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Studi biblici – Past. Francesco Zenzale
Questo non è un uomo!
«Quand'io considero i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai disposte, che cos'è l'uomo
perché tu lo ricordi? Il figlio dell'uomo perché te ne prenda cura? Eppure tu l'hai fatto solo di poco inferiore a
Dio, e l'hai coronato di gloria e d'onore» (Salmo 8: 3-5).
Ecco un uomo che ha la saggezza di mettersi in discussione alla presenza di Dio chiedendosi: Che uomo
sono? Chi sono io e per quale motivo tu, o Signore, ti ricordi di me e te ne prendi cura? Poche parole per
esprime la propria fragilità esistenziale davanti a Dio.
Al seguito di questa angosciosa domanda troviamo una significativa riflessione che ci induce a pensare con
nostalgia al passato, che non c’è più, di cui abbiamo solo una limitata comprensione dell’uomo secondo Dio,
creato a sua immagine e somiglianza (Genesi 1: 26-27).
«Tu l'hai fatto solo di poco inferiore a Dio». Alcune traduzioni traducono: «Tu l'hai fatto solo di poco inferiore
agli angeli» (Cei). Il testo evidenzia, non solo la diversità dell’uomo edenico rispetto a Dio e/o agli angeli,
quanto la distanza dell’uomo rispetto a Dio e agli esseri celesti, i quali fanno parte di una dimensione
esistenziale diversa rispetto all’uomo uscito dalle mani di Dio.
Essere stato creato ad immagine di Dio, poco inferiore a Dio, non significa che l’uomo, sin dalla creazione
aveva in sé una particella divina, tale da renderlo immortale, ma semplicemente qualifica il tipo di relazione
esistente tra l’uomo e Dio, differenziandolo da tutti gli altri esseri viventi della terra e non solo.
La domanda che cos’è l’uomo, da una parte è nostalgica, perché fa pensare all’eden perduto, all’uomo
secondo Dio, che non esiste più, dall’altra è esistenziale, perché induce l’uomo a pensare alla sua attuale
condizione umana, nella prospettiva della redenzione.
Il contesto in cui Davide s’interroga cercando di capire chi è come persona, presenta l’uomo in tutta la sua
fragilità, con segni drammatici e apocalittici. Un uomo che non sembra in grado di governare se stesso ne gli
eventi che lo sovrastano, le funeste passioni e nemmeno gli strumenti educativi e formativi che egli stesso
ha promosso con lo scopo di gestire al meglio le situazioni socio – economiche - esistenziali e famigliari.
Nel salmo cinque Davide rivolge al Signore una preghiera, un grido d’aiuto di fronte all’agire dell’empio che è
«bugiardo, sanguinario e disonesto», con il cuore «pieno di malizia, una lingua lusinghevole» e la loro «gola
è come un sepolcro aperto».
Nel salmo sesto si coglie la misericordia Dio che si manifesta nei confronti di un uomo fragile: «sfinito»,
«tremante» che ha paura della morte. Nel settimo l’uomo è «perseguitato», i suoi nemici sono «come un
leone» che cercano di sbranarlo. Nel salmo nove la speranza è associata al giudizio e i nemici «periscono».
Il Signore «sarà un rifugio sicuro per l’oppresso», nell’attesa che gli empi, i persecutori, siano castigati
(Salmo 10).
L’undicesimo è un’esplosione di fiducia in Dio, perché il Signore «è nel suo tempio santo; il SIGNORE ha il
suo trono nei cieli; i suoi occhi vedono, le sue pupille scrutano i figli degli uomini. Il SIGNORE scruta il giusto,
ma detesta l'empio e colui che ama la violenza. Egli farà piovere sull'empio carboni accesi; zolfo e vento
infuocato sarà il contenuto del loro calice. poiché il SIGNORE è giusto; egli ama la giustizia; gli uomini retti
contempleranno il suo volto».
L’insieme degli insegnamenti che emergono dalla lettura di questi salmi presentano l’uomo, che uomo non è,
«che aspira ad avere cose e a soggiogare persone, fino a schiavizzare i propri figli e chi con lui divide la vita.
Ammalato di successo, attento solo ad apparire […] Un uomo che, per esistere visibilmente, diventa un
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falsario, un fedifrago, un infedele, un incoerente e che subito trova una filosofia che fa della flessibilità una
dote e della coerenza una malattia, una rinuncia al mercato dell'imporsi e dunque dell'esistere. Un uomo che
considera la saggezza una triste modalità di rappresentare la propria incapacità a vivere in questo mondo
[…] Un uomo attaccato solo al presente, che così cancella l'eterno e il senso o il dramma della morte, e
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riduce la vita a una serie di momenti, uno staccato dall'altro, ciascuno con un proprio non-senso».
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Che non tiene fede ad un giuramento, a un patto, a un impegno; traditore.
Vittorino Andreoli, “L’uomo di vetro”, p. 52, ed. Rizzoli, Milano, 2008
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Studi biblici – Past. Francesco Zenzale
Un uomo che si sente eterno e ignora di poter morire fra un attimo, che come il ricco stolto della parabola
esclama: «Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divèrtiti» (Luca 12:19) è
un pagliaccio ubriaco con i lineamenti di uomo.
Un uomo che non si rende conto che la vita è come un labirinto in attesa di essere immolata da un destino
ineluttabile: la morte, che è confezionata con la vita, è parte dello stesso esistere: per non morire non
dovevamo nascere.
Ad ogni istante la morte passa e ripassa, silenziosa e gelida. È indifferente a tutto: al ceto sociale, alla
ricchezza, all'età, all'amore. Ridacchia al vecchio, si presenta con la sua smorfia all’adolescente che vuole
sfuggirle, libera il povero dalla sua miseria e strappa, il ricco ai suoi tesori. Non ha pietà né delle vedove, né
degli orfani; ovunque lascia dietro di sé rovine, cenere, lacrime. Se è vero che spegne gli odi, infrange le
ambizioni e distrugge gli egoismi, è anche vero che dissipa le più belle speranze e spezza i più dolci vincoli.
Di fronte alla morte così presente nella nostra vita, che cos’è l’uomo, senza la prospettiva della vita eterna in
Cristo Gesù? Senza la beata speranza della risurrezione? (Romani 5:12; 1 Corinzi 15: 19-21; Giovanni
3:16).
Che uomo sei? Come definiresti un essere umano?
Non credo di sapere chi sia l’uomo e mi resta difficile capire la complessità dell’uomo d’oggi, ma ascoltando
le cronache giornaliere, mi è più facile parlare di chi uomo non è. In questo senso ho trovato interessante
quello che Vittorino Andreoli, scrive: “Chi usa le proprie mani, che possono accarezzare, per dare invece
sberle o per stringerle intorno al collo di un innocente, è un folle, un sadico: di umano ha solo le sembianze,
questo non è un uomo. Chi non rispetta il proprio vicino ma lo sfrutta, chi prende vantaggio dalla sua
ingenuità o dal suo amore, non è un uomo, perché l'uomo rispetta l'uomo e ha pietà per chi è in difficoltà,
non cerca di trarne vantaggio. Non è uomo chi pensa di essere perfetto, di appartenere a una razza
superiore e colloca tutti gli altri nella pattumiera del mondo, e li massacra e li abbandona. I campi di
concentramento oggi sono nelle strade, dove circolano uomini senza essere visti, considerati solo sterco [...]
Sembrano uomini, ma non lo sono. E il mondo ormai è pieno di non-uomini vestiti con l'abito dell'uomo; è
pieno persino di sacerdoti che non credono in Dio, di donne che invece di diventare madri si vendono per
comperare un abito con griffe. Uno che non comprende il dolore di chi gli sta vicino o lo provoca per
indebolirlo, che odia invece di capire, che non sa amare perché l'amore non è uno strumento di successo e
allora mercanteggia i sentimenti, non è un uomo, anche se lo rappresenta, come in un teatro in cui si
recitano parti e si fingono ruoli. Uomo non è chi per tellurico piacere, violenta un bambino o una bambina
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bisognosi lasciandoli per sempre nell’angoscia”.
Fingere di non sentire chi è afflitto dal dolore, dalla paura del non senso, dell’inutile, e continuare a rimanere
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devoti al proprio ‘rosario’ , o passare un’infinità di ore per formare o in riunioni, per sproloquiare sui bisogni
dell’altro, non è umano. È indifferenza. Un’ottima strategia amministrativa per giustificare le proprie
omissioni, lasciando l’altro in balia di se stesso e nel suo dolore.
Non è uomo chi per amore della collettività, del bene comune, sacrifica la verità, facendo del singolo il capro
espiatorio, giurando il falso o omettendo la verità. Chi si interessa più delle conseguenze collettive o
istituzionali, di una scelta di vita caratterizzata dalla ricerca del prestigio sociale e/o comunitario, omettendo
le proprie responsabilità, lasciando da parte la persona, il suo dolore e la sua fragilità, non è un uomo.
Onesta, senso di responsabilità pratica, generosità, sensibilità, dolcezza, perdono, compassione e incontro
sono virtù che l’uomo post moderno le ha immolate sull’altare istituzionalizzato, del quieto vivere,
dell’indifferenza e dell’ipocrisia.
Ho letto centinaia di email di persone che mi descrivevano la loro solitudine, della sensazione attonita di
essere in un deserto annientate dalla sete del sentirsi utile e amato. Voci inascoltate che si perdono tra il
sibilare del vento dell’indifferenza da chi dovrebbe essergli accanto.
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Idem, p. 53-54
La preghiera e lo studio quotidiano della Parola hanno valore se poi si va incontro all’altro, come il buon samaritano.
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Non sono contrario alla formazione, ma quando soffoca la spiritualità, la spontaneità nell’aiutare l’altro; quando si
trasforma in una serie di estenuanti riunioni, nel tentativo d’imparare ad aiutare il prossimo, che poi nella realtà non trova
alcun riscontro pratico nel contesto ecclesiale e sociale, la formazione non ha ragione di esistere.
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Studi biblici – Past. Francesco Zenzale
Le parole del profeta Isaia risuonano a distanza di millenni come un ammonimento nei confronti di un uomo
che vive nel presente in un eccesso di amor proprio, di violenza e di cattiveria, di indifferenza e incapace di
dare senso ai propri gesti e alla propria vita.
«Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e proclamatele che
il tempo della sua schiavitù è compiuto; che il debito della sua iniquità è pagato, che essa ha ricevuto dalla
mano del SIGNORE il doppio per tutti i suoi peccati» (Isaia 4.0: 1-2).
“Non ci sono mai stati tanti malati psichici come negli ultimi decenni, tanti suicidi insensati, tanti delitti per
droga, tante esistenze fallite, tante famiglie distrutte, tanti bambini anormali, giovani aggressivi, adulti frigidi,
impotenti o incapaci di amare, tante persone separate che dubitano del senso della propria vita come oggi.
La gente cerca un consiglio in uno studio psicologico «perché non sa affrontare la vita, perché non sa cosa
fare, perché tutto le sembra vuoto, privo di senso, perché è nauseata da tutto il benessere e non ha più
voglia di vivere. Perché non ha più un obiettivo per cui impegnarsi, perché non trova valori per cui vivere, per
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cui sacrificarsi, perché l’esistenza scorre senza un contenuto e non si prova altro che noia»”.
Non ci sono mai state tante persone così bisognose di consolazione, di un gesto amico, di una parola di
speranza. Ma ahimé come ai tempi Gesù anche oggi l’uomo è assente: non è uomo. Questo è uno dei motivi
per cui Gesù Cristo invita i discepoli a pregare il Signore affinché «mandi degli operai nella sua mèsse»
(Matteo 9:38). Non dei dipendenti in carriera, non degli ossequianti interessati a mantenere il posto di lavoro
o delle responsabilità ecclesiastiche di prestigio, ma di «uomini e donne stabili, animati da buoni propositi,
sui quali si possa contare in tempi di pericolo e di prova; uomini e donne saldamente radicati e fondati nella
verità, come le montagne; cristiani che non si lasciano sballottare né a destra né a sinistra e che vanno
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avanti senza abbandonare il loro obiettivo” (TT1, p. 310).
Il mondo ha bisogno d’uomini che non si lasciano ne comprare ne vendere, d’uomini fedeli, amanti della
verità; d'uomini retti, amanti della giustizia, moralmente sani, dipendenti da Dio e non dalle istituzioni. Il
mondo ha bisogno di uomini grandi: nel senso di uomini spirituali, umili, servizievoli, responsabili, capaci, che
sanno collaborare con gli altri; uomini grandi nell’amore per il prossimo.
Il mondo ha bisogno di uomini veritieri, ma senza arroganza; umili, ma senza autodegradazione; allegri, ma
senza leggerezza; seri, ma senza disperazione; giusti, ma senza presunzione; forti, ma senza crudeltà;
buoni, ma senza mollezza; misericordiosi, ma senza lasciar correre; miti, ma senza ostentazione; pacifici,
ma senza falsità; vigilanti, ma senza ossessione; sicuri; ma senza follia; prudenti, ma senza sospetto.
Concludo questa mia breve riflessione sull’uomo riportando un episodio tratto dall’evangelo di Luca capitolo
dieci. In questo racconto è significativo rilevare come Gesù pone l’uomo di fronte a se stesso. Da una parte
abbiamo l’indemoniato che «non abitava in una casa, ma stava fra le tombe», dall’altra i custodi dei porci e
gli abitanti del villaggio di Gerasa.
Entrambi, in qualche modo, si muovono verso Gesù. Il primo subisce l’egemonia dei demoni e solo quando
viene da essi liberato emerge la dimensione umana e si rende disponibile alla sequela (v.38) senza porre
delle condizioni, gli ultimi che presumevano di essere uomini, impauriti e al quanto addolorati per la perdita
dei porci e per niente interessati all’uomo liberato dalla schiavitù di Satana, invitano Gesù ad andarsene «da
loro» (v. 37). Con questo gesto manifestano una dolorosa indifferenza nei confronti dell’uomo e l’uomo
Gesù: la gioia, la speranza, il suo amore, la sua consolazione e ogni ti tipo di relazione.
All’uomo liberato dalla schiavitù di Satana, Gesù accettando la sua disponibilità, lo inviata ad essere uomo
allontanandolo da lui, invitandolo a seguirlo secondo la logica del Regno di Dio: «Torna a casa tua, e
racconta le grandi cose che Dio ha fatte per te» (Luca 8:39). Nessun convegno preliminare o specifica
formazione teologica: tecnica o pratica, ma semplicemente una testimonianza vivente. «Ed egli se ne andò
per tutta la città, proclamando», con sue parole, con la sua semplicità: come contadino, muratore, operaio,
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professore, ingegnere, medico, ecc., «tutto quello che Gesù aveva fatto per lui».
Ecco un uomo, fragile, ma pienamente rigenerato dalla potenza di Dio, dalla gioia della salvezza. Ecco un
uomo che da all’altro la gioia di esistere, raccontandogli qualcosa di suo e non della Bibbia (dottrine) o
dell’esperienza di Paolo o di Pietro, ma dell’esperienza che ha segnato in modo indelebile la sua vita dal
momento in cui ha iniziato un percorso di vita in Cristo.
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E. Lukas, Dare un senso alla famiglia, ed. Paoline, p. 24
E.G. White, TT1, p. 310
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Il testo non ci informa quale sia stata la professione di quest’uomo.
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Questo è un uomo! «Va', e fa' anche tu la stessa cosa» (Luca 10: 37).
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