Scarica il programma di sala

Transcript

Scarica il programma di sala
foto Sebastian Bolesch
sti dei loro costumi. Ma il “testo” è drammatico;
un passo a due in fuga e in diagonale di due
danzatori porta a un quartetto al centro che da
fermo slancia le braccia; un altro duetto femminile sortisce lo stesso effetto in un colloquio
tra dinamica e cambré (piegamento all’indietro
delle schiene) sur place che si scioglie negli al-
DANZA
foto Sebastian Bolesch
METAMORPHOSES_Libretto sala.indd 1-3
culari complessi di percussioni sul fondoscena:
a destra e a sinistra gli archi (dodici in tutto)
sono vicini, nei rispettivi poli opposti. Dopo un
lungo divenire solo musicale, ecco l’entrata in
diagonale di nove danzatori. In costumi chiari
e scuri, si posizionano al centro palco per poi
dislocarsi nello spazio, ormai luminoso, creando le ben note catene umane di Sasha Waltz
che qualcosa riportano in vita dall’espressionismo puro di Mary Wigman, ma qui senza enfasi
drammatica. Si formano coppie, deposizioni e
girotondi in senso antiorario, mentre le camminate danno vita a tableaux vivants. Il protervo
braccio alzato di una danzatrice si confronta
con il rotolare a terra di altri colleghi: si guarda al cielo e alla terra in questi “spazi aperti”
mai davvero posseduti dai loro “attori”, bensì
dall’occhio/orecchio del pubblico, libero di appoggiarsi ovunque creda.
Il Quartetto d’archi n.1 (1953-1954) di György
Ligeti, compositore ungherese scomparso nel
2006, ha invece inizio con tre danzatori fermi sul fondo scena al lato apposto rispetto ai
quattro strumentisti e a tre ballerine dislocate
quasi in proscenio. Agli uomini è concesso un
virtuosismo quasi accademico, alle donne una
estrosa saltatio e una frenesia delle braccia che
ha qualcosa di gioioso e concorda con i contra-
STAGIONE 2013-2014
we associates
del corpo ad offrirsi agli occhi dello spettatore,
con gesti di apertura e chiusura di petto e mani che
simulano anche il battito del cuore.
La terza miniatura, sul Quartetto d’archi n.2
dell’austriaco Georg Friedrich Haas, è preceduta da un’improvvisazione senza danza di
Robyn Schulkowsky. Il pezzo del compositore
austriaco risale al 1998 e imbastisce un magnifico duetto; originale l’entrata in diagonale della
coppia: lei, in azzurro, con un braccio teso verso
l’uomo dietro e distante. Questa volta il complesso musicale è sistemato a sinistra rispetto
al pubblico ma lo spazio occupato e “sferzato”
dai due interpreti, è quasi sempre centrale. Si
noteranno i contatti tra i due partner: mai audaci e come imprigionati in pose che vogliono
restare tali, o in allungamenti paralleli alla ricerca di qualcosa che sta oltre la loro ipotetica
unione. Il passo a due è inquieto, titubante con
abbandoni e ritorni frettolosi, sino a una serie
di lift e a un brioso allontanamento della donna
che lascia campo libero al partner e ad un suo
gesticolante assolo espressionista di splendida
intensità, che si ferma à coté della musica.
Cambia la scena e si aggiunge il sipario specchiante dalle intelaiature di ferro in Open
Spaces (2007), sempre di Haas. Il direttore d’orchestra, lo svizzero Titus Engel, guida due spe-
lacciamenti di coppie e terzetti in velocità. Rannicchiarsi a terra, il corpo a uovo, consente ad
alcuni di dominare la scena sempre equilibrata
nella distribuzione spaziale, ma sino all’accerchiamento dei musicisti che vengono letteralmente spostati al centro. La musica ha il sopravvento: i danzatori si sdraiano sotto violini
e violoncello e nel loro lungo riposo sollevano
a malapena una gamba o tutte e due. Poi però,
come risvegliati, trascinano gli stessi strumentisti nello spazio con delicata quanto impositiva
cortesia.
L’ultima miniatura è Aurora, un pezzo composto da Xenakis nel 1971 e destinato a dodici
archi dislocati a destra rispetto al pubblico e
diretti ancora da Engel. Nella coreografia nasce
un duetto che parrebbe una sorta di “rovescio”
del passo a due conclusivo della prima parte
di Métamorphoses. Infatti i due corpi, spesso al
centro scena, procedono per slanci all’unisono e lift, e nella distanza fondale-proscenio, la
donna – braccia e gamba scoperta (da una parte
sola) – riprende movimenti aguzzi, mentre l’uomo ripropone le camminate con stasi presso
i musicisti, tante volte ripetute anche in altre
parti maschili. Aurora segna idealmente la nascita di una nuova coppia: i due danzatori si allontanano ma si protendono l’uno verso l’altro
e si dislocano - la donna davanti, l’uomo dietro
- senza rubare la scena alla musica.
Per quanti avessero seguito sin qui, da Ferrara
ma non solo, il percorso artistico della Waltz,
queste Métamorphoses, non dovrebbero stupire
per la ratio spaziale e architettonica e l’assoluta pienezza di dialogo tra movimenti e suoni.
Già in Continu (2010) presentato in Italia l’anno
scorso, durante il ventennale della sua compagnia nata nel 1993, Sasha Waltz ha creato un
dramma coreografico punteggiato di musiche
espunte dal secolo breve. Ma lì era delineato il fil rouge di un’evocazione di sentimenti
contrastanti e con un originale sguardo linguistico rivolto all’indietro, alla Modern Dance
e all’Ausdruckstanz. Svanito, forse per sempre,
quel realismo plastico e multiforme dei primi pezzi d’impianto “teatrale”, le contingenti
Métamorphoses segnano un altro momento di
riflessione su ciò che la musica anche meno
nota al grande pubblico può offrire agli appassionati della danza e su quanto quest’ultima
possa aggiungere all’afflato e ai turbamenti interiori del movimento. I Dialoge - da cui queste
miniature coreografiche derivano - sono per la
Waltz un momento di libera ispirazione e rigenerazione, tra l’altro ormai condiviso da due e
più schiere di danzatori messe alla prova (i suoi
storici e i più giovani).
La luminescenza della “Mahler” - in questa
speciale co-produzione con Ferrara Musica non fa che aggiungere ricchezza a un viaggio
contraddistinto dalla sottile drammaturgia insita nel connubio tra uso dello spazio, dinamica
e varietà dei passi. Tale viaggio, ormai è noto, è
destinato ad imbattersi a breve, nel Tannhäuser
di Wagner, sul podio Daniel Barenboim. Dopo
Purcell (per la citata Dido&Aeneas), Berlioz
(Roméo et Juliette), Dusapin (Medeamaterial e Passion), Rihm (Jadgen und Formen-Zustand 2008) e
Hosokawa (Matsukatze), un’altra titanica sfida si
avvicina. La musica, per la fertile coreografa di
Karlsruhe, sembra davvero fare da ineliminabile puntello a ogni sperimentazione e la sua danza vincere in ogni eclatante evento operistico.
Marinella Guatterini
venerdì 21 febbraio ore 21
SASHA WALTZ & GUESTS
MAHLER CHAMBER ORCHESTRA
MÉTAMORPHOSES
17/02/14 12:39
danza
SASHA WALTZ & GUESTS
MAHLER CHAMBER ORCHESTRA
MÉTAMORPHOSES
danza Delphine Gaborit,
Gabriel Galindez Cruz, Orlando
Rodriguez, Mata Sakka
violini Henja Semmler, Sonja Starke
viola Anna Puig Torné
violoncello Christophe Morin
6.
Aurora für 12 Streicher
di Iannis Xenakis
direzione artistica e coreografia Sasha Waltz
costumi Bernd Skodzig
scenografia e luci Martin Hauk
drammaturgia Jochen Sandig
Edivaldo Ernesto
violini Annette zu Castell, Timothy
Summers
viola Béatrice Muthelet
violoncello Miwa Rosso
danza Xuan Shi, Niannian Zhou
violino di spalla Henja Semmler
violini Annette zu Castell, Timothy
Summers, Sonja Starke, Christian
Heubes, May Kunstovny,
Geoffroy Schied
viole Béatrice Muthelet,
Anna Puig Torné
violoncelli Miwa Rosso,
Christophe Morin
contrabbasso Ander Perrino Cabello
direttore Titus Engel
1.
Hautfelder für Streichquartett
di Ruth Wiesenfeld
Intervallo
durata 120 minuti con un intervallo
sei miniature per 16 danzatori e 15 musicisti
danza Florencia Lamarca, Sasa Queliz
violini Annette zu Castell, Timothy
Summers
viola Béatrice Muthelet
violoncello Miwa Rosso
2.
Rebonds Part B di Iannis Xenakis
danza Liza Alpizar Aguilar, Judith
Sanchéz Ruìz, Delphine Gaborit,
Niannian Zhou, Sasa Queliz, Mata
Sakka, Yael Schnell
percussioni Robyn Schulkowsky
improvvisazione
Robyn Schulkowsky percussioni
3.
Streichquartett n. 2
di Georg Friedrich Haas
danza Zaratiana Randrianantenaina,
METAMORPHOSES_Libretto sala.indd 4-6
4.
Open Spaces für 12
Streichinstrumente und 2 Schlagzeuge
di Georg Friedrich Haas
danza Liza Alpizar Aguilar,
Davide Camplani, Delphine Gaborit,
Gabriel Galindez Cruz,
Renate Graziadei, Mata Sakka,
Sergiu Matis, Orlando Rodriguez,
Xuan Shi
violino di spalla Henja Semmler
violini Annette zu Castell, Timothy
Summers, Christian Heubes, May
Kunstovny, Geoffroy Schied
viole Béatrice Muthelet,
Anna Puig Torné
violoncelli Miwa Rosso,
Christophe Morin
contrabbassi Burak Marlali,
Ander Perrino Cabello
percussioni Robyn Schulkowsky,
Martin Piechotta
direttore Titus Engel
Team Sasha Waltz & Guests
maestro ripetitore Renate Graziadei
assistente di direzione Steffen Döring
luci Martin Hauk, Olaf Danilsen
sartoria Beate Borrmann,
Aline Bittencourt
acconciature e trucco Stefanie Kinzel
stampa Yoreme Waltz
assistente direzione tecnica
Leonardo Bucalossi
direttore tecnico Reinhard Wizisla
tour manager Karsten Liske
direttore Sasha Waltz & Guests
Jochen Sandig
con il sostegno di
Coproduzione Fondazione Teatro Comunale
di Ferrara – Ferrara Musica
con il contributo di
un ringraziamento particolare a Maria Luisa Lisi Vaccari
PRIMA NAZIONALE IN ESCLUSIVA
LA COMPAGNIA SASHA WALTZ & GUESTS
DEDICA LO SPETTACOLO A CLAUDIO ABBADO
foto Sebastian Bolesch
stagione 2013-2014
5.
Streichquartett n.1
di György Ligeti
METAMOFOSI IN CHIAROSCURO
La recente scomparsa di Claudio Abbado rende questo ottavo debutto ferrarese di Sasha
Waltz particolarmente commovente. I musicisti
che accompagnano Métamorphoses appartengono infatti alla Mahler Chamber Orchestra, fondata nel 1997 e con un Don Giovanni di Mozart,
sostenuto sul podio dal compianto direttore,
lanciata da Aix-en-Provence in tutto il mondo.
Particolari e forse profetiche per quest’omaggio al grande musicista scomparso, le assonanze tra la “Mahler” e la Sasha Waltz & Guests. I
due diversi gruppi artistici ebbero proprio qui
a Ferrara, tra il 1996 e il 1997, il loro più antico
centro creativo; certo il mutevole ensemble della
Waltz non è mai stato in residenza nella città
estense, se non per brevi laboratori, ma non v’è
altra città in Italia che meglio conosca gli sviluppi, e le opere, di questa coreografa così sensibilmente avvinta al linguaggio delle note da
aver collaborato, e sin dagli esordi, con un gran
numero di strumentisti (e artisti visivi), e poi via
via, aumentata la sua progettualità in rapporto
alla musica del passato e non, con orchestre e
cori sempre più importanti.
Di fresca data è però la liaison con la Mahler
Chamber Orchestra: agli impegni fitti e mondiali di quest’ultima, Sasha Waltz la strappò
nel 2011 per l’evento Radiale Nacht, collocato
nel maestoso e affascinante complesso Radialsystem V, uno degli spazi artistici più ampi
e prestigiosi in Europa. Qui risiede, ormai, la
struttura della coreografa e qui ancora, ma nel
2013, la sua compagnia si unì alla “Mahler” per
Dialoge-Kolkata con debutto a Calcutta: una
delle tante pagine, questa volta indiana, delle
proteiformi e cangianti Dialoge Series, sempre
presentate in luoghi diversi e specialmente
non teatrali. Anche Métamorphoses, pur senza
mantenerne la dicitura, riprende la confezione di un Dialog, e preziosissimo. Si tratta, infatti del primo e preziosissimo “dialogo” della
serie creato, nel 2009, per l’inaugurazione del
Neues Museum (Nuovo Museo, architetto David
Chipperfield) a Berlino. Nell’evento, il gruppo
della Waltz lavorò con il Solistenensemble Kaleidoskop e il Vocalconsort, quest’ultimo già
partecipe nella splendida avventura della sua
totalizzante Dido&Aeneas. Tuttavia, per la speciale e unica occasione ferrarese di questa sera,
la coreografa si è rivolta alla “Mahler” e pour cause.
Quanto a Métamorphoses: nonostante l’importante titolo dagli echi letterari, è in realtà un vero
e proprio concerto coreografico; vis à vis sedici
ballerini e quindici musicisti dislocati entro
una struttura composta di sei “miniature - tre
duetti e tre pezzi d’insieme. In questi ultimi, al
fondale nero ne subentra uno ferrigno e severo,
mentre i costumi per lo più scuri e di diversa
foggia, vantano dettagli spesso raffinatissimi.
La scelta delle musiche volge al contemporaneo. Si parte dal Quartetto per archi della giovanissima Ruth Wiesenfeld intitolato Hautfelder
(2007): qui gli strumenti formano una sorta di
quadrato entro il quale si muovono due danzatrici. Braccia e gambe scoperte e ben visibili
fuori delle lunghe tuniche nere, con le prime
alzate e battute le une contro le altre, o semplicemente “ a candelabro”. V’è lentezza nei giri,
e una maestosa eleganza anche nelle camminate ondeggianti, ma si percepisce una tensione
trattenuta. Quando hanno modo di esplodere
i movimenti, anche a terra, divengono energici,
con un corpo che “perquisisce” l’altro. Spesso
però ogni dinamica si blocca in modo da lasciar
“cantare” nell’aria le micro-tonalità musicali.
Segue il celebre Rebonds (Part B) del greco Iannis Xenakis, un pezzo composto nel 1989, tre
anni prima della scomparsa del famoso compositore. Qui con un solo complesso di percussioni si scatena l’impeto di sette “baccanti”: in
ampi costumi lunghi si rotolano a terra e si divincolano, girando e aprendo i loro corpi nello
spazio. La quiete che subentra alla formazione
di piccoli gruppi, vede un gran lavorio delle
braccia, incorniciate sulle teste a coprire i volti.
Nell’andamento dinamico tanto spesso aggrappato al ritmo musicale, è sempre la parte alta
17/02/14 12:39