IL DELTA DEL NIGER DEVE ESSERE BONIFICATO, PERCHÉ UN

Transcript

IL DELTA DEL NIGER DEVE ESSERE BONIFICATO, PERCHÉ UN
IL DELTA DEL NIGER DEVE ESSERE BONIFICATO, PERCHÉ UN AMBIENTE SANO
È UN DIRITTO UMANO!
1. Situazione generale nel delta del Niger
Il delta del fiume Niger, in Nigeria, è una delle 10 più importanti zone umide ed
ecosistemi marini di costa del mondo e vi abitano circa 31 milioni di persone. Vi si
trovano inoltre enormi depositi di petrolio, estratto per decenni dal governo della Nigeria
e dalle imprese multinazionali. Dal 1960 il petrolio ha generato un guadagno stimato
intorno ai 600 bilioni di dollari. Ciononostante, la maggioranza della popolazione vive in
povertà senza accesso adeguato ad acqua pulita o all’assistenza sanitaria.
La produzione petrolifera in Nigeria è iniziata nel 1956, a seguito della prima scoperta
della presenza di greggio a Oloibiri da parte della Shell British Petrolium (oggi Royal
Dutch Shell). L’industria del petrolio nel delta del Niger vede coinvolti sia il governo della
Nigeria che le società controllate da grandi multinazionali, quali Shell, Eni e Total, oltre
ad alcune società nigeriane.
L’esplorazione e la produzione del petrolio sono realizzate dalle cosiddette joint venture,
di cui fanno parte la Nigerian National Petroleum Corporation (Nnpc), controllata dal
governo, e una o più aziende petrolifere. La Nnpc detiene la quota di maggioranza nelle
joint venture. Le aziende private svolgono in genere il ruolo operativo, ovvero sono
responsabili delle attività sul campo. La Shell Petroleum Development Company (Spdc),
controllata della Royal Dutch Shell, è il principale operatore sul territorio.
Il settore dell'Oil&Gas rappresenta per la Nigeria il 97% delle entrate in valuta estera e
contribuisce al 79.5% delle entrate pubbliche1. L’industria del petrolio non passa
inosservata nel Delta del Niger: la Shell da sola opera su un territorio di 31.000 km
quadrati. L’area è attraversata da migliaia di chilometri di condutture ed è punteggiata da
pozzi e stazioni petrolifere. La maggior parte delle infrastrutture estrattive è vicina alle
case, alle fattorie e alle fonti d’acqua delle comunità.
Da diversi decenni, le aziende petrolifere presenti nel delta del Niger, avvantaggiate
dalla debolezza che caratterizza il tessuto normativo nigeriano, hanno causato numerosi
danni ambientali e violazioni dei diritti umani a danno della popolazione locale. Nello
specifico, l'industria petrolifera è responsabile dell'inquinamento causato da diverse
fuoriuscite di petrolio, provocato dalla corrosione degli oleodotti, dalla scarsa
manutenzione delle infrastrutture o da errori umani. Un ulteriore fattore a elevato impatto
ambientale rimane la cattiva gestione dello smaltimento di rifiuti, e il fenomeno del gas
1 Amnesty International: La “vera” tragedia. Ritardi e fallimenti nell'affrontare le fuoriuscite di petrolio nel
Delta del Niger, Novembre 2011, p.28.
1
flaring, pratica ancora diffusa tra le aziende petrolifere benché vietata da una legge
nigeriana del 1984.
L’inquinamento causato dalle aziende petrolifere ha contaminato il suolo, l’acqua e l’aria
del delta del Niger contribuendo inoltre alla violazione del diritto alla salute e a un
ambiente sano, del diritto a condizioni di vita dignitose, inclusi il diritto al cibo e all’acqua,
nonché del diritto a guadagnarsi da vivere attraverso il lavoro2. Basti considerare che la
maggior parte della popolazione vive di fonti di sostentamento tradizionali, come la
pesca e l'agricoltura. L’ampiezza dell’inquinamento e del danno ambientale non è mai
stata valutata in modo appropriato. I dati a disposizione variano considerevolmente a
seconda delle fonti, ma sono centinaia le perdite di petrolio che si verificano ogni anno.
Secondo il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (Undp), tra il 1976 e il 2001 si
sono registrate più di 6800 perdite. Secondo i dati della National Oil Spill Detection and
Response Agency (Nosdra), a marzo 2008 erano almeno 2000 i siti nel delta del Niger
che richiedevano un trattamento a causa dell’inquinamento derivante dal petrolio. I
numeri reali possono essere di gran lunga maggiori.
Un altro nodo cruciale della situazione nigeriana riguarda le difficoltà da parte della
popolazione nell’ottenere risarcimenti dalle aziende per i danni causati dalle loro attività.
I risarcimenti devono essere sempre negoziati con le aziende e sono previsti solo nei
casi in cui la fuoriuscita di petrolio e la contaminazione non siano causate da atti di
sabotaggio o vandalismo3. Viste le difficoltà di accesso alle informazioni da parte della
popolazione, è difficile che le comunità riescano a rivendicare i propri diritti di
risarcimento, e ciò provoca spesso conflitti e tensioni con le aziende petroliere.
Tutte queste problematiche sono strettamente legate alla questione della debolezza
della regolamentazione dell'industria petrolifera in Nigeria. Benché lo stato nigeriano sia
dotato di una serie di leggi e regolamenti circa la corretta gestione delle attività
petrolifere e la protezione dell’ambiente, infatti, esiste un discostamento tra il
riconoscimento teorico di tali strumenti normativi e la loro applicazione pratica. Secondo
il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep), sarebbe questa debolezza del
contesto normativo, unita alla scarsa attività di monitoraggio da parte del governo
nigeriano, a favorire il perseverare dell’operato delle aziende che inquinano.
2. Eni in Nigeria
Eni opera in Nigeria, con la costituzione, negli anni sessanta, della Nigerian Agip Oil
Company (NAOC) e l’avvio delle sue attività di esplorazione. Da quel momento, la
società ha sviluppato la propria attività sia nel settore dell’estrazione petrolifera che in
quello dell’estrazione di gas naturale. Le fuoriuscite di petrolio dagli oleodotti gestiti da
Agip sono un fenomeno ricorrente4; a puro titolo di esempio e senza pretesa di
esaustività, nel solo anno 2011 sono stati denunciati da Ong e comunità locali
versamenti di petrolio e di semi-lavorati da impianti gestiti da Agip, talvolta ripetuti,
presso le comunità di Kalaba5, Okpotuwari e Ondewari6, Okoroba7, Emago-Kugbo,
2 Amnesty International: La “vera” tragedia. Ritardi e fallimenti nell'affrontare le fuoriuscite di petrolio nel
Delta del Niger, Novembre 2011, p.48.
3 Amnesty International report: “Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta” 2009 - p. 3.
4 See http://www.eni.com/en_IT/sustainability/environment/oil-spill/oil-spill.shtml
5 CRBM report “Il delta dei veleni” 2011 – p. 12: “Nel gergo tecnico si chiamano equipment failures. Sono le
crepe che si creano non di rado in oleodotti e gasdotti fatiscenti, in alcuni casi all’apparenza mai sostituiti
2
Edema ed Otuabagi8, fuoriuscite che hanno contaminato i campi coltivati, le paludi e i
fiumi dai quali le comunità traggono l’acqua per tutte le esigenze della vita quotidiana. Le
conseguenze delle fuoriuscite sono inoltre talvolta aggravate dal verificarsi di incendi9 e
da ritardi nella bonifica dei siti inquinati10.
dagli anni Settanta ad oggi, e che sono causa di problemi continui per le comunità attraversate dagli stessi.
Quella di Kalaba, nello Stato di Bayelsa, ha visto ben quattro sversamenti di petrolio e semi-lavorati nel solo
mese di settembre. In base a quanto ci raccontano gli esponenti della comunità e Morris Alagua di
Environmental Rights Action, tutti di impianti dell’Agip. Il 5 settembre 2011 il primo: greggio puro che scorre
per sei giorni, prima che i tecnici della compagnia vengano a chiudere la perdita. A fine mese, tutto il petrolio
fuoriuscito, di quantità indefinita, si trovava ancora lì, in attesa della bonifica del territorio. Di conseguenza i
campi della comunità di Kalaba, le falde acquifere, la palude (in cui in questo periodo dell’anno si pratica la
pesca) sono contaminati. “Mentre parliamo, il petrolio continua a diffondersi in tutta la zona. Gli animali che
passano di qua si avvelenano. Agip deve venire e ripulire tutto” ci dice Alagua, enfatizzando la richiesta della
comunità, a cui il governo e l’Agip non hanno ancora risposto. A poche centinaia di metri, il 19 settembre si
verificano altre tre perdite. Un altro oleodotto, sempre di proprietà dell’Agip, che trasporta un semi-lavorato,
sversa per almeno due settimane. Il 28 settembre documentiamo con un video due dei tre punti dove si è
verificata la perdita: il semi-lavorato scorre senza sosta. Anche qui la foresta, i campi coltivati, le falde, tutto
è inquinato. “Abbiamo chiesto al governo di muoversi per chiedere all’Agip di procedere con la bonifica,
prima di pensare a qualsiasi altra azione” ci dice il capo villaggio di Kalaba”.
th
Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) – Field report #275 – September 26
2011: http://www.eraction.org/component/content/article/335
th
Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) – Field report #285 – January 7 2012:
http://www.eraction.org/component/content/article/369
Weekly Trust, 24/09/2011:
http://weeklytrust.com.ng/index.php?option=com_content&view=article&id=7219:yet-another-deadly-oil-spillin-bayelsa&catid=55:features&Itemid=152
6 Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) – Field report #283 – January 02
2012: http://www.eraction.org/component/content/article/363
nd
th
7 Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) – Field report #284 – April 9 2011:
http://www.eraction.org/component/content/article/284
8 Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) – Field report #255 - January 2011:
http://www.eraction.org/component/content/article/268
9 Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) – Field report #255 - January 2011:
http://www.eraction.org/component/content/article/268
Amnesty International report: “Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta” 2009 – p. 19:
Failure to swiftly contain, clean up and remediate oil spills can increase the danger of fires breaking out and
causing damage to life and property. Fires may be started deliberately or accidentally but can be
devastating.
th
10 Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) – Field report #259 – April 8 2011:
http://www.eraction.org/component/content/article/281
th
Saharareporters October 5 2011 – “Nigeria Oil Spill Monitoring Agency Fines Agip Firm A Token $7,000 For
Oil Spills”: http://saharareporters.com/news-page/nigeria-oil-spill-monitoring-agency-fines-agip-firm-token7000-oil-spills
th
Vanguard – October 5 2011 – ““NOSDRA slams N1m fine on Agip”:
http://www.vanguardngr.com/2011/10/nosdra-slams-n1m-fine-on-agip/
th
AllAfrica.com October 6 2011 - Nigeria: “NOSDRA Fines Agip N1 Million Over Oil Spill”:
http://allafrica.com/stories/201110060701.html
th
The Nation – October 5 2011 – “NOSDRA slams N1m fine on Agip over oil spill”:
http://www.thenationonlineng.net/2011/index.php/business/21834-nosdra-slams-n1m-fine-on-agip-over-oilspill.html
3
Sebbene talvolta le fuoriuscite di greggio siano conseguenza di azioni di sabotaggio, in
altri casi a determinarle sono incidenti tecnici o la corrosione degli impianti11. Le
fuoriuscite di greggio dagli impianti di Agip hanno determinato l’inquinamento dei corsi
d’acqua, importante fonte di sostentamento per le comunità locali, dedite da sempre alla
pesca. Delle oltre mille specie di pesci che si trovavano fino a qualche decennio fa nei
fiumi che attraversano l’area di Ebocha (una località in cui opera Agip) ne sono rimaste
soltanto un centinaio e ormai la pesca non viene quasi più praticata, perché l’acqua e il
pesce sono inquinati12: gli abitanti hanno dichiarato ad Amnesty International che il
pesce “sa di kerosene”13.
Anche nei siti produttivi di Agip sono inoltre presenti le torce di gas14. A causa del gas
flaring, gli abitanti di Ebocha convivono con una polvere nera che si deposita sulle case,
sui vestiti e sugli alimenti e in molti lamentano problemi di salute15 che, si teme, siano gli
effetti degli agenti nocivi e cancerogeni sprigionati da tali torce. La qualità di vita viene
inoltre compromessa anche dal rumore delle torce di gas nonché dall’odore acre e
dall’illuminazione che esse producono nell’area circostante ventiquattr’ore su
11 Eni Financial Report 2010 – p. 131: “Il numero degli oil spill da corrosione ed incidente (esclusi i
sabotaggi) è di poco aumentato, mentre è diminuita notevolmente la quantità sversata (-39%). Il dato più
significativo per gli spill di questa categoria è stato registrato in Libia […]. Con questo evento significativo ed
altri eventi minori risulta che la Libia ha sversato il 57,8% del volume totale da incidente e corrosione nel
2010, il 22,1% è conseguente a spill verificatisi in Nigeria, il 6,4% in Egitto, il 3,8% in Turkmenistan, ed il
3,3% in Algeria. […] Il trend in miglioramento rispetto al 2009 è legato alle attività implementate in: […]
Nigeria, grazie al programma di asset integrity realizzato nel 2010 (maggiore utilizzo degli inibitori di
corrosione e dei sistemi di protezione attivi), ad una migliore gestione delle attività di manutenzione e alle
iniziative di sensibilizzazione degli operatori di produzione […].Complessivamente i volumi spillati a seguito
di azioni di sabotaggio estranee all’attività lavorativa sono aumentati del 22%, mentre il numero di eventi è
rimasto invariato (299). Tutti gli spill dovuti a sabotaggio sono stati registrati in Nigeria”.
12 CRBM report “Il delta dei veleni” 2011 – pp. 8,9: “Agli uomini spettava il compito di uscire in barca per
pescare i giganteschi pesci gatto o le carpe di cui erano ricchi i fiumiciattoli della zona. Adesso delle oltre
mille specie di pesci che si trovavano fino a qualche decennio fa, ne sono rimaste solo un centinaio ma in
pochi (appena una decina) si azzardano a gettare le reti per prendere qualcosa. Il motivo è semplice:
l’acqua è troppo inquinata”.
13 Amnesty International report: “Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta” 2009 – p. 29:
“In Ebocha, people complained of fish “tasting like kerosene” after oil had entered the water”.
14 CRBM report “Il delta dei veleni” 2011 – p. 9 : “[…] a Ebocha la maledizione ha anche un altro nome: gas
flaring. Ovvero il gas connesso al processo d’estrazione del greggio e bruciato in torcia. All’ingresso del
villaggio abbiamo contato tre torri le cui sommità sputano senza soluzione di continuità lingue di fuoco che
salgono in cielo per oltre una ventina di metri. Il gas flaring fa ormai parte del panorama, 24 ore al giorno,
sette giorni a settimana e dodici mesi l’anno”.
CRBM report “Il delta dei veleni” 2011 – pp. 13 – 15: “Ricca di petrolio e gas, Kwale si trova al centro della
concessione OML 60, di cui è titolare l’Eni tramite la sussidiaria locale Nigerian Agip Oil Corporation
(NAOC). […] Quello che rimane evidente è il chiarore delle enormi fiamme del gas associato che l’Agip
continua a bruciare a cielo aperto nel centro di raccolta e processamento di Kwale. Fiamme alte decine di
metri e che, come le altre scorte a Ebocha, fanno un baccano assordante. Durante il tragitto ne contiamo
cinque, ma ci viene detto che esiste un altro punto in cui il gas viene bruciato orizzontalmente e che non è
individuabile dalla strada”.
15 Amnesty International report: “Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta” 2009 – pp. 36,
37: “During interviews with Amnesty International in Ebocha in Rivers State, community members
complained of black oil dust collecting in people’s homes and on clothes and food. They also claim that the
roofs of houses are subject to accelerated rusting because of acid rain associated with the flares. Similar
reports of the impact of gas flaring have been made by other communities. At Ebocha pregnant women have
reportedly had to leave the area because of exhaustion they relate to the gas flares”.
4
ventiquattro16. Alcuni studi hanno evidenziato una correlazione tra la pratica del gas
flaring e le piogge acide17, che causano seri danni all’agricoltura, l’altra fondamentale
fonte di sostentamento per le comunità locali. Le piogge acide sono inoltre causa di un
accelerato deterioramento dei tetti di lamiera delle case18.
Sebbene Eni sia impegnata da anni nella realizzazione di iniziative volte a una riduzione
del fenomeno del gas flaring, anche attraverso l’utilizzo del gas associato all’estrazione
petrolifera per la produzione di energia elettrica, annunciando ripetutamente l’obiettivo di
diventare la prima compagnia petrolifera a porre termine a tale pratica in Nigeria19,
16 Amnesty International report: “Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta” 2009 – pp. 36,
37: “The noise pollution, the discomfort generated by the light from flaring, the black dust and soot that
settles in people’s homes and on food and clothes, undermine the quality of life and the right of people to
live in a healthy environment”.
17Amnesty International report: “Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta” 2009 – p. 37:
“Some studies have found a link between gas flaring and acid rain and acid deposition, though the quantity
of acid deposition as a result of gas flaring in the Niger Delta is not clear”.
18 Amnesty International report: “Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta” 2009 – p. 36:
“[…] They also claim that the roofs of houses are subject to accelerated rusting because of acid rain
associated with the flares […]”.
19 Eni Financial Report 2010 – p. 126: “In Nigeria da gennaio a novembre sono stati realizzati 16 progetti di
elettrificazione negli stati di Rivers (13), Bayelsa (1) e Delta (2)”.
Eni Financial Report 2010 – p. 129: “Il Piano di azioni Eni volto alla mitigazione dei cambiamenti climatici si
focalizza principalmente sulla riduzione del gas flaring e la promozione dell’efficienza energetica. Eni ha
ulteriormente incrementato l’obiettivo di riduzione del gas flaring portandolo all’ 80% di riduzione entro il
2014 rispetto ai livelli del 2007. Per raggiungere tale obiettivo, sono in corso d’implementazione numerosi
progetti in Algeria, Congo, Libia, Indonesia, Nigeria, Tunisia, Kazakhstan volti alla realizzazione di nuove e
moderne infrastrutture quali condotte per il trasporto gas, centrali termoelettriche ad alta efficienza e impianti
di liquefazione gas.”
th
Eni web site last updated April 20 2011 – “Gas flaring reduction” page:
http://www.eni.com/en_IT/sustainability/climate-change-energy-efficiency/carbon-management-strategy/gasflaring-reduction/flaring-reduction.shtml
Document “Eni for development” 2011 – pp.4,5: “Eni incide oggi per circa il 4,6% del flaring complessivo ed
è fortemente impegnata a contrastare questo fenomeno attraverso il recupero o il riutilizzo del gas associato
(flaring down). Questo consente un miglior utilizzo delle risorse naturali e genera molteplici effetti positivi per
i Paesi. […] Eni è stata la prima International Oil Company a investire nella generazione di energia elettrica
utilizzando il gas associato in Africa, dove è diventata il primo produttore di energia elettrica tra le società del
settore. Eni ha realizzato importanti progetti di generazione elettrica in Nigeria e Congo. Questi progetti
soddisfano rispettivamente circa il 20% e il 60% della produzione di energia elettrica in Paesi caratterizzati
da un elevato tasso di povertà energetica. […] Nel Delta del Niger Eni, alla fine degli Anni ’90, ha avviato il
progetto Zero Gas Flaring, finalizzato all’eliminazione della combustione in atmosfera del gas associato alla
produzione di idrocarburi. Già nel 2000 Eni utilizzava il 50% del gas prodotto. Nel 2010 tale percentuale è
salita al 78%. Entro il 2014 si prevede la realizzazione di ulteriori progetti di riduzione del gas flaring per
arrivare all’utilizzo del 95% del gas prodotto. […] Nel 2005 Eni ha costruito a Kwale Okpai in Nigeria una
centrale elettrica a ciclo combinato con una Potenza installata di 480 MW utilizzando gas associate
all’attività produttiva altrimenti brucianto in torcia. La centrale fornisce energia elettrica alla Power Holding
Company della Nigeria che la distribuisce all’utenza finale. Il progetto è stato il secondo progetto di flaring
down a ottenre nel 2006 il riconoscimento come Clean Development Mechanism (CDM) nell’ambito del
Protocollo di Kyoto, il primo in Africa. […] Con l’obiettivo di rendere più effettivo il contributo al Paese per
migliorare l’accesso all’energia, Eni ha firmato un MoU con le comunità locali interessate dalle sue attività
che prevede la realizzazione di progetti di elettrificazione per distribuire energia elettrica a oltre 50 comunità.
I lavori hanno raggiunto uno stato di avanzamento del 40%”. Link to the site: http://www.eni.com/sfogliabileeni-for-development/
Italian Ministry of the Environment, Land and Sea - Fifth National Communication under the UN Framework
Convention on Climate Change – November 2009 – p.185: “Nigeria flaring down program continues with the
implementation of several projects proposed by NAOC JV aimed to the maximization of gas utilization in its
operational areas, for example the construction and upgrade of pipelines gas network, compression stations,
gas treatment plants and gas injection facilities. The target is the reduction of the ratio between gas flaring
5
presso gli impianti di Agip il fenomeno del gas flaring è tuttora una realtà20. Inoltre,
sebbene l'azienda affermi di essere impegnata a contribuire a mitigare le grandi
diseguaglianze in termini di accesso all’energia elettrica nei Paesi in cui opera, diverse
comunità residenti in prossimità dei suoi stabilimenti estrattivi e produttivi continuano a
lamentare il fatto di non disporre di elettricità21.
Agip opera sul territorio del Delta del Niger anche attraverso una partecipazione del 5%
alla Joint Venture costituita con la società statale nigeriana NNPC (Nigerian National
Petroleum Company) e con le compagnie petrolifere Elf e SPDC (Shell Petroleum
Development Company): quest’ultima è una società sussidiaria del Gruppo Royal Dutch
and gas production, in order to maximize the associated gas recovery to collect toward the LNG (Liquefied
Natural Gas) Terminals”.
Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) and The Climate Justice Programme –
“Gas Flaring in Nigeria: a human rights, environmental and economic monstruosity” - June 2005 – p. 13:
“The Agip JV company, Nigerian Agip Oil Company, produces over 500 mmcf/d of AG. In 2000 it was
reported to be ending land area zero gas flaring by 2001 and ending swamp area gas flaring by 2004. In
2003 it reported that it had flared 5,424 million cubic metres of gas in Nigeria. Its parent company’s Eni
website, last updated in December 2004 stated: projects currently underway in the gas sector will enable Eni
to become the first company to achieve – by the end of 2004 – the Zero Gas Flaring Policy in all its sites in
Nigeria. The fact that Agip is still flaring probably explains why this statement has been deleted from the
th
same web page updated on 13 April 2005. http://www.foe.co.uk/resource/reports/gas_flaring_nigeria.pdf
Environmental Rights Action (ERA – Friends of the Earth Nigeria) and The Climate Justice Programme –
“Gas Flaring in Nigeria: a human rights, environmental and economic monstruosity” - June 2005 – p. 14: “In
May 2000, representatives of the major oil companies operating in Nigeria announced that they would be
able to meet Nigeria’s required phase-out of associated gas flaring by the following dates: […] Agip 2005 […]
The agreement, announced in August 2000, was a compromised: the companies had proposed an end date
of 2006 while the Government wished to end flaring by 2003”.
http://www.foe.co.uk/resource/reports/gas_flaring_nigeria.pdf
Eni in Nigeria (Brochure UK 2002): “[…] Projects currently underway in the gas sector will enable Eni to
become the first company to achieve – by the end of 2004 – the “Zero Gas Flaring policy” at all its sites in
Nigeria, a country where the elimination of gas flared in the atmosphere represents a primary goal of
Federal authorities.
http://www.eni.com/it_IT/attachments/documentazione/pubblicazioni/paesi/NIGERIA_Brochure_UK_2002.pd
f
20 CRBM report “Il delta dei veleni” 2011 – p. 17: “[…]La compagnia continua affermando che zero gas
flaring presso l’impianto di Kwale è in programma per giugno 2011. Dalla Nigeria ci perviene una diversa
versione dei fatti: a distanza di mesi dalla scadenza definita dall’Eni, presso l’impianto di Kwale il gas flaring
continua senza sosta, 24 ore al giorno. L’evidenza dei fatti conferma che, nonostante le dichiarazioni,
l’obiettivo sarebbe ancora lontano dall’essere raggiunto”.
21 Document “Eni for development” – introductive pages: “[…] Eni è impegnata a sostenere lo sviluppo
sociale ed economico dei Paesi produttori e a contribuire a mitigare le grandi diseguaglianze, a partire da
quelle che riguardano l’accesso all’energia”: http://www.eni.com/sfogliabile-eni-for-development/
Eni web site – questions & answers at Eni’s 2011 Shareholders Assembly – extract:
http://www.eni.com/en_IT/attachments/governance/shareholder-meeting/2011/Focuses-required-at-theShareholders-Meeting.pdf)
CRBM report “Il delta dei veleni” 2011 – p. 15: Ad oggi, nelle comunità di Kwale, Okpai, Beneku e nelle altre
decine di comunità Ndokwa residenti nel raggio di 50 chilometri dall’impianto a gas, non c’è traccia
dell’energia prodotta nella centrale. Le uniche fonti di luce, dal tramonto all’alba, sono quelle alimentate dai
generatori a diesel che si possono permettere le famiglie meno povere. Quello che rimane evidente è il
chiarore delle enormi fiamme del gas associato che l’Agip continua a bruciare a cielo aperto nel centro di
raccolta e processamento di Kwale. Fiamme alte decine di metri e che, come le altre scorte a Ebocha, fanno
un baccano assordante. Durante il tragitto ne contiamo cinque, ma ci viene detto che esiste un altro punto in
cui il gas viene bruciato orizzontalmente e che non è individuabile dalla strada.
6
Shell e rappresenta il principale operatore della Joint Venture.22 Nel 2009 il SERAP, una
Ong nigeriana, ha citato in giudizio presso la Corte dell’ECOWAS (Comunità Economica
degli Stati dell’Africa Occidentale) il Governo della Nigeria e le aziende petrolifere parti di
tale Joint Venture, tra cui anche Agip. Le contestazioni riguardavano la violazione di
diritti umani quali il diritto a un adeguato tenore di vita e il diritto allo sviluppo economico
e sociale23. Inoltre, nel rapporto pubblicato dall'Unep nel 2011, che denuncia l'impatto
devastante dell'inquinamento sul territorio dell'Ogoniland, nella regione del Delta del
Niger, si evidenzia chiaramente quanto sia problematico il fatto che SPDC, partner
operativo di Agip, sia venuto meno alle proprie responsabilità in materia di bonifica
dell’inquinamento conseguente alle fuoriuscite di petrolio. A seguito di un approfondito
studio condotto sul campo, l’Unep ha rivolto alla Joint Venture diverse richieste, tra le
quali il miglioramento della propria capacità di intervenire tempestivamente per far fronte
alle fuoriuscite di petrolio; interventi a tutela della salute delle persone e delle comunità
colpite dall’inquinamento petrolifero e lo stanziamento di un fondo di almeno 1 miliardo
di dollari, quale cifra iniziale, per cominciare a bonificare le aree inquinate 24.
Sebbene la Corte dell’ECOWAS si sia dichiarata incompetente a giudicare le violazioni
compiute da attori non statali come le aziende petrolifere25 e sebbene ai sensi della
legge e delle norme nigeriane le responsabilità evidenziate dal rapporto dell’Unep sia
attribuita a SPDC, le mancanze segnalate dalla Ong nigeriana e dal rapporto dell’Unep
nonché il loro impatto sui diritti umani e sull’ambiente sono di tale gravità che tutti i
partner della Joint Venture, tra cui Agip, devono assumere iniziative per assicurare che
Shell vi faccia fronte.
3. La campagna di Amnesty International
Attraverso la campagna globale (((Io pretendo dignità))), Amnesty International è
impegnata a porre fine all'impunità delle imprese, a garantire l'accesso alla giustizia per
le persone i cui diritti sono stati violati dalle aziende e ad assicurare che le comunità
colpite possano partecipare alle decisioni che influiscono sulle loro vite.
La campagna per i diritti umani nel Delta del Niger - che rappresenta un caso di studio
sulla mancanza di responsabilità di un governo verso la sua popolazione, nonché sulla
pressoché totale assenza di responsabilità delle aziende multinazionali, circa l’impatto
delle loro attività sui diritti umani - è stata lanciata a livello internazionale nel 2009, con la
pubblicazione del rapporto “Petrolio, inquinamento e povertà nel Delta del Niger”.
Le aziende estrattive sulle quali si concentra il lavoro di Amnesty International sono
Shell, Eni e Total. Amnesty International si rivolge anche al governo della Nigeria e ai
governi dei paesi in cui hanno sede le aziende.
22 Amnesty International report: “Nigeria: petroleum, pollution and poverty in the Niger Delta” 2009 – p. 12:
“The SPDC joint venture involves NNPC, which holds 55 per cent, Shell 30 per cent, Elf Petroleum Nigeria
Ltd., 10 per cent and Agip, 5 per cent”.
Shell website:
http://www.shell.com.ng/home/content/nga/aboutshell/shell_businesses/e_and_p/spdc/
23 Business & Human Rights Resource Centre:
http://www.business-humanrights.org/Documents/Oilpollution/Nigeria/ECOWAScomplaint
24 UNEP “Environmental Assessment of Ogoniland”, 2011.
25 Socio-Economic Rights & Accountability Project web site: http://serap-nigeria.org/n-delta-fg-nnpc-can-besued-but-not-shell-elf-chevron-total-rules-ecowas-court/
7
Amnesty International chiede al governo della Nigeria di:
Modificare le leggi per assicurare una regolamentazione forte e indipendente
dell'industria petrolifera in Nigeria.
Amnesty International chiede alle aziende petrolifere di:
bonificare tutte le zone inquinate e attuare misure preventive efficaci;
sottoporre a controlli l’impatto delle loro attività sui diritti umani e rendere pubblici
i risultati;
avviare un’efficace consultazione con le comunità coinvolte;
Amnesty International chiede all’Italia, al Regno Unito e agli altri paesi in cui le
aziende petrolifere hanno la loro sede di:
fare pressione sulle aziende petrolifere perché rivedano il loro operato nel Delta
del Niger;
sostenere il governo della Nigeria nell’affrontare i problemi sistematici relativi
all’industria del petrolio.
8