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Penale Sent. Sez. 1 Num. 39707 Anno 2016
Presidente: VECCHIO MASSIMO
Relatore: SARACENO ROSA ANNA
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sul ricorso proposto da:
LAUCIELLO NICOLA N. IL 28/05/1954
avverso la sentenza n. 17/2015 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA del 27/05/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/03/2016 la relazione fatta
dal Consigliere Dott. ROSA ANNA SARACENO
Udito il Procuratore Generale in persovi?, del Dott.
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Corte di Cassazione - copia non ufficiale
Data Udienza: 15/03/2016
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza resa il 27 maggio 2015 la Corte militare di appello
confermava la sentenza, 28 ottobre 2014, con la quale il giudice dell'udienza
preliminare del Tribunale militare di Napoli aveva ritenuto l'imputato Lauciello
Nicola, comandante della sezione operativa della compagnia della Guardia di
Finanza di Rossano, responsabile del delitto di insubordinazione con ingiuria
aggravata di cui agli artt. 189 c.p.m.p., comma 2, 190 c.p.m.p., comma 1, n. 2,
circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 48 c.p.m.p., comma 2,
stimate prevalenti sulle contestate aggravanti, con la diminuente per il rito, lo
aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione militare, con i doppi
benefici di legge.
1.1 II fatto, ritenuto pienamente provato nella sua materialità, era stato
commesso in Rossano, il 25.10.2013, allorché, nel corso di una perquisizione
presso l'abitazione del Lauciello, eseguita ai sensi della normativa in materia di
accise, l'imputato aveva contestato la legittimità e l'opportunità dell'operato dei
suoi commilitoni, dapprima rivolgendo indistintamente agli operanti la frase " ora
vi faccio vedere io... vi faccio vedere io...mi dispiace che qualche ragazzo ci andrà
di mezzo"; successivamente pronunciando all'indirizzo del capitano Triola,
comandante della Compagnia di Rossano e suo superiore in grado, in sua
presenza, le parole " vattene a fare in culo, stronzo, hai capito bastardo? Hai
rotto il cazzo, hai capito che hai rotto il cazzo?.. .non te lo sei portato lo
sceriffo?", così offendendone il prestigio, l'onore e la dignità.
1.2 La Corte di appello, in sintonia con le conclusioni raggiunte dal primo
decidente, ha ritenuto che il fatto fosse stato commesso per cause inerenti al
servizio e alla disciplina militare e non estranee agli interessi istituzionali tutelati,
con la conseguenza che sussisteva e risultava pienamente integrato il reato
contestato come insubordinazione, ai sensi dell'art. 189 c.p.m.p., comma 2,
mentre non vi era spazio per la ricorrenza delle cause di esclusione di cui all'art.
199 c.p.m.p., evocato dall'appellante, e per la derubricazione del fatto a reato
contro la persona - e non contro la disciplina militare- previsto dall'art. 226
c. p. m . p..
1.3 Ha respinto, inoltre, la richiesta di esclusione della punibilità ai sensi
dell'art. 131 bis cod. pen., valorizzando le connotazioni modali della condotta,
contraddistinta dalla particolare grevità delle espressioni offensive e da accesa
animosità.
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47 c.p.m.p, n. 2, in danno del capitano Tigri Nicola e, per l'effetto, riconosciute le
2. Avverso la ridetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
l'imputato, a mezzo del suo difensore avvocato Giuseppe Zumpano, il quale ne
ha chiesto l'annullamento, articolando due motivi.
2.1 Con il primo denunzia violazione della legge penale per erronea
applicazione degli artt. 189 e 199 c.p.m.p. e vizio di motivazione per
contraddittorietà e manifesta illogicità. Ad avviso del ricorrente, la Corte
territoriale ha erroneamente negato la ricorrenza delle cause di esclusione del
reato di insubordinazione di cui all'art. 199 c.p.m.p., in particolare ravvisando
Lauciello, libero dal servizio, senza qualificarsi come militare e senza far valere
tale sua posizione, avesse agito da privato cittadino, fondatamente ritenendo
illegittimo l'operato dei finanzieri e, di conseguenza, reagendo verbalmente nei
confronti di chi dirigeva quell'operazione. La condotta tenuta non presentava
alcuna correlazione funzionale con il servizio e la disciplina militare, con la
conseguenza che, nella specie, non era da ritenere applicabile la speciale
fattispecie preordinata alla tutela del rapporto di gerarchia militare; si trattava al
più di ingiurie militari semplici, non procedibili per difetto della prescritta
richiesta del comandante del corpo.
2.2 Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale per erronea
applicazione dell'art. 131 bis cod. pen. e vizio di motivazione, contestando la
ritenuta insussistenza della causa di esclusione della punibilità, della quale
ricorrevano, al contrario, i presupposti di legge: estemporaneità della condotta,
esiguità del danno, modestia del fatto e del suo disvalore, positiva personalità
dell'imputato, parametri valorizzati dal primo giudice in punto di dosimetria
sanzionatoria, riconoscimento delle attenuanti applicate e concessione dei
benefici di legge.
Considerato in diritto
Il ricorso, infondato, deve essere rigettato con ogni dovuta conseguenza di
legge.
1. Va premesso che il ricorrente non ha contestato la condotta in fatto,
come addebitata e riconosciuta in entrambi i giudizi di merito, che deve dunque
ritenersi definitivamente accertata. Invero, come correttamente rilevato dalla
Corte di appello, le frasi pronunciate nelle circostanze di tempo e di luogo
descritte nell'imputazione non hanno costituito oggetto di negazione da parte
dell'imputato, la cui reazione ingiuriosa nei confronti del capitano Tigri sarebbe
stata indotta, come sostenuto e ammesso, dalla ritenuta illegittimità della
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una correlazione tra la condotta e le ragioni di disciplina militare, sebbene il
perquisizione e dalle sue modalità di esecuzione " con spropositato impiego di
forza militare".
2. Il tema proposto con il primo motivo di ricorso si incentra tutto sulla
ritenuta insussistenza delle cause escludenti il reato di insubordinazione ai sensi
dell'art. 199 c.p.m.p.. Non è condivisibile, ad avviso del ricorrente, l'analisi svolta
dalla Corte militare in ordine alla portata e al tenore delle contestate violazioni di
legge, poiché questa Corte e la Corte costituzionale hanno escluso la punibilità
del fatto quando l'ingiuria e la minaccia sono indirizzate a un militare in servizio
non menzionando il grado né facendo implicito riferimento al valore e al peso
dello stesso, non ha leso i principi connessi alla disciplina militare; la condotta
tenuta non è consistita in una manifestazione di disprezzo nei confronti del
superiore in quanto tale, ma si è limitata ad un semplice sfogo, sia pure
culminato in frasi ingiuriose, in un contesto estraneo all'area degli interessi
connessi alla tutela del servizio e della disciplina.
2.1 Ebbene, sul tema specificamente dedotto con l'impugnazione, non può
che essere rilevata l'infondatezza del rilievo censorio e, per contro, la correttezza
della soluzione adottata dai giudici di merito.
La Corte militare di appello, procedendo secondo linee logiche e giuridiche
congruenti con la decisione di primo grado, i cui riferimenti in punto di diritto
all'orientamento di questa Corte ha apprezzato come opportuni, ribadendoli, è,
infatti, pervenuta al rilievo conclusivo della esclusione della dedotta estraneità
del fatto al servizio e alla disciplina rilevando, con congruo richiamo ai dati
fattuali, che: se era vero che il Lauciello si trovava libero dal servizio e presso la
propria abitazione, doveva ritenersi dato pacifico e non controvertibile che la
qualità di militare del predetto, il grado e la qualifica rivestiti fossero noti ai
militari operanti, suoi colleghi di reparto, così come all'imputato erano note le
qualità dei suoi interlocutori, che comunque, prima dell'inizio dell'operazione di
polizia giudiziaria si erano ritualmente presentati e formalmente qualificati; la
discussione insorta tra l'imputato e i finanzieri, impegnati nella perquisizione, e
poi proseguita con il capitano che dirigeva l'operazione, non poteva essere
riduttivamente ricondotta, nell'ottica propugnata dalla difesa, all'intemperante ed
offensiva reazione di "un qualsiasi cittadino", diretta a censurare la presunta
illegittimità di un atto di polizia; l'intento perseguito con la sua condotta si
ricollegava proprio al servizio svolto in quel momento dai militari e dalla persona
offesa, contestato nei suoi presupposti fattuali e giuridici sulla base delle
conoscenze ed esperienze professionali maturate nel corso del servizio prestato
proprio presso la stessa sezione operativa della Compagnia della Guardia di
Finanza di Rossano, cui appartenevano i suoi interlocutori; con le obiezioni
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da un militare non in servizio, ed esso ricorrente, non in servizio e in borghese,
sollevate, dunque, il Lauciello non solo aveva obiettivamente contestato la
legittimità dell'operato del suo superiore gerarchico ma, attingendolo con le
espressioni incriminate, ne aveva significativamente compromesso il prestigio, la
dignità e l'ascendente morale che deve accompagnare l'esercizio dell'autorità del
grado e la funzione di comando.
2.2 Ora, il dato decisivo è che entrambi i giudici di merito hanno ritenuto,
procedendo ad una corretta contestualizzazione oggettiva e soggettiva della
vicenda, inconferente e non perspicua l'obiezione con cui è stato inefficacemente
riferimento alla sua qualità di militare, stimandone superflua l'esternazione.
Lo status di militare di offensore e offeso, assolutamente pacifico e
reciprocamente noto, la sussistenza di un nesso relazionale gerarchico, in una
situazione in cui era oggettivamente certo, altresì, l'agire dell' offeso, superiore
dell'imputato, per ragioni di servizio nonché il collegamento a tali ragioni delle
ingiurie, costituisce il risultato di apprezzamenti di fatto adeguati, logicamente
valutati, che pienamente giustifica la qualificazione delle offese ai sensi del reato
militare ritenuto in sentenza.
È evidente, infatti, che la condotta incriminata non possa, secondo
parametri oggettivi e di comune percezione, essere qualificata estranea all'area
degli interessi connessi alla tutela della disciplina, come del tutto correttamente
motivato dai giudici di merito. Ed invero, il Lauciello era militare in servizio
presso la sezione operativa della Guardia di Finanza di Rossano; la persona
offesa, comandante della compagnia di Rossano ne era il diretto superiore
gerarchico, in atto impegnato nello svolgimento di attività di servizio, contrastata
dall'imputato con la sua condotta dapprima intemperante e poi sfociata in
esternazioni cariche di inequivoco significato penalmente rilevante; l'imputato
era, dunque, soggetto alla disciplina militare, ricorrendo le condizioni per
l'applicazione delle relative disposizioni, attualmente trasfuse nell'art. 1350 del
Codice dell'ordinamento militare, emanato con D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66:
segnatamente, ricorrendo l' ipotesi contemplata (disgiuntamente) dall'art. 1350
citato, comma 2, lett. d), e cioè il caso del militare il quale "si rivolge ad altri
militari in divisa o che si qualificano come tali" ( in termini, Sez. 1 n. 22361 del
16/12/2013 -dep. 2014, Comune, Rv. 259606).
Va, pertanto, ribadita la correttezza giuridica dell'imputazione elevata e
ritenuta.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo di censura.
La Corte di appello, con apprezzamento in fatto, insindacabile in tale sede
perché sorretto da adeguata e logica motivazione, ha attribuito valenza ostativa
alle caratteristiche della condotta oppositiva, connotata dalle pesanti esternazioni
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annotato che l'imputato non si era qualificato né aveva implicitamente fatto
spregiative indirizzate al proprio superiore, alla non comune animosità del
contegno tenuto e alla peculiarità del contesto di realizzazione del fatto,
pervenendo ad un apprezzamento complessivo delle caratteristiche specifiche
della vicenda che hanno giustificato l'irrogazione di una pena nient'affatto
prossima al minimo edittale, essendo stata, quella base, fissata in mesi cinque di
reclusione militare. Un tanto basta per escludere sia le lamentate incongruenze
motivazionali sia la denunciata violazione della disposizione normativa evocata.
Invero, la rispondenza ai limiti di pena rappresenta soltanto la prima delle
alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione e come
già rimarcato da questa Corte, la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità
del comportamento. E la particolare tenuità dell'offesa a sua volta si articola in
due "indici-requisiti" che sono le modalità della condotta e l'esiguità del danno o
del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 cod. pen.,
primo comma, (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra
modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona
offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa). A tali indicazioni
normative correttamente si è attenuta la Corte di merito; né, posta la non
sovrapponibilità tra i criteri direttivi di cui al primo e al secondo comma dell'art.
133 citato, appare critica conferente quella con cui si censura l'omessa
considerazione della personalità dell'imputato, ininfluente ai fini della valutabilità
dell'offesa in termini di particolare tenuità e, viceversa, correttamente
apprezzata attraverso il riconoscimento delle attenuanti generiche e
dell'attenuante dell'ottima condotta militare.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 15 marzo 2016
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Il Presidente
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condizioni per l'esclusione della punibilità che richiede, congiuntamente e non