il valore degli immobili ai fini dell` imposta di registro

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il valore degli immobili ai fini dell` imposta di registro
IL VALORE DEGLI IMMOBILI AI FINI DELL’ IMPOSTA DI REGISTRO NON
PUÒ ESSERE UTILIZZATO PER L’ICI
Il punto focale che la Suprema Corte ha sostenuto con la pronuncia in esame1 inerisce
specificatamente alla problematica riguardante la determinazione della base imponibile sulla quale
calcolare l’ICI (Imposta Comunale sugli Immobili) dovuta.
Secondo il giudice di legittimità la base imponibile del calcolo dell’ICI deve tenere conto
esclusivamente dei criteri previsti dall’art. 5 D.lgs. n. 504 del 1992.
Non è legittimo l’accertamento di una maggiore imposta calcolata con riferimento al valore del
terreno ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro2.
Con la succitata sentenza la Cassazione torna ad affermare quanto già asserito con le numerose
pronunce di legittimità e di merito, consolidando l’esegesi giurisprudenziale in materia.
Di pari avviso, difatti, sono apparse diverse sentenze.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 172 del 19 luglio 2001,
asserisce: “Il valore di terreni compresi nel piano regolatore di zona è determinato, ai sensi dell’art. 5
D.lgs. n. 504 del 1992, con riferimento al valore venale in comune commercio, tenendo conto
dell’ubicazione, dell’indice di edificabilità, della destinazione d’uso consentita, degli oneri di
adattamento del terreno per la costruzione delle opere di urbanizzazione e dei prezzi medi di
mercato”3.
La Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, inoltre, con sentenza n. 489 del 18 ottobre
2002, afferma: “Ai sensi dell’art. 5, quinto comma, D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, ai fini ICI il valore
delle aree fabbricabili è costituito dal valore venale in comune commercio all’1 gennaio dell’anno
d’imposizione, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla
distribuzione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per
la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche”4.
La Commissione Tributaria Provinciale di Udine, con sentenza n. 194 dell’11 novembre 2002,
tornando sull’argomento sostiene: “L’avviso di accertamento emesso ai fini ICI dal Comune, deve
indicare tutti gli elementi tecnico-valutativi richiesti dall’art. 5, commi 2 e 5, del D.lgs. 504/92.
L’omessa indicazione di tali elementi costituisce vizio motivazionale dell’atto impositivo; ne consegue
la violazione dell’art. 3 della L. 241/90 sulla trasparenza amministrativa e la negazione dei principi
sanciti nello statuto dei diritti del contribuente”5.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 19515 del 19 dicembre 2003, dichiara: “In tema di ICI,
i parametri per la determinazione del valore dell’area fabbricabile sono fissati esclusivamente dall’art. 5,
comma 5, D.lgs. n. 504 del 1992, che non fa riferimento né al prezzo di compravendita dell’immobile
né alla godibilità dell’edificio in corso di costruzione”6.
Tralasciando le altre argomentazioni riportate nella sentenza di cui si discute, perché
prettamente riferibili al caso concreto, appare opportuno un’approfondita intrusione negli aspetti
fondamentali riguardanti il calcolo della base imponibile a fini ICI che il giudice di legittimità ha
vergato, poiché di portata generale.
L’oggetto dell’ICI è determinato considerando sia l’aspetto qualitativo sia quantitativo.
Sentenza n. 15078 del 5 agosto 2004 della Corte di Cassazione, in Rivista della Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze
2004 n. 8/9.
2 Tratto da massima in Servizio di Documentazione Economica e Tributaria, htp://dt.finanze.it.
3 In Servizio di Documentazione Economica e Tributaria, htp://dt.finanze.it
4 In Servizio di Documentazione Economica e Tributaria, htp://dt.finanze.it
5 In Servizio di Documentazione Economica e Tributaria, htp://dt.finanze.it
6 In Servizio di Documentazione Economica e Tributaria, htp://dt.finanze.it
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Sotto l’aspetto qualitativo non sorgono dubbi, riconoscendo la natura pacificamente edificabile
di un terreno per il solo fatto di essere inserito come tale in un piano urbanistico generale7.
Sotto l’aspetto quantitativo è utile fare alcune precisazioni sulle differenze riportate nel D.lgs.
30 dicembre 1992 n. 504, disciplinante l’ICI, e nel D.P.R.. 26 aprile 1986 n. 131, regolante l’imposta di
registro.
Soffermandosi su un’interpretazione puramente letterale dei due testi normativi, di primo
acchito appare condivisibile l’operato della Suprema Corte.
L’argomentazione che qui si desidera affrontare vuole andare oltre, tentando un approccio
interpretativo logico e sistematico ancorché letterale.
Nella sentenza si legge: “Risulta ben evidente, anche solo dall’esame delle disposizioni
normative citate e prescindendo dalla diversità del soggetto attivo dei rapporti giuridici relativi
all’imposta di registro e all’ICI, che la struttura dei due tributi è in radice diversa: sotto il profilo
temporale all’occasionalità e all’unicità della prima si contrappone la periodicità e, quindi la ripetitività
della seconda, la quantità del cui oggetto va, quindi, determinata anno per anno con riferimento al 1
giorno del periodo di imposta.”
Il giudice di legittimità sembra trovare nel diverso profilo temporale una giustificazione alla
diversità dei due tributi.
L’ICI, si vuole qui serbar ricordo, è sorta nel 1993 con il solo scopo di fare cassa continua su
una entrata che un tempo era occasionale e unica, quando il proprietario di un bene immobile, alla sua
vendita, doveva versare l’INVIM 8 nelle casse erariali.
La diversità di incameramento delle due imposte è stata una scelta politica messa in atto dai
governi in carica, scelta comunque obbligata a seguito del riconoscimento del principio di autonomia
finanziaria degli enti locali, sancito dall’art. 54 della L. n. 142 del 1990.
L’imposta INVIM è stata abolita dallo stesso D.lgs. 504 del 1992 istitutivo dell’ICI, e
precisamente dall’art. 17, comma 6, proprio per evitare una duplicazione d’imposta, essendo il
principio di tassazione alla base identico: entrambe sono definite imposte patrimoniali.
In pratica cambiano le forme di incameramento dell’imposta e la periodicità del pagamento del
tributo, ma in sostanza rimane immutato il principio di colpire il possesso di beni immobili, non si
condivide, quindi, l’affermazione che la struttura dei due tributi è in radice diversa.
Sul piano sistematico, intendendo per tale lo studio rivolto a ricercare quel coordinamento tra
la singola disposizione di legge e le altre norme, è così rispettato il principio metodologico su cui si
fonda la disciplina tributaria e, dunque, non condivisibile la sentenza della Suprema Corte, per aver
taciuto la sua opinione circa l’intento del legislatore della motivazione che è alla base della nascita
dell’ICI, spiegazione che avrebbe permesso di affrontare la problematica sotto un più ampio profilo.
Si legge ancora nella sentenza: “Sotto il profilo oggettivo, poi, i criteri di determinazione della
quantità dell’oggetto di imposta sono solo parzialmente coincidenti e i criteri da utilizzare per l’ICI
sono più numerosi e, comunque, diversi e specificamente indicati dal legislatore.”
Anche su questo punto si potrebbe obiettare affrontando l’argomento sotto un diverso profilo.
Innanzitutto occorre aver presente che la normativa che disciplinava l’INVIM, all’art. 22,
riportava: “L’Ufficio del registro entro 30 giorni dal ricevimento della dichiarazione
INVIM….omissis…. deve trasmettere ai comuni nei cui territori sono situati i beni le copie delle
dichiarazioni stesse.
Nei 90 giorni successivi…omissis…il comune interessato può formulare motivate proposte di
rettifica degli elementi compresi nelle dichiarazioni….omissis… salvo che si tratti di valori già definiti
ai fini delle imposte di registro o di successione”.
Come si arguisce dal testo letterale, tale norma era stata così legiferata per creare un valore sugli
immobili che fosse unico e riconosciuto dall’intero apparato dell’amministrazione pubblica, offrendo
possibilità di definire un valore il più possibile corrispondente a quello in comune commercio.
Vedasi per tutti: articolo apparso sul Il Sole 24 ore del 17 ottobre 2003, Valore dei terreni a giudizi alterni; articolo apparso sul
Il Sole 24 ore del 18 marzo 2004, Il terreno paga l’ICI se edificabile per Prg; e articolo apparso su questa stessa rivista sul numero 5
di maggio 2004, La nozione di area qualificata edificabile ai fini tributari.
8 Imposta comunale sull’incremento di valore d egli immobili, imposta abolita dal 31 dicembre 1992.
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Si dava così facoltà ai Comuni di poter intervenire sulla valutazione, e ciò perché l’INVIM era
comunque un’imposta comunale, alla stessa stregua dell’ICI.
Il confronto con l’INVIM è qui effettuato poiché il calcolo del quantum debeatur di questa
imposta seguiva i medesimi criteri adottati per il calcolo della base imponibile dell’imposta di registro9
e perché trova forte attinenza con l’imposta comunale sugli immobili, essendo entrambe imposte
patrimoniali, ed avendo l’una sostituito l’altra.
Se è vero che il valore finale del terreno a fini INVIM seguiva i medesimi criteri usati per la
determinazione del valore finale a fine del pagamento dell’imposta di registro, e se è vero che l’ICI è
una imposta patrimoniale che ha sostituito l’INVIM ed è ad essa assimilata, per il principio della
proprietà transitiva il calcolo del valore del terreno a fini ICI non può che corrispondere al valore
finale dell’area riconosciuta per l’imposta di registro.
Nell’attualità, cioè da quando l’ICI è stata introdotta nel nostro ordinamento, è compito del
Comune occuparsi della definizione del rilievo della base imponibile.
Resta con ciò il fatto che sotto il profilo logico, ovvero lo studio della disposizione normativa
nel suo complesso, è rispettato l’intento del legislatore di onorare l’identica motivazione che è alla base
dei due tributi.
Anche in questo caso non si condivide l’affermazione data dal giudice di legittimità circa la
diversità, sotto il profilo oggettivo, dei due tributi.
Argomentando sotto un diverso orientamento, non si può che pervenire alle medesime
conclusioni.
La finalità che occorre perseguire al fine di determinare il prezzo di stima di un’area, prezzo
che rappresenta la base sulla quale procedere a conteggiare l’imposta dovuta, è il calcolo del più
probabile valore di realizzo in caso di cessione, poiché esso deve essere rappresentativo del valore
venale in comune commercio.
La teoria della stima è un complesso di metodi statistici, fondati sulla teoria della probabilità,
che permettono di ottenere informazioni sui valori incogniti dei parametri della distribuzione di
probabilità di una variabile casuale operando opportunamente sui dati di un campione estratto dalla
variabile stessa.
La disciplina che si occupa di stimare un bene è l’Estimo.
Per Estimo si intende la differenza esistente tra valore di stima e prezzo di mercato, anche se
per entrambe queste entità vi è come unica unità di misura la moneta, ed entrambe fanno riferimento
ad uno stesso oggetto.
Il prezzo di mercato indica la quantità di moneta con la quale è scambiato un bene in un dato
momento, in un certo mercato e per un determinato scopo.
Al contrario il valore di stima è un giudizio di previsione del più probabile prezzo di un bene.
Stimare significa quindi prevedere e il giudizio di stima deve assolvere requisiti quali
l’attendibilità e l’oggettività10.
Considerare, ora, di stimare un bene al fine di definirne il suo più probabile valore di scambio
ed avere come riferimento un prezzo di mercato direttamente riferibile al bene oggetto di stima, deve
indurre alla conclusione dell’uguaglianza dei due valori, posto che in questo caso le differenze tra
valore di stima e prezzo di mercato imposto dall’estimo dovrebbero tendere a zero.
Al conseguimento di tale finalità è necessario e sufficiente che si enunci il criterio, seppure
astratto, in base al quale è stato rilevato il valore, con le specificazioni che si rendono in concreto
necessarie per il raggiungimento di detti obiettivi.
Si potrebbe obiettare adducendo i criteri da seguire nella determinazione del valore,
tassativamente enunciati nella normativa, lì dove si afferma che per le aree fabbricabili il valore è
costituito da quello venale in comune commercio, avendo riguardo alla zona territoriale di ubicazione,
all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per eventuali lavori di
adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di
aree aventi analoghe caratteristiche, che è quanto in pratica sostenuto dal giudice di legittimità.
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Vedere art. 6 D.P.R. n. 643 del 1972.
L’enciclopedia – la biblioteca di Repubblica , 2003 UTET , Garzanti , De Agostani.
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Tale locuzione, a mio avviso, non può essere considerata tassativa, posto che il fine ultimo è
quello del calcolo del valore venale in comune commercio, valore che dovrebbe essere calcolato
rispettando sì i criteri imposti dalla legge, ma senza perdere di vista gli ulteriori elementi per pervenire
al più veritiero e probabile valore del bene oggetto di stima, purché si rispettino i requisiti di
attendibilità ed oggettività richiesti dal giudizio di stima.
Solo in assenza di un valore attribuito al terreno oggetto di contestazione, quindi, si impone di
considerare i criteri imposti dal D.lgs. n. 504 del 1992.
Nel caso in cui il valore del terreno, e quindi il suo prezzo, sia già assegnato, perché posto in
vendita, non si può che pervenire alla conclusione che il valore fissato a quel terreno, considerato
congruo o rettificato con avviso di accertamento divenuto definitivo dell’Ufficio del Registro (ove
istituita, l’Agenzia delle Entrate), non può che rappresentare il suo valore venale.
Le ulteriori locuzioni poste dalla normativa disciplinante l’ICI sono da considerare tassative
solo laddove si debba pervenire al calcolo del valore venale in comune commercio in mancanza di un
valore direttamente riferibile al terreno oggetto di stima.
Tanto è vero che nella norma si legge che il valore è costituito da quello venale in comune
commercio, ecco che il legislatore ha voluto attribuire a base del valore il prezzo del terreno, e solo
dopo, ovvero in mancanza di detto valore, si deve procedere al suo calcolo avendo riguardo agli
ulteriori elementi tassativamente riportati e, non da ultimo, avendo riguardo ai prezzi medi di mercato
aventi analoghe caratteristiche, come a voler specificare di considerare il valore di compravendita di
terreni analoghi in assenza di un valore diretto attribuibile al bene oggetto di stima.
La conclusione è che il ricorso a criteri diversi da quelli espressamente menzionati dalla legge
devono evidenziare, sia pure implicitamente, le ragioni che rendono inutilizzabili tali criteri legali nel
singolo rapporto, orientamento peraltro già espresso dalla Suprema Corte (si veda per tutti la sentenza
civile n. 2769 del 26 febbraio 200111).
Di cosiffatto avviso è apparsa anche una più recente pronuncia della Corte di Cassazione che
con sentenza del 24 settembre 2003 n. 1414812, cita: “Va ricordato che l’art. 5, comma 5, del D.lgs. n.
504 del 1992 stabilisce che, ai fini della determinazione della base imponibile, il valore delle aree
fabbricabili è costituito da quello “venale in comune commercio” e fissa inoltre una serie di parametri
cui far riferimento per la determinazione del predetto valore.
Tali parametri non possono peraltro ritenersi esclusivi od esaustivi poiché altri possono in via
alternativa essere applicati, purché adeguati ed idonei alla individuazione del valore commerciale”.
La suddetta sentenza conclude adducendo corretta la valutazione effettuata a fini ICI sulla base
del prezzo di smercio dell’immobile, essendo tale prezzo un parametro idoneo alla individuazione del
valore di scambio.
Tanto basta a riconoscere anche sul piano letterale le argomentazioni qui riportate.
Un’ulteriore considerazione appare a questo punto più che opportuna.
Ambedue le norme disciplinanti l’ICI e l’imposta di registro riportano la dicitura di “valore
venale in comune commercio”.
Prendendo un qualunque vocabolario della lingua italiana sotto la dicitura di valore e di venale
si trova corrispondenza con la parola prezzo.
Venale si riferisce al prezzo, quello corrente, di mercato.
Il termine prezzo indica il valore di scambio delle merci13.
In economia per valore si intende il problema di misurazione di quantità merceologicamente
eterogenee, al fine di definire per ogni bene il suo valore di scambio.
Appare lapalissiano che i termini valore e prezzo sono da considerare tra loro sinonimi.
Ogni ulteriore disquisizione sulla similitudine nell’uso consentito alla terminologia adottata dal
legislatore è lasciata alla libera interpretazione del lettore.
Al solo scopo di dirimere ogni ragionevole dubbio e di completare la disamina della sentenza in
epigrafe si vuole proporre un ulteriore approfondimento.
In Servizio di Documentazione Economica e Tributaria, htp://dt.finanze.it
In Servizio di Documentazione Economica e Tributaria, htp://dt.finanze.it
13 Definizione tratta dal vocabolario della lingua italiana , edizione Zanichelli, Il nuovo Zingarelli.
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Il primo approccio che deve affrontare chi si accinge a studiare economia è la determinazione
del prezzo di mercato.
Esso scaturisce nel punto esatto in cui si trova corrispondenza tra offerta e domanda.
Questa correlazione, allorché manchi, sarà sottoposta a correttivi automatici di mercato per far
sì che il prezzo trovi il suo giusto equilibrio esattamente nell’intersezione tra le due curve.
Nel mercato si incontrano diversi acquirenti e diversi venditori: ad ogni prezzo possibile
corrisponde una data domanda ed una data offerta.
Ma se il prezzo è molto basso, la domanda sarà maggiore dell’offerta: non tutti i compratori
potranno acquistare a quel prezzo ed alcuni saranno disposti a pagare prezzi via via più alti.
In questo modo, il gap fra domanda ed offerta si riduce finché non si raggiunge l’uguaglianza
fra quantità domandate ed offerte.
Allo stesso modo, se il prezzo è troppo alto l’offerta sarà maggiore della domanda e non tutti
potranno vendere a quel prezzo: l’offerta diminuirà e la domanda aumenterà solo abbassando il
prezzo.
Il prezzo di equilibrio P è il prezzo al quale quantità domandate e quantità offerte si eguagliano
tra loro.
Questo sarà un prezzo che soddisferà simultaneamente consumatori e venditori.
L’adattamento del mercato al prezzo di equilibrio avverrà tramite un meccanismo quasi
automatico, che ne garantisce la stabilità14.
Vero è che nulla impedisce di poter vendere un qualunque bene anche al di sotto del suo
valore di mercato, magari per esigenze del tutto individuali e particolari, come potrebbe essere il caso
di bisogno di liquidità immediata, ma in questo caso l’Ufficio del Registro preposto al calcolo della
congruità del valore dichiarato in atto non ne tiene conto, dovendo essa ispirarsi a criteri oggettivi di
mero valore di mercato.
Il valore da questi calcolato, quindi, è rappresentativo, o tale dovrebbe essere, del più probabile
valore di scambio.
L’Ufficio del Registro, in pratica, è tenuto a definire il più alto valore tra quello di
compravendita e quello di mercato, valore che porrà a base per il calcolo dell’imposta da versare.
Stimare significa cercare di individuare il più verosimilmente possibile il punto di intersezione
fra domanda e offerta, ma se tale intersezione è conosciuta, perché riferita ad un oggetto
compravenduto, stimare quel punto non avrebbe più senso, in quanto già noto e quantizzato.
Se il prezzo offerto e quello domandato non coincidono, sarà impossibile pervenire allo
scambio del bene.
Da ciò si evince che unico è un prezzo che si determina con riferimento ad un singolo bene, e
che tale prezzo è il valore venale in comune commercio di quel bene.
Quanto esposto induce a ritenere che per stimare un terreno, al fine di individuarne il quantum
debeatur, occorre rispettare i criteri imposti dal D.Lgs. 504 del 1992 solo in assenza di un valore ad esso
attribuito, perché fatto già oggetto di scambio; appare legittimo, allora, riconoscere il valore del terreno
così come determinato ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro.
Stimare il valore di un bene, in definitiva, serve a definire il P del probabile valore di realizzo in
caso di vendita, ma se tale P è noto esso non è più un valore incognito e viene meno, quindi, l’esigenza
di procedere alla sua stima.
L’adozione di un diverso criterio finalizzato al calcolo del valore di mercato in comune
commercio, non potrebbe che portare alla medesima determinazione, posto che il valore, e quindi il
prezzo di mercato da attribuire a quel bene, non può che essere unico.
Ecco che appare interpretata la norma disciplinante il calcolo della base a fini ICI sia sotto
l’aspetto logico sia letterale e sistematico.
La normativa disciplinante il calcolo della base a fini ICI e quella riguardante il calcolo della
base imponibile a fini dell’imposta di registro, di conseguenza, si dovrebbe ritenere sostanzialmente
identica sotto il profilo dell’individuazione del valore venale di un terreno edificabile.
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Tratto dal testo L’assistente tributario e operatore tributario, Esselibri – Simone.
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Non si ritrovano in questo contesto valide ragioni per giungere a differenti conclusioni posto
che una dissimile interpretazione si porrebbe in netto contrasto con quelle esigenze di coerenza e
sistematicità che sempre deve accompagnare chi tenta di muoversi tra le pieghe giurisprudenziali.
Non si può che abbracciare, in conclusione, la tesi asserita dalla Commissione Tributaria
Regionale della Toscana, sentenza n. 165 del 23/01/2002, che opponendosi all’esegesi
giurisprudenziale, così riporta: D’altra parte, il Collegio non può non disattendere l’asserzione dell’amministrazione
comunale, laddove questa afferma che il prezzo di compravendita di un terreno, pur se ritenuto congruo dall’Ufficio del
Registro, non corrisponde necessariamente al suo effettivo valore di mercato. – Siffatta affermazione, proveniente poi, da
un’amministrazione pubblica, è a dir poco stupefacente. Ed invero il detto Ufficio ha il compito preciso di verificare
l’attendibilità dei valori dichiarati negli atti sottoposti al suo esame e, nello svolgimento di codesta attività, si attiene ai
criteri dettati dalla legge (art. 52, 1 comma, D.P.R. 131/1986 e successive modifiche)15.
Si può disattendere la tesi che in questo articolo si è cercato di sostenere e, quindi, contraddire
anche quanto riportato nella sentenza succitata, per abbracciare la tesi asserita dalla Suprema Corte,
solo disconoscendo l’operato dell’Ufficio del Registro e la sua funzione istituzionale.
Antonio Pazienza
Assistente Tributario
Agenzia delle Entrate Ufficio di Bologna 2
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In Servizio di Documentazione Economica e Tributaria, http://dt.finanze.it
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