali provvedimenti? MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013 Berlato (Ppe): il tribunale di Bassano non deve chiudere Redazione «Rinnovo il mio sostegno agli avvocati e alle categorie economiche e sociali di Bassano che per la loro giustissima causa hanno lanciato lʼennesimo appello insieme a centinaia di cittadini, perché quello che è un servizio di primaria importanza per la zona non venga definitivamente chiuso». Commenta così Sergio Berlato, deputato al Parlamento europeo del Ppe, la manifestazione a sostegno del tribunale di Bassano del Grappa (Vicenza), che il governo vorrebbe chiudere e accorpare a quello di Vicenza, che si è tenuta sul Ponte degli Alpini. «So che qualche spiraglio continua Berlato - perché il tribunale venga preservato si sta aprendo a Roma, mi auguro quindi che i colleghi in commissione Giustizia diano parere favorevole affinché il governo riveda la Riforma. Al di là di tutto - conclude il deputato europeo - non è davvero accettabile che, in caso di accorpamento, oltre ai disagi causati alla cittadinanza, ci sarebbe anche uno spreco notevole di risorse, gran parte delle quali già utilizzate per la costruzione della nuova cittadella della giustizia». Le star cambiano look: ora i testimonial vip puntano sulle tigri del Nepal e gli elefanti africani... Secolo MARTEDì 26 NOVEMBRE 2013 d’Italia 7 Priscilla Del Ninno Un tifone ha devastato le Filippine. Una serie di tornado abbattutisi sul Midwewst degli Stati Uniti ha scaricato al suolo una potenza distruttrice, coinvolgendo oltre 50 milioni di persone. E questo solo per parlare delle catastrofi naturali più recenti e per tacere dei drammi umanitari che investono le aeree disagiate del mondo. Eppure – senza nulla togliere alle tematiche ambientaliste, e sperando di non risultare troppo antropocentrici – in nome di un innato egocentrismo da star, i divi di Hollywood, di cui senz'altro vanno apprezzati generosità d'intenti e sensibilità militante, sempre più spesso negli ultimi tempi mettono volto, fama e portafoglio al servizio di cause nobili, ma forse non proprio di stringente priorità. E dopo dopo le crociate spettacolari per la lotta all'aids, il jet set volta pagina e i testimonial cambiano look e target benefico. Così, dopo il ballo in maschera di qualche mese fa a tema “Animalier”, indetto dalle “menti coronate” di Carlo e Camilla, che ha richiamato sulla regale ribalta aristocratici, artisti ed eccentrici milionari, spinti dal desiderio di salvare gli elefanti d'Africa. Dopo l'ultimo nudo d'autore pronto ad aggiungersi all'interminabile lista di modelle e dive ambientaliste, salutiste e ecologiste, con la scusa della beneficenza, ciclicamente immortalate come mamma le ha fatte, in questi giorni i riflettori tornano ad accendersi su Leonardo Di Caprio, protagonista del nobile gesto di turno. Il divo di Holywood ha donato 3 milioni dollari per contribuire a salvare le tigri in Nepal. L'attore, stella de Il Grande Gatsby, ha realizzato la donazione attraverso la sua fondazione, e subito la Bbc ha reso noto e amplificato il generoso gesto. Così l'attore ha avuto modo di argomentare la singolare scelta, ricaduta su questo particolare tema animalista, perché «fiducioso che il denaro aiuterà a superare l'obiettivo di raddoppiare la popolazione delle tigri in Nepal» che rischiano l'estinzione a causa della distruzione dell'habitat in cui vivono e del bracconaggio illegale. Un'iniziativa che si inserisce in un lavoro ad ampio spettro della Fondazione di Di Caprio, che solo dall'inizio di quest'anno ha raccolto 38,8 milioni dollari (23,9 milioni di euro), attraverso donazioni e un'asta d'arte di Christie a New York, e che è nata con l'ambizioso scopo di proteggere gli ultimi luoghi selvaggi della terra e di favorire un rapporto armonioso tra l'umanità e il mondo naturale. Ai posteri l'ardua sentenza... o il tempestivo applauso e immediato ritorno d'immagine. Bianca Conte Dalla fuga dei cervelli alla diaspora dei talenti spettacolari: più che una necessità, a dire il vero, sembra diventata una moda quella degli attori di casa nostra pronti a chiedere asilo culturale in Francia. E per una Anna Galiena che già nel '90 tornava a casa dopo aver incantato il pubblico parigino sedotto dalle sue performance ne Il marito della parrucchiera di Patrice Leconte, oggi c'è una Maya Sansa che va e resta oltralpe, decisa a godersi onori e oneri dell'emigrazione istrionica. «In Francia c'è un sistema che funziona e tutela gli artisti e gli attori in modo concreto, dimostrando un grande rispetto del mestiere». Così Maya Sansa, incontrando la stampa alle premiere di Moliere in bicicletta – film di Philippe Leguay dove recita insieme a Fabrice Luchini e Lambert Wilson – affermava strizzando l'occhio al suo nuovo pubblico cinefilo. Sarà, ma oggi che il cinema italiano sembra aver oliato i suoi ingranaggi imprenditoriali, rinvigorito di nuova linfa creativa autori e interpreti, e con l'aiuto decisamente anti-snobistico di cinepanettoni e dei vari Checco Zalone, anche rimpinguato le sue casse, è davvero un peccato andarsene. Una constatazione suffragata anche dai verdetti giornalistici e dai riscontri popolari, confermati anche dai recenti dati Cinetel. Cifre e percentuali che ci dicono, per esempio, che solo dopo quattro settimane di conquista incontrastata del box office, Sole a catinelle (che ha incassato ad oggi un totale record che sfiora i 48 milioni) ha ceduto lo scettro al film Disney Thor: the Dark World, la pellicola che segna il ritorno dell'eroe Marvel atteso dal pubblico giovane. Aggiungendo che la classifica è comunque molto tricolore se, ironia della sorte, neanche a farlo apposta al terzo posto figura la commedia del regista e attore livornese Paolo Ruffini, Fuga di cervelli. E allora, in attesa di valutare la prova d'attrice della bella e brava Maya Sansa – Moliere in bicicletta, grande successo al box office francese, arriverà nelle sale italiane il 12 dicembre prossimo – incrociamo le dita affinché non ci siano altri transfughi con la valigia in mano. Anche perché, presto o tardi, vuoi per amor di patria, vuoi per dovere di fiction, tornano tutti. “Vive la France”: è Parigi la capitale della diaspora degli attori italiani Quotidiano della Fondazione di Alleanza Nazionale Editore SECOLO DʼITALIA SRL Fondatore Franz Turchi d’Italia Registrazione Tribunale di Roma N. 16225 del 23/2/76 Consiglio di Amministrazione Tommaso Foti (Presidente) Alberto Dello Strologo (Amministratore delegato) Alessio Butti Antonio Giordano Mario Landolfi Ugo Lisi Vicedirettore Responsabile Girolamo Fragalà Redazione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/68817503 mail: [email protected] Amministrazione Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/688171 mail: [email protected] Abbonamenti Via della Scrofa 39 - 00186 Roma tel. 06/68817503 mail: [email protected] La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 250