Gli indecisi della mano - Centro Studi Luca d`Agliano

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Gli indecisi della mano - Centro Studi Luca d`Agliano
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Il Sole 24 Ore
DOMENICA - 8 MAGGIO 2016
n. 125
Debenedetti e il rapporto Stato e mercato
«Le aziende pubbliche locali sono strumento per la fornitura
di servizi ai cittadini o luogo di intermediazione politica?
Producono efficienza o assistenza mascherata?», si chiedeva
Franco Debenedetti anni fa, recensendo un libro sul delicato
rapporto tra Stato e mercato.
www.archiviodomenica.ilsole24ore.com
Economia e società
i fallimenti di stato e mercato
Gli indecisi della mano (in)visibile
ELA BIALKOWSKA/OKNO STUDIO
Franco Debenedetti
ripercorre la storia
della mancata
affermazione in Italia
di una piena
libertà economica
il bergamo festival
di Giorgio Barba Navaretti
«L
a capacità del mercato di autoregolarsi sembra ancora meritevole di fiducia», anche nei
misteriosi e nuovi
scenari del mondo digitale, perché la tecnologia, «dacché c’è storia» ha sempre «rimescolato le carte per nuove mani in giochi
nuovi». La domanda ultima e ovvia del liberista, che si chiede «da noi quanto ha pesato
la prevalenza/presenza dello Stato in economia nel limitare orizzonti, frenare entusiasmi cercare convenienze, ergere difese?» ha però una risposta inattesa, tutt’altro
che banale: «A mancare paradossalmente è
proprio la fiducia nello Stato, nella sua capacità di garantire che il mercato funzioni
correttamente, che a tutti sia assicurato accedervi e a nessuno precluso dal permanere «limiti variabili» | «Enter», di Anna Scalfi Eghenter . La variazione dell'andamento rettilineo
di posizioni di rendita».
di una sbarra d'accesso fa parte del progetto «Limiti variabili», Ventura Lambrate 2015, Milano
In questi estratti dal nuovo libro di Franco Debenedetti c’è forse la sintesi migliore
Certamente Debenedetti ha chiaro in
della complessità del suo pensiero. Quello della mano pubblica. Piuttosto distinte aldi un uomo davvero multitasking, impren- l’inizio della narrazione, ai tempi delle mente quale sia la sua metà del cielo e quella
ditore, manager, senatore, studioso, che ha aziende pubbliche e poi via via sempre più destinata davvero a creare prosperità. È
visto troppo ed è troppo acuto per accon- intrecciate, anche se in modi non sempre molto interessante la sua narrazione in pritentarsi di un modello semplice, come quel- palesi, in un groviglio complesso in cui pro- ma persona di passaggi cruciali per il nostro
lo del liberista più puro. Il suo libro è sull’ spera un’economia di relazione. Da un lato Paese in cui è stato protagonista, spesso ac«insana idea della politica industriale», in- gli obiettivi più o meno nobili del controllo canto a suo fratello Carlo, o comunque testitesa nel senso più ampio possibile, ossia politico, dall’altra quelli del controllo azio- mone privilegiato. Prima come manager/
qualsiasi forma di intervento diretto e indi- nario, delle scatole cinesi su cui è cresciuta e imprenditore: la Gilardini, l’azienda storica
retto dello Stato nei mercati: l’impresa pub- si è sviluppata buona parte della grande in- della famiglia, l’esperienza in Fiat, i lunghi
blica, la regolamentazione dei mercati fi- dustria privata del nostro paese. Un abbrac- anni all’Olivetti e in altre aziende in settori
nanziari, le privatizzazioni, le autorità e co- cio che in molti passaggi è conflittuale e dif- diversi. Poi come politico, senatore del Pds e
sì via. In verità, proprio per l’ampiezza che ficile e che raggiunge il fondo più fondo ai dei Ds dal 1994 per tre legislature. Infine, coattribuisce al concetto di politica industria- tempi di tangentopoli, in molti passaggi dei me acuto e molto prolifico osservatore/
le, è una narrazione/riflessione, in gran processi di privatizzazione effettuate e commentatore/studioso delle vicende
parte autobiografica, dell’evoluzione del mancate (dalle aziende alimentari dell’Iri economiche del nostro Paese. In tutte querapporto tra Stato e Mercato nel nostro Pae- alla Telecom), o di tentativi più o meno ste esperienze Debenedetti è sempre schiese, dal dopoguerra ai tempi di Renzi. Le due espliciti di indirizzare le operazioni di mer- rato dalla parte del mercato e contribuisce
metà del cielo, come le definisce Debene- cato (il governatore Antonio Fazio su Anton attraverso l’attività legislativa a gettare le
fondamenta delle regole del mercato deldetti, quella della mano invisibile e quella veneta e Bnl).
È «Fare la pace» il tema dell’edizione 2016 del
Bergamo festival: fino al 15 maggio studiosi di fama
internazionale, intellettuali, storici, politici e
giornalisti dialogheranno e si confronteranno con il
pubblico su questioni di grande rilevanza e attualità, per capire come
sia possibile
“costruire la pace”
in uno scenario
contemporaneo
sempre più
dominato da incertezze e conflitti. Il 10 maggio
appuntamento alle 21 con Gaël Giraud, chief
economist all’Agence Française de Développement
per discutere del tema «La grande scommessa. Dare
regole alla finanza per salvare il mondo»; il 14 alle 21
è la volta di Richard Sennett su «Le ragioni dell’insieme. La tenuta dei legami sociali nell’età dell’individualismo»; il 15 alle 21 Marc Augé parlerà delle
«Nuove paure». Programma completo e iscrizioni
su www.bergamofestival.it
il 12 maggio a milano
La politica industriale è una «insana idea» o
un «rebus (irrisolto)»? Se ne discuterà a Milano il 12 maggio alle 18, alla Fondazione Corriere della Sera nella sala Buzzati (via Balzan, 3),
con Franco Debenedetti, Luca Garavoglia,
Francesco Giavazzi e Romano Prodi. Coordina
Dario Di Vico. Ingresso solo con prenotazione:
tel. 02 87387707; [email protected]
l’Italia post 1992, l’anno della svolta secondo lui. L’anno in cui con Tangentopoli viene
sconquassata la prima repubblica e si gettano le fondamenta della seconda ed anche
dove prendono forma le migliori esperienze di transizione del quadro istituzionale
verso una vera economia di mercato: le privatizzazioni, il testo unico sulla intermediazione finanziaria, la legge sulle Offerte
pubbliche di acquisto (OPA), la legge sulle
fondazioni bancarie ecc.
Dunque, Debenedetti sa qual è la sua
metà del cielo, ma in tutta la sua narrazione in realtà non la trova mai fino in fondo.
O meglio non trova mai, a parte qualche caso, lo stato di grazia di quella metà del cielo:
il capitalismo puro e i suoi eroi. Certo molti
ci provano e anche ci riescono. Molti giocano sulla base della logica del mercato e anche hanno successo. Ma non ci sono mai i
buoni (gli imprenditori) e i cattivi (i politici). C’è infine un intreccio complesso dove
le grandi partite del capitalismo italiano si
giocano nelle stanze segrete di Mediobanca, che permettono la sopravvivenza spesso di capitalisti senza capitali e dunque deboli raramente, forse mai, in conflitto con
l’altra metà del cielo. E anche dopo la svolta
del ’92, il mercato per la grande impresa
continua a non funzionare come davvero
dovrebbe, si pensi alla privatizzazione Telecom del 1997. Paradossalmente il ’92 è
anche l’anno in cui l’Italia smette di crescere più della media europea ed a convergere
verso i Paesi ricchi. Insomma la fine del capitalismo di Stato non porta a una transizione compiuta verso il mercato, almeno
per la grande industria, che infatti in gran
parte scompare. «È mancato un progetto
culturale capace di contrapporre il valore
Il 1992, l’anno di Tangentopoli,
sembrò segnare una svolta
ma in realtà fu l’inizio
di una decrescita punteggiata
da dubbie privatizzazioni
dell’impresa capitalistica allo statalismo
della politica industriale». Infine, con Berlusconi l’imprenditore si fa Stato. Sopravvive e prospera il capitalismo solo nelle
piccole e medie imprese, attente ai loro
mercati e lontane dal grande gioco delle relazioni. Se di mercato abbiamo bisogno,
nei settant’anni del dopoguerra non l’abbiamo ancora del tutto trovato.
Gli ultimi capitoli del libro sono sull’Italia
di oggi e i primi passi di Renzi. Debenedetti
guarda con diffidenza l’attivismo economico del Governo, attraverso la Cassa Depositi
e Prestiti, nell’Ilva, nella questione della rete
Telecom. Quel che il nostro autore critica è
la presunzione di saper risolvere i problemi
meglio di come avrebbe fatto il mercato.
Questa, dice, è la premessa su cui è nato il disastro dell’industria pubblica. Del resto, però, molti sono i passaggi in cui lo Stato proprio non può starsene con le mani in mano.
Dunque, di metà del cielo ne avremo sempre due. La questione, a cui forse nessuno
ha risposta, è come farle convivere bene.
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© RIPRODUZIONE RISERVATA
Franco Debenedetti, Scegliere
i vincitori, salvare i perdenti. L’insana
idea della politica industriale,
Marsilio, Venezia, pagg. 336, € 18
cronaca vera
di Andrea Di Consoli
Conflitti
da uomini
L
il dio dei maschi
e attuali guerre, spesso terroristiche,
hanno al loro centro, in ombra, una
“questione femminile”. Ci si faccia caso:
tutti i protagonisti delle cronache
bellico-terroristiche di questi ultimi anni sono
di sesso maschile. Giuliana Sgrena, che ha un
punto di vista preciso sul concetto di
“liberazione”, propone una lettura molto
interessante sulla genesi degli attuali conflitti; il
suo nuovo libro, infatti, è intitolato con durezza
apodittica Dio odia le donne (Il Saggiatore, pagg.
204, euro 18,00). La tesi è la seguente: le tre
principali religioni monoteiste sono fondate –
nei testi sacri di riferimento, nelle
interpretazioni, nelle loro concrete incarnazioni
quotidiane – sull’inferiorità e sulla
mortificazione della donna, ridotta quasi
sempre a icona astratta di purezza, a strega o
portatrice di impurità corporale e spirituale. Ci si
chiede cosa sarebbero oggi la Siria o
l’Afghanistan – la Sgrena però non cita mai i
conflitti odierni, benché siano un costante
richiamo inconscio – se a reggerne le sorti
fossero le donne, così distanti dall’orgoglio
virilista dominante. Le tre religioni monoteiste
dovranno per forza di cose fare i conti, se non
vorranno ancora essere usate strumentalmente
dai guerrafondai, con la “questione femminile”.
Non perché le donne siano migliori in astratto, e
dunque ideologicamente, ma perché meritano
finalmente una parte del governo del mondo e
delle fedi religiose.
i boss della camorra
Inutile non dirselo: le biografie dei grandi boss
delle mafie hanno elementi di fascino da cui è
difficile difendersi. Tuttavia, leggendo I boss
della camorra (Newton Compton, pagg. 332,
euro 9,90) di Bruno De Stefano, una carrellata
di puntuali e circostanziate biografie di capi
camorristi – da Raffaele Cutolo a Paolo Di Lauro
– ci si domanda cosa stia diventando oggi la
camorra in assenza di figure carismatiche,
benché diaboliche, quali Schiavone, Alfieri o
Bardellino. L’ultima epopea “epica” della
camorra fu quella, tra il 2003 e il 2007, di
Scampia, allorquando una cruenta faida (Di
Lauro vs. Amato) lasciò sul lastrico quasi cento
camorristi. Sopravvive una mafia all’assenza di
capi carismatici? Oppure la scomparsa di
queste figure così affascinanti e sinistre – come
nel caso della camorra di oggi – testimonia di
una lenta metamorfosi del cosiddetto Sistema a
criminalità comune, pur sempre pericolosa? In
altre parole: qualsiasi tipo di criminalità in
Campania è automaticamente camorra?
© RIPRODUZIONE RISERVATA
anna crespi
Ventotto esercizi d’intelletto
di Stefano Brusadelli
A
l centro di una vasta rete di relazioni costruita anche come presidente (dal 1978) dell’Associazione Amici della Scala, Anna Crespi
ha voluto riunire in un volume le donne e gli
uomini che probabilmente hanno suscitato in lei la più forte curiosità, o la maggiore
attrazione intellettuale. Ne è nato questo
Esercizi di conversazione, che finisce col dare al lettore l’impressione di trovarsi a par-
tecipare a una ben selezionata cena in piedi
in una dimora milanese, dove corre l’obbligo di parlare con sincera e intelligente levità di sé stessi e di molti altri argomenti (evitando per quanto è possibile la politica), a
cominciare da musica, arte figurativa, teatro, letteratura.
In ventotto colloqui, diseguali per estensione, notorietà degli interlocutori e grado
di intimità tra intervistatrice e intervistato,
sfilano personaggi celebri come Alberto
Arbasino, Sylvano Bussotti, Gillo Dorfles,
Claudio Magris, Umberto Veronesi, insieme ad altri meno noti ma non per questo
meno intriganti come il fisarmonicista russo Vladimir Denissenkov, il danzatore e coreografo coreano Yong Min, il mecenate
statunitense Lawrence D. Lovett, il fumettista Luigi Mignacco.
Come sempre accade in libri di questo
genere, il piacere per il lettore sta nei lampi
di intelligenza, di conoscenza della vita e
del proprio mestiere che vengono dai protagonisti. Ecco Veronesi parlare del differente approccio di chi cura negli Usa e in
Europa: «Se in America il medico entra in
contatto emotivo con il paziente è considerato un cattivo medico. Io dico l’opposto:
per me il paziente vive la sua malattia con la
sua psiche e se non si conosce la sua mente
non si conosce il malato e non lo si può curare». O lo storico dell’arte Carlo Bertelli discettare sul restauro, «che è anzitutto senso di conoscenza, perché attraverso di esso
si capisce come l’opera è nata, quali sono
stati i problemi che l’artista ha affrontato, le
soluzioni tecniche, il rapporto tra il progetto e la realizzazione». O Magris che ama
scrivere nei caffè perchè «mentre io credo
di mettere a posto il mondo, come chiunque scriva, la gente se ne infischia e ridimensiona subito il delirio insito nella scrittura». E ancora, il direttore d’orchestra Daniele Gatti che, stimolato dalla Crespi,
prende atto che tra tutti i punti di vista che
entrano in gioco quando si fa musica sinfonica (il compositore, l’orchestra, il direttore), il gusto del pubblico resta, chissà per-
ché, il meno tenuto in considerazione.
Il Papa, ovviamente, divide. Arbasino lo
giudica ottimo, «perché ha capito, da buon
gesuita, che doveva guardare alle folle, alle
masse», mentre il musicologo Quirino
Principe ne diffida, sospettando che incoraggi l’immigrazione in quanto «la Chiesa
vorrebbe islamizzare l’Italia per fare in seguito un concordato con questo nuovo stato islamico italiano, e riuscire così a governare le coscienze dei cittadini che non riesce più a governare». Bussotti elogia la vecchiaia perché finalmente «non ci
impantana in un’infinità di cose»; e il filosofo Carlo Sini elogia le formiche, che «sono molto più sagge e più antiche di noi,
hanno una società complicatissima, e qualcuno pensa che tra qualche milione di anni
la società umana sarà come quella delle formiche, dove i conflitti interni sono finiti».
Dinanzi all’attuale eclissi delle ideologie,
un altro compositore, Luca Francesconi,
osserva che esse sono state sostituite dall’adesione alla filosofia di un prodotto
commerciale, vedasi i fan di Windows contro quelli di Macintosh.
Il libro si chiude con una conversazione
tra la Crespi, Eco e il musicista russo
Alexander Raskatov. Eco regala una delle
sue provocazioni: «Ho sempre detto che
non c’era differenza tra il New York Times
della domenica e la Pravda. La Pravda non
diceva la verità; il NYT della domenica ha
ormai 360 pagine, non è possibile leggerle
tutte ed è come se non dicesse niente!»
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Anna Crespi, Esercizi di conversazione,
Ponte alle Grazie, Milano,
pagg. 208, € 18