a proposito del maiale
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a proposito del maiale
A PROPOSITO DEL MAIALE AL PURZEL "E' già notte e la mamma non è ancora ritornata" dicevamo tra noi fratelli. Era partita al buio con la gerla, i soldi contati (25 lire) per comperare un maialino alla fiera di settembre a Dobbiaco. Chilometri e chilometri all'andata e al ritorno, a piedi, oltre il passo di Monte Croce, per antichi sentieri. "Eccola! Arriva!" e le facciamo festa. "Ho aspettato fino a mezzogiorno" ci racconta "per tirare sul prezzo. Risparmiando, vi ho comprato la collana di fichi e le calze". Poi il lungo ritorno, col porcellino nella gerla che non stava di certo tranquillo, affamato com'era. Non gli bastava lo strato di paglia per letto e un sacco come coperta. Come mia madre, altre donne del paese compivano ogni anno questo rituale per avere il ciclo continuo di una preziosa riserva di cibo per le famiglie, allora, numerose. Autunno e inverno il maiale era ospite del porcile vicino casa e nella stalla. Gli si dava latte, pastone di semola e resti di cucina, siero, residuo del latte dopo che erano estratti burro, formaggio e ricotta. A primavera si aggiungevano certe erbe raccolte nei prati e d'estate emigrava col bestiame lassù nella malga. Lasciato libero si cibava di erbe e di residui di latte. Il suo ritorno coincideva colla raccolta delle patate ed il pastone era più ricco per fargli acquistare peso... fino al suo sacrificio che avveniva di solito ai primi di dicembre. Non era ancora l'alba quando arrivavano gli acuti lancinanti del maiale che veniva sgozzato dal "norcino" del paese e il sangue raccolto in una pentola era utilizzato per le salsicce da sangue. Acqua bollente per pulirlo dalle setole, poi squartato e liberato dalle interiora, veniva issato alle travi di soffitta per la frollatura. Questi erano per noi giorni attesi, animati, diversi, di festa. Ricordo "Gisi dal Ficin". Arrivava con la macchina tritacarne, coltelli affilati ed altri attrezzi. "Non toccate nulla" ci raccomandava, notando la nostra imprevedibile vivacità. Sul tavolo di cucina iniziava l'operazione per disossare i quarti di maiale, suddividere le varie parti, aggiungere una parte di carne di manzo, tritare, salare, aromatizzare l'impasto. Via via che l'operazione procedeva uscivano salsicce, salami, cotechini, pancetta, sugna per ingrassare scarponi e funi. Tutta questa grazia di Dio, si diceva allora, veniva infilata nei bastoni e appesa agli anelli che pendevano dal soffitto di cucina. Un periodo lì per una prima stagionatura, poi giù in cantina dove si conservava bene per tutto l'anno. Il resto della carne con le ossa era messa a macerare in una tinozza con sale, pepe ed altri aromi. Appesi poi ai ganci nella nera volta della cucinetta attigua al fienile venivano affumicati. Sul fuoco ardente anche rametti di ginepro per un sapore più deciso. Le ossa affumicate davano un gusto forte al minestrone di fagioli e orzo. Ho detto che questi erano giorni di festa per noi bambini. E' vero. C'era una insolita animazione in casa. Seguivamo con gli occhi tutte queste operazioni desiderosi di poter gustare finalmente una salsiccia. E ci è rimasto negli occhi e nel cuore quel sapore d'altri tempi. Come non ricordare la dispensa, la cantina come luoghi rassicuranti da dove si poteva attingere da un anno all'altro: patate, insaccati, carne affumicata, crauti, strutto, lardo, burro, formaggio, orzo, segala, avena, fave, fagioli ... C'erano pochi soldi da spendere, solo per zucchero, olio, concentrato di pomodoro, frumento, granoturco. Tutto il resto veniva dalla stalla, dai campi, dall'orto. Così fino a 30, 40 anni fa. Ora la cantina e la dispensa sono vuote. Sopravvivono nei nostri ricordi che tramandiamo con piacere ai nostri nipoti. "Voi sì che avete tante cose da raccontare" ci dicono... AL PURZEL D' SANT'ANTONI A primavera, fino a circa trent'anni fa, sul sagrato della Chiesa di Casamazzagno si rinnovava questo rito: "Una donna toglieva dalla gerla un porcellino, il più bello della covata, ormai capace di vivere lontano da mamma scrofa. Faticava a tenerlo perchè si divincolava lanciando acuti e rabbiosi lamenti come se lo stessero uccidendo. Il sacerdote, in cotta e stola, recitava le preghiere di rito, lo benediceva, gli metteva un campanellino benedetto al collo e lo invitava a procurarsi cibo e alloggio. "Va a provedti!" aggiungeva la donna lasciandolo libero con una carezza. Il porcellino rimaneva incerto, poi al suono del campanellino, iniziava la sua avventura. Si infilava nel primo portone che trovava aperto. "Di solito era quello di Fides" diceva mia madre. Così una famiglia del paese, di solito quella di Matilde Festini Tela, offriva un porcellino all'Opera di Sant'Antonio per i poveri. Il maialino diventava un personaggio della vita del paese. Il suono del campanellino annunciava il suo passaggio e grufolando faceva il suo giro indisturbato. "E ca' live, Toni" diceva la gente e passando di casa in casa nessuno gli negava cibo o latte. Tuffava il suo grugno nel truogolo d'occasione, una vecchia pentola o catino e si ingozzava di pastone. Sazio, si sceglieva un posto per il riposo, una stalla, un porcile vuoto o un posto dietro casa. Nella buona stagione pascolava nei prati vicini, cresceva e ingrassava. Sempre dai ricordi di mia madre: "Un giorno un maiale spintosi indisturbato fino a Candide, entrò in un locale dove era imbandita una lunga tavolata. Vistosi respinto, afferrò un lembo della tovaglia tirando a terra piatti e vivande. Diceva la gente: " Si è vendicato per i tanti rifiuti usatigli in precedenza. In quel locale non mancavano di certo resti di cibo." Il maiale, allevato dalla comunità, verso dicembre aveva raggiunto un ottimo peso. Messo all'asta era venduto al migliore offerente. La somma raccolta, destinata alla pia opera, veniva distribuita ai poveri. E allora, c'erano i VERI POVERI!!! Raffaella Zanderigo Rosolo