LA FORMAZIONE E IL RECLUTAMENTO DEI DOCENTI

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LA FORMAZIONE E IL RECLUTAMENTO DEI DOCENTI
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LA FORMAZIONE E IL RECLUTAMENTO DEI DOCENTI
Circa il tema in esame sono attualmente in corso alcune iniziative politicoamministrative. Queste sono peraltro confuse e incomplete, nonché (per la parte che è
definita) insoddisfacenti; anche i tempi di attuazione sono incerti, il che è particolarmente
grave in quanto -essendo stata soppressa la Scuola di Specializzazione SSIS senza, al
momento, sostituirla con altro- i laureati da 4 anni a questa parte non hanno avuto alcuna
possibilità di abilitarsi all’insegnamento. Ci è sembrato perciò opportuno non centrare
questo intervento sull’immediata attualità, articolandolo invece su tre paragrafi così
caratterizzati: - uno sguardo storico per sapere come si è arrivati all’oggi, e in particolare
alla deleteria scissione tra formazione e reclutamento, e perciò per capire quali sarebbero gli
errori da non ripetere; - circa il presente, uno sguardo al dibattito internazionale, che
anch’esso dovrebbe dare insegnamenti; .- infine, una indicazione di prospettive future “alte”,
anche se non immediate (a medio termine, se ci va bene ... ).
1. – Da ieri a oggi, in Italia
a) Il reclutamento
E' passato quasi mezzo secolo da quando la Relazione conclusiva (1963) della
Commissione Parlamentare di Indagine sulla Scuola, in un periodo di velocissima
espansione della popolazione scolastica secondaria, dedicò invece, a sorpresa, il primo
capitolo all'Università, con la specifica motivazione del suo ruolo nella formazione degli
insegnanti di tutti i gradi scolastici: scarsa sarebbe stata la produttività degli interventi sui
contenuti dell'istruzione, veniva detto, se non si fosse voltata pagina sulla formazione dei
docenti e sulle modalità del loro reclutamento.
Era il tempo, a proposito di quest'ultimo, nel quale al boom espansivo non si
rispondeva con interventi pianificati, e si iniziava invece la prassi delle leggine e delle
sanatorie. Qualcuno era consapevole del disastro che ciò poteva comportare; quando, negli
anni immediatamente seguenti, si svilupparono importanti studi su un tema abbastanza
nuovo, la programmazione scolastica come elemento -con proprie specificità- della più
complessiva programmazione economica, la questione del personale (formazione,
assunzione, carriera) ebbe in tale contesto notevole rilievo. Ma gli studi rimasero studi, e la
gestione amministrativa proseguì in una logica burocratica tradizionale.
Tale gestione, a proposito del reclutamento, si mostrò abbastanza adeguata nella
situazione che era già a regime, quella della scuola elementare. Fino a tempi recenti il
concorso magistrale ha regolarmente rispettato la cadenza biennale; anche se si può
discutere sulle tipologie delle relative prove e sulla cultura che ad esse presiedeva, va
riconosciuto che tale regolarità ha evitato che vi fosse una elevata presenza di precari. La
presenza -per decenni- di insegnanti tutti vincitori di regolari concorsi e stabili nelle classi
costituisce uno degli elementi che hanno fatto sì che il livello primario rappresentasse il
meglio funzionante nel sistema formativo italiano; indagini internazionali (da quelle IEA
degli anni '70 alle successive OCSE-PISA) hanno verificato per i bambini di dieci anni
conoscenze/competenze molto elevate (in assoluto nella comparazione mondiale, non solo a
confronto con gli esiti cattivi per i ragazzi italiani delle età successive).
Per la scuola secondaria, dove non si era a regime, l'incapacità di gestirne l’espansione
fu invece deleteria; per molti anni oltre un quarto degli insegnanti veniva assunto di anno in
anno, sicché si giunse a progressive stabilizzazioni, il cui effetto fu che negli anni ’80 meno
di metà dei docenti in ruolo risultava essere stato assunto con regolare concorso.
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Va osservato, anche in vista delle strategie da studiare per il futuro, che
l'atteggiamento miope della amministrazione del Tesoro ebbe una parte notevole
nell'impedire soluzioni ragionevoli. Gli incrementi annui della popolazione scolastica erano
prevedibili con ottima approssimazione, e una qualunque azienda ne avrebbe tenuto conto in
una tempestiva programmazione delle assunzioni; la pervicace scelta di ancorare invece gli
organici "di diritto" al solo passato consolidato, allontanandoli sempre più da quelli "di
fatto", ha prodotto sì piccoli risparmi nella spesa pubblica (sui mesi non pagati a qualche
supplente, sui ritardati scatti di anzianità), ma ha anche determinato per il Paese, anche in
termini economici, danni ben più gravi in termini di disagio sociale, di frustrazione, di
abbassamento della qualità. La stima in forte difetto delle reali necessità è poi proseguita
anche quando i numeri si sono stabilizzati, rendendo così permanente anche l’emergenza.
L'esigenza di stabilità da parte di miriadi di precari, rivendicazione in sé comprensibile
dopo periodi anche molto lunghi di servizio scolastico, si è posta inevitabilmente in
contrapposizione con l'esigenza di puntare, nel reclutamento, all'assunzione dei candidati più
qualificati: come dovrebbe essere per il rispetto della Costituzione (accesso ai pubblici
impieghi tramite concorso pubblico), per la migliore qualità dell'offerta culturale agli allievi,
per evitare l'invecchiamento del corpo docente e perciò il declino del sistema scolastico. Tra
le opposte esigenze fu tentato il compromesso del "doppio canale": 50% dei posti a
concorso, premiando la qualità, e 50% a disposizione di chi già ha lavorato, premiando
l'anzianità sulla base di "graduatorie permanenti". Ma il compromesso, già discutibile, restò
sulla carta: la periodicità nei bandi di concorso non fu mai rispettata (due negli ultimi
ventuno anni: 1990 e 1999), e di fatto fece aggio soltanto l'anzianità, non solo attraverso le
"graduatorie" ma anche con l'utilizzazione, a distanza di lustri, di risultati concorsuali ormai
obsoleti.
Per venire ai tempi più vicini, l’ultimo governo Prodi ha cancellato, come meccanismo
a regime, il sistema delle graduatorie permanenti, ponendole “a esaurimento”; al contempo,
ha avviato il riassorbimento di esse attraverso una più elevata copertura con docenti di ruolo
dei posti vacanti. Con la Legge Finanziaria 2008 il pubblico concorso è stato nuovamente
sancito come unica procedura di reclutamento; la definizione delle modalità per lo
svolgimento dei concorsi, congiuntamente a quelle per la formazione iniziale, è stata
demandata ad un Regolamento ministeriale, alla cui adozione tale governo non ha poi potuto
provvedere a causa della sua crisi e della conclusione anticipata della Legislatura.
La diversa maggioranza che si è formata dopo le ultime elezioni, mentre -come
vedremo poco oltre- ha emanato un Regolamento relativamente alla formazione, non ha
provveduto relativamente alle procedure concorsuali. Al momento1, non vi sono al riguardo
neppure schemi di proposte; recentemente, la Ministra Gelmini ne ha preannunciata una
imminente presentazione, ma ciò contrasta con altre indicazioni secondo cui la maggioranza
parlamentare vorrebbe invece adottare un nuovo testo legislativo, la cui discussione è
avviata alla Commissione Cultura della Camera e che sostituirebbe i concorsi con un sistema
di albi regionali.
b) La formazione
Dieci anni dopo il ricordato documento della Commissione Parlamentare di Indagine,
la legge delega sullo stato giuridico degli insegnanti e il conseguente decreto delegato
(1973-74) sancirono il principio di una specifica formazione universitaria che, per tutti i
docenti, fosse mirata a costruire la loro professionalità; "specifica" innovava, per gli
insegnanti secondari, rispetto alla mera formazione sui contenuti presenti nella laurea
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Data di stesura del presente contributo: febbraio 2011.
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disciplinare, mentre "universitaria" innovava, per gli insegnanti elementari, rispetto al
percorso formativo limitato al livello secondario (Istituto Magistrale).
Il principio restò inapplicato per un quarto di secolo; nello stesso periodo si arenarono
tutti i tentativi di una organica riforma della scuola secondaria superiore. Il fallimento di
quest'ultima fu considerato da Luciano Benadusi, con un fortunato titolo2, come l'emblema
della più generale Non-decisione politica; con altrettanto fondamento l'espressione si può
applicare alla mancata attuazione della formazione degli insegnanti sulla base della legge del
1973, e perciò quale parte integrante del loro Stato giuridico.
Quando, nel 1998-99, la situazione fu sbloccata con la creazione della Laurea in
Scienze della Formazione Primaria e della Scuola di Specializzazione all'Insegnamento
Secondario (SSIS), ciò avvenne infatti sulla base di un nuovo atto legislativo nel frattempo
adottato, la legge 341 del 1990; si trattava però di un testo riferito agli ordinamenti
universitari, non al sistema scolastico, e come tale impossibilitato a intervenire sul
reclutamento e perciò a saldare -come sarebbe indispensabile- struttura del percorso di
formazione e procedure di assunzione.
Queste ultime sono state disciplinate, negli stessi anni nei quali si introduceva la
formazione universitaria ma in termini del tutto disconnessi da essa, attraverso la già
ricordata normativa del “doppio canale” (50% concorso per esami, 50% graduatoria per
titoli di servizio). Sulla carta, si tentò per gli insegnanti secondari un parziale raccordo,
prevedendo che l’abilitazione SSIS divenisse il titolo necessario per la partecipazione ai
concorsi; ma il sistema teoricamente ipotizzato non divenne mai operante. Infatti la mancata
copertura con personale stabile di gran parte dei posti che di anno in anno si rendevano
disponibili ha determinato la crescente presenza di un vastissimo precariato, e questo a sua
volta ha dato origine a spinte, risultate vincenti, volte a ottenere leggine di sanatoria e a
bloccare il regolare bando di concorsi aperti. Chi si era formato con il nuovo sistema finì
perciò col confluire nelle graduatorie per anzianità.
Un ulteriore elemento negativo, accanto alle conseguenze del mancato legame con il
reclutamento, è stato costituito dai grandi ritardi nella costituzione delle strutture
universitarie deputate alla formazione. Assenza di volontà politica e inerzie burocratiche
tennero tutto fermo dal 1990 al 1996; con il governo costituitosi allora, e nella situazione di
maggiore autonomia didattica delle università da esso voluta (legge 127 del 1997), si ebbero
finalmente il Decreto istitutivo del maggio 1998 e la conseguente attivazione, nell’autunno
dello stesso anno per la Laurea in Formazione Primaria e nell’autunno 1999 per la SSIS.
Senza entrare nei dettagli dei relativi Ordinamenti didattici, va rilevato che essi si sono
qualificati per la presenza sistematica di alcune caratteristiche fortemente innovative nei
confronti della tradizione accademica. Per limitarci agli elementi che hanno particolare
rilievo rispetto ai problemi aperti oggi, ne segnaliamo due soli: -la spinta alla collegialità
nella progettazione didattica; - il coinvolgimento del sistema scolastico extrauniversitario.
Come è ovvio, non è bastato un Decreto per far muovere a pieno regime una macchina
che era tutta da costruire, né tanto meno per dare integrale attuazione alle più innovative tra
le misure previste. Si scontavano reticenze consolidate da parte di un mondo accademico
italiano che storicamente ha sempre privilegiato la ricerca universitaria pura rispetto a
compiti di professionalizzazione, e che nella sua maggioranza ha identificato il sapere col
saper insegnare; in molte aree disciplinari la ricerca didattica era stata quasi inesistente. Le
nuove strutture comunque decollarono con l’apporto di quella parte, minoritaria ma attiva,
del corpo docente universitario che per esse si era impegnato e con una immediata positiva
interazione con le scuole, coinvolgente non solo gli insegnanti parzialmente distaccati presso
le università (“supervisori del tirocinio”) ma anche un grande numero di insegnanti disposti
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L. Benadusi (a cura di), La non-decisione politica, Firenze, La Nuova Italia 1989
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ad accogliere nelle loro classi, indirizzandoli e ascoltandoli, gli studenti tirocinanti. Va
anche ricordato che negli anni precedenti avevano già operato in diverse sedi, proprio nella
prospettiva dell’auspicata istituzione delle strutture universitarie di formazione iniziale degli
insegnanti, gruppi di ricerca università/scuola i cui prodotti e il cui know-how risultarono
preziosi.
Dal punto di vista dell’assetto istituzionale, non vi sono stati rilevanti problemi per la
Laurea in Scienze della Formazione Primaria, inserita in una Facoltà (abitualmente quella di
Scienze della Formazione) come gli altri Corsi di laurea universitari. I problemi vi sono stati
invece per la SSIS, struttura didattica “di Ateneo” definita come originale da chi ha
individuato in essa un modello di superamento delle gabbie accademiche settoriali in una
prospettiva interdisciplinare, ma definita come abnorme -e conseguentemente ostacolata- da
chi identifica l’università con tali gabbie. Questa differenza di collocazione ha determinato,
tra l’altro, una scarsità di rapporti tra la Laurea e la SSIS; è così entrata in ombra quella
concezione unitaria dell’attività universitaria nella formazione iniziale degli insegnanti che
aveva caratterizzato l’elaborazione culturale degli anni ’80 e ’90 dalla quale Corso e Scuola
sono derivati.
Il pieno esplicarsi delle potenzialità presenti nel sistema di formazione decollato nel
1998-99 è stato poi messo in difficoltà dal fatto che esso stesso è stato "precario" quasi dal
suo inizio, in quanto la maggioranza parlamentare degli anni 2001-2006 ne ha annunciato la
cancellazione; non è qui il caso di esaminare con che cosa essa intendeva sostituirlo, perchè
la relativa legge Moratti, approvata nel 2003, non è stata mai attuata ed è stata formalmente
abrogata nel dicembre 2007. La precarietà ha inciso soprattutto sulla SSIS, per la quale di
anno in anno era incerto l'avvio nell'anno accademico successivo (mentre per la Formazione
Primaria si ipotizzavano modifiche limitate); ciò ha scoraggiato investimenti sistematici, sia
in termini di consolidamenti istituzionali sia riguardo a progetti culturali e didattici
indirizzati a tempi medio-lunghi3.
Anche l’evoluzione della normativa generale sui titoli di studio universitari ha creato
un problema; occorreva infatti determinare il titolo di accesso alla SSIS in conseguenza della
introduzione, dal 2001, dei Corsi di studio a due livelli, Laurea (L) e Laurea Specialistica
(LS). Poiché le lauree tradizionali rilevanti per l’insegnamento secondario erano quasi tutte
quadriennali, rispetto alla precedente durata complessiva di 6 anni la scelta L avrebbe
determinato una abbreviazione a 5 anni4, la scelta LS un prolungamento a 7; sarebbero state
ipotizzabili, e sono state proposte, anche soluzioni intermedie, con L come condizione di
accesso, più -quando necessario- un adeguato numero di Crediti specifici. Il nodo fu sciolto
nel 2004 imponendo la LS, secondo i desiderata degli ambienti accademici interessati ai soli
aspetti contenutistici; l’irragionevole durata di 7 anni divenne così un oggettivo elemento di
scarsa credibilità del percorso SSIS.
Come abbiamo già ricordato, la Finanziaria 2008 ha posto le premesse che avrebbero
consentito di intervenire in modo organico, regolamentando congiuntamente reclutamento e
formazione. Un progetto al riguardo fu fermato dal chiudersi anticipato della legislatura5.
3
V. risultati e limiti dell’esperienza SSIS in L’eredità della SSIS. “Luci e ombre” della Scuola per la
formazione degli insegnanti (a cura di S. Di Pasqua, B. Grassilli, A. Storti), EUT, Trieste 2009 e in
Formazione iniziale degli insegnanti in Italia: tra passato e futuro (a cura di A. Anceschi e R. Scaglioni),
Liguori, Napoli 2010.
4
Si tratta della durata di gran lunga prevalente nei Paesi europei; in alcuni la durata è inferiore (di uno o due
semestri), mentre solo in Germania e in Austria, e solo per la Secondaria Superiore, essa è superiore.
5
Si tratta della elaborazione di una Commissione ministeriale presieduta dai Sottosegretari M. Bastico e L.
Modica. Per vederne il testo: G. Luzzatto, Un altro mondo è possibile, in “Formazione iniziale degli insegnanti
in Italia: tra passato e futuro”, cit.
5
Il presente governo, dopo aver cancellato la SSIS senza contestualmente sostituirla con
altro, ha adottato invece un provvedimento relativo alla sola formazione6, da pochissimo
pubblicato e i cui tempi di attuazione sono tuttora incerti. Per la Primaria esso trasforma il
corso quadriennale in una Laurea Magistrale (LM) quinquennale “a ciclo unico”; è una
soluzione, non adottata per la formazione degli insegnanti da alcun paese europeo, che si
pone al di fuori del sistema Bachelor/Master configurato dal “processo di Bologna”. Per la
Secondaria sono previste LM ad hoc, integralmente gestite dalle Facoltà disciplinari ma
comprendenti qualche attività formativa di rilevanza educativo-didattica, seguite da un anno
di Tirocinio Formativo Attivo (TFA); inizialmente, e per un numero di anni imprecisabile
ma comunque grande7, vi sarà però solo il TFA, al quale accederanno i laureati in possesso
della LM ordinaria. Rispetto alla situazione presente quando la SSIS è stata cancellata,
l’innovazione consiste nell’aver ridotto da due a un anno la preparazione alla professione,
lasciando inalterati i cinque anni puramente disciplinari; rispetto alla situazione iniziale
(prima delle lauree a due livelli), si è aggiunto un anno alla parte contenutistica sottraendolo
a quella di formazione all’insegnamento.
2. – Le competenze nel mondo di oggi
Per comprendere quanto siano arretrate le scelte (o le non-scelte) che nel nostro paese
si stanno compiendo, e le stesse discussioni che si svolgono al riguardo, vogliamo dare una
pur sommaria idea delle posizioni che stanno emergendo in sede internazionale.
Esaminiamo, al riguardo, due documenti che riguardano, congiuntamente, le competenze
che l’insegnante deve avere e le conseguenze che ciò comporta in termini di sua formazione;
come appare ovvio, quest’ultima dovrebbe essere infatti precisamente finalizzata a fornirgli
le competenze necessarie, ed essere perciò determinata dalle caratteristiche del profilo
professionale che caratterizza il docente8.
Un primo documento, Teachers matter - Attracting, developing and retaining
effective Teachers9, è stato elaborato dall’OCSE nel 2005. Esso rileva anzitutto che è ormai
documentato che, se si considerano i singoli elementi (anche organizzativi e finanziari) che
compongono una istituzione formativa, l’elemento che incide di più sul suo successo, cioè
sui risultati degli allievi, è la qualità degli insegnanti. Questa è a sua volta definita in
relazione ai cambiamenti che sono in corso per le caratteristiche della società della
conoscenza, per l’accresciuta autonomia delle istituzioni scolastiche, per i rapporti con il
6
E’ il D.M. 10.09.2010, n. 249. Per un commento v. G. Luzzatto, C’è ancora da attendere, Nuova Secondaria
n.7, marzo 2011.
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Il decollo delle LM ad hoc non può avvenire a breve: relativamente agli insegnamenti nella Secondaria di 2°
grado la normativa è stata infatti rinviata ad un Regolamento successivo, ed anche per il 1° grado l’attuazione
richiede numerosi non facili adempimenti. Affinché l’accesso al TFA abbia luogo per i laureati ad hoc occorre
poi aggiungere i due anni di durata del relativo Corso.
8
Nel Regolamento 249/2010, invece, manca in via generale qualunque verificabile connessione tra iter
formativo e profilo, e in un caso specifico vi è addirittura una conclamata scissione. Per la cattedra di
insegnamento della Musica nella secondaria di 1° grado si trovano due curricoli (Tabella 6 e Tabella 8)
totalmente difformi: la difformità non è legata a una diversità nel futuro docente, ma al fatto che un currcolo
vale per chi si forma in sede universitaria, l’altro per chi si forma in un Conservatorio. E’ certo vero che nei
due tipi di istituzioni formanti sono presenti competenze culturali e tecniche differenti; ma se al futuro
insegnante occorrono le une e le altre, sarebbe stato necessario far collaborare tali istituzioni anziché
prescrivere una formazione programmaticamente dimidiata.
9
Per una ampia sintesi, http://www.oecd.org/dataoecd/39/47/34990905.pdf .
6
loro territorio che ad esse sono necessari. Il cambiamento nei compiti del docente
corrisponde a sue responsabilità ampliate nei confronti di un insieme di interlocutori.
a) Al livello del singolo studente, per: -guidarne i processi di apprendimento; -rispondere
efficacemente a richieste anche individuali; -integrare le valutazioni formativa e sommativa.
b) Al livello della classe, per: -insegnare in classi multiculturali; -sviluppare tematiche
trasversali rispetto alle discipline; -integrare gli studenti con particolari esigenze
(“diversamente abili”).
c) Al livello della scuola, per: -programmare e lavorare collegialmente; -progettare attività
di valutazione e strategie di miglioramento; -utilizzare sistematicamente le Tecnologie
dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) nelle attività sia didattiche sia
amministrative; -condividere responsabilità decisionali e gestionali.
d) Al livello dei genitori e della società, per : -fornire ai genitori pareri professionali; contribuire alla costruzione di comunità sociali di apprendimento.
Un secondo documento ha anche un valore politico, perché si tratta delle conclusioni
alle quali è giunto il 15 novembre 2007, relativamente al Miglioramento della qualità della
formazione degli insegnanti, il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea10. I Ministri si
sono impegnati sui punti seguenti.
1) Assicurare agli insegnanti: -formazione con adeguato equilibrio tra studio e pratica
didattica; -conoscenze alte nelle discipline e competenze pedagogiche; -programmi di
sostegno a inizio carriera (induction); -assistenza permanente da un docente esperto; incentivi all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita (LLL), anche con scambi e distacchi
all’estero.
2) Promuovere una alta qualità dei dirigenti relativamente alla gestione scolastica.
3) Garantire coordinamento, coerenza, risorse e qualità alla Formazione Iniziale (FI), al
sostegno in ingresso, allo Sviluppo Professionale (SP).
4) Valutare l’eventualità di innalzare il livello del titolo e il grado di esperienza richiesti per
l’accesso.
5) Favorire la partnership tra le scuole e le strutture educative responsabili della FI, con
programmi di formazione rispondenti alle esigenze in mutamento delle scuole, degli
insegnanti e della società.
6) Promuovere -nelle fasi di FI, di sostegno in ingresso, di SP- l’acquisizione di competenze
che consentano al docente: -l’insegnamento di competenze trasversali (v. Raccomandazione
18.12.2006 su “competenze chiave”); -la creazione di un ambiente scolastico attraente; l’efficacia didattica anche in classi eterogenee per provenienze socioculturali e livelli di
abilità; -la stretta collaborazione con colleghi, genitori, società; -la partecipazione attiva
allo sviluppo della propria istituzione scolastica; -l’acquisizione di nuove conoscenze e
l’innovazione tramite partecipazione a iniziative di ricerca; -l’uso sistematico delle TIC
nella propria attività e nello SP; -l’autonomia nella progettazione continua del proprio SP.
7) Fornire sostegno alle strutture educative affinché esse elaborino risposte innovative alle
nuove domande di FI.
8) Sostenere programmi di mobilità che abbiano impatto sullo SP, accrescendo la
comprensione delle differenze e la consapevolezza della dimensione europea.
9) Sviluppare interventi atti a migliorare l’attrattività della carriera docente.
Queste sintesi sono sufficienti per mostrare che vi è un abisso tra quello che si
dovrebbe fare e quanto da noi sta accadendo; ciò si rileva, specificamente, su tre questioni di
fondo. I) Il peso che nella professionalità del docente dovrebbero avere le competenze
diverse da quella meramente disciplinare, indispensabile (nessuno vuole insegnanti
“ignoranti”!) ma che non può stare in un rapporto 5 a 1 rispetto a tutto il resto. II) La
10
Testo completo in http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/site/it/oj/2007/c_300/c_30020071212it00060009.pdf.
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partnership che dovrebbe esserci tra mondo scolastico e istituzione educativa preposta alla
formazione; al riguardo, va anche rilevato che in nessun paese si concepirebbe che
all’interno dell’istituzione educativa (l’università, nel caso italiano) la responsabilità del
progetto di formazione fosse riservata alle separate strutture accademiche disciplinari, che quando tutto andasse proprio bene- possono produrre non un insegnante a tutto tondo ma un
didatta della sua materia. III) L’organicità che sarebbe necessaria nell’impostare
unitariamente i processi di formazione iniziale11, di accompagnamento nell’ingresso nella
professione, di sviluppo professionale.
La distanza tra il “dover essere” e il recente Regolamento è perciò tale che non ci
sembra utile esaminarlo in dettaglio; preferiamo, nel § successivo, guardare avanti.
3. – E domani?
a) Una ipotesi organica
Prima o poi il paese dovrà porsi una semplicissima domanda: la collettività nazionale
(quella padana non meno che quella meridionale) ha bisogno di far sì che giovani bravi
siano attratti dalla prospettiva di divenire insegnanti12? La domanda è retorica, perché la
risposta non può che essere affermativa; il guaio è che quasi mai, quando si discute di
assunzioni, di graduatorie e di precariato, essa viene posta. La conseguenza di una risposta
affermativa è anch’essa scontata: bisogna mostrare al bravo laureato che, se vince il selettivo
concorso di ingresso in un corso abilitante, il suo percorso successivo dipenderà solo dalla
sua qualità e dal suo impegno, e che anche quando sarà stato assunto non vivrà in un grigio
tran tran, ma potrà avere nuovi stimoli e ulteriori prospettive di sviluppo professionale.
Tenteremo, in quanto segue, di avere questa esigenza come principale criterio direttivo
per presentare un possibile scenario alternativo a quanto è ora in atto. Nelle soluzioni da
prefigurare va affermato altresì un must inderogabile, connesso peraltro al criterio sopra
indicato: esse devono rendere impossibile il riformarsi di liste di attesa, di schiere di persone
che per titolo posseduto e per attività precariamente già svolta possano vantare diritti, o
comunque legittime aspettative.
Sulla base di queste premesse, la scelta più efficace, che integra formazione e
reclutamento, è rappresentata dall’anticipo del momento del reclutamento rispetto a quello
della formazione13. Ciò consente, tra l’altro, di risolvere un problema più volte emerso, e la
cui mancata soluzione ha rappresentato anche l’elemento più debole del sistema SSIS: se per
l’accesso a un percorso di formazione -di cui è responsabile l’istituzione formativa- si ha,
come è giusto, un numero programmato, e se vi è poi un concorso di assunzione,
ovviamente per il numero di posti che sono necessari -di cui è responsabile l’Ente che
assume-, come si possono raccordare tali due numeri nel rispetto delle due responsabilità,
evitando comunque che la formazione raccolga troppe persone, con spreco di risorse
pubbliche e con frustrazione di chi poi non riesce a utilizzarla nel mercato del lavoro, o ne
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Non deve sorprendere che nel documento dei Ministri europei non vi sia alcun riferimento al reclutamento,
se non per l’aspetto del sostegno nella fase iniziale del lavoro; l’identificazione della tematica relativa alla
formazione iniziale con quella dell’ingresso in servizio è data infatti per scontata.
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Il problema della attrattività non è solo italiano: è evidenziato addirittura nel titolo del documento OCSE e
costituisce il punto 9) del documento UE. Altrove, comunque, non sarebbero neppure concepibili soluzioni
come le graduatorie, permanenti o a esaurimento che siano, che da noi hanno fatto dimenticare l’idea del
merito giungendo al punto di determinare scontri territoriali.
13
In parte, riprendiamo qui alcune delle indicazioni presenti nel progetto ricordato nella nota (5).
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raccolga troppo poche, con carenze di personale qualificato?
La soluzione si ottiene identificando i due numeri attraverso un unico concorso di
ingresso, cogestito dai due soggetti e caratterizzato tramite una formula di “corso-concorso”
(sarebbe più chiaro chiamarlo concorso-corso!), già in atto in alcune amministrazioni
pubbliche: l’obbligo dei vincitori, per un determinato tempo, è quello di frequentare a tempo
pieno un corso di formazione, la cui conclusione positiva comporta l’assunzione in servizio.
Nel nostro caso, appare ragionevole -e analogo a molti modelli presenti in Europa- che
il concorso si collochi dopo la Laurea L e che il successivo percorso formativo, interamente
dedicato alla preparazione alla professione, abbia una durata biennale; si avrebbe un
rapporto di 3 a 2 tra acquisizione delle competenze meramente disciplinari e acquisizione di
tutte le altre (inclusa la didattica disciplinare). Possono esservi casi, in particolare quando
una abilitazione comprenda una pluralità di materie, nei quali per una adeguata preparazione
contenutistica sia necessario conseguire Crediti aggiuntivi rispetto ai 180 presenti in L;
questi casi sono da affrontare in una logica di flessibilità, che consenta regole diversificate
dove le realtà sono diverse, eventualmente distinguendo le situazioni in cui tali Crediti
aggiuntivi costituiscano una condizione per l’accesso da quelle ove rappresentino una
addizione al curricolo successivo.
Il diploma, abilitante, conferito al termine del percorso biennale ha tutte le
caratteristiche di un titolo universitario di secondo livello; in particolare, è da prevedere che
per acquisirlo l’allievo debba presentare una relazione conclusiva che riesamini criticamente
il lavoro svolto e individui le connessioni personalmente sperimentate tra la parte
accademica (tematiche educative generali e didattica disciplinare), i laboratori didattici, le
attività sul campo (tirocinio). Vi è perciò una analogia con i corsi LM (e con la
corrispondente tesi, in quel caso meramente accademica), sicché -soprattutto per ragioni di
immagine!- il titolo acquisito può anche assumere questa denominazione; rispetto alle
ordinarie LM disciplinari vi sono però radicali differenze non solo circa i contenuti, ma
anche circa il necessario assetto istituzionale.
Preparare alla professione docente significa infatti, anzitutto, costruire un adeguato
ambiente formativo: è documentato da dati di ricerca che le modalità con cui opera
l’insegnante sono determinate soprattutto dalle modalità che egli ha sperimentato nel proprio
percorso di istruzione, e molto meno da ciò che in termini teorici gli è stato insegnato.
Perciò l’ambiente universitario successivo alla L non deve essere, per gli insegnanti delle
singole materie, quello accademico relativo alle materie stesse, se si vuole evitare che essi si
collochino poi in una logica esclusivamente settoriale e si sentano estranei alla scuola come
istituzione complessiva14; deve trattarsi invece di una struttura unitaria, di Ateneo o
eventualmente interateneo, capace -grazie alla sua interdisciplinarità- di fornire agli
insegnanti delle diverse aree linguaggi comuni che consentano loro di dialogare. Occorre
che tale struttura abbia nel sistema universitario una precisa collocazione, che le consenta di
potenziare la ricerca didattica, oggi non sufficientemente valorizzata in molte aree
disciplinari; occorre altresì che essa sia organicamente collegata con il sistema scolastico, sì
da costituire la cerniera tra il mondo della scienza e quello della professione e da garantire
una loro partnership nella formazione dei futuri professionisti.
Senza entrare qui in aspetti tecnici sul curricolo da ipotizzare nel corso di formazione,
è il caso di sottolineare che esso dovrà comunque prevedere, all’inizio del biennio, un
insieme di attività formative fortemente interattive, in modo da poter interrompere
tempestivamente il percorso di chi dimostri di non possedere quelle qualità relazionali e
comunicative che sono indispensabili all’esercizio della docenza scolastica e che nessun
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V., al precedente § 2., le competenze individuate nel documento OCSE Teachers matter.
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concorso di ingresso può pienamente verificare15.
Quanto ai posti da bandire per le assunzioni, l’esigenza di evitare masse di
supplenti/precari suggerisce una soluzione che ben si può connettere all’opportunità di
caratterizzare la fase iniziale del servizio docente come un periodo di prova. Poiché le
necessità di coperture temporanee sono statisticamente ben individuabili, si tratta di dar
luogo ad un organico funzionale, che ponga a disposizione di ogni rete di scuole un corpo
docente lievemente superiore alle tradizionali cattedre e che possa essere gestito con
adeguata flessibilità; il riferimento alla rete, e non a una singola istituzione, è richiesto
perché su insiemi troppo piccoli le fluttuazioni statistiche creerebbero gravi problemi.
I nuovi assunti non avrebbero perciò immediatamente una “titolarità”; opererebbero,
all’interno della rete, in relazione alle concrete esigenze, sempre seguiti -fino alla
conclusione del periodo di prova- da colleghi maturi, alcuni dei quali avrebbero la funzione
di "mentori". La conferma nell’assunzione a tempo indeterminato e l’assegnazione di una
titolarità avverrebbe pertanto dopo un adeguato periodo di esercizio effettivo dell'attività di
insegnamento e sulla base di una verifica dello svolgimento di essa.
b) Gli spazi per l’autonomia scolastica
Alcuni ritengono che l’autonomia scolastica dovrebbe condurre ad una piena
responsabilità delle scuole nell’assumere i propri insegnanti: in linea di principio
l’autonomia di una istituzione comporta il potere di scegliere i propri operatori. Il sistema
sopra delineato non dà questo potere, come non lo ha dato nessuna delle normative sul
reclutamento finora in vigore; qualcuno sta ora facendo la proposta che della “chiamata
diretta”, che però -oltre a essere in conflitto con la norma costituzionale sull’accesso ai
pubblici impieghi- incontra molte obiezioni.
Infatti, mentre i responsabili in una azienda privata che opera sul mercato rispondono
dei risultati ottenuti a seguito delle loro scelte e sono dunque costretti a sottostare a logiche
di efficienza ed efficacia nel reclutamento delle risorse umane rifiutando altri tipi di logica,
ciò non accade -almeno in generale- nelle organizzazioni pubbliche del nostro Paese; per un
dirigente ASL il modo migliore per salvaguardare il proprio incarico è rispondere alle
sollecitazioni esterne in materia di reclutamento del personale. Guardando alle scuole, e
preso atto del fatto che l’ipotesi di licenziamento di un dirigente la cui scuola funzioni male
non è realistica, è evidente l’enorme rischio di piccoli o grandi favoritismi, con la
trasformazione dei dirigenti in piccoli boss, in grado di condizionare pesantemente il
mercato del lavoro intellettuale locale (specialmente nel meridione dove la scuola è per tanti
laureati l’unica opportunità di lavoro), e con l’offerta di spazi al potere politico locale per
insostenibili pressioni a favore di questo o quel candidato.
Se queste obiezioni portano ad escludere che siano le scuole a determinare il
reclutamento dei docenti nel sistema scolastico pubblico, deve essere tuttavia individuato un
insieme di interventi atti ad accrescere, in maniera rilevante, il ruolo delle scuole autonome
nel settore del personale insegnante.
Nell'assunzione in servizio dei vincitori di concorso va previsto uno spazio per le
scelte dell'istituzione scolastica. Va valorizzato il giudizio della scuola sui risultati ottenuti,
nello svolgimento del proprio lavoro, da parte dei docenti appena entrati in attività e perciò
non ancora titolari di cattedra, ed anche su attività di tirocinio svolte nel corso del percorso
formativo; la piena soddisfazione della scuola stessa dovrebbe essere determinante per la
loro assegnazione alla sede, attraverso meccanismi che prevedano un incontro tra le
15
Evitare l’inserimento nella professione di persone inadatte è tanto più difficile, quanto più è tardivo il
momento delle scelte; l’anticipo del momento concorsuale ha una estrema rilevanza anche per questo motivo.
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eventuali scelte preferenziali da parte degli assunti e l’indicazione, da parte delle scuole, di
opzioni proprie.
Per i trasferimenti dei docenti già in servizio vanno introdotte soluzioni nettamente
diverse da quelle attuali, tutte basate su meri punteggi (anzianità, condizioni familiari). Già
oggi vi è, in casi rari, una eccezione: alcune scuole sperimentali fanno un proprio bando,
indicando gli specifici requisiti (esperienze, ricerche didattiche, titoli culturali aggiuntivi,
qualificazioni in attività di formazione in servizio) che verranno considerati nella ricerca di
docenti ben inseribili nel progetto formativo. Questa procedura deve essere ampiamente
estesa.
Non tutto il corpo docente, infine, deve essere "strutturato". Soprattutto, ma non solo,
nella filiera tecnica e professionale le scuole possono utilmente avvalersi, qui in totale
autonomia, di prestazioni d'opera da parte di professionisti e tecnici che abbiano altrove il
centro della loro attività, o per i quali comunque tali prestazioni non configurino in alcun
modo un primo passo verso posizioni stabili. Il ricorso a tali figure professionali può
avvenire piuttosto ampiamente e connettersi direttamente alle caratteristiche dell'offerta che
la scuola progetta nel suo P.O.F. in relazione allo specifico contesto sociale, oltre che
produttivo, nel quale essa opera; l'impegno di questi docenti "non in carriera" può riguardare
sia attività formative finalizzate alle applicazioni, in una realtà produttiva rapidamente
mutevole e per le quali risulta perciò particolarmente proficua una docenza da parte di chi
opera sul campo, sia attività autonomamente progettate al di fuori del core curriculum.
c) La difficile transizione
Le scelte sul personale insegnante sono state fatte quasi sempre, nel nostro paese, non
mirando ad un coerente assetto a regime, ma facendo determinare anche il futuro
dall’esigenza di soluzioni per l’immediato, condizionate da precarietà esistenti. Se questo è
un errore che porta a disastri, è sbagliato anche non definire con attenzione le fasi di
transizione: purché, appunto, il traguardo sia chiaro.
Oggi le graduatorie ci sono. L’idea, che qualcuno ogni tanto lancia, di cancellarle con
un colpo di spugna è, prima ancora che iniqua nei confronti di chi in esse si trova, fuori della
realtà: occorrerebbe un atto legislativo, che nessun Parlamento voterà mai. Dalla parte
opposta, sarebbe però deleterio se ad un nuovo canale di reclutamento si ricorresse solo in
assenza della possibilità di utilizzare le graduatorie perché esaurite: in molti casi non vi
sarebbe per molti anni alcuno spazio per nuovi laureati, l’età degli insegnanti italiani
continuerebbe a crescere e il nuovo sistema resterebbe quasi ovunque sulla carta.
Occorre perciò che, in analogia a un sistema di “doppio canale” presente in passato, il
reclutamento avvenga per una quota attraverso le graduatorie (fino a che non saranno
esaurite) e per un’altra quota attraverso i nuovi concorsi. Per non ritardare troppo
l’assorbimento delle graduatorie, si può stabilire che la quota per nuovi ingressi sia piccola
in presenza di graduatorie ancora molto numerose, e progressivamente crescente man mano
che queste si riducono.
d) Una osservazione conclusiva
La distanza abissale che intercorre tra quanto sta accadendo e l’ipotesi innovativa
sopra presentata potrebbe indurre a ritenerla un mero utopico esercizio di fantasia; non è
proprio così.
Indubbiamente, non sarebbe realistico ritenere che possano esservi a breve le
condizioni per una attuazione sistematica, in tutta la sua completezza, di un progetto quale
quello qui tratteggiato. I criteri ai quali abbiamo cercato di ispirarci e talune delle
conseguenze che ne abbiamo tratte forniscono però indicazioni utili per operare almeno nella
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direzione di alcune “riduzioni del danno” rispetto alle conseguenze che molti degli interventi
che si stanno attuando, o che si rischiano di attuare, possono determinare.
Vi sono due esempi rilevanti per l’immediato, e altri ne potremmo presentare. Nel
momento in cui venisse attuato il Regolamento 249/2010 sulla formazione, e in cui perciò
dovrà essere individuato il fabbisogno quantitativo per gli ingressi nel TFA, va posta nella
massima evidenza la necessità della soluzione del doppio canale esaminata in c). Ancora, la
riduzione del precariato con l’istituzione di un organico funzionale può attuarsi nei contesti
più diversi.
In via generale, si deve intervenire in ogni occasione rilanciando, come costante punto
di riferimento prioritario, il principio della più elevata qualità per qualunque scelta e della
valorizzazione del merito individuale sia all’ingresso nella carriera docente, sia nello
sviluppo di essa. Vaste programme, avrebbe detto il generale De Gaulle; ottenere comunque
qualche correttivo, quando ci si trova di fronte a proposte nelle quali il merito viene del tutto
ignorato, è un programma minimale forse non del tutto irrealistico.
Giunio Luzzatto
Nel volume Istruzione bene comune (a cura di V. Campione e F. Bassanini), Passigli
ed., 2011