donna nuda poi nero

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donna nuda poi nero
GASTONE
Gastone ha ormai più di settant'anni, ma ne dimostra meno, forse sessantacinque.
E' piccolo, secco, con pochi capelli in testa, sottili, tinti di quel nero finto con i riflessi rossi, come i baffetti, impomatati, che gli sono valsi il soprannome di Gastone.
Gastone è un tipo particolare. Vive da solo con un po' di pensione e qualche soldo
che gli manda la sorella dall'Australia. E' ancora «signorino", ed ormai resterà tale fino
alla fine dei suoi giorni.
Abita in due stanze a pianterreno in fondo alla strada, ed ha un pezzetto di giardino che cura con passione. D’altronde Gastone non ha altro da fare. Si alza tardi, da
quando è "in pensione», indossa i pantaloni con le bretelle, la giacca corta, la camicia
bianca con il collo riportato, le scarpe di vernice. Quando piove mette le ghette, bianche.
Quando è freddo aggiunge al suo abbigliamento, sempre quello, un cappotto nero con il
collo di astrakan, e i quanti gialli. D'estate porta la paglietta, inclinata sulle ventitrè, ed
un leggero bastone da passeggio in bambù.
Passeggia lungo le mura alberate della città, ogni tanto si ferma ed accende una
nazionale, si guarda attorno, ricorda.
A Gastone piacciono molto le donne, le ragazzine in particolare. Le guarda di nascosto, ne spia il candore delle ginocchia, ne sente le risate, a volte passa loro molto vicino per sentire il profumo delle giovani carni.
Son solo desideri, immagini, quelli che elabora nella sua mente Gastone. Alla sua
età guarda la vita altrui scorrere, mischiandola a volte con i propri ricordi, molti, ormai
sbiaditi.
Di questa sua passione per le donne si può trovar traccia nel giardino, dove su una
fontanella di cemento troneggia una piccola ninfa di gesso che lui ha delicatamente dipinto con i colori naturali: neri i capelli, rosse le labbra, rosei i capezzoli, un’ombra più
scura lì. Una piccola donna nuda che sembra si stia bagnando incurante degli sguardi di
chi passa.
Son vent'anni che Gastone abita in questa casa, ed è giusto vent'anni fa che i suoi
vicini lo videro apparire una mattina d'estate, al seguito di un furgoncino che portava
pochi mobili vecchi e dagli stili, se stili si potevano definire, i più assortiti. Sembravano
fondi di magazzino di un rigattiere, come era poi in realtà.
Nessuno sa nulla di questo strano uomo, nemmeno il nome, ma è stato sufficiente
vederlo con il bastone e la paglietta alla sua prima passeggiata per battezzarlo “Gastone”.
Quest'uomo ha uno sguardo strano, che sembra ti trapassi. Si può immaginare che
sia stato un capitano di baleniera per via della pelle spessa e scura, con gli occhi abituati
a scrutare i mari del sud. Si può immaginare che fosse amico di Sam e che passassero le
notti a bere in quel famoso caffè di Casablanca: è per via dei baffetti a manubrio, e del
suo modo di vestire, di essere, come di tanti anni fa. Forse è qualcuno della mala.
Ma è cosi tranquillo, affabile, che non si riesce a immaginarlo a rapinare o uccidere o rubare.
Certo è che non parla, mai, e questo incute diffidenza, se non timore.
Gastone sa che le sue vicine lo spiano mentre stendono la biancheria negli orti.
Ma la cosa non lo preoccupa, né gli interessa. Gran parte della vita, so non tutta, ormai è
passata. La sua unica vita.
Se avesse saputo, ma come? si vive proprio una volta sola, se avesse saputo com'era la vita prima di viverla, allora forse avrebbe evitato gli errori, avrebbe saputo che
fare. Ma così, ormai, unica vita unica possibilità..
Pensa spesso a questo, Gastone, quando passeggia e guarda la vita degli altri.
Ancor più la notte.
Nella sua camera il pavimento è fatto di mattoni stesi di piatto, proprio come si
faceva una volta, e il letto è un vecchio letto bianco scrostato di chissà quale ospedale, e
il materasso è a strisce bianche e nocciola, e la camera è più un corridoio che una camera e da una finestra in alto arriva sempre la luce dei lampioni dello scalo ferroviario,
cento metri più in là.
Gastone in certe notti si sveglia e resta a fissare il muro nella luce azzurra del neon che viene dalla finestra. Pensa ancora. Conta le crepe, conta le sbarre della testiera
del letto, conta i giorni segnati in rosso sul calendario. Conta tutto, nevroticamente. Si
siede sul bordo del letto che cigola nel movimento, conta i mattoni a terra, tutti quelli
che riesco a vedere.
A volte resta come ipnotizzato da tutto questo contare, ed il sonno torna benefico.
Altre volte, altri pensieri lo costringono a prendere da sotto il letto una grande scatola di cartone dai bordi ricamati in filo di lana.
Senza accendere la luce, che tanto ci si vede lo stesso, ordina sul pavimento vecchie fotografie, ritagli di giornale, cartoline in bianco e nero, lettere. Tutta una vita.
Trent'anni per l'esattezza.
Ecco le foto del processo con lui chiuso in una gabbia come un animale feroce.
Ecco lui, sempre esile, dai grandi occhi scuri e melanconici, i capelli rasati a zero. Qui
in prima fila si vede il volto duro di sua madre che guarda al crocefisso appeso sopra alla testa del giudice. Papà già non c'era più. E poi la folla, tanti volti, tanti modi di essere,
vestire, che hanno proprio il sapore di tanti anni fa. Come le foto in ceramica che si vedono al camposanto.
Poi la foto del primo anno a Porto Azzurro. In divisa da carcerato, come si usava a
quel tempo, alla messa di Natale. Poi una foto di gruppo di dieci anni dopo.
Dieci anni, pensa Gastone seduto sul suo letto, le spalle curve, le foto in mano.
Alza gli occhi al soffitto. Dieci anni. Dalla prima alla seconda foto son passati dieci anni, dieci anni in un click del tempo.
Poi un ritaglio dal Gazzettino ai tempi del processo.
“Non una lacrima”, “Il mostro tace dietro alle sbarre”, “Giovanna come Maria
Goretti”.
Tutti dicevano tutto, ma nessuno sapeva, nessuno sapeva veramente perché e cosa
fosse successo, nemmeno Giovanna capiva mentre stava morendo sotto di lui. Nessuno
avrebbe mai saputo. Ed ancora, pensandoci, nemmeno lui sapeva più perché.
Perché aveva ucciso la Giovanna che pure tanto gli piaceva, perché non aveva
parlato al processo, perché non aveva parlato per tutti quegli anni, quei trent'anni.
Mentre fuori il mondo cambiava, tutto cambiava in maniera totale. Era entrato in
carcere poco dopo che D'Annunzio aveva fatto il suo volo su Vienna, ne era uscito che
l'uomo andava sulla luna.
Come si può raccontare quel che si prova a vivere in un epoca, un tempo che non
ti appartiene? Come si può pensare di scambiare trent'anni di vita per cinque minuti di
pazzia? Gastone sa che si può, eppure non ricorda più come fu e perché: certo qualcosa,
qualcosa era certamente accaduto, ma non ricorda più il lui di allora e nemmeno Giovanna e tantomeno quell’agosto senza aria. Se qualcosa torna in mente, spesso, è il pro-
fumo della lavanda che si confondeva con l’odore di mare, a Porto Azzurro. Ma questo
era dopo, dopo che tutto era già accaduto.
Come altre volte, verso l'alba, Gastone richiude la sua scatola, va al calendario sul
muro e segna una grossa croce su quest'altra notte passata.
A volte fa un profondo sospiro: ingoiando l’aria con forza resta attaccato alla vita,
sfugge a quel buio che gli opprime il petto ululando fin dentro la testa.
Poi torna a letto ed aspetta con gli occhi spalancati che il sonno ritorni.