Doc-14-Vacanza - Introduzione ai contenuti della

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Doc-14-Vacanza - Introduzione ai contenuti della
In vacanza con la mia famiglia – File Doc-14
Vacanza: ciò che è vacante, interrotto, vacuo… sospeso, assente.
Franco Debenedetti Teglio – Introduzione al mio racconto-testimonianza (aggiorn. 3/2012)
"In vacanza con la mia famiglia" è stato scritto tra gli anni 2000 e 2003 e pubblicato sulla rivista "Diario" nel numero
speciale della Memoria del gennaio 2005. È il risultato di quei tre anni di faticose ricerche per la ricostruzione delle
vicende del mio passato (dalla nascita agli otto anni di vita), una storia quasi rimossa per sessant'anni. Il passato di un
bambino ebreo nato sotto la persecuzione della sua patria1. Il titolo potrebbe essere: "Otto anni in vacanza".
Il primo anno di vita (1938), vissuto nell'angoscia trasmessa inconsciamente dai genitori ai loro bambini sulle incombenti leggi
razziali, e conclusosi con la "caduta verticale" della famiglia che passa repentinamente da una condizione di relativo benessere e
di alta considerazione sociale per i meriti scientifici del padre ad una situazione di indigenza, senza lavoro, senza casa.
I successivi cinque anni vissuti nel "nomadismo" in Francia, senza una casa propria, senza compagni d'infanzia, senza
riferimenti fissi, ignorati, spesso vituperati e anche minacciati dalla cosiddetta "società civile" dove prevale l'antisemitismo e
l'odio verso gli italiani "invasori e traditori". E dover dipendere da ricchi benefattori, e grazie che ci sono loro! Grazie… ma…
perché gli altri bambini hanno la loro casa e noi viviamo a casa d'altri?
Poi i successivi due anni, dal 1943 al 1945: la cacciata dalla Francia collaborazionista e nazificata con "foglio di via
obbligatorio" verso un'Italia "repubblichina" e altrettanto nazificata. E subito dopo scappare, nascondersi, "non farsi prendere",
vivere alla macchia là in alto nella frazione più isolata di un paesino, tre catapecchie ai piedi della montagna per poter scappare
più velocemente possibile dalle decine di retate nazifasciste, la perdita di quel poco che rimane dell'identità, ("non dire a nessuno
il tuo vero nome!" - "guai se ti vedono nudo… il tuo pirolino è una stigmate pericolosa…" - "perché non possiamo conoscere,
giocare con gli altri bambini del paese? Perché non andiamo a scuola con loro?" " perché no!") nel continuo terrore di "essere
presi" e portati in Germania . La Germania che ha ingoiato i tuoi cuginetti preferiti2 "li hanno presi!". Portare al pascolo le
pecore per rimediare una formaggetta e un po' di lana. Vivere rintanati in sette persone con i nonni nevrastenici, le liti in
famiglia, il fratello più grande di un anno, unico compagno di giochi, ma che picchia sodo e vince sempre lui. La collaborazione
(a soli sette anni) con i partigiani. Il padre che vaga tutto il giorno per le campagne a far da "manovale a giornata" per i
contadini, a spaccare pietre per i muratori per portare a casa qualcosa da mangiare e il terrore di tutti i giorni: che "lo
prendano", che papà non torni più. Ma anche la solidarietà dei contadini che "fanno finta di niente", e ti aiutano. La cattura del
padre, l'inseguimento dei tedeschi nella neve, la miracolosa liberazione e tante altre avventure…
Ciò nonostante il racconto non è triste: il bambino in queste condizioni trova mille scappatoie per sopravvivere, per
crearsi un'identità, per sentirsi inebriato per qualche infimo successo, per illudersi di essere un piccolo…un grande eroe. E
ogni tanto l'ascoltatore si può concedere una risata liberatoria.
Poi la fine della guerra3 e i successivi 12 anni ("i peggiori della mia vita"). La difficoltà di reinserimento, dopo anni di vita
"selvatica", in una vita normale, il problema dell'identità personale mancante, "proibita", sommersa in un passato rimosso, il
suicidio di papà, e poi di mio fratello, la separazione a soli quattordici anni dalla mamma. La sostituzione dell'isolamento fisico
con l'isolamento psicologico. Lo stare in mezzo agli altri dovendo apparire normali ma sentendosi completamente diversi per
qualcosa che non ci si sa spiegare, gli incubi notturni. La paura degli altri… le persone normali, coloro che posseggono
"naturalmente la propria identità4. Ma anche la lotta per capire, per redimersi per "normalizzarsi", nei limiti in cui ciò è possibile.
La ricostruzione di questa storia (e non è mai finita) ha richiesto anni di ricerche nelle cantine, la lettura centinaia di
lettere tra i famigliari e con terzi e la relativa interpretazione, la lettura di articoli di giornale dell'epoca, l'esame e
l'interpretazione di album di fotografie, viaggi in posti mai rivisitati da sessant'anni: i luoghi dell'infanzia. L'interpretazione
di incubi ricorrenti. E poi i racconti di persone "ritrovate" ma ormai molto anziane: ex contadini, pastori, partigiani ma
anche i loro figli e nipoti che avevano sentito raccontare le storie di "quegli ebrei nascosti". Pochissimi vecchi parenti…
nessun famigliare diretto. E lo studio dettagliato della Storia e della cronologia di guerra per capire in quali anni il bambino
era qua o era là. Un libro che riporta qualche spezzone di storia della mia famiglia.
Il racconto, pur non essendo una "fiction", anzi è l'unico mio racconto in cui tutta la tensione è volta a riportare la
"probabile" verità dei fatti, nei limiti in cui gli anni possono aver cancellato o deformato la memoria delle persone, o gli
oggetti ritrovati (libri, lettere, fotografie) possano essere stati interpretati più o meno correttamente, si dipana come una
storia raccontata da un ragazzo a dei bambini, quindi evita, nei limiti del possibile, di riportare gli episodi più violenti e
destabilizzanti. Inoltre essa sopperisce ai tanti "buchi" (inevitabili nella ricostruzione di una memoria sui primi anni di vita)
con piccole invenzioni e completamenti che considero onestamente "assolutamente verosimili".
Man mano che scoprivo nuovi elementi della storia mi accorgevo di non averli dimenticati ma solo rimossi e potevo
aggiungere ai risultati delle ricerche "sul campo" elementi ricuperati "dalla memoria". Le indagini sono poi state ampliate
nei successivi due anni con la collaborazione della laureanda Cristina Mola e sono diventate l'oggetto della sua tesi di
laurea5, la quale da ampio spazio alle interviste con tutti i personaggi allora viventi, oltre che all'analisi dei primi miei
racconti di "fiction" parzialmente autobiografici.
Ved. a pagina 2 alcune citazioni
Franco Debenedetti Teglio
1
Copia del racconto è disponibile per le scuole e per gli adulti, ma solo dopo aver assistito all'intervento di testimonianza e narrazione orale.
Auschwitz senza ritorno. La famiglia Vitale: Claudio di 6 anni, Lia di 16 mesi, la zia Margherita Teglio, lo zio Achille, i due nonni Vitale.
3
Ma qui il racconto scritto finisce… il testimone sente tutta la sua incapacità di comunicare.
4
Vivere senza esistere. Nota di Franco – Intervista Ordine dei Medici link: http://www.videomedica.org/videomedica/?p=4026
5
Per chi volesse visionare la tesi di laurea, essa è disponibile in prestito.
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2
Donatella Levi
Mia coetanea e amica, ebrea – Psicoterapeuta, Arteterapista, Formatrice
"Essere clandestini significa scappare, nascondersi, cambiare nome più volte, lasciare tante case, sentire la paura addormentandosi di
notte. Nemmeno il giorno rassicura. Anzi il giorno espone, con la sua luce, alla vista degli altri. Perché il desiderio che si ha, quando
si è clandestini, è di non essere visti né riconosciuti".
"Tornare, e riavere il proprio nome vero, ma non crederci più in modo definitivo. Tornare non è un gesto eroico, ma un tenero e
frenetico incontrare qualcosa che consoli, che possa magicamente incollare i pezzi di storia andati in frantumi".
È sempre confuso il mondo che appare ad una bambina, nei primi anni di vita. Diventa illeggibile quando, improvvisamente,
scompaiono tutte le certezze: della casa, dei luoghi. delle persone e pure del nome.
Difficile è il ritorno, dopo la fuga e la lontananza, difficile e recuperare il proprio e gli altrui nomi. Solo il lungo viaggio psicoanalitico
può aiutare a ritornare. a riconoscere e riconoscersi, attraverso l'evocazione di quella bambina.
Vagando tra dei e religioni diverse e anche... fra qualche magia.
Donatella Levi
Paul Celan – Poeta rumeno, ebreo – 1920-1970
«Raggiungibile, vicina e non perduta, in mezzo a tante perdite, una cosa sola: la lingua. La lingua, essa si, nonostante tutto, rimase
acquisita. Ma ora dovette passare attraverso tutte le proprie risposte mancate, passare attraverso un ammutolirsi orrendo, passare
attraverso le mille e mille tenebre di un discorso gravido di morte. Essa passò e non prestò parola a quanto accadeva; ma attraverso
quegli eventi essa passò. Passò e le fu dato, di riuscire alla luce, "arricchita" da tutto questo».
P. Celan
Franco Debenedetti Teglio
[email protected]
Corso Bolzano 2 - 10121 - Torino
Tel 011,5176332 011,0968998
(Cell 377,7099074)
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Stampa 13/12/2016 14:15:00