RECENSIONI

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RECENSIONI
RECENSIONI
Un capo della Resistente in Piemonte,
Ignazio Vian, il difensore di Boves Testimonianze raccolte da Vittorio E.
Giumella, Roma, tip. Mutilatini di
guerra, 1954, pp. 89.
Quando un profilo biografico si stacca
dal piano agiografico per attendere solo
allo studio obbiettivo dei caratteri costi­
tutivi di una personalità, alla cui indi­
viduazione fornisce testimonianze di at­
tori attendibili e documenti chiarificato­
ri, costituisce anche per noi uno dei
mezzi più validi per spiegare quel com­
plesso fenomeno umano che fu la par­
tecipazione alla Resistenza armata con­
tro il fascismo, da parte dei più gene­
rosi combattenti della stessa guerra già
iniziata e condotta dal fascismo.
La breve biografia, ampiamente docu­
mentata, quale è questa preparata dal
Giumella (storico già professionalmente
affermato in altri eccellenti contributi su
periodi e vicende dell’età risorgimentale),
è appunto uno di quei saggi che si vor­
rebbero portare ad esempio, per metodo
e compiutezza, di tale genere di ricer­
che.
Ignazio Vian, sottotenente nelle Guar­
die di frontiera della IV Armata, dislo­
cata nel settore italo-francese delle Alpi,
piomba 1*8 settembre nella Resistenza,
di cui fu egli stesso uno dei più dinamici
iniziatori, con la stessa immediatezza e
coscienza del dovere da compiere, con
cui già s’era indotto a sollecitare il rico­
noscimento di idoneità fisica per parte­
cipare alla guerra dei fascisti, delle cui
ragioni disumane ed oppressive ben po­
teva essere discorde, ma a cui aveva sen­
tito di non doversi sottrarre. Egli era di
quei giovani generosi — spiega il Giun­
t e l i — « che, giudicando che il paese
andava incontro, in ogni caso, ad una
sconfitta materiale o morale, ritennero di
adempiere al loro dovere, non sottraen­
dosi all’ amaro destino. Con questo ani­
mo vollero essere presenti nei campi di
battaglia, a fianco dei fratelli più umili,
i contadini e gli operai, e fecero del loro
meglio perchè la guerra, che essi non
avevano voluta, non fosse perduta ».
Il cristianesimo, profondo e consape­
vole del V ian, negli anni della dittatura
lo aveva mantenuto avverso allo spirito
di violenza e di sopraffazione del fasci­
smo (e il Giumella ne fornisce le prove).
Ma lo stesso spirito cristiano, forse an­
che perchè cattolicamente indirizzato al
rispetto delle terrene gerarchie, dovette
farlo rifuggire dal dramma politico della
scelta della parte, quale in effetti — ri­
solto o irrisolto che poi rimanesse — tor­
turò molte delle menti politicamente più
sensibili.
Forse quei giovani come il Vian spera­
vano, osserva il Giumella, di potere in
seguito, proprio attraverso il sacrificio
personale e la suprema lealtà di condot­
ta, « positivamente contribuire, abbattu­
ta la classe dirigente che aveva sfidato
l’estrema avventura, alla riconquista del­
la libertà e della dignità perdute ». Ma
certo era « folle ingenuità », quella che li
illudeva di potere a guerra finita, indur­
re alla resa dei conti la generazione che
li aveva traditi!
Si direbbe che una certa similitudine
tra l’atteggiamento loro e l’insegnamen­
to che fu già del Croce dinanzi alla pri­
ma guerra, e che invitava a positiva ac­
cettazione, sino al sacrificio, di un de­
stino che mai si sarebbe scelto per l’ I­
talia, ma che era troppo tardi discutere
dal momento che il paese, o il governo,
l’avevano fatto proprio. Senonchè alla
coerenza con una certa filosofia idealisti­
ca, che allora aveva tenuto ossequiente
il Croce, si sostituiva nei giovani come
il Vian il misticismo cristiano della par­
tecipazione attiva e redentrice al dolore
di tutti.
Ma sia nell’una che nell’altra esperien­
za la forza tradizionale degli istituti, idea­
listicamente trasfigurati o, per formazio­
ne cattolica, riconosciuti e giustificati,
presiedeva al generoso comportamento.
Certo questi motivi religiosi od eti­
ci apparvero assai più chiari e non più
conturbanti quando, dopo l’8 settembre,
Vian si gettò fra i primi nel movimento
di Liberazione. Alla consapevolezza si
aggiunse allora la gioia : segno di rag­
giunta compiutezza. L ’eroe, tutto inteso
agli atti di nobiltà e di generosità pura,
poteva trovare finalmente la sua via,
dalle ragioni più evidenti e tranquillan­
ti. Ma anche allora permanevano del
passato le forme di ossequio ai simboli
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Recensioni
tradizionali della bandiera, della divisa,
della cerimonia militare; e a chi preferiva
le modalità della tattica partigiana, fat­
ta di mimetizzazioni e di imboscate, Vian
per molto tempo contrappose l’idea di
una partigianeria ideale, popolata di « di­
vise, armi in spalla, autocarri, giuramen­
ti in quadrato ».
Personalità singolarissima quella del
Vian, ma non di meno caratterizzante,
nelle sue proporzioni esemplari, di un
certo tipo di partigiano, quello del sol­
dato ideale, del « militare » per anto­
nomasia alle origini almeno del nuovo
movimento, quando la lotta per la li­
bertà pareva aver bisogno di giustifica­
zioni legalitarie ed anche di commozio­
ni romantiche, per affermarsi e dilagare
tra le vecchie file.
Ma subito prevalse la statura eccezio­
nale dell’uomo, che da ufficiale regio di­
venne presto soldato di ventura, dall’a­
scendente umano straordinario, che tra­
scinava suo malgrado turbe di ragazzi
inermi, disposti a seguirlo in battaglia,
anche solo a scagliar sassi, ma che non
intendevano abbandonare « Lui »; o che
veniva descritto da un commilitone, il
maestro Giuliano, con i tratti di un guer­
riero omerico quando, nel primo assalto
di Boves, ritto contro i tedeschi avanzan­
ti impartiva a gran voce ordini di mano­
vre a truppe inesistenti.
I documenti, taluni persino di una eloquenza semplicissima, sono stati scelti
non solo con affettuosa memoria d ’ami­
co, ma con intelligente selezione dal
Giumella, che è riuscito a porre in luce
da punti diversi la figura del ventiseienne comandante, sino al sacrificio per im­
piccagione all’ albero di un viale di T o ­
rino, in un afoso pomeriggio del luglio
’44 (che si svolse con lugubre messa in
scena ed esemplare manovra avvolgente
sui passanti, da parte degli sgherri no­
strani e delle loro femmine « ausiliarie »,
come chi scrive ancora tristemente ri­
corda).
G iorgio V accarino
F. CHILANTI, Gastone Sozzi, Editori Riu­
niti, 1955, pp. 246 - L . 500.
Gastone Sozzi è nato a Cesena nel
1903 ed è morto nelle carceri di Perugia
— presumibilmente in seguito alle tor­
ture subite —• nell’ anno 1928. « Se i fa­
scisti non lo avessero ucciso, Gastone
Sozzi sarebbe oggi un dirigente del
P .C .I., coetaneo o quasi di Longo, Co­
lombi, D ’O nofrio...; un po’ più giovane
di Terracini e Togliatti, un po’ più an­
ziano di Pajetta e di Amendola ». Con
questo riferimento agli attuali dirigenti
comunisti, Chilanti imposta il suo discor­
so sul militante imolese prematuramente
scomparso. E ’ , a mio giudizio, una giu­
sta impostazione. La troppo breve esi­
stenza di Gastone Sozzi non gli ha con­
sentito di diventare figura di primo pia­
no come dirigente della classe operaia e
come protagonista della lotta antifascista.
Le incertezze sulle circostanze in cui egli
è morto hanno negato al suo sacrificio
quel valore edificante che ha invece la
morte di un Matteotti o d’ un Gramsci,
d ’un Ceva o d’ un De Bosis. La sua in­
terrotta esperienza umana e politica —
oggi raccontabile e storicizzabile appunto
perchè interrotta — importa in quanto
risulta esemplare del primo formarsi dei
quadri dirigenti di quel partito, il P .C .L ,
che ha dato notevolissimo contributo al­
la lotta antifascista. Devo aggiungere che
il tema del formarsi d'un dirigente co­
munista alle origini del comunismo ita­
liano appare oggi di particolare, attualis­
simo interesse. In questi tempi di clamo­
rose autocritiche e di troppo frettolose
revisioni storiche è necessario ristudiare
e rimeditare pacatamente e seriamente
quali circostanze storiche, quali situazio­
ni sociali ed ambientali hanno determi­
nato la nascita del partito Comunista e
con essa l ’inizio di una fase del movi­
mento operaio che per molti aspetti si
va conchiudendo. Il temperamento di
Gastone Sozzi, la situazione familiare ed
ambientale che condizionano la sua pri­
ma giovinezza, il momento storico che
egli si è trovato a vivere proprio nell’ età
in cui un giovane sceglie la propria stra­
da, sono tutti elementi che concorrono
a rendere esemplare la sua esperienza di
militante del nascente, nuovo partito del­
la classe operaia e contadina italiana. V i
è da un lato la condanna dei dirigenti
tradizionali del movimento operaio, di­
visi tra una verbosa demagogia ed un
piatto opportunismo, e dall’altro lato
l’ influenza della grandiosa esperienza
della Rivoluzione d’ Ottobre. Di qui l'e ­
sigenza di rompere con il passato, di es­
sere classe dirigente nuova che prepara
se stessa attraverso lo studio e l’orga­
nizzazione, che prepara la rivoluzione
come se la rivoluzione dovesse scoppiare
domani. Di qui ancora la rinuncia non
solo alla carriera, ma alla stessa vita pri­
vata, ogni energia dovendo essere dedi-
R ecen sio n i
caia, senza legami d ’altra natura e senza
distrazioni, alla preparazione del grande
evento; evento che, pur con Raffermarsi
del fascismo ed il suo divenire dittatura,
rimane obbiettivo immutato. E per esso,
dunque, l ’attività clandestina ed il sacrificio finale.
Per ricostruire la vita di Gastone Sozzi
e per comprenderne la personalità, Feli­
ce Chilanti ha trascorso qualche tempo
ad Imola, ha interpellato la vedova, gli
amici ed i compagni del Sozzi, ed ha esaminato le lettere di lui ai famigliari,
unica testimonianza scritta che è stato
possibile rintracciare. Egli si è sforzato
di capire il suo personaggio nei suoi trat­
ti individuali ed in relazione al mondo
ed al momento storico in cui egli è vis­
suto. La strada era evidentemente quel­
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la giusta; il risultato, se non ottimo, può
essere detto soddisfacente.
Spesso il legame tra l’individuale ed
il generale è dichiarato piuttosto che
spiegato o raccontato. Gli ampi brani
delle lettere di Gastone a Norma, dive­
nuta poi sua moglie, rallentano qua e
là la narrazione. Soprattutto avrei pre­
ferito nel Chilanti un maggior distacco
dal suo personaggio, il coraggio d ’un di­
scorso meno affettuoso e più critico. Ma
mi rendo conto quanto sia difficile rac­
cogliere notizie dalla vedova e dagli ami­
ci di un martire e poi scrivere un libro
diverso da quello che la vedova e gli
amici, in virtù del loro affetto e della
loro devozione, si attendevano.
G iovanni P irelli