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CRISI DI IMPRESA
- ANALISI DEI NUOVI ISTITUTI GIURIDICI E STRUMENTI OPERATIVI - ACCORDI
DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI E TRANSAZIONE FISCALE MARTEDÌ 5APRILE 2011 -COLLEGIO UNIVERSITARIO "DE FILIPPI", VIA BRAMBILLA, 15 -VARESE
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti
L'art 182 bis della legge fallimentare è stato introdotto dalla legge 80 del 2005, di conversione
del decreto legislativo 35 del 2005 ed ha poi subito rilevanti modifiche in conseguenza del
cosiddetto decreto correttivo della legge fallimentare- 169. 2007- e del decreto legislativo 78
del 2010.
Si tratta di un istituto con il quale si è cercato di valorizzare, attraverso una sua parziale
giurisdizionalizzazione,uno strumento di composizione negoziale della crisi di impresa, già
conosciuto nella realtà economica italiana attraverso i cosiddetti concordati stragiudiziali, ma
peraltro già oggetto di puntuale disciplina in altri ordinamenti.
In particolare l'ordinamento statunitense al cosiddetto Chapter Eleven, regolamenta la
procedura della Corporate Reorganization, che attribuisce grande rilievo agli accordi tra
debitore e creditore al fine di fornire al primo il cosiddetto fresh start, che gli consenta di
continuare ad operare sul mercato.
Tale disciplina e' caratterizzata dal fatto che gli accordi sono vincolanti anche per i creditori
dissenzienti, il cui interesse e' valutato secondo la regola del Cram Down, con la
conseguenza che i medesimi soccombono qualora il rifiuto dell'accordo non sia giustificato da
un miglior trattamento che deriverebbe loro dalla liquidazione concorsuale.
Nell'ordinamento francese, poi ,gli accordi tra debitore e creditore si svolgono sotto la
sorveglianza della magistratura che può procedere alla sostituzione dell'imprenditore nella
gestione dell'impresa.
Nel nostro sistema, peraltro, vi era già il codice di comportamento banche- imprese in crisi,
varato dall’ ABI nel 1999 ,che si ispirava al cosiddetto London Approach, istituto della
legislazione anglosassone basato sulla gestione delle crisi di impresa da parte dei creditori
istituzionali, in particolare delle banche, attraverso l'offerta all'imprenditore di strumenti per
superare la crisi, i cui principi qualificanti sono quelli di consentire la continuazione
dell’attività d’impresa solo qualora il valore della stessa ad esito del risanamento sia superiore
a quello della sua liquidazione e di impegnarsi a mantenere le linee di credito per tutto il
tempo necessario alla realizzazione del piano,previa sua valutazione comune(il cosiddetto
approccio multi- Banca).
Tale istituto ha, negli anni, fondato il suo successo, in particolare sul coordinamento, ed
anche, sull’opera di mediazione,che vengono svolte al riguardo dalla Banca d'Inghilterra .
L'introduzione dell’art 182 bis risponde dunque alla necessità di dare stabilità ai cosiddetti
concordati stragiudiziali, ribadendo l'interesse dell'ordinamento alla stipula di accordi di
risoluzione negoziale della crisi di impresa che vadano, sia pure in via tendenziale, verso il
suo risanamento, e cerca di ovviare alle problematiche di asimmetria informativa fra le varie
categorie dei creditori e di garanzia della terzietà del ruolo dell’ advisor-figura alla quale si
faceva frequente ricorso al fine di analizzare la sussistenza dei presupposti per un concordato
stragiudiziale e di predisporre il relativo programma di attuazione-, attraverso una loro
parziale giurisdizionalizzazione
Il legislatore è stato mosso dalla considerazione che una gestione totalmente extragiudiziale
della crisi di impresa senza un'adeguata e specifica copertura normativa, ne diminuiva
l'appetibilità per il mercato, e ciò in quanto, di fronte ad un'impresa in crisi ,la risoluzione della
stessa comporta assai di frequente l'ingresso di nuova finanza ed è altrettanto intuitivo che la
concessione di nuovi apporti finanziari trovi principale ostacolo, da parte dei soggetti
potenzialmente disponibili al riguardo, nei rischi di carattere penale e nei rischi di revocatoria.
In un primo momento la normativa si è preoccupata , esclusivamente, di prevedere la
esenzione da revocatoria degli atti, dei pagamenti ,delle garanzie poste in essere in
esecuzione dell'accordo omologato ai sensi dell'articolo 182 bis,, e, solo con l'intervento di cui
al decreto legislativo 78 del 2010, si è giunti a prevedere la prededucibilità dei finanziamenti
effettuati in occasione di un accordo omologato o in funzione di un accordo poi omologato
(previsioni queste contenute nel nuovo articolo 182 Quater LF).
Quanto ai profili penali, l’articolo 217 bis, introdotto dalla legge 122 del 2010 prevede che alle
operazioni e ai pagamenti compiuti in esecuzione di un accordo di ristrutturazione omologato,
non si applicano le ipotesi criminose di bancarotta preferenziale (articolo 216 terzo comma) e
di bancarotta semplice e ciò al fine di evitare che l’imprenditore possa essere imputato di
bancarotta semplice per aver ritardato il proprio fallimento o che l’imprenditore e i creditori
possano essere imputati di bancarotta preferenziale in relazione a pagamenti differenziati per
le varie tipologie dei creditori
Il rapporto tra accordi di ristrutturazione e concordato preventivo.
A seguito della introduzione del nuovo istituto la dottrina si è subito interrogata sulla natura
contrattuale o giudiziale dell'istituto e se comunque trattasi di una fattispecie autonoma o di
una particolare ipotesi di concordato preventivo.
La tesi che pare preferibile,e che sta trovando sempre più numerose adesioni sia in dottrina
che in giurisprudenza e’ quella della natura negoziale dell'accordo di ristrutturazione con
rilevanti conseguenze in ordine alla impossibilità di applicare in via analogica le norme sul
concordato preventivo.
Le principali ragioni che militano a fondamento di tale tesi sono - oltre quelle di tipo
nominalistico, legate alla modifica del titolo terzo della legge fallimentare ove oggi si parla
espressamente del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, ,ed al riferimento
espresso, contenuto nell'articolo 67 terzo comma lettera e LF, all'esenzione da revocatoria
degli atti posti in essere in esecuzione del concordato preventivo e dell'accordo ai sensi
dell'articolo 182 bis-l’assenza di alcuna forma di concorso tra i creditori e quindi di par
condicio, la mancanza di organi della procedura, la mancanza di alcun effetto remissorio per i
creditori rimasti estranei all'accordo, e la circostanza che gli accordi con i creditori devono
essere raggiunti dal ricorrente nella fase preprocessuale, e pertanto costituiscono un
presupposto per l'inizio della fase giudiziale.(la nuova disposizione di cui all’articolo 182 bis
sesto comma sul divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive prima della
formalizzazione dell’accordo, non appare contraddire la superiore conclusione in quanto
trattasi appunto di una fase cautelare che vuole anticipare l’effetto di protezione e dunque non
può che ricondurlo ad un momento anteriore nel quale l’accordo nella sua globalità non si è
ancora perfezionato)
Si è in buona sostanza in presenza di un istituto in qualche modo assimilabile al pactum de
non petendo e dunque ad un contratto bilaterale plurisoggettivo a causa unitaria (vedi sul
punto Tribunale Brescia 22 febbraio 2006- o in alternativa a un fascio di negozi bilaterali tra
debitore e ciascun creditore, legati tra loro da un motivo comune.- vedi Tribunale Bari 21
novembre 2005 e ancor prima, sul concordato stragiudiziale, Cassazione 1562. 79)
La scelta tra teoria atomistica e teoria unitaria non ha una incidenza solo teorica in quanto
potrà spiegare effetti sulla rilevanza della invalidità di una o più manifestazioni di consenso e
sulla estensione degli effetti e risolutori.
I presupposti soggettivi ed oggettivi il contenuto dell'accordo
Lo strumento in oggetto può essere utilizzato, ai sensi dell'articolo 182 bis nuovo testo da un
imprenditore che abbia i requisiti dimensionali di cui all'articolo uno della legge fallimentare e
per il quale dunque siano configurabili, in caso di omologa dell'accordo, gli effetti di esenzione
dalla revocatoria di cui all'articolo 67 terzo comma lettera E.LF.
Del tutto minoritaria e’ la tesi che consentirebbe anche all’imprenditore sotto-soglia di
accedere a questo strumento normativo.
Condivisibile è poi la tesi della utilizzabilità dell’istituto anche da parte di imprese soggette alla
liquidazione coatta amministrativa e ciò anche sulla scorta della considerazione che tali
imprese possono accedere alla procedura di concordato preventivo e che comunque
risponde ad un interesse generale del sistema il ricorso a strumenti che valgano ad evitare la
procedura concorsuale liquidatoria..
Nessun dubbio poi sul fatto che gli imprenditori irregolari non possano fruire degli accordi di
ristrutturazione, in quanto detti accordi devono essere pubblicati nel registro delle imprese e
quindi l’imprenditore deve esservi iscritto..
È vero che astrattamente potrebbe procedersi all’iscrizione alla pubblicazione in un unico
contesto, ma l’istituto degli accordi di ristrutturazione costituisce per l’imprenditore un
beneficio ed appare conseguenziale ritenere che possa accedervi solo l’imprenditore
regolare.
Quanto ai presupposti oggettivi,l'imprenditore deve trovarsi in stato di crisi;è evidente ,
allora,che tale strumento , come del resto il concordato, può essere utilizzato anche
dall'imprenditore che versi nella più grave situazione di insolvenza..
Viceversa può essere in concreto problematico individuare la soglia di ingresso alla
procedura e dunque quale sia la situazione di deterioramento economico dell’impresa a
partire dalla quale sia possibile parlare di crisi..
Una corrente di pensiero, certamente in linea con la ratio della riforma, ritiene che di tale
requisito debba essere data un’interpretazione molto lata e che dunque, anche un’impresa
che si trovi attualmente in uno stato di equilibrio economico, finanziario e patrimoniale,
qualora abbia contezza di un evento che a breve termine scompaginarebbe tali indici, ben
potrebbe accedere agli accordi di ristrutturazione in quanto gli imprenditori sono
tendenzialmente riottosi a fare outing sulla crisi della propria impresa, e dunque andrebbero
in tal modo incoraggiati-Fabiani Gli accordi di ristrutturazione Estratto dal volume “Diritto
fallimentare principi e regole”Il nuovo articolo 182 bis prevede che l'imprenditore possa domandare al tribunale, dove
l'impresa ha la sede legale,con la conseguente irrilevanza della sede amministrativa di fatto,
e senza che possa applicarsi il disposto dell'articolo 9 della legge fallimentare in ordine al
trasferimento della sede intervenuto nelle more della instaurazione del giudizio,-tale essendo
l’orientamento prevalente stante la mancata applicazione analogica delle norme sul
concordato preventivo, ma vedi, problematicamente, l’espresso richiamo all’articolo nove
contenuto nell’articolo 182 bis comma sesto- la omologazione di un accordo di ristrutturazione
dei debiti, che sia stato stipulato con i creditori rappresentanti almeno il 60% dei crediti.
Del resto avendo la legge previsto la iscrizione degli accordi presso il registro delle imprese
appare naturale il riferimento al tribunale del luogo ove la sede legale della società si trova.
È quindi necessario che, avuto riguardo all'ammontare complessivo dei debiti dell'impresa, vi
sia già l'adesione al piano da parte di un numero di creditori che rappresenti almeno il 60%
dei crediti, non apparendo pertanto condivisibile la tesi secondo la quale il ricorso sarebbe
proponibile anche qualora gli accordi riguardino una percentuale inferiore purché all'atto
dell'omologazione del tribunale siano pervenute le necessarie adesioni, se non altro perché si
sarebbe in presenza di una relazione dell’attestatore che si esprimerebbe sulla fattibilità del
piano,pur in mancanza del fondamentale dato di partenza costituito dalla percentuale
qualificata di creditori aderenti (nello stesso senso Tribunale di Brescia 22 febbraio 2006) .
Quanto agli accordi intercorsi con i creditori aderenti, la normativa non prevede specifiche
modalità, anche se nella prassi sicuramente una componente essenziale sarà costituita dal
consolidamento del debito oppure da una ridefinizione del rapporto quanto ai tempi e alle
modalità di pagamento.
Secondo taluni, poi, agli accordi di ristrutturazione andrebbe applicato l'articolo 160 della
legge fallimentare nella parte in cui, alla lettera a, prevede la ristrutturazione dei debiti e la
soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni,
accollo, o altre operazioni straordinarie.
Secondo altri, peraltro, tali modalità sarebbero ben poco compatibili con la fattispecie in
esame anche a fronte del mancato richiamo, appunto, dell'articolo 160 della legge
fallimentare da parte dell'articolo 182 bis, pertanto l'accordo potrebbe intervenire
esclusivamente sull'ammontare del debito e sulla scadenza, ipotesi questa che appare
maggiormente conforme alla genesi dell'istituto che va rintracciata. nel vecchio concordato
finanziario..
Merita di essere sottolineato che comunque il proponente,ha almeno in teoria,piena
autonomia in ordine alle modalità e alle percentuali di soddisfacimento dei creditori aderenti e
non ha alcun obbligo di rispettare cause di prelazione scaturenti dalla natura del credito
Nella pratica tuttavia inevitabilmente stante la diffusione dell’accordo tra tutti creditori
aderenti,una certa attenzione a tali profili sarà inevitabile.
La relazione dell'esperto
La domanda deve essere accompagnata dalla relazione di un professionista in possesso dei
requisiti di cui all'articolo 67 terzo comma lettera d LF sulla attuabilità dell'accordo stesso con
particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori
estranei. Opportunamente, la novella del 2007 ha chiarito quali professionalità deve
possedere l’esperto e, attraverso il riferimento all'articolo 67, ha fatto richiamo ai requisiti
dell'attestatore del piano di risanamento e quindi a quelli indicati dall'articolo 28 comma primo
lettere A e B ai sensi dell'articolo 2501 bis comma quarto del codice civile..
La relazione deve dar conto della attuabilità dell’accordo con particolare riferimento alla sua
idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei.
La norma, anche nella sua versione attuale, non fa alcun riferimento alla necessità per
l’esperto di attestare la veridicità e regolarità dei dati aziendali.
Peraltro, tutti i precedenti rintracciati sul punto sono concordi nel ritenere la suddetta
attestazione contenuto necessario della relazione e tale conclusione non può che condividersi
avuto riguardo alla circostanza che la veridicità dei dati aziendali appare come necessario
presupposto del giudizio di fattibilità dell’accordo.
L’esperto dovrà pertanto garantire l’esattezza dei dati aziendali su cui è bastato l’accordo.
Com’è stato efficacemente affermato (tribunale di Milano 25 marzo 2010), se non vi fosse la
certezza della entità e della qualità dell’esposizione debitoria del ricorrente ne conseguirebbe
la completa inaffidabilità delle valutazioni inerenti la fattibilità degli accordi e la loro idoneità a
garantire il pagamento regolare dei creditori estranei.
L’attestatore deve pertanto assumersi la responsabilità di affermare che i dati contabili sono
stati riscontrati come veritieri e solo così può articolare un percorso logico argomentativo
serio e coerente.
Qualora venga meno a tali principi l’esperto è sicuramente responsabile contrattualmente
verso il proponente e in via extracontrattuale verso la generalità dei creditori per l’ipotesi di
errori commessi nella verifica dei dati o per la dolosa falsificazione dei dati medesimi.
Il contenuto principale della relazione è costituito dalla ritenuta, dall’attestatore, attuabilità del
piano.
Il professionista deve attestare che gli accordi sono attuabili e che dunque attraverso di essi
è possibile liberare risorse che consentano il pagamento regolare dei creditori estranei.
Deve trattarsi di un pagamento, regolare ,dunque di un pagamento, delle somme e con le
scadenze previste in contratto, non potendo, ragionevolmente, modificarsi in peius,pena una
incostituzionale espropriazione di una quota del credito, la posizione giuridica soggettiva di
coloro che sono rimasti estranei all’accordo per non essere stati consultati o per non avervi
aderito.
Merita di essere sottolineato che, per converso, i creditori estranei non potranno beneficiare
della esenzione revocatoria della quale beneficiano i creditori aderenti all’accordo.
Quanto alla natura del controllo che il tribunale deve compiere in relazione alla fattibilità del
piano, non vi è uniformità di vedute in giurisprudenza
Secondo taluni (tribunale di Roma 5 novembre 2009) si tratta comunque, e sempre, di un
controllo di legalità, che deve prescindere da ogni valutazione sulla convenienza del
dell’accordo o sul merito del piano, che deve concernere la valutazione della coerenza e
completezza logico argomentativa della relazione.
Secondo altri,( tribunale Milano 15 ottobre 2009) il controllo da svolgere appare di intensità
diversa , a seconda se siano state proposte o meno opposizioni.
Ed invero, secondo i giudici milanesi,in assenza di opposizione, il giudice deve ripercorrere
l’iter logico seguito dal professionista nella relazione per verificare se sia immune da vizi logici
e sia razionale, esaustivo e coerente.e dunque il controllo posto in essere può essere definito
quale controllo di legittimità.
Qualora siano state proposte opposizioni invece, il tribunale deve esaminare nel merito le
censure svolte dagli opponenti, e pertanto, per esempio, valutare, non soltanto se attraverso il
piano sia possibile giungere al regolare pagamento di creditori estranei, ma anche valutare se
il piano di ristrutturazione o di liquidazione sottostante all’accordo sia prospetticamente
realizzabile..
Non potrà ritenersi fattibile un piano di risanamento che si basi sull’aumento di capitale da
parte di terzi soggetti che non sia concretamente prevedibile, o che non tenga nel dovuto
conto consistenti situazioni debitorie, ritenute inesistenti dal proponente sulla scorta di
argomentazioni giuridiche palesemente errate e oggetto, nella specie, delle opposizioni dei
creditori..
D’altro canto, qualora il piano di risanamento abbia una prospettiva di medio lungo periodo,,
in assenza di opposizione, il giudice non dovrà ricercare la piena certezza giudiziale sulla
realizzazione del piano, ma dovrà accontentarsi di rilevare la correttezza dell’iter logico
contenuto nella relazione e la verosimiglianza delle ipotesi di riuscita del piano contenute
nella relazione medesima (tribunale Milano 15 ottobre 2009).
Credo che al di là dei distinguo di carattere terminologico, il controllo in questione debba
comunque essere penetrante e possa anche essere definito come controllo di merito, certo
modulato sulla scorta della struttura del piano, della tempistica di realizzazione e degli
elementi apportati dei creditori, anche perché manca nell’accordo di ristrutturazione, la
funzione di supporto svolta nel concordato dalla figura del commissario giudiziale
Rapporto tra domanda di omologa dell’accordo e istanza di fallimento.
Si discute, in dottrina come in giurisprudenza sulla possibilità o meno di ricomprendere nel
divieto di azioni cautelari ed esecutive, la proposizione di istanza di fallimento, .
Secondo taluni la ratio della norma è quella di evitare che si costituiscano vincoli sul
patrimonio del debitore a vantaggio di alcuni creditori e a danno dell’interesse dell’intero ceto
creditorio alla valutazione dell’accordo di ristrutturazione, e pertanto non riguarda il diverso
interesse pubblico all’accertamento di un eventuale stato di insolvenza (tribunale Milano 15
ottobre 2009).
Secondo altri-Fabiani op. cit-. il fallimento è anche azione esecutiva e lo è anche l’iniziativa
per la sua declaratoria e pertanto il fallimento sarebbe già precluso in chiave processuale
dalla pendenza dell’omologazione.
Ne conseguirebbe l’improcedibilità del ricorso per dichiarazione di fallimento per il periodo
previsto dalla norma.
Nella casistica giurisprudenziale è già accaduto, dinanzi al tribunale di Milano, che
risultassero contemporaneamente pendenti una domanda ai sensi dell’articolo 182 bis e
istanze di fallimento presentate da un creditore e dal Pubblico Ministero (organo quest’ultimo
che, anche a prescindere dalla presentazione di un’istanza di fallimento, può sicuramente
intervenire nel procedimento ex articolo 182 bis, sulla scorta del disposto dell’articolo 70
all’ultimo comma del codice di procedura civile, che lo legittima ad intervenire in ogni
procedimento civile nel quale sia ravvisabile l’esistenza di un pubblico interesse, quale, deve
ritenersi, quello in esame).
Di fronte a tale evenienza, la soluzione prescelta dai giudici milanesi è stata quella di
procedere alla trattazione unitaria dei due ricorsi e quindi alla loro riunione al fine di verificare
la omologabilità dell’accordo -con conseguente venir meno dello stato di crisi e dunque anche
dell’insolvenza- in caso contrario respingendo l’istanza di omologazione e procedendo con
separato provvedimento alla dichiarazione di fallimento (tribunale di Milano 25 marzo 2010).
Sono state peraltro prospettate, anche autorevolmente, sia la soluzione della sospensione del
procedimento prefallimentare, sia quella della improcedibilità che consegue alla qualificazione
delle iniziativa per la dichiarazione di fallimento quale azione esecutiva.
Non vi è comunque dubbio sulla circostanza che prima di valutare nel merito l’istanza di
fallimento occorra procedere alla valutazione della omologabilità dell’accordo di
ristrutturazione.
Opposizione ed omologazione.
L’accordo del quale si chiede la omologazione deve essere pubblicato nel registro delle
imprese e acquista efficacia dal giorno della pubblicazione.
Entro 30 giorni dalla pubblicazione, i creditori ed ogni altro interessato possono proporre
opposizione, e tale termine è pacificamente perentorio.
Il tribunale, con il rito della camera di consiglio, deciderà sulle opposizioni e procederà
all’accoglimento o al rigetto della domanda di omologazione; in questo secondo caso ben
potrà trasmettere gli atti al Pubblico Ministero ai sensi dell’articolo 7 ultimo comma della legge
fallimentare, qualora ravvisi una situazione di insolvenza.
La previsione della formalità della pubblicazione, per un verso conferma che l’accordo deve
necessariamente assumere la forma scritta e per altro verso richiede l’autenticazione delle
sottoscrizioni apposte all’accordo ai fini della sua pubblicazione nel registro delle imprese.
La brevità del termine previsto per l’opposizione fa assumere indubbia rilevanza pratica alla
questione della applicabilità o meno al termine medesimo della sospensione feriale.
In assenza di riscontri giurisprudenziali sul punto, appare peraltro preferibile propendere per
l’applicabilità della sospensione feriale trattandosi è vero, di un termine sostanziale che però
ha una indubbia valenza processuale, costituendo l’unico mezzo di tutela per il diritto
dell’opponente soggetto decadenza (vedi al riguardo Corte Costituzionale 275.1974).
Il legislatore della novella, malgrado le critiche della dottrina, ha ritenuto di non disciplinare
nelle sue modalità, il procedimento di opposizione, contrariamente,a quanto, per esempio,
previsto nel giudizio di omologazione del concordato preventivo.
Troverà quindi applicazione il rito generale dei procedimenti in camera di consiglio di cui
all’idea articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, con i necessari, e probabilmente
non semplici, aggiustamenti legati alla peculiarità del procedimento.
Il decreto correttivo del 2007 ha poi previsto, al terzo comma ,che dalla data della
pubblicazione e per 60 giorni, i creditori per titolo e causa anteriore a tale data, non possano
iniziare o proseguire azioni cautelari ed esecutive sul patrimonio del debitore.
Si tratta di una scelta certo opportuna, volta ad eliminare uno dei più rilevanti profili di poca
appetibilità dell’istituto, attraverso la previsione di un effetto legale di protezione del
patrimonio del debitore al fine di garantirne la idoneità dell’accordo ad assicurare il regolare
pagamento dei creditori estranei.
Viene anche prevista la sospensione dei termini di prescrizione e la mancata maturazione
delle decadenze nel suddetto periodo.
Con il decreto legislativo 78 del 2010 la tutela del proponente è stata ampliata, in quanto la
salvaguardia del proprio patrimonio dalle azioni cautelari od esecutive può essere richiesta
dal proponente anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell’accordo,
depositando presso il tribunale competente ai sensi dell’articolo 9, la documentazione di cui
all’articolo 161 lf ed una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell’imprenditore
che attesta l’esistenza di trattative con creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti e
da una dichiarazione del professionista che attesti la idoneità della proposta ,se accettata, ad
assicurare il regolare pagamento degli altri creditori.
Tale istanza rivolta al tribunale,una volta pubblicata nel registro delle imprese produce
immediatamente l’effetto inibitorio relativamente alle azioni esecutive e cautelari.
Sarà il tribunale, una volta ricevuta la richiesta dell’imprenditore, a fissare l’udienza entro il
termine di 30 giorni ,disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione
depositata.
Ad esito dell’udienza, il tribunale, qualora abbia positivamente riscontrato la sussistenza dei
requisiti di legge per pervenire all’accordo di ristrutturazione omologabile disporrà il divieto di
iniziare o proseguire le azioni cautelari esecutive, assegnando al ricorrente termine per il
deposito, entro 60 giorni, dell’accordo e della relazione.
Si tratta di una previsione normativa di incerta scrittura e che lascia ampi margini di dubbio
sulla possibilità per il tribunale di effettuare una piena valutazione, in prospettiva, della
fattibilità di un accordo di ristrutturazione, sulla sola scorta della proposta di accordo e della
dichiarazione del professionista
Il provvedimento del tribunale che accoglie la istanza di omologazione e’ infine reclamabile
da coloro che sono state parti nel giudizio di omologazione, dinanzi alla Corte di Appello nel
termine di 15 giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese.
Dubbi di incostituzionalità sono stati prospettati in ordine a tale disposizione in forza della
circostanza che il dies a quo per la proposizione del reclamo decorre dalla pubblicazione del
decreto e non dalla comunicazione del provvedimento..
L’inadempimento dell’accordo
Qualora, dopo l’omologazione il debitore sia inadempiente, i creditori che hanno aderito
all’accordo, e non certo quelli rimasti estranei, che dall’accordo medesimo non hanno subito
alcun pregiudizio ,potranno chiederne la risoluzione, con la conseguenza che ad esito della
pronuncia risolutoria, il credito rivivrà nella sua consistenza originaria(essendo per altro tutti
da approfondire i profili relativi alla legittimazione attiva alla richiesta di risoluzione, se
spettante solo al creditore che ha subito l’inadempimento o anche ad altro creditore, e quelli
relativi alla possibilità di una risoluzione parziale dell’accordo, con la conseguenza che il
creditore che ha ottenuto la pronuncia di risoluzione diverrebbe creditore estraneo all’accordo
e come tale dovrebbe essergli garantito l’immediato pagamento dell’intero,che peraltro
potrebbe essere ritenuto comunque non regolare perché non corrispondente alla scadenza
originaria, con conseguenti rischi di tenuta dell’accordo di ristrutturazione nel suo
complesso)..
In caso di successivo fallimento, l’accordo continuerà ad avere efficacia fra le parti e dunque i
creditori potranno insinuarsi al passivo nei limiti della determinazione del loro credito
contenuta nell’accordo, a meno che in sede di accordo sia stata inserita la condizione
risolutiva relativa. .
Conclusioni
L’istituto degli accordi di ristrutturazione costituisce certamente espressione della volontà del
legislatore di porre al centro del sistema normativo il recupero delle imprese in crisi
attribuendo largo spazio agli accordi fra l’imprenditore ed i creditori.
Resosi peraltro conto della scarsa operatività dell’istituto il legislatore ha apportato dei
correttivi che andranno sperimentati nella pratica giudiziaria al fine di verificare la loro
incidenza sulla diffusione dell’istituto,-si contano ad oggi poche decine di domande presentate
in sede giudiziaria- che appare comunque nella sua globalità un equilibrato tentativo di
trovare una linea mediana fra gli accordi stragiudiziali lasciati alla libera contrattazione e le
procedure concorsuali propriamente dette.
Il successo dell’istituto dipenderà certamente per un verso dalla capacità del proponente di
rappresentare ai creditori un pay-off, un plusvalore che possa scaturire dall’adesione
all’accordo rispetto alle ipotesi alternative di risoluzione della crisi, ma dall’altro anche dalla
capacità dei creditori di risolvere positivamente il cosiddetto dilemma del volontario elaborato
nell’ambito della teoria dei giochi.
Secondo questa teoria il dilemma è quello in cui tutti i giocatori si trovano quando ciascuno
deve scegliere se compiere un sacrificio dal quale tutti trarranno beneficio oppure agire da
free rider-e dunque fruire di un servizio senza sopportare il relativo costo-.
Se, per esempio, in un immobile manca l’energia elettrica, tutti i condomini sanno che per
risolvere il guasto bisognerà avvertire la compagnia elettrica ma sanno anche che per farlo
occorre che qualcuno sopporti il relativo costo.
Se nessuno si offre volontario si otterrà il peggior risultato possibile per tutti e cioè il fatto che
nel palazzo continuerà a mancare l’elettricità, mentre se qualcuno sopporterà il relativo costo
vi sarà un vantaggio per tutti, certo maggiore per coloro che non si saranno offerti volontari.
Sarà quindi necessario che i creditori si rendano conto che rimanere alla finestra di fronte
una proposta di accordo, sperando così di lucrare il 100% del credito, potrebbe portare al
peggior risultato possibile per tutti e cioè la mancata realizzazione dell’accordo e l’apertura di
una procedura concorsuale dagli ingenti costi e dalle incerte tempistiche..
Varese 5 aprile 2011
Miro Santangelo