Quando le gare diventano mito

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Quando le gare diventano mito
LA NOSTRA STORIA
Monza story
Quando le gare diventano mito
onza è il Gran Premio d'Italia,
fin dall'inizio. Dopotutto
l'Autodromo Nazionale ha visto la luce novant'anni fa proprio per
venire incontro alla volontà di creare un
luogo deputato alla disputa della prestigiosa gara. Nei lunghi decenni seguenti,
fatto salvo alcuni casi circoscritti, il binomio è sempre stato inscindibile al
punto da far diventare di uso corrente
anche la denominazione Gran Premio
di Monza senza timore di confusione.
M
La forza dell’AC Milano
Il perché di Monza è da ricondursi alla
decisione dell'AC milanese di costruire
una sede fissa per dare la concreta possibilità al movimento automobilistico
nazionale, sia a livello tecnico sia di uomini, di poter disporre di un banco di
prova valido per combattere contro le
altre realtà del tempo.
Il sodalizio milanese era, in quel primo
dopoguerra, il più potente e attivo a livello italiano e si era già messo in luce
Seconda puntata della storia dell'impianto brianzolo,
che quest'anno festeggia i suoi primi novant'anni.
Le imprese di piloti e Case entrate nella storia
dell'automobilismo mondiale.
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organizzando nel settembre del 1921 la
prima edizione del GP d'Italia su un
triangolo di strade alle porte di Brescia.
All'indomani della gara bresciana fu evidente a molti che, come stava già avvenendo in altri Paesi, bisognava costruire
un circuito permanente. Monza nacque
con questo intento e il passo logico era
che la gara più prestigiosa, il Gran
Premio d'Italia appunto, si disputasse
come sede naturale in questa pista avveniristica.
L'impegno che AC Milano ha messo in
entrambe le cose - la costruzione e il
mantenimento dell'impianto monzese e
l'organizzazione sempre più crescente
della gara italiana, hanno permesso di
arrivare fino ai giorni nostri, salvaguardando da una parte lo storico circuito e
dall'altra permettendo di scrivere pagi-
ARC. D’ALESSIO
LA NOSTRA STORIA
ne uniche nella storia dell'automobilismo mondiale.
Il Gran Premio d'Italia fin dall'inizio è salito al rango di gara di livello mondiale,
anche quando il torneo iridato era lungi dall'essere istituito. Tutti i più grandi
campioni degli anni Venti e Trenta, oltre
alle monoposto più valide, hanno corso
lungo curve e rettilinei del veloce anello monzese, iniziando a scrivere un albo
d'oro che fra pochi mesi arriverà al capitolo numero ottantatre.
A dare una mano rilevante all'importanza dell'appuntamento va segnalata la valida realtà industriale del motore dell'epoca, che ha visto nella Fiat prima, e in
Alfa Romeo e Maserati dopo, le Case
pronte a raccogliere la sfida agonistica.
Di assoluto valore anche i piloti italiani
che corsero quelle prime edizioni della
gara di casa, piloti di cui ancor'oggi si ricordano con chiarezza i nomi e le imprese sportive.
Un Gran Premio mondiale
Il mondiale di F1, è risaputo, iniziò nel
1950, ma in pochi sanno che a metà degli anni Venti si disputarono tre edizioni
di un Campionato del Mondo Marche
per vetture Grand Prix su più prove,
compresa Indianapolis, e con l'assoluto
obbligo di partecipazione alla gara di
Monza, pena l'esclusione dalla classifica
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ARC. D’ALESSIO
finale. Questo è uno degli esempi che
conferma come in quel periodo pioneristico gli organizzatori milanesi dettassero
legge anche a livello internazionale.
Con la vittoria di Gastone Brilli Peri il 6
settembre del 1925 l'Alfa Romeo si aggiudicò la prima edizione di questo
Mondiale Marche e, per ricordare l'evento, da quel giorno lo stemma della casa
milanese fu contornato da una corona
d'alloro.
Venticinque anni dopo la vittoria di Brilli
Peri, Monza vive un'altra giornata trionfale dell'Alfa Romeo. Nel 1950 Giuseppe
Farina e Juan Manuel Fangio si giocano il
primo vero Campionato del Mondo sulla pista monzese, settima e ultima gara di
una stagione dominata dalle 158 costruite nella vicina Milano.
A Monza si era tornati a
correre il Gran Premio
d'Italia solo l'anno prima,
l'11 settembre 1949, undici
anni esatti dopo la vittoria
di Tazio Nuvolari con
l'Auto Union. Di mezzo
c'era stata la guerra con le
sue devastazioni fisiche e
morali per giungere poi ad
una ricostruzione dell'Autodromo andata avanti fra
mille difficoltà.
Due nomi entrano di prepotenza nella storia dell'automobilismo sportivo quel
giorno: Alberto Ascari e la
Ferrari. Il primo è figlio di
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un grande campione degli anni Venti, vincitore a sua volta del Gran Premio nel
1924, mentre l'altro è un nuovo marchio
italiano che da due stagioni si è affacciato
nel panorama dei costruttori di auto.
Ascari rivincerà altre due volte la corsa
monzese valida per l'iride ma proprio
sulla pista brianzola troverà la morte un
mezzogiorno di maggio sei anni dopo il
suo trionfo del 1949.
In alto Enzo Ferrari col neo campione del
mondo Albero Ascari, sulla griglia di partenza
del GP d’Italia del 1952. Al centro la LotusClimax 33 di Jim Clark precede la Ferrari
di Bandini e la Brabham di Dan Gurney nel
GP d’Italia del 1965. In basso le due Ferrari
312 F1 di Ludovico Scarfiotti e Mike Parkes
che si classificheranno al primo e secondo
posto nel Gran Premio d’Italia del 1966.
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Peterson con la March, il pluricampione del mondo di motociclismo Mike Hailwood con la Surtees, il promettente parigino François Cevert sulla Tyrrell e le due BRM 12 cilindri di
Peter Gethin e Howden Ganley.
Quest'ultimo ha problemi di potenza e non ha quindi lo spunto sufficiente per giocarsi l'imminente volata. Per il restante
quartetto invece tutto è ancora da definire dopo ben trecento chilometri corsi tutti d'un fiato, senza soste ai box come si
usava fare in quei mitici anni Settanta.
In Parabolica si presentano aperti a ventaglio in tre. Gethin all'interno, Peterson al centro mentre, confinato all'esterno, resta penalizzato Cevert. Lo svedese punta per primo la curva,
ma la sua March sbanda e questo gli costa terreno prezioso.
Gethin intuisce la difficoltà dell'avversario e si butta all'interno
uscendo al comando dalla curva finale. Nelle restanti centinaia
di metri che portano all'arrivo Peterson cerca di ridurre il distacco sfruttando la scia, ma quando esce dalle spalle della
BRM il traguardo è sotto le loro ruote.
Gethin vince per un centesimo di secondo davanti allo svedese, che a sua volta batte di otto centesimi Cevert. Attaccati ai
primi tre anche gli altri due fuggitivi, Hailwood e Ganley, per
una corsa che però, all'epoca, ha sollevato più critiche che
consensi.
Oggi una gara che vede un gruppo di piloti alternarsi al comando e giocarsi il tutto per tutto in volata sarebbe il massimo per gli appassionati. Ma la Monza di quel periodo è un carosello di centinaia di chilometri che vede i piloti intenti solo a
sfruttare la scia per giocarsi il tutto per tutto all'ultimo momento. Quello vincente.
All'indomani della gara monzese s'intensificano le richieste di
cambiamento del tracciato monzese e l'AC Milano giocoforza
è costretta a rendere operative quelle variazioni che da tempo erano allo studio ma che, per vari motivi, non erano ancora diventate operative.
L'edizione del 1971 diventa così l'ultima a disputarsi sulla pista
stradale originale, senza le famose "chicanes" che verranno
realizzate la primavera successiva, e ci sono volute più di trenta edizioni della corsa per battere quella fantastica media di oltre 242 chilometri all'ora fatta segnare, nel giorno più importante della sua carriera sportiva, dal britannico Peter Gethin.
Per gli inglesi il Gran Premio d'Italia del 1971 è considerata
una gara fra le più importanti della storia dell'automobilismo.
Di certo alla vigilia non aveva motivi d'interesse epocali, soprattutto di classifica, visto che il campionato l'aveva già fatto
suo in Austria, a metà agosto, un imprendibile Jackie Stewart.
Per cui Monza '71 non può dire niente sotto questo aspetto,
ma rimane pur sempre un appuntamento importante e pieno
di fascino.
Fra le novità tecniche presenti spicca la rivoluzionaria ma deludente Lotus 56B di Emerson Fittipaldi, un'auto a trazione integrale senza il classico cambio, con kerosene come combustibile e una turbina d'elicottero riadattata come motore. Il
brasiliano boccia definitivamente, a ragione, la creatura di
Colin Chapman visto che dodici mesi più tardi, proprio a
Monza, vince gara e titolo.
Ma torniamo al 5 settembre 1971 con ventitrè piloti schierati, alle canoniche 15 e 30, per il via dei cinquantacinque giri
previsti. Alla partenza, il primo colpo di scena, o per meglio dire d'astuzia, con Clay Regazzoni che, per far fronte ad una una
scommessa con degli amici, approfitta della consuetudine dello starter Gianni Restelli a dare il via solo con le prime monoposto ferme e scatta come un fulmine dalla quarta fila. Così,
dopo una lotta a ruote inchiodate con l'amico e connazionale Jo Siffert, si presenta al comando delle operazioni al termine del primo giro con la sua Ferrari 312 B2.
La gara prende subito la piega che ormai da tempo sul velocissimo, e poco selettivo, tracciato brianzolo è una costante e
raggruppa un folto gruppo di monoposto a giocarsi le prime
posizioni. Alla fine, dopo continui cambi al comando, saranno
ben otto i piloti a transitare in testa davanti alla direzione gara
almeno una volta. Man mano che escono di scena i protagonisti si giunge alla fase finale con un gruppo formato da sei piloti, tutti senza una vittoria all'attivo fino a quel momento della loro carriera.
Da quel gruppo perde contatto Chris Amon con la Matra e,
all'inizio dell'ultimo giro, restano in lizza lo svedese Ronnie
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1971: per un centesimo di gloria
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Ferrari ed i pochi
italiani per Monza
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Più lunga e più felice la storia monzese
per la Ferrari che spesso è ripartita da
Monza con ottimi risultati, fossero l'ambita vittoria oppure un piazzamento importante nella corsa al campionato in corso.
Lo stesso Enzo Ferrari riteneva l'appuntamento monzese un momento particolare della stagione agonistica e spesso, in
occasione dell'avvicinarsi della classica
italiana, spronava i propri tecnici a realizzare nuovi particolari che potessero alzare il livello prestazionale delle proprie
monoposto.
Ma il Gran Premio ha riservato, pur se
pochi, anche momenti amari per il
Cavallino modenese. La tragedia del
1961, con la morte del leader iridato
Taffy Von Trips e quindici spettatori, e i fi-
schi rivolti in prima persona allo stesso
costruttore modenese da una parte dei
tifosi ferraristi alla vigilia della gara del
1971, sono due episodi rimasti famosi.
Proprio per quest'ultima inaspettata
contestazione lo stesso Ferrari da quel
momento decise di rinunciare all'immancabile presenza alle prove ufficiali nei successivi appuntamenti monzesi.
Dal 1949 Ferrari e Monza sono una costante indissolubile che, con il passare
degli anni e la crescita d'interesse legata
al mondo della F1, ha contribuito ad alimentare il mito della squadra modenese
e al tempo stesso richiamare migliaia di
suoi appassionati tifosi sugli spalti brianzoli per applaudire i portacolori della
Rossa di Maranello.
In molte occasioni, specie nei primi anni,
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Le due Ferrari 312 T di Niki Lauda e Clay
Regazzoni scattano dalla prima fila nel 1975.
Di lato la nera Lotus di Emerson Fittipaldi che,
vincendo il Gran Premio del 1972, si laurea
campione del mondo. In basso Mario Andretti,
nel 1977. A destra due vittorie storiche con
Scheckter nel 1979 e con Schumacher nel 2000.
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di, si rifarà ai suoi danni arrivando quarto, grazie anche al rallentamento del compagno François Cevert. Cosa che invece
Colin Chapman non chiese al compagno di Fittipaldi, il vincitore Peterson, e questo fu uno dei motivi per cui il paulista salutò la Lotus a fine stagione.
Come Stewart nel 1973, due anni dopo anche Niki Lauda si
accontenta di un piazzamento, terzo dietro a Fittipaldi, nella
gara vinta dal compagno di team Clay Regazzoni, cogliendo
così il suo primo titolo. Alloro arrivato in maniera strana invece a Jack Brabham nel 1966 che, dopo aver dominato la
stagione, si ritrova con i soli Stewart e Surtees ancora in grado di batterlo, pur se entrambi costretti a vincere e sperare
nel ritiro dell'australiano.
Quest'ultimo in effetti esce di scena nelle fasi iniziali, ma come lui anche i diretti rivali e, nel giorno del trionfo ferrarista
con Scarfiotti e Parkes, il suo titolo arriva a metà gara mentre
è seduto sul muretto.
A partire dagli anni Ottanta, il mondiale si allunga e, dopo la
stagione europea, il calendario si riempie di gare e così diventa Suzuka la pista decisiva, laureando il Campione del
Mondo ben dieci volte fra il 1987 e il 2003.
Monza però resta fondamentale per la lotta al titolo, come dimostra Michael Schumacher che nel 2000 batte il rivale Mika
Hakkinen sulla pista italiana rilanciandosi nella lotta verso un
titolo, poi arrivato appunto a Suzuka, che mancava in Ferrari
da ben ventuno anni.
Fino alla fine degli anni Settanta c'erano due caratteristiche
del Gran Premio d'Italia che ne facevano un appuntamento
fondamentale nel Mondiale di F1. In molte occasioni si notavano team manager e piloti intenti a perfezionare accordi nei
viali del paddock brianzolo e, nel giro di poco tempo, ufficializzare l'ingaggio per la stagione seguente. Oppure, se l'accordo era stato siglato tempo prima, la consegna era di rivelarlo
al mondo intero in occasione della gara monzese, scelta che
contribuiva, per l'interesse intrinseco dell'evento, ad aumentare la risonanza mediatica dell'accordo.
Erano tempi diversi, senza manager personali da una parte e
schiere di avvocati dall'altra. Tempi in cui ogni pilota si muoveva autonomamente senza dover attendere necessariamente la mossa di un collega in quella che, invece oggi, sembra
una scacchiera con tanto di pedine numerate.
L'altra caratteristica del Gran Premio d'Italia era la sua importanza ai fini del Mondiale. Fino al 1979, per undici volte, al
termine della corsa monzese, ecco salire agli onori della cronaca, oltre al logico vincitore del Gran Premio, il pilota che
quel giorno era riuscito a scrivere il proprio nome nell'albo
d'oro più importante. Dalla lotta fra gli alfisti Nino Farina e
Manuel Fangio nel 1950 ai ferraristi Jody Scheckter e Gilles
Villeneuve del 1979.
In mezzo ci sono giornate dal risvolto nobile, come Peter
Collins che nel 1956 cede la sua vettura a Fangio, mossa che
consente all'argentino di chiudere secondo la gara e vincere
il mondiale, nonostante proprio l'inglese sia l'unico ancora in
grado di poterlo battere in termini di classifica.
Momenti tragici come gli unici due titoli andati ad un pilota
statunitense, Phil Hill nel 1961 e Mario Andretti nel 1978, che
vedono scomparire tragicamente i rispettivi compagni, Taffy
Von Trips e Ronnie Peterson, rimasti gli unici avversari nella
corsa verso l'iride.
Ci sono state vittorie di prepotenza al termine di stagioni
trionfali, come quelle degli scozzesi Jim Clark e Jackie Stewart,
davanti a tutti in pista e ai punti nel 1963 il primo, e sei anni
dopo il secondo. Come loro anche Emerson Fittipaldi, nel
1972, vince sullo stradale brianzolo e si laurea Campione del
Mondo battendo quello stesso Stewart che, un anno più tar-
ARC. D’ALESSIO
Quando Monza valeva il titolo
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ARC. D’ALESSIO
ARC. D’ALESSIO
sulla monoposto emiliana sedeva un pilota italiano e questo contribuiva a rendere più importante un eventuale
trionfo. Dopo l'inaspettata vittoria di
Lodovico Scarfiotti nel 1966, è iniziata
una lunga parentesi, che prosegue tuttora, in cui nessun pilota italiano è più riuscito a vincere la gara di casa. Ci è andato vicino negli anni Ottanta in due occasioni, proprio su una Ferrari, Michele
Alboreto. Un suo eventuale trionfo
avrebbe veramente rappresentato la vittoria sulla pista di casa in quanto il giovane milanese è nato, agonisticamente parlando, lungo i rettilinei monzesi nelle
affollate volate del Trofeo Cadetti.
Gli eroi monzesi
degli anni Settanta
Due nomi, entrambi protagonisti della
gara monzese negli anni Settanta, meritano una menzione particolare. Sono Clay
Regazzoni e Ronnie Peterson. In quel de56
La Brabham turbo di Riccardo Patrese guida
il gruppo dopo il via nel Gran Premio d’Italia
del 1983 (in alto). Sopra la Ferrari di Alboreto
nei box di Monza nel 1985, in basso Ayrton
Senna, vincitore della gara del 1990.
In basso, nella pagina a fianco, l’arrivo
trionfale del sette volte iridato Michael
Schumacher nel Gran Premio d’Italia del 2003.
cennio così spettacolare, pieno di fermento tecnico e di crescita d'interesse
legato alla F1, questi due piloti hanno vissuto giornate importanti della loro carriera sulla pista monzese. Lo svizzero ha
trionfato due volte con la Ferrari, nel
1970 al suo quinto gran premio in F1, e
cinque anni più tardi nel giorno del primo mondiale di Lauda, ma per lui va sottolineato che, anche senza vittorie, è stato protagonista assoluto conducendo la
gara monzese in altre occasioni, salendo
sul podio nel 1976 e tre anni più tardi,
nell'ultima sua apparizione a Monza,
quello storico 9 settembre 1979 a fare
da degno supporto sul podio al trionfo
tutto ferrarista di Jody Scheckter e Gilles
Villeneuve.
La presenza di Regazzoni, inoltre, comportava una vera e propria migrazione
dal vicino Canton Ticino che portava su-
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Quelle volte fuori di Monza
gli spalti monzesi migliaia di tifosi elvetici.
Un po' meno numerosi degli svizzeri, ma
altrettanto pittoreschi, erano invece i fans
scandinavi di Peterson. Anche il grande
Ronnie ha sempre fatto bene a Monza,
con tre vittorie fra il 1973 e il 1976,
trionfi che arrivavano dopo la storica volata del 1971 in cui solo il muso più corto della sua March gli costò la vittoria nei
confronti della BRM di Gethin.
Purtroppo Monza fu anche fatale al biondo campione, coinvolto suo malgrado in
una terribile carambola al via dell'edizione del 1978 del GP.
Vecchio Continente. Una storia che proseguirà per venticinque stagioni fino a quando Imola, oberata da infinite lotte interne e insanabili buchi di bilancio, è costretta ad uscire di
scena dal Mondiale nel 2007, autoeliminandosi da possibile rivale di Monza per l'organizzazione di una gara di F1 in Italia.
In tempi più recenti in Brianza hanno visto il loro regno messo in discussione da un'ipotetica gara del Mondiale di F1 nello scenario dell'Eur a Roma. Il progetto è saltato in mezzo a
polemiche di varia natura, ma non per questo i dirigenti monzesi possono dormire sonni tranquilli all'infinito. Anche perché il prossimo mese di maggio il mondo della F1 sarà di scena al Mugello per tre giorni di test, unica concessione della federazione durante la stagione. E se si trovano bene.....
ARC. D’ALESSIO
Monza è la casa del Gran Premio d'Italia comunemente riconosciuta, praticamente insostituibile, ma non è sempre stato
così. Bisogna per logica escludere, seppur per motivi differenti, i periodi dei due dopoguerra, in cui l'Autodromo Monzese
non era praticabile: nel 1921 il circuito monzese non esisteva
ancora e, nelle due edizioni del 1947 al Parco Valentino di
Torino e l'anno seguente nei pressi della Fiera di Milano, perché non ancora ripristinato dai danni del secondo conflitto
mondiale. In pratica, solo due volte Monza ha dovuto cedere
il suo scettro e lasciare spazio ad altri: nel 1937, sulla pista cittadina di Livorno, e nel 1980, unica volta nel mondiale, a
Imola. Nel primo caso ci furono scelte politiche ben precise
con il ministro livornese, e genero del Duce, Galeazzo Ciano
a perorare con forza la causa.
Diverso il caso di Imola che, anche con la spinta decisiva dello stesso Enzo Ferrari, ambiva da tempo a entrare nel giro
delle prove del Mondiale di F1. Così, dopo una gara sulla pista imolese non valida per il titolo organizzata nel settembre
del 1979, ecco che un anno più tardi Monza deve cedere l'esclusiva della sua gara più prestigiosa alla rivale romagnola. Ma
sarà un caso unico, perché già dal calendario successivo, quello del 1981, la federazione inserisce due gare in Italia, superando così il principio dell'alternanza dei circuiti che invece
era utilizzato in altri paesi.
A Imola ecco disputarsi il neonato Gran Premio di San
Marino ad aprire la parentesi europea e, sempre a settembre,
spetta ancora a Monza la chiusura della stagione di corse nel
Da Piquet a Vettel
In tempi più recenti altri nomi sono legati alla gara monzese come trionfatori.
Nelson Piquet vinse tre volte il Gran
Premio d'Italia a Monza e una, l'unica
mondiale disputata lontano dalla Brianza,
a Imola nel 1980. Tre vittorie anche per
Alain Prost mentre il suo rivale storico,
Ayrton Senna, è ripartito dal Parco con
la coppa del vincitore due volte, nel 1990
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LA NOSTRA STORIA
ARC. D’ALESSIO
e due anni dopo, ma di lui si ricordano
prima di quelle cavalcate vincenti anche
le tre vittorie gettate al vento mentre
era al comando.
Nel 1987, un'indecisione nel doppiare
l'Osella di Piercarlo Ghinzani gli costò il
comando a vantaggio del poco amato
connazionale Piquet. L'anno seguente, il
clamoroso errore a pochi chilometri
dall'arrivo ancora nel doppiare un concorrente, in questo caso il francese Jean
Louis Schlesser con la Williams, lasciando la strada aperta all'accoppiata ferrarista Berger-Alboreto. Nel 1989, solitario al comando, vide esplodere il suo
Honda, che lo mandò in testacoda
sul proprio olio all'ingresso della
Parabolica.
Da Senna ad un altro grandissimo della
F1, Michael Schumacher. Il tedesco a
Monza ha colto i suoi primi punti iridati nel lontano 1991, al debutto con la
Benetton. L'anno dopo sale sul podio
monzese per la prima volta, terzo sempre con la Benetton, ma è a partire dal
l996, in concomitanza con il suo arrivo
in Ferrari, che la pista brianzola diventa
terra di conquista per il pilota tedesco.
Dieci partecipazioni con la Rossa che gli
consentono di vincere cinque volte, di
salire sul podio altre due volte, come
secondo alle spalle del compagno di
squadra Rubens Barrichello, di cogliere
altri due arrivi a punti fuori dal podio e
con un semplice piazzamento, decimo
nel 2005, non subire mai l'onta del riti-
Da quando corre per la Ferrari Fernando Alonso
(in questa pagina) è sempre stato un protagonista
del Gran Premio d’Italia di Monza: nel 2010
si è aggiudicato la gara, battendo sul filo di lana
la McLaren di Jenson Button, mentre lo scorso
anno è riuscito a salire sul gradino più alto del podio,
pur guidando una “rossa” non in grande spolvero...
ro di un'amata Ferrari davanti al pubblico di casa. Anche Barrichello ama
Monza e il suo Gran Premio grazie ai
tre primi posti e i due podi ottenuti in
carriera, mentre fra i piloti del prossimo
mondiale il campione in carica
Sebastian Vettel e l'alfiere della Ferrari
Fernando Alonso vantano due vittorie a
testa con altrettante marche diverse.
Ma il vincitore è il pubblico
Fin qui, pur se in pillole, la storia sportiva e di risultati del Gran Premio d'Italia.
Ma, la gara monzese è anche altro, è festa di colori e di pubblico. Quello stesso pubblico che fin dalla sua prima edizione ha riversato direttamente sull'a-
LA NOSTRA STORIA
sfalto ancora caldo dalle imprese dei
propri beniamini un entusiasmo unico.
L'invasione a fine corsa, un marchio di
fabbrica monzese, trova la sua svolta
con la vittoria di Regazzoni nel 1970
con la Ferrari. Allora il podio veniva allestito in fretta e furia portando un baldacchino a centro pista. Fu un'esplosione di gioia che accolse migliaia di appassionati nell'ampio rettilineo d'arrivo
e che sommerse il campione elvetico
portato in trionfo fino alla meritata corona d'alloro. Immagini che ogni volta
riempiono di brividi quegli stessi piloti
che hanno la fortuna e l'abilità di salire
sul podio monzese per godere di questo spettacolo unico, sentire il calore
dei tifosi materializzarsi sotto i loro occhi. Le istantanee del passato ci riportano anche alle muraglie umane che
per decenni vedevano arricchirsi ai
bordi della pista monzese. Le prime avvisaglie ci furono negli anni Sessanta
con la scalata ai posti più in alto dei giganteschi cartelloni dei vari sponsor,
che alla fine rimanevano tappezzati di
buchi da questo formicaio umano.
Oggi le parti più importanti del tracciato hanno comode tribune e i regolamenti interni vietano la costruzione di
posti di fortuna. Nei tempi eroici della
passione monzese c'erano schiere di
giovani appassionati pronti, già nei giorni precedenti l'evento, ad erigere di sa-
na pianta tribune a forma di balconate,
utilizzando vari sistemi che creavano un
effetto unico, pericoloso e fantasioso allo stesso tempo.
Erano lampi di passione che portava migliaia di persone da tutt'Europa a campeggiare in Autodromo, all'interno di un
polmone verde unico, per condividere
giorni di sport e vita in amicizia.
Anche questo è diverso oggi, con le limitazioni alla sosta notturna all'interno
del perimetro dell'Autodromo, ma questo non toglie che Monza rimanga un
evento che continua ad attirare migliaia
di persone vogliose di vivere appieno
un appuntamento storico.
Enrico Mapelli
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