Tristi giorni di gloria

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Tristi giorni di gloria
BOSSI
I 90 anni di Monza
Tristi giorni di gloria
ei paesi anglosassoni sui biglietti me accertate, che in questo racconto a e, tre giorni più tardi, una gara per vettud'ingresso ad un evento moto- capitoli delle vicende dell'impianto lom- re sport denominata Gran Premio
Supercortemaggiore in onore dello
ristico è stampato in maniera bardo non potevano essere ignorate.
sponsor petrolifero. Proprio lì, a Monza.
chiara che lo "spettacolo" a cui si va ad
Sulle strade del principato monegasco
assistere è pericoloso. Anche Monza non Il nome simbolo,
Alberto Ascari ha avuto uno dei rari incipoteva prescindere da questo concetto Alberto Ascari
e quindi nei suoi novant'anni di vita le Tanto si è detto, scritto, ipotizzato e an- denti della sua carriera volando in mare
tragedie sono andate di pari passo con la che fantasticato, su quel 26 maggio del con la sua Lancia D50. Tornato a casa per
ricerca della vittoria ma, soprattutto su 1955. Tutto sommato un anonimo gio- lui i dottori hanno prescritto il riposo, alquesta pista, con lo sviluppo della sicu- vedì compresso fra due corse internazio- meno fino al successivo Gran Premio del
rezza dei suoi partecipanti. Siano essi gli nali importanti. La domenica prima con il Belgio di quindici giorni dopo. Invece
attori principali come i piloti, oppure ritorno della Formula Uno a Montecarlo Ascari non resiste e, in tarda mattinata di
quel fatidico giovedì, arriva
protagonisti dietro le
in Autodromo per seguire
quinte quali meccanici e
Nella sua lunga storia, l'autodromo
la preparazione della rivacommissari o gli stessi
brianzolo
ha
conosciuto
giorni
di
tragedia.
le Ferrari per l'imminente
semplici spettatori. Un
gara monzese. Con lui l'atriste conto che elenca
Ecco la loro cronaca.
mico Gigi Villoresi e, ai
poco più di novanta vitti-
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LA NOSTRA STORIA
box, trova il suo "erede" Eugenio
Castellotti, appena sceso dalla 750 Monza
di 3 litri che il lodigiano sta provando per
l'imminente maratona.
Un saluto, un invito, la partenza. Dopo un
paio di passaggi davanti ai box la Ferrari
ha un sussulto all'altezza della Curva del
Vialone. Il motore si ammutolisce e i rumori cessano. Così come, improvvisamente, cessa la vita del più grande pilota
italiano del dopoguerra.
Molto si è detto di quell'attimo, all'ora di
pranzo di un giovedì primaverile, dove
tragedia e leggenda si sono mischiate. La
più probabile fra le versioni ci racconta di
un operaio impegnato nella costruzione
della vicina Sopraelevata Nord che, con
evidente imprudenza, ha attraversato la
sede stradale di quel lungo curvone a sinistra. Proprio mentre arrivava la 750
Monza, ancor grezza nel color alluminio
in attesa di essere verniciata nel già famoso rosso Ferrari.
Due giorni dopo, mentre i vari Hawthorn,
La drammatica partenza del Gran Premio
del 1978, subito interrotto per l’incidente
che causerà poi la morte di Ronnie Peterson.
Sotto, Ascari sorridente dopo una vittoria.
Musso, lo stesso fresco vincitore di Monaco, Trintignant, provano a Monza, nella vicina Milano la città si fermava per rendere omaggio al suo campione. Ancora oggi, nei documenti ufficiali, quella piega a sinistra si chiama Curva del Vialone, ma da
quel giorno a furor di popolo ha preso il
nome di Ascari, ribadito un ventennio più
tardi quando al suo interno è stata creata
la prima celebre variante.
I primi tragici Gran Premi
Il tragico incidente di Ascari riportava un
velo nero sulla pista monzese dopo sedici anni dall'ultima vittima a quattro ruote,
Emilio Villoresi, fratello di quel Gigi che
era stato proprio il miglior amico dello
stesso Ascari.
Come spesso succedeva in quegli anni, le
cause reali di un incidente non erano facili da decifrare. Anche nel caso di
Villoresi spuntarono varie versioni, da
un'improvvisa congestione del pilota alla
rottura dello sterzo della sua Alfa 159,
per l'improvviso scarto a sinistra all'uscita del Curvone che lancia le auto verso
le successive curve di Lesmo. Inoltre, l'incidente era avvenuto durante una sessio-
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LA NOSTRA STORIA
In alto, gli inutili soccorsi a Ugo Sivocci. Sopra, Giuseppe Campari. In basso, il tedesco della Ferrari,
Taffy Von Trips, ed un fotogramma della carambola che costò la vita a lui ed a quindici spettatori.
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ne di prove private in tempi in cui, in
queste occasioni, non erano previsti
commissari lungo il percorso. Erano gli
stessi uomini ai box che, nel non vedere
passare l'auto davanti a loro, intuivano
che si era verificato un problema, spesso
di natura tecnica e con nessuna conseguenza drammatica.
A volte, purtroppo, la situazione si presentava nella sua drammaticità agli occhi
dei primi soccorritori. Lo stesso Enzo
Ferrari lo sperimentò in prima persona
sabato 8 settembre del 1923, giorno di
prove in vista del Gran Premio d'Italia
previsto il giorno dopo. Infatti, ci fu anche
Ferrari fra coloro che portarono le prime inutili cure all'amico Ugo Sivocci che
si era schiantato contro un albero.
L'incidente dell'italiano avveniva un anno
esatto dopo la morte, sempre il sabato
del Gran Premio, del pilota della Austro
Daimler, il tedesco Gregor "Fritz" Kuhn.
Quindi, ad una sola settimana dall'inaugurazione del circuito, celebrata con la gara
delle Vetturette del 3 settembre, Monza
richiedeva già il suo tributo in termine di
vite umane.
Due settimane prima del tragico evento
di Sivocci del '23 c'era stato, proprio in
preparazione del Gran Premio d'Italia, il
decesso al vicino ospedale monzese del
pilota della Fiat Enrico Giaccone, uscito
di pista mentre stava percorrendo alcuni
giri di pista seduto al fianco dell'altro pilota ufficiale della squadra torinese,
Pietro Bordino.
Dopo Khun nel '22, Giaccone e Sivocci
l'anno dopo, ecco che anche il Gran
Premio del 1924 è offuscato da una tra-
Tanta paura e poco più
La lista delle vittime in Autodromo avrebbe potuto essere più
lunga perchè, oltre agli eventi mortali successi, un gran numero incidenti si sono risolti solo con danni ai mezzi o agli stessi piloti. Difficile, se non impossibile, elencare tutti questi avvenimenti, ma alcuni sono famosi sia per la dinamica avuta sia
per i loro protagonisti.
Schiere di piloti, ma anche di commissari di pista, hanno fatto
ricorso alle cure mediche per incidenti più o meno gravi, causati a volta per imperizia loro o per mancanza di elementari
norme di sicurezza.
Per questo partiamo da una banale uscita di pista, l'8 giugno
del 1952, che però ebbe come conseguenza di fermare per
un anno la stagione del Campione del Mondo in carica Juan
Manuel Fangio (a destra). Arrivato in circuito alle due del pomeriggio, dopo un estenuante viaggio notturno in auto da
Parigi a Monza, salì sulla sua Maserati da Gran Prix per una gara minore. Al secondo giro, per un errore dovuto alla stanchezza, volò letteralmente negli alberi di Lesmo con il risultato di tre mesi di gesso e stagione finita.
Molti altri piloti sono planati contro le piante del Parco di
Monza, soprattutto a Lesmo. Ha fatto storia l'uscita di pista
del neozelandese Chris Amon con la Ferrari durante il Gran
Premio del 1968 (in basso), anche perché mentre era in volo
ebbe la freddezza di staccare il condotto della benzina per
evitare ulteriori drammi.
Sorte peggiore, nello stesso punto, era capitata una decina
d'anni prima, quando il milanese Dino Montevago subì l'amputazione di un piede dopo essersi accartocciato con la sua
F.Junior attorno ad un albero. Sorte più dura per l'argentino
Adrian Hang, durante una gara di SuperFormula del 1996,
quando, a poche centinaia di metri dalla prima variante, una
toccata lo spedì contro le barriere ai lati della pista con il risultato di subire la perdita di una gamba e di un piede. Sia
Montevago che Hang erano sconosciuti al grande pubblico,
esattamente come il bergamasco Michele Speciale, rimasto
paralizzato in seguito ad un volo durante una gara del Trofeo
Cadetti nel 1969.
Altro pilota della categoria formativa dell'AC Milano a subire
gravi conseguenze, che ne decretano la fine all'ancor giovane
carriera, è il monzese Andrea Carpani protagonista di una serie impressionante di ribaltamenti in prima variante nel settembre 2002, a cui è seguita una lunga serie di operazioni
mediche per ristabilirsi.
Negli anni Sessanta il maggior nemico dei piloti però era il
fuoco e il 1968 fu un anno particolare sotto questo aspetto.
Si cominciò con l'incendio improvviso della Alfa Gta del tedesco Schultze alla 4 Ore, con il pilota che riuscì a salvarsi
uscendo dal parabrezza esploso un attimo prima di essere divorato dalle fiamme. Sorte capitata invece alla sua Alfa perché l'autopompa inviata sul luogo dell'incidente trovò la strada di servizio sbarrata da quelle del folto pubblico.
Altri due suoi connazionali, Willy Kausen e Karl Von Wendt,
hanno visto impotenti a bordo pista le proprie Porsche prototipo andare completamente distrutte dalle fiamme in due
distinti incidenti durante una lunga sessione di test a dicembre.
Ma di quell'anno così famoso, il Sessantotto, restano impressi
i fotogrammi del tremendo incidente a sette, fra cui tre
Ferrari ufficiali, all'uscita della Parabolica con il volo del francese Jean Pierre Jaussaud sbalzato a bordo pista dall'abitacolo della sua Tecno. La colonna di fuoco alzatasi subito creò panico anche fra i telespettatori di quel Gran Premio Lotteria di
F2 che la Rai stava trasmettendo in diretta.
Una ventina d'anni dopo, stesso punto e ancora diretta televisiva per lo spettacolare ribaltamento della Lotus di Derek
Warwick al termine del primo giro del Gran Premio. Nessuna
conseguenza per l'inglese, che subito chiese ai medici l'ok per
riprendere il nuovo via con il muletto.
Chiudiamo questo elenco, chiaramente incompleto, con il
tremendo incidente alla 1000 Chilometri del 1971, quando,
durante le prime fasi di gara, un'incomprensione fra la
Porsche dello svizzero Willy Meier e la Ferrari 512 privata di
Arturo Merzario scatena l'inferno. La vettura tedesca vola
contro le reti di protezione esplodendo subito con i suoi serbatoi ancora ben carichi.
Nell'incidente resta coinvolta anche l'unica Ferrari ufficiale
presente, affidata in quel momento al belga Jacky Ickx. Meier
se la caverà con alcune fratture mentre anche alcuni spettatori, investiti dalle fiamme della sua vettura, saranno costretti
a ricorrere alle cure dei sanitari.
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LA NOSTRA STORIA
Particolari gli incidenti di cui sono stati vittime il bresciano Norberto Bagnalasta e l'inglese Boley
Pittard, entrambi accaduti alla via delle gare, con l'italiano ribaltatosi dopo un contatto con una
vettura ferma, mentre Pittard spirò in seguito alle ustioni subite nell'incendio della sua Formula 3.
gedia con la morte del conte inglese
Louis Zborowski, uscito di pista a Lesmo
con la sua Mercedes ufficiale, durante le
fasi centrali della gara.
Tragedie da tempi eroici
Sicurezza
che non c’è ancora
Purtroppo quella di Marrazza è una beffa che il 5 maggio 1961 si ripete, pur con
dinamiche diverse, per il trentaseienne
Glicerio Barbolini, al termine della 12
Ore di Turismo Coppa Ascari. Mentre
mancavano poche centinaia di metri al
traguardo la sua Lancia Appia restava in
SCANDROGLIO
A lato leggete il resoconto dell'immane
tragedia del Gran Premio del 1928 con
l'incidente di Materassi, mentre in molte
fonti è possibile trovare informazioni sul-
l'altra giornata segnata dalla tragedia nel
primo periodo di attività dell'Autodromo. Quel Gran Premio di Monza disputato il pomeriggio del 10 settembre 1933,
ironia dalla sorte con la pista ancora calda per la disputa del Gran Premio d'Italia
vinto da Luigi Fagioli, in cui hanno trovato
la morte tre assi di quegli anni. I nostri
Giuseppe Campari e Baconin Borzacchini, usciti lungo un tratto del curvone so-
praelevato sud, mentre poco dopo anche
il polacco Stanislao Czaikowsky era vittima della stessa sorte pochi metri più in là.
Ma di quel periodo definito da molti
"eroico" il caso più strano è riferito alla
scomparsa della promessa Aldo Marrazza. Anche per lui il giorno del Gran
Premio d'Italia, l'11 settembre 1938, fu
l'ultimo della sua giovane vita.
In predicato di passare in breve tempo alle più potenti vetture da Gran Prix, viene
schierato in mattinata con una Maserati
per la gara riservata alle Vetturette.
All'ultimo giro, transitando sul traguardo,
non si avvede della bandiera a scacchi a
causa del fumo sprigionato a bordo pista
da una vettura che sta bruciando.
Prosegue quindi la sua folle corsa e dopo
il Curvone esce di pista schiantandosi
contro un albero. Successive lesioni interne lo porteranno in serata alla morte,
mentre per gli organizzatori è suo il quinto posto nella sua ultima, tragica corsa.
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LA NOSTRA STORIA
Materassi ed il fosso fatale
Sono ben ventidue le macchine che si schierano al via dell'ottavo Gran Premio d'Italia. Fra loro anche le Talbot della
scuderia privata, la prima nata in Italia, gestita dal pilota toscano Emilio Materassi. Gli organizzatori non volevano accettare
queste quattro auto francesi ormai datate, per questioni di
soprappeso, ma una modifica dell'ultim'ora al regolamento ha
concesso al campione italiano in carica di schierarle.
Un bel sole accoglie i piloti sullo schieramento che, per sorteggio, assegna alla Talbot di Brilli Peri e alle Maserati
Borzacchini e Maggi l'onore della prima fila. Materassi scatta
dalla terza fila portandosi subito nel gruppo dei migliori ma
già al terzo giro il motore evidenzia di problemi.
Mentre Nuvolari inizia un duello con altri piloti, fra cui uno
dei primi con il futuro rivale Varzi, Materassi si ferma ai box
per una sosta di controllo. Ripartito inizia una furibonda rincorsa alle posizioni di testa che lo vede compiere alcune manovre estreme. Forse fu proprio questa la causa dell'improvvisa deviazione a sinistra per evitare, all'uscita della curva sud,
la Bugatti di Foresti.
L'auto come impazzita punta dritta verso il fossato ai bordi
della sede stradale. Strappato il semplice reticolato che separava il pubblico, la pesante vettura francese compie un volteggio mortale sugli spettatori ammassati per seguire la gara.
Materassi viene scaraventato lontano morendo sul colpo e
con lui altri ventun corpi vengono raccolti senza vita. Due
giorni più tardi morirà anche il tredicenne figlio del podestà
della vicina Biassono.
La gara continua fra il caos generale, con gli organizzatori che
non sospendono la corsa per consentire alle poche ambupanne e allora il pilota modenese scendeva per spingerla fino alla linea d'arrivo.
Purtoppo un avversario che sopraggiungeva alle sue spalle lo fece volare in aria
procurandogli ferite mortali.
Pochi mesi dopo Monza era protagonista
di un altro grave incidente dalla risonanza ben maggiore, che vide scomparire il
tedesco della Ferrari Taffy Von Trips, e con
lui un totale di quindici spettatori, durante la disputa del Gran Premio d'Italia.
Anche su questo incidente sono state
scritte tante parole, ma a rendere più
chiara la vicenda, da un paio d'anni, è visibile in rete un filmato che riprendere
frontalmente la scena nella sua completa
dinamica.
In quegli anni di corse ancora lontane da
un accettabile livello di sicurezza non poteva non essere tragica protagonista, suo
malgrado, anche la neonata F.Junior. Sono
state addirittura due le vittime dello stesso incidente, accaduto alla Curva del
lanze presenti di portare soccorso alle decine di feriti e trasportare i più gravi nei vicini ospedali. Anche questa mancata
decisione fu un atto di accusa usato contro di loro per aver
mal gestito la situazione, acuendo i richiami sulla pericolosità
insita, fin dagli inizi, nella pista monzese.
Le conseguenze furono pesanti e lo stessa Sias, che già allora
gestiva l'impianto, fu costretta, per far fronte ai danni economici verso le famiglie delle vittime, a ridurre il proprio capitale a una lira e cedere le azioni a una nuova realtà, denominata Società Autodromo di Monza, di proprietà del Reale
Automobil Club d'Italia.
Vialone il 28 giugno del 1959. Sia Alfredo
Tinazzo che Nino Crivellari erano veneti
d'origine, ma il secondo da tempo abitava proprio a Monza e, un mese prima, lì
aveva vinto la precedente gara di F.Junior.
A rendere ancor più drammatica la vicenda purtroppo ci ha pensato la televisione
che agli ignari parenti del primo ha recapitato in diretta la tremenda notizia. Tre
anni più tardi un'altra gara di F.Junior ha
avuto un epilogo amaro con la morte del
fiorentino Marcello De Luca le cui ferite,
al momento dell'incidente, sembravano
poca cosa. Purtrop-po in serata un'emoraggia interna lo condannò per sempre.
Un ultimo periodo triste
Quegli anni Sessanta sono segnati da una
serie di lutti che fra il '64 e il '67 si sono
portati via sei piloti. Per il primo e l'ultimo di questa triste serie, il bresciano
Norberto Bagnalasta e l'inglese Boley
Pittard, la sorte avversa si materializzò al
momento del via, con l'italiano ribaltatosi dopo un contatto con una vettura ferma, mentre il secondo spirò una settimana più tardi in seguito alle bruciature subite nell'incendio della sua Lola di F3.
Di quei tragici eventi resta nella memoria
di molti la tremenda fine dello svizzero
Tommy Spychiger, durante lo svolgimento della prima 1000 Chilometri, il 25
aprile del 1965, con il parabrezza in
plexiglass della sua Ferrari 365 P2 che gli
tagliò la testa nella violenta uscita di pista
alla Parabolica.
Con l'aumento delle misure di sicurezza,
attive e passive, sono diminuite le conseguenze degli incidenti e anche Monza,
per fortuna, ne ha usufruito dei benefici
in termini di risultati. Dopo quel triste
periodo culminato con il rogo di Pittard
sono state quattro le vittime in pista. Le
prove del Gran Premio d'Italia del 1970
si sono portate via il leader di quel mondiale, l'austriaco Jochen Rindt.
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LA NOSTRA STORIA
Caduti su due ruote
Il tributo in termini umani della Monza a due ruote è inferiore di quello derivante dagli incidenti automobilistici, soprattutto per il minor utilizzo in termini di gare e test da parte
delle moto. Tuttavia la pericolosità insista in questa pista fra le
più veloci al mondo ha sempre creato una sorta di timore
maggiore da parte dei piloti motociclistici nei confronti di altri impianti.
C'è una data, il 20 maggio 1973 con la tragedia al Curvone di
Pasolini e Saarinen, che segna un punto focale nella storia di
Monza. Un episodio drammatico che, un mese e mezzo più
tardi, diventa una sorta di non ritorno.
Quel periodo di quarant'anni fa vide morire sull'asfalto monzese due campioni celebrati come il romagnolo e il finlandese durante la corsa italiana del mondiale 250. Si accesero i fari sulla pericolosità della pista, unita alla dinamica mai chiarita
completamente dell'accaduto.
Questo non bastò a comprendere appieno la situazione tanto che, il seguente 8 luglio, furono tre le vittime nel medesimo punto, con più o meno le stesse modalità precedenti.
Carlo Chionio, Renato Galtrucco e Renzo Colombini morirono durante lo svolgimento di una gara di campionato italiano juniores, e per un certo periodo Monza fu bandita dalle
due ruote.
Eppure, a confronto con le quattro ruote, la pista brianzola
sembrava meno "vorace" con i motociclisti, al punto che nel
lungo periodo anteguerra solo un pilota, l'ufficiale della Garelli,
Luigi Galli, morì il 19 settembre del 1926. Il suo incidente avvenne a Lesmo, punto della pista al pari del famigerato
Curvone, dove molti altri sfortunati centauri chiusero la loro
vita. Il più famoso di loro fu Rupert Hollaus, giunto a Monza
con il titolo delle 125 conquistato nella gara precedente e
morto durante le prove del sabato come, anni più tardi capitò
ad un suo connazionale austriaco in Formula 1, Jochen Rindt,
anche lui insignito del titolo mondiale dopo la scomparsa.
Lesmo si portò via anche una promessa del motociclismo italiano, il fresco vincitore del Gran Premio di Svezia Gianni
Degli Antoni, morto il 7 agosto del 1956 durante una solitaria sessione di prove con la Ducati 125 ufficiale. Il modenese
stava preparando l'imminente Gran Premio delle Nazioni di
settembre, l'evento principe che però ha anche segnato la
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Renzo Pasolini e, sotto, Jarno Saarinen ed un’immagine dell’incidente
che, il 20 maggio del 1973, costò la vita dei due grandi campioni.
storia luttuosa di Monza, sia che in pista scendessero le moto
titolate che quelle impegnate con i propri piloti nelle gare di
contorno.
Anche l'ultima volta che Monza ospitò il Motomondiale, nel
maggio del 1987, il tributo venne pagato con la scomparsa di
un giovane genovese, Mauro Ceccoli, perito durante una gara
monomarca alla sua seconda corsa in assoluto su due ruote.
Via le moto da Gran Premio, a Monza inizia l'era delle
SuperBike, che dal 1990 ad oggi ha registrato una sola vittima,
durante le prove delle SuperSport del 1998, con il francese ufficiale Honda Michel Paquay travolto in piena velocità mentre
con un gruppo di rivali si stava avvicinando alla prima variante.
Dalla dinamica sconcertante la tragedia accaduta ad una delle ultime vittime della pista di Monza. Il bolognese Wilmer
Marsigli era impegnato nella gara dell'italiano 250 quando, in
seguito ad una carambola con altri piloti, veniva investito dalla benzina uscita dal suo serbatoio che prendeva subito fuoco. Per lo sfortunato ventitreenne passarono troppi istanti
preziosi prima di spegnare le fiamme che gli procurarono
ustioni che, una decina di giorni dopo, lo hanno condannato
per sempre.
LA NOSTRA STORIA
Jochen Rindt mentre sale in vettura per
le prove del Gran Premio d'Italia del 1970 e,
sotto, Ronnie Peterson, l’altro pilota della
Lotus a cui la gara di Monza è stata fatale.
Gran Premio d'Italia, il suo giorno più triste, fin dall'edizione d'apertura, con la
morte del pilota tedesco Fritz Khun, passando per le tragedie del '28 e del '61,
costate un totale di trentasette spettatori, fino al dramma del via nel GP del '78.
D’ALESSIO
La sua Lotus scartò all'improvviso in
prossimità della Parabolica e le conseguenze furono fatali fin da subito per
l'austriaco. Del suo incidente si è scritto
molto, così come altrettanto si è fatto
per un altro pilota della squadra di Colin
Chapman, Ronnie Peterson, morto nella
notte seguente al tremendo incidente al
via del Gran Premio del 1978.
Diverse fra loro, per evento e dinamica,
le altre due vittime degli anni settanta.
Durante una tentativo di record nel febbraio del 1973 da parte della Ford, con
vetture stradali, usciva di strada nel pieno
di un turno notturno il pilota britannico
di turismo William Bartropp. L'urto contro le barriere era violento tanto che lo
sfortunato trentenne londinese veniva
sbalzato fuori dalla sua Escort attraverso
il parabrezza.
Un anno dopo era la volta di Silvio
Moser, morto in seguito alle ferite riportate per un'uscita di pista. Purtroppo la
sua era una fine evitabile in quanto il pilota svizzero, nel finale della 1000
Chilometri, andò a sbattere all'uscita
dell'Ascari contro una vettura ritiratasi
nelle prime fasi di gara e lasciata in zona
pericolosa dai commissari. Ricoverato
con danni alla testa nel vicino ospedale, il
giorno seguente veniva trasferito in una
clinica svizzera ma, ad un mese esatto
dall'incidente, cessava di vivere senza
aver ripreso conoscenza.
Poi, per fortuna, oltre all'accresciuta sicurezza e capacità organizzativa, più nulla fino al maledetto 10 settembre del 2000.
In quel caso a chiudere la lista dei morti
a Monza un valoroso "Leone della Cea",
Paolo Gislimberti, colpito in pieno petto
da una ruota staccatasi dalla Jordan del
tedesco Frentzen mentre il gruppone
stava arrivando alla staccata della
Variante della Roggia.
Per ora, e speriamo per sempre, quella
domenica è stata l'ultima giornata fatale
di un impianto che nella sua lunga storia
è ai primi posti di una triste graduatoria,
sopravvanzato solo da Le Mans, teatro
della catastrofe più famosa del mondo
delle corse.
Enrico Mapelli
Ultimo tributo,
un Leone Cea
Di questa triste contabilità purtroppo è
proprio l'evento cardine di Monza, il
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