CAPITOLO I L`ARGOMENTAZIONE: PER UNA RICOSTRUZIONE

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CAPITOLO I L`ARGOMENTAZIONE: PER UNA RICOSTRUZIONE
CAPITOLO I
L’ARGOMENTAZIONE:
PER UNA RICOSTRUZIONE DEL DIBATTITO
SULLA SUA NATURA E I SUOI SCOPI
- L’EREDITA’ DEGLI ANTICHI -
INTRODUZIONE
La comunicazione umana ha una fortissima componente argomentativa: i testi scritti e
orali prodotti giornalmente mirano infatti a convincere la controparte della validità di una
tesi, dell’accettabilità di un punto di vista, dell’opportunità di agire in un modo piuttosto
che in un altro. Si può affermare che gli individui argomentano anche senza rendersi
conto di cosa ciò significa e di quali procedure ci si deve servire per rendere
l’argomentazione più efficace possibile.
L’argomentazione ha una tradizione antichissima e la sua teorizzazione ha subito diverse
fasi: nel tempo gli studiosi hanno evidenziato alcuni tratti del discorso argomentativo
offuscandone altri, hanno raccolto le posizioni dei loro predecessori e le hanno adattate in
base alle nuove esigenze comunicative.
Ma cosa è esattamente l’argomentazione? Per comprenderne la natura e capire come e
perché essa costituisce una parte fondamentale della comunicazione in generale, è utile
un excursus che parte dalle origini della disciplina e arriva ai giorni nostri.
Pur non essendo nostra intenzione proporre una storia dell’argomentazione, in questo
capitolo vogliamo osservare come alcuni concetti quali quelli di dialettica, retorica,
sillogismo ed entimema, così come alcuni principi comunicativi, sono fondamentali per
comprendere la struttura e gli scopi dell’argomentazione e come la loro teorizzazione,
formulata nell’antica Grecia, è più che mai attuale. Vedremo infatti come molti dei
dettami formulati dai filosofi greci e latini sono passati attraverso il Medioevo e
l’Illuminismo e sono giunti fino a noi grazie a studiosi come Perelman, Toulmin e i
rappresentanti della Scuola di Amsterdam. Inoltre analizzeremo e metteremo a confronto
le diverse definizioni attribuite all’argomentazione dall’antichità ai giorni nostri.
Diverse definizioni sono state formulate a seconda delle esigenze comunicative:
nell’antica Grecia, grazie all’altissima frequenza dei discorsi nelle pubbliche piazze, si è
compresa l’importanza dell’argomentazione per persuadere il pubblico della validità di
un discorso.
3
Possiamo affermare che Aristotele è stato tra i primi ad occuparsi in modo massiccio di
questa forma di comunicazione1, improntando la ricerca successiva.
Si espone qui di seguito una breve trattazione storica del rapporto tra dialettica e retorica
per poi focalizzare l’attenzione su Aristotele, il filosofo che più di ogni altro ha
influenzato il pensiero moderno: egli ha trattato l’argomentazione in modo innovativo
facendo coesistere dialettica e retorica e superando i limiti imposti dall’antagonismo tra le
due. Tali limitazioni consistevano nella svalutazione di una componente a favore
dell’altra e nell’uso incompleto delle dimensioni razionale ed emotiva, quest’ultima
considerata addirittura dannosa all’esito della discussione poiché fuorviava il pubblico da
quello che era il messaggio trasmesso. Aristotele ha dedicato ampio spazio nelle sue
opere ai concetti di sillogismo ed entimema2 ed è stato il primo studioso a dichiarare
l’importanza della presenza di logos, ethos e pathos nell’argomentazione, oltre a
focalizzare l’attenzione sulle conoscenze condivise, sulla chiarezza del discorso e sulle
figure retoriche.
Dopo aver riassunto la teoria aristotelica, vedremo come i tratti distintivi
dell’argomentazione sono stati messi in luce e discussi dagli studiosi moderni tra i quali
menzioniamo Perelman, Toulmin, Lo Cascio, Anscombre e Ducrot, Plantin, Stati, Rigotti
e i rappresentanti della Scuola di Amsterdam: essi ne hanno identificato le caratteristiche
fondamentali, l’organizzazione e il modo per iniziarla, continuarla e terminarla con il
raggiungimento degli scopi prefissati. Una maggiore coscienza riguardo all’uso
dell’argomentazione ha, negli ultimi decenni, indotto parecchi studiosi a occuparsi
dell’applicazione pratica della teoria argomentativa in ambito settoriale oltre che nelle
discussioni quotidiane (si pensi, ad esempio, all’argomentazione giuridica3 o alle tecniche
argomentative usate nei testi economici4, politici, eccetera5).
Illustriamo brevemente nel primo paragrafo il rapporto tra dialettica e retorica per
spostare successivamente la nostra attenzione sulla teoria aristotelica.
1
Aristotele si è occupato di comunicazione e di argomentazione in diverse opere quali i Topici, gli Analitici
Primi, gli Analitici Secondi oltre che nella Retorica.
2
Si vedano, a tal proposito, le opere di cui alla nota 1.
3
Si fa riferimento all’interesse del giurista belga Perelman verso l’argomentazione. Si vedano C. Perelman,
L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione: La nuova retorica, Torino, Giulio Einaudi Editore,
1966 e C. Perelman, Le Champ de l’Argumentation, Bruxelles, Presses Universitaires de Bruxelles, 1970.
4
Il linguista tedesco Rudi Keller dedica una parte della sua opera Die Sprache des Geschäftsberichts
all’argomentazione utilizzata in questa tipologia testuale. R. Keller; Die Sprache des Geschäftsberichts;
www.phil-fak.uni-duesseldorf.de/rudi.keller, documento del 12/07/2004.
5
Lo Cascio, nella Grammatica dell’Argomentare, si occupa, tra l’altro, dell’argomentazione nei testi di
matematica, politica, pubblicità. V. Lo Cascio, Grammatica dell’Argomentare: strategie e strutture,
Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1991.
4
1. INTRECCIO STORICO TRA DIALETTICA E RETORICA
Si riconosce generalmente che la teorizzazione dell’attività argomentativa ha le sue radici
nel dualismo tra dialettica e retorica e nella concezione aristotelica. Dalla storia emerge
come dialettica e retorica abbiano alternato nei secoli fasi di successo a fasi di esigua
considerazione6.
La dialettica è un procedimento di tipo dialogico e rappresenta la razionalità della
discussione; il suo fondatore è probabilmente Zenone di Elea. La dialettica è considerata
essenziale da Protagora, secondo il quale per ogni cosa ci possono essere ragionamenti
contrapposti con asserzioni e contro-asserzioni. Per Socrate essa rappresenta la ricerca
della verità attraverso domande e risposte (i cosiddetti dialoghi socratici).
La retorica, da parte sua, affonda le sue origini a Siracusa nel V secolo a.C., quando gli
avvocati devono essere capaci di stendere le arringhe nei processi: nasce e si sviluppa
dunque l’oratoria giudiziaria per cui chi vuole ottenere ragione durante un processo deve
saper difendere la propria causa e sconfiggere con le parole la controparte7.
Per convincere il giudice occorrono sia l’appropriatezza linguistica e la logica, che si
propongono di conquistare razionalmente l’interlocutore, sia la componente emotiva della
parola che deve adattarsi ai vari tipi di pubblico e alle diverse situazioni.
Inoltre, la democrazia instauratasi ad Atene favorisce la libertà di parola grazie ai discorsi
politici, arricchiti con parole ad effetto per persuadere gli ascoltatori: si comincia a
riflettere dunque sul fatto che la componente razionale del discorso non basta a se stessa,
ma deve essere integrata dalla componente emotiva: la dialettica viene completata dalla
retorica. Nonostante ciò, le due dimensioni comunicative non vengono considerate
paritetiche, ma tra esse si instaura un vero e proprio rapporto competitivo.
6
Le informazioni storiche sono state tratte da P. Foulquié, La Dialectique, Paris, Presses Universitaires de
France, 1956 e da I. Lana, E. V. Maltese (diretta da), Storia della civiltà letteraria greca e latina, volumi I,
II, III, Torino, UTET, 1998.
7
Cantoni e Di Blas (L. Cantoni, N. Di Blas, Teorie e pratiche della comunicazione, Milano, Apogeo, 2002)
affermano che secondo gli antichi un retore doveva, affinché il discorso risultasse efficace, strutturare
l’intervento in cinque mosse di cui le prime tre erano presenti sia nelle argomentazioni scritte che in quelle
orali, mentre le ultime due solo in quelle pubbliche:
1)
Euresis o inventio: fase creativa in cui il parlante raccoglie tutti gli argomenti da trattare, e con cui
difenderà le sue tesi;
2)
Taxis o dispositio: ordinamento degli argomenti in modo che questi risultino impressi nella mente
degli ascoltatori e li convincano ad agire in un determinato modo;
3)
Léxis o elocutio: scelta delle strategie linguistiche quali le figure retoriche;
4)
Mnéme o memoria: memorizzazione degli argomenti da trattare;
5)
Ypükrisis o actio: fase in cui si mette in atto tutto ciò che è stato trattato nelle fasi precedenti; questo
momento riguarda anche la dizione, ossia il tono di voce e la mimica, in modo che il discorso risulti più
gradito.
5
Corace e Tisia sono considerati i padri della retorica, mentre Gorgia ne è uno dei più
grandi teorici e la ritiene una disciplina con effetti di fronte ai quali difficilmente è
possibile può rimanere asettici.
Gorgia è probabilmente il primo teorico dell’affinità tra retorica e poesia: secondo il suo
pensiero infatti, pur con scopi diversi entrambe seducono grazie alla loro forza
espressiva, a figure stilistiche e a modelli linguistici particolarmente efficaci. A Gorgia
viene fatta risalire la retorica psicagogica, ossia quella retorica incentrata sull’effetto
psicologico creato dalle parole, sull’attrazione da queste esercitata e sull’adattamento
degli argomenti ai diversi pubblici. La retorica psicagogica attira presto su di sé diverse
critiche, così come la retorica sofistica, considerata troppo disinvolta in quanto slegata
dalla dimensione etica. Secondo i sofisti è infatti possibile rendere forte una tesi debole,
usare discorsi contrapposti attorno alla stessa questione e presentare come vero il falso
sfruttando opportuni accorgimenti e artifici linguistici.
Platone considera la dialettica come un mezzo per arrivare alla verità, mentre la retorica è
per lui solo un esercizio stilistico che relega in secondo piano i contenuti. Il pubblico, per
Platone, viene attirato dall’abilità verbale dell’oratore, travisando così il vero contenuto
del messaggio. Il filosofo greco prospetta una forma di retorica collegata alla dialettica e
oppone una retorica buona a una cattiva, che inganna gli interlocutori. Boezio mantiene
un orientamento platonico con influssi stoici; gli stoici, da parte loro, condannano
l’appello alle emozioni, ritenendo che l’uomo possa giungere alla verità solo tralasciando
l’aspetto emotivo del linguaggio. Il ricorso alle emozioni all’interno dei dibattiti politici e
delle cause giudiziarie viene considerato come una fallacia, e tale avversione nei
confronti dell’emotività linguistica influenzerà nella stessa direzione la filosofia
occidentale, in cui la razionalità verrà spesso favorita rispetto al ricorso alle emozioni.
A Platone, Boezio e agli stoici si contrappongono Cicerone e Quintiliano: Cicerone
subordina infatti la dialettica alla retorica ritenendo la prima uno strumento utile a
raggiungere la verità ma di importanza circoscritta. Egli considera la dialettica come una
disciplina che, grazie alla sua forma logica, può essere impiegata con successo nei
processi giudiziari, ma che non trova largo uso al di fuori di ciò. Quintiliano, similmente
a Cicerone, ritiene la retorica superiore alla dialettica. Quintiliano è oratore e maestro di
retorica e nei suoi insegnamenti sottolinea l’importanza dell’oratore, il quale riveste un
ruolo fondamentale nella società ed è considerato atto a gestire una posizione di
comando. L’oratore, infatti, nei regimi democratici è in grado di prendersi cura della
società, di lottare con le parole per la libertà del popolo facendo leva sia sulla logica del
6
discorso che sull’autorità della propria persona e sui sentimenti del pubblico. Egli non è
colui che manipola il popolo sfruttando la forza incantatrice dei discorsi, ma colui che
unisce la ragionevolezza alla dimensione emotiva. L’oratore deve infatti studiare nei
dettagli come organizzare un discorso affinché questo faccia presa sul pubblico e
raggiunga i suoi scopi.
Aristotele, da parte sua, sostiene il valore e il ruolo della retorica, ma condanna allo
stesso tempo ogni tentativo di manipolazione che sfrutta la buona fede degli ascoltatori,
rivalutando così l’aspetto logico del discorso. Per far presa sul pubblico, egli rimarca
tuttavia che occorre conoscerne i valori e i sentimenti: solo così si può potenziare la sua
capacità di ascolto, di elaborazione del discorso e sollecitare la sua approvazione.
Avendo nominato Aristotele proseguiamo il presente excursus mettendo in evidenza i
punti fondamentali del pensiero aristotelico ripresi dagli studiosi moderni.
2. L’APPROCCIO DI ARISTOTELE
Nelle pagine seguenti prendiamo in considerazione il pensiero aristotelico con particolare
riferimento alla Retorica.
I contenuti della filosofia dell’autore greco che metteremo in risalto sono:
•
l’intreccio tra dialettica e retorica,
•
l’importanza di sillogismo ed entimema e
•
il ruolo giocato dallo stile e dall’organizzazione del discorso nel processo
persuasivo.
Spiegheremo successivamente quale influenza questi concetti hanno esercitato ed
esercitano ancora oggi sugli autori contemporanei.
2.1. GLI STUDI SUL RAPPORTO TRA DIALETTICA E RETORICA IN
ARISTOTELE
Possiamo annoverare Aristotele tra i primi filosofi ad avvicinare tra loro dialettica e
retorica e a sottolineare l’importanza fondamentale sia del logos che della dimensione
persuasiva del discorso.
Nella Retorica leggiamo che
La retorica è analoga alla dialettica: entrambe riguardano oggetti la cui conoscenza è in un
certo qual modo patrimonio comune di tutti gli uomini e che non appartengono a una
scienza specifica. Da ciò segue che tutti partecipano in un certo senso di entrambe, perché
7
tutti, entro un certo limite, si impegnano a esaminare e sostenere un qualche argomento, o a
difendersi e ad accusare.8
Da questa citazione possiamo capire come per lo Stagirita retorica e dialettica non sono
completamente separate, ma presentano somiglianze fondamentali: innanzitutto esse non
sono scienze vere e proprie, ma sono tecniche che hanno a che fare con ciò che riguarda
l’uomo da vicino. Entrambe appartengono alla quotidianità e ai diversi ambiti del sapere,
dato che tutti gli individui si trovano prima o poi nella situazione di dover difendere o
criticare una tesi: si tratta dunque di strumenti profondamente utili e legati alla realtà, non
astratti dalla vita sociale, più precisamente sono “facoltà di fornire ragionamenti”9.
Grazie alla facilità con cui nell’antica Grecia si assiste ai dibattiti nelle pubbliche piazze,
Aristotele comprende l’importanza di unire dialettica e retorica: l’una senza l’altra
lascerebbe il dibattito incompleto e il parlante avrebbe scarse possibilità di vincere sul
pubblico.
In particolare, leggiamo nella Retorica che entrambe sono fondamentali per comprendere
i discorsi argomentativi, nei quali Aristotele ritiene opportuno saper esercitare la ragione
e comprendere le emozioni
Poiché le argomentazioni dipendono da questi tre mezzi, è evidente che comprenderle è
proprio di chi è in grado di compiere ragionamenti logici e di riflettere intorno ai
caratteri, alle virtù, e, in terzo luogo, intorno alle emozioni – quale sia l’essenza di ogni
emozione, quali siano le sue qualità, e da cosa e come essa si produca [mio il grassetto].10
Come possiamo notare da questa citazione, la logicità è un carattere essenziale dell’essere
umano e va dunque sempre tenuto presente, in qualsiasi situazione: Aristotele ritiene
infatti che la capacità di ragionare e riflettere è indispensabile per capire le
argomentazioni.
La logicità, inoltre, è ritenuta dal filosofo greco come la qualità che permea il linguaggio
umano unendo la lingua alla realtà: grazie a ciò, ad esempio, le azioni indicate dai verbi
vengono legate a soggetti espressi da nomi, così che sia chiaro e logico di chi o di cosa si
parla e cosa si dice11.
8
Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 3).
Ivi, p. 15.
10
Ibidem.
11
Questo è il principio della symploké di Platone, maestro di Aristotele. E. Rigotti, S. Cigada, La
Comunicazione Verbale, Milano, Apogeo, 2004. Tale principio è accolto anche da Aristotele nella Retorica
dove egli afferma che “il discorso è formato di nomi e verbi” e che la correttezza nel parlare consiste
nell’uso corretto delle correlazioni, nell’uso di termini propri che non creano confusione, nell’evitare
ambiguità, nel distinguere i nomi in maschili, femminili e neutri e nell’accordare singolare e plurale.
Aristotelis Rhetorica (Retorica; Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 301 e segg.).
9
8
In particolare, è ad Aristotele che risale il principio di non contraddizione12, per cui una
cosa non può contemporaneamente essere e non essere: evitando i nonsensi si compiono
più facilmente i “ragionamenti logici” di cui lo Stagirita parla nella citazione sopra
riportata.
Tuttavia, anche la parte emotiva del discorso non va trascurata in quanto insita nella
natura umana: essa non è da sprezzare come irrazionale, poiché nel prendere decisioni
non si è guidati solo dalla logica ma anche dalle passioni.13
Il desiderio14 di giungere a determinati risultati è mosso dalle passioni e comporta un
calcolo preciso degli effetti che le azioni porteranno, della convenienza personale ad agire
in un modo piuttosto che in un altro. Le emozioni e le passioni non nascono dal nulla, ma
sono legate alla cultura individuale, al modo di vivere: se una determinata cosa suscita
una emozione, un sentimento, è perché si conosce la sua esistenza e si sa che quella cosa
può procurare piacere o dolore in base all’esperienza che se ne è fatta in passato o che si
pensa si farà ottenendola o privandosene.
Il sentimento così scatenato dà luogo al desiderio di avere o rifiutare l’oggetto in
questione, il quale a sua volta guida le azioni verso certe direzioni. In questa spirale,
tuttavia, la logicità non deve mancare, altrimenti si manifestano comportamenti
irrazionali che conducono alla distruzione degli scopi prefissati.
Aristotele assume un atteggiamento positivo e ottimista nei confronti della natura umana,
in quanto egli la ritiene portata al bene. Per lo Stagirita infatti il bene è più forte del male,
e se si vuole ottenere il bene senza riuscirci non è perché il bene si affievolisce, ma
perché il soggetto in causa non è capace di utilizzare la retorica e di organizzare il
discorso e le proprie azioni per ottenere tale bene.15
12
Rigotti e Cigada affermano che il principio di non contraddizione è “L’evidenza fondamentale su cui si
basa la conoscenza umana”, e che per esso “una cosa non può essere e non essere, nello stesso tempo e
sotto il medesimo aspetto”. E. Rigotti, S. Cigada, La Comunicazione Verbale, Milano, Apogeo, 2004, p.
110.
13
Secondo Aristotele le emozioni, i sentimenti, giocano un ruolo di primo piano nel processo persuasivo:
“La persuasione si realizza invece tramite gli ascoltatori quando questi siano condotti dal discorso a provare
un’emozione: i giudizi non vengono emessi allo stesso modo se si è influenzati da sentimenti di dolore o
di gioia, oppure di amicizia o di odio [mio il grassetto]”. Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano, Arnoldo
Mondadori Editore, 1996, p. 13).
14
Si noti quante volte, nel primo libro della Retorica, l’autore utilizza il verbo “desiderare” e l’aggettivo
“desiderabile”.
15
Secondo Aristotele “gli uomini hanno una sufficiente disposizione naturale per il vero e nella maggior
parte dei casi colgono la verità”; da qui l’importanza della retorica: “La retorica è utile perché la verità e la
giustizia sono per natura più forti dei loro contrari, sicché se i giudizi non sono formulati nel modo corretto,
se ne deve concludere necessariamente che è per propria colpa che si viene sconfitti: e ciò è degno di
biasimo”. Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 9). La retorica è
fondamentale nel perseguimento della felicità, la condizione cui tutti, per natura, tendono: “Tutti, più o
meno, presi sia ognuno individualmente sia nell’insieme, hanno uno scopo, mirando al quale scelgono o
rifiutano ogni cosa. E questo, per parlare per sommi capi, consiste nella felicità, e nelle parti di cui essa si
9
Il ricorso al ragionamento è tanto fondamentale quanto la considerazione delle passioni e
dei sentimenti. L’uomo sceglie ciò che è meglio per sé in base a calcoli che lo portano a
ritenere una cosa più desiderabile dell’altra: “senno e ragione”16 vengono invocati da
Aristotele come elementi essenziali nel processo decisionale, quali ingredienti che
orientano tutte le azioni. 17 Da qui l’importanza assunta dalla dialettica nelle discussioni
argomentative.
Per Aristotele la dialettica può essere variamente utilizzata poiché essa parte dai
cosiddetti èndoxa, ossia da principi non necessariamente veri ma condivisi dalla
maggioranza della popolazione e dai saggi18. Attraverso gli èndoxa, tra cui si trovano i
pareri degli esperti, il parlante ha la possibilità di confutare l’interlocutore mettendo in
moto il procedimento dialettico, per cui si dà inizio ad una discussione critica. La
dialettica può essere applicata alla totalità dello scibile umano purché ci sia una
controparte disposta a difendere le proprie tesi, a renderne ragione. Essa si serve di
induzione e sillogismo, così come la retorica si serve di esempi ed entimemi: è questo un
altro parallelismo tra dialettica e retorica, oltre al fatto che le due sono tecniche e non
scienze, come abbiamo affermato precedentemente.
Per Aristotele il ricorso alla retorica è fondamentale ad esempio quando l’interlocutore
non è abbastanza istruito o non conosce approfonditamente una particolare materia: in tal
caso l’ascoltatore viene indotto ad addentrarsi in un campo poco conosciuto grazie alla
dimensione emotiva, oltre che a quella razionale.
Possiamo affermare di conseguenza che la retorica assolve un ruolo ausiliario nei
confronti della dialettica, poiché sfrutta strategie che facilitano la comprensione del
discorso e toccano i sentimenti del pubblico.
Tra di esse Aristotele enumera gli
compone. […] E’ infatti intorno alla felicità, e alle azioni che a essa conducono e a quelle a essa contrarie,
che ruotano tutti i tentativi di persuadere e dissuadere”. Ivi, p. 35.
16
Ivi, p. 53.
17
“Definiamo “bene” ciò che viene scelto per se stesso, e per il quale scegliamo qualcos’altro, e che tutti gli
esseri desiderano, o per lo meno tutti quelli che hanno sensazione e ragione, o desidererebbero, se
avessero ragione [mio il grassetto]”. Ivi, p. 45. L’autore continua a sottolineare l’importanza della ragione
con queste parole: “Avevamo definito bene ciò che ogni cosa, se possedesse l’intelletto, sceglierebbe. E’
dunque evidente che è un bene maggiore quello che l’intelletto indica come migliore [mio il grassetto]”.
Ivi, p. 59.
18
La dimensione del probabile, rispetto a quella necessaria, gioca un ruolo primario in quanto è su di essa
che si fonda la dialettica. Il probabile è ciò con cui più si ha a che fare nella quotidianità: “le premesse degli
entimemi saranno talvolta necessarie, ma per la massima parte soltanto genericamente possibili. […] Il
probabile è quanto avviene nella maggior parte dei casi, non così semplicemente come alcuni lo
definiscono, ma quanto, tra ciò che potrebbe anche essere in un modo diverso, sta, relativamente a quello in
rapporto al quale è probabile, in una relazione analoga a quella dell’universale nei confronti del
particolare”. Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, pp. 20, 21).
10
entimemi, la massima19 e l’esempio 20, che è una “forma di induzione”21 e, insieme
all’entimema, un genere di argomentazione comune.
Anche la retorica parte dagli èndoxa e può raggiungere la verità, ma per arrivare a ciò il
parlante necessita, oltre che del logos, anche di ethos, ossia di credibilità22, e di pathos, o
conoscenza dei sentimenti del pubblico.
L’oratore deve infatti apparire come una persona degna di credibilità, di rispetto, un
profondo conoscitore della materia che tratta, ma nello stesso tempo deve risultare
benevolo, disposto ad ascoltare gli altri e a trasmettere loro la sensazione di essere presi
in considerazione: l’oratore deve parlare non solo a proprio vantaggio, ma anche a favore
degli ascoltatori, i quali devono capire che, attraverso determinate azioni, essi
raggiungono una meta importante per loro stessi, un traguardo che fornirà loro dei
benefici.
Per quanto concerne il pathos, che con l’ethos forma la parte emotiva del discorso, esso
fa leva sui sentimenti del pubblico, sulle sue emozioni23 per fargli prendere delle
decisioni. Come affermato precedentemente, questo aspetto non è privo di ragione, anzi è
proprio quest’ultima che stimola nell’uomo determinati sentimenti e desideri.
Dall’analisi che Aristotele fa delle varie emozioni nel secondo libro della Retorica risulta
chiaro che esse non nascono dal nulla, ma sono motivate: esiste sempre una ragione, un
fatto che porta una persona a sentire qualcosa in una determinata circostanza. Dalle
parole dell’autore si evince che per provare qualcosa verso qualcuno si pensa prima a ciò
19
Aristotele definisce la massima come “un’affermazione che non riguarda il particolare – ad esempio, che
genere di uomo sia Ificrate – ma è di carattere universale, e che non concerne tutti gli universali – ad
esempio che il diritto è il contrario dello storto – ma solo ciò che è in rapporto con le azioni e che può
essere scelto o evitato in funzione di esse”. Ivi, p. 231.
20
Gli esempi sono importanti poiché da essi derivano gli entimemi basati su casi simili. Aristotele afferma
che gli esempi possono essere di due specie, una basata su fatti avvenuti in passato e l’altra basata su fatti
inventati dal parlante. Per un approfondimento si veda Ivi, p. 227. Inoltre, per Aristotele gli esempi fungono
da dimostrazione se non si hanno entimemi a disposizione, mentre se si dispone di questi ultimi, gli esempi
hanno il ruolo di testimonianza. Ivi, p. 231.
21
Ivi, p. 19.
22
L’importanza della dimensione etica del discorso è sottolineata dalle seguenti parole di Aristotele: “noi
infatti crediamo alle persone affidabili in misura maggiore e con più prontezza riguardo a ogni questione in
generale, e completamente, in quelle che non comportano certezza assoluta ma varietà di opinioni”. Ivi, p.
13. E ancora: “crediamo a un oratore perché appare in un certo modo, e cioè quando appare buono o
benevolo, o entrambe le cose”. Ivi, p. 67. Nel secondo libro della Retorica Aristotele afferma: “Comporta
infatti una notevole differenza, in rapporto alla persuasione (soprattutto nell’oratoria deliberativa, ma anche
in quella giudiziaria), il fatto che l’oratore si mostri con certe qualità, e che gli ascoltatori pensino che lui è
disposto in un dato modo nei loro confronti, e inoltre che anch’essi si trovino in una certa disposizione
d’animo verso di lui”. Ivi, p. 145.
23
Aristotele definisce così le emozioni: “Le emozioni sono i fattori in base ai quali gli uomini, mutando
opinione, differiscono in rapporto ai giudizi, e sono accompagnate da dolore o piacere: ad esempio l’ira, la
pietà, la paura, e tutte le altre simili o contrarie a queste”. Ivi, p. 147. Egli identifica tre aspetti costitutivi
delle emozioni che ne risaltano la complessità: “A proposito di ogni emozione, inoltre, si devono
distinguere tre aspetti. Voglio dire, per esempio, a proposito dell’ira, in quale disposizione d’animo si è
portati all’ira, con quali persone si è soliti adirarsi, e in quali circostanze [mio il grassetto]”. Ibidem.
11
che è stato subito, al danno o al vantaggio ottenuto: il provare emozioni deriva dunque da
un meccanismo di pensiero, da una riflessione sull’accaduto, da un dialogo24 con sé stessi
in cui la persona pondera i fattori che la inducono a provare un sentimento piuttosto che
un altro.
All’inizio del primo libro della Retorica lo Stagirita afferma che dialettica e retorica
“riguardano oggetti la cui conoscenza è in un certo qual modo patrimonio comune di tutti
gli uomini e che non appartengono a una scienza specifica”25, identificandole quindi
entrambe come metodologie universali. In seguito, tuttavia, egli riduce la retorica ai
generi deliberativo, forense ed epidittico: il primo tratta il modo per difendere o
contrastare una scelta politica, il secondo riguarda il modo in cui vengono svolti i
processi in tribunale, mentre l’ultimo consiste nella lode o critica ad una persona, città,
evento.
Secondo l’autore ogni genere ha un proprio tempo che lo caratterizza (il futuro per il
discorso deliberativo, il passato per il giudiziario e il presente per l’epidittico) così come
un fine differente identificato rispettivamente ne “l’utile o il nocivo”, “il giusto e
l’ingiusto”, “il bello e il brutto”.26
In particolare, nel caso dei discorsi giudiziari27 Aristotele ritiene opportuno utilizzare gli
entimemi i quali non hanno carattere emotivo e quindi ben si addicono alla retorica
giudiziaria, che deve condurre ad una conclusione necessaria. In tribunale, infatti, le
cause terminano sempre, necessariamente, con una sentenza, e gli entimemi assolvono la
funzione di condurre più facilmente la sentenza stessa mettendo in secondo piano la
dimensione emotiva ed etica del discorso28.
Nei discorsi deliberativi è invece meglio usare gli esempi29 in quanto, se si deve
esprimere un giudizio, è meglio basarsi su ciò che è avvenuto in precedenza e con cui si
può fare un paragone. Basandosi su fatti già avvenuti si possono esprimere pareri più
24
Il concetto di dialogo è trattato da Rigotti e Cigada i quali annotano: “In effetti il sentimento ha una forte
componente di ragione, non solo nel senso che è motivato (come sono anche emozioni e passioni), ma
anche nel senso che si sviluppa con il tempo attraverso quel dialogo interno al soggetto che è la riflessione
[mio il grassetto]”. E. Rigotti, S. Cigada, La Comunicazione Verbale, Milano, Apogeo, 2004, p. 123.
25
Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 3).
26
Ivi, p. 27.
27
Trattando i discorsi giudiziari Aristotele afferma che “un avvenimento passato, per la sua incertezza,
richiede soprattutto una causa e una dimostrazione”. Ivi, p. 79.
28
Scrive Aristotele: “Se vuoi creare emozione, non usare un entimema, perché o respingerai l’emozione, o
l’entimema sarà stato utilizzato inutilmente (i movimenti simultanei infatti si respingono reciprocamente, e
si elidono o si indeboliscono a vicenda). Non si dovrebbe cercare l’entimema neppure quando si vuol dare
un carattere etico al discorso, poiché la dimostrazione non ha né un carattere né un proposito morale”. Ivi,
p. 371.
29
“Gli esempi sono più adatti all’oratoria deliberativa, […], poiché la prima riguarda il futuro, e di
conseguenza è necessario trarre gli esempi dagli avvenimenti passati”. Ivi, p. 369.
12
fondati, e quindi si può prevedere con maggior assennatezza se una persona che intende
intraprendere una certa strada avrà successo o meno, se le azioni che si vuole compiere
porteranno a conseguenze positive o negative30.
Per quanto riguarda i generi giudiziario e deliberativo, Aristotele ritiene che
l’argomentazione debba seguire un certo ordine: se l’oratore parla per primo è meglio che
esponga le proprie argomentazioni e poi affronti quelle altrui31; se invece l’oratore parla
per secondo è opportuno che demolisca prima il discorso dell’antagonista attraverso i
sillogismi, in modo da dare al pubblico l’impressione che gli argomenti di quest’ultimo
non sono così validi come egli ha voluto far credere, e poi che si focalizzi sui suoi
argomenti32.
Per quanto concerne invece i discorsi epidittici33, Aristotele consiglia l’uso della lode e
dell’amplificazione34 che concerne la grandezza della azioni compiute, l’importanza di un
fatto, il sacrificio di una città; in questo modo si rende più credibile il discorso in quanto
si imprime ciò di cui si parla nella memoria del pubblico35.
Sia nella dialettica che nella retorica, Aristotele assegna una importanza fondamentale ai
luoghi comuni; egli, infatti, sostiene che i sillogismi e gli entimemi siano due
ragionamenti caratterizzati dalla presenza di luoghi.
I luoghi comuni, in particolare, sono profondamente radicati nelle due tecniche in quanto
originano ragionamenti relativi, ad esempio, alla giustizia, alla libertà, alla politica, alla
scienza, eccetera36. I luoghi comuni sono per Aristotele dei modelli, delle strutture
30
Per quanto riguarda i discorsi deliberativi Aristotele afferma che “è in base agli avvenimenti trascorsi che
possiamo congetturare quelli futuri”. Ivi, p. 79.
31
“Tanto nell’oratoria deliberativa quanto in quella giudiziaria chi inizia a parlare deve esporre in un primo
momento le proprie argomentazioni, e poi affrontare quelle dell’avversario, confutandole e demolendole
prima che egli possa avanzarle”. Ivi; p. 373.
32
“Se invece l’oratore deve parlare per secondo, deve innanzitutto esporre i suoi argomenti contro il
discorso avversario, confutandolo e controbattendo per mezzo di sillogismi, soprattutto se egli ha ricevuto
consensi. […] Pertanto, solo dopo aver combattuto contro tutti gli argomenti dell’avversario, o contro i più
importanti, o quelli che hanno ottenuto il maggior consenso, o quelli più facili da confutare, un oratore
dovrà rendere persuasivi i propri argomenti”. Ivi; pp. 373, 375.
33
Aristotele afferma che i discorsi epidittici “prendono in considerazione azioni sulle quali tutti sono
d’accordo, al punto che non resta che conferire loro bellezza e grandezza”. Ivi, p. 79. Da qui l’importanza
dell’amplificazione e della lode nell’ambito dei discorsi epidittici.
34
Scrive Aristotele: “ L’amplificazione ricade giustamente tra le forme di elogio, poiché consiste in una
condizione di superiorità, e quest’ultima fa parte delle cose belle”. Ivi, p. 79.
35
“Nei discorsi epidittici si dovrà utilizzare molto l’amplificazione a proposito della nobiltà e dell’utilità
delle azioni, poiché ai fatti concreti si deve prestare fiducia”. Ivi, p. 369.
36
“Affermo che sono sillogismi dialettici e retorici quelli per i quali possiamo parlare di “luoghi”, che
possono essere applicati in comune a questioni riguardanti la giustizia, la fisica, la politica e molte scienze
che differiscono per specie, come il “luogo” relativo al più o al meno”. Ivi; p. 23. Altra caratteristica dei
luoghi comuni consiste nel fatto che “I “luoghi comuni” non renderanno esperti in nessun genere
particolare di soggetti: infatti, non riguardano nessun argomento specifico”. Ivi, p. 25.
13
secondo cui classificare gli argomenti; in particolare si hanno la struttura della
(im)possibilità, del (non)esistente e quella del grande e del piccolo37.
I luoghi particolari,38 invece, caratterizzano le discipline specifiche le quali si distaccano
così da retorica e dialettica per assumere caratteri propri.
Nella considerazione dei luoghi comuni e delle premesse che stanno alla base dei diversi
tipi di discorso è fondamentale il retroterra culturale, che Aristotele pone come elemento
essenziale delle argomentazioni. Le conoscenze comuni rivestono un ruolo primario
affinché la comunicazione raggiunga i fini per cui è stata iniziata; è dunque importante
che un gruppo abbia presente il vantaggio che può arrecare l’ottenimento di una data cosa
per desiderarla, o quale male ne può derivare per rifiutarla.
Abbiamo precedentemente accennato a sillogismi ed entimemi: tratteremo brevemente
questo argomento nel prossimo paragrafo.
2.2. SILLOGISMO ED ENTIMEMA NELL’ ORGANON
Grande merito di Aristotele è stato quello di avere evidenziato il ruolo del sillogismo e
dell’entimema dandone una sistemazione teorica (nelle opere Analitici primi e Analitici
secondi oltre che nei Topici e nella Retorica) e inquadrandone il ruolo fondamentale nel
processo persuasivo.
Il sillogismo è un ragionamento per cui, partendo da determinate premesse si
raggiungono determinate conclusioni39. Esso consta di tre proposizioni: due premesse (la
premessa maggiore e quella minore) e una conclusione, per esempio:
−
tutti gli uomini sono mortali = premessa maggiore
−
i greci sono uomini
= premessa minore
−
i greci sono mortali
= conclusione
37
Si veda la nota 34 in Ivi, p. 134 e la trattazione che Aristotele fa dei luoghi alle pagine 223, 225, 227.
“"Luoghi specifici" invece sono quelli che derivano da proposizioni che sono relative a ogni particolare
specie o genere di scienza”. Ivi, p. 23. Aristotele identifica il loro ruolo differenziatore tra dialettica e
retorica da un lato e scienze specifiche dall’altro con le seguenti parole: “Per quanto riguarda i “luoghi
specifici”, quanto migliore sarà la scelta delle proposizioni, tanto più si realizzerà, pur senza dare
l’impressione, una scienza diversa dalla dialettica e dalla retorica, perché, se si incontrano i principi primi,
non si tratterà più di dialettica né di retorica, ma di quella scienza della quale si posseggono i principi”. Ivi,
p. 25.
39
“A syllogism is a form of speech in which, certain things being laid down, something follows of
necessity from them, i.e. because of them, i.e. without any further term being needed to justify the
conclusion. A perfect syllogism is one that needs nothing other than the premises to make the conclusion
evident; an imperfect syllogism needs one or more other statements which are necessitated by the given
terms but have not been assumed by way of premisses”. W. D. Ross, Aristotle’s Prior and Posterior
Analytics, Oxford, Oxford University Press, 1965, p. 287.
38
14
La condizione di validità del sillogismo è rispettata se la seconda delle tre proposizioni è
contenuta nella prima e la terza nella seconda, quindi la terza è contenuta pure nella
prima. Nel secondo libro della Retorica Aristotele separa il sillogismo dialettico, ossia il
sillogismo vero e proprio, da quello retorico, detto anche entimema40.
L’entimema è un sillogismo abbreviato in quanto in esso è assente una premessa e viene
dunque effettuato un salto diretto dalla premessa alla conclusione41.
Per Aristotele esso è molto importante nei processi persuasivi poiché, con la sua brevità,
aiuta la comprensione e tralascia ciò che viene ritenuto scontato e che diventa ridondante
se viene menzionato42. Secondo lo Stagirita, il pubblico non è in grado di seguire
ragionamenti troppo complessi e con numerosi passaggi43, per cui occorre esprimere solo
40
Come spiega Rigotti, il termine “entimema” viene fatto risalire ad Anassimene di Lampsaco, retore e
storico greco, probabilmente maestro di Alessandro Magno. La sua opera principale, Retorica ad
Alessandro, è imperniata sulla retorica dell’antica arte sofistica; tale opera fu erroneamente attribuita ad
Aristotele ed è la prima a contenere il termine “entimema”, in seguito elaborato da Aristotele. Rigotti
sottolinea la natura logica dell’entimema e il fatto che esso si basa sulla pístis, ossia su un rapporto di
fiducia tra parlante e ascoltatore: l’autore sostiene infatti che le premesse dell’entimema non sono verità
dimostrate e accettabili da tutti, ma ipotesi che vengono accolte sulla base di credenze generalmente
accettate o sulla base dell’autorità del parlante. Tali premesse sono delle éndoxa, dei principi conosciuti e
che si suppone vengano accolti senza bisogno di essere nominati, dando così luogo a comunicazioni con
fini manipolatori. Altra caratteristica evidenziata da Rigotti è la maggior brevità dell’entimema rispetto al
sillogismo: l’entimema trae forza persuasiva proprio da questa caratteristica, che lo rende adatto a saltare
passaggi che sarebbero ridondanti e renderebbero il discorso noioso. E. Rigotti, The Enthymeme as a
Rhetorical Device and as a Textual Process, in E. Rigotti, S. Cigada, Rhetoric and Argumentation:
Proceedings of the International Conference, Lugano, April 22-23, 1997, Tübingen, Max Niemeyer Verlag,
1999. Francesca Piazza ritiene che l’entimema abbia sei caratteristiche fondamentali: 1) è utilizzato per
discutere argomenti non stabiliti una volta per tutte, ma che danno luogo a diverse prese di posizione in
quanto riguardano la sfera umana; 2) parte da premesse possibili e non necessarie; 3) la validità
dell’entimema, ossia la correttezza del passaggio da premesse a conclusione, dipende dal contesto e non
può quindi essere stabilita definitivamente; 4) tiene conto di ethos e pathos che non possono essere
trascurati se l’entimema vuole persuadere; 5) in esso è molto importante lo stile, che deve colpire i
sentimenti dell’ascoltatore: per questo, contrasto e metafora giocano un ruolo fondamentale; 6) è
caratterizzato da maggior brevità rispetto al sillogismo: questo aspetto non va considerato un difetto, ma un
pregio in quanto rende più scorrevole il discorso. F. Piazza, The enthymeme as rhetorical argumentation.
(An Aristotelian perspective), in F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, J. A. Blair, C. A. Willard (eds),
Analysis and Evaluation: Proceedings of the Third ISSA Conference on Argumentation (University of
Amsterdam, June 21-24 1994), Volume 2, Amsterdam, Sic Sat, 1995.
41
“An enthymeme is a syllogism starting from probabilities or signs. A probability is a generally approved
preposition, something known to happen, or to be, for the most part thus and thus”. W. D. Ross, Aristotle’s
Prior and Posterior Analytics, Oxford, Oxford University Press, 1965, p. 498.
42
“Che l’entimema sia una sorta di sillogismo, in quale modo lo sia, e in che cosa differisca dai sillogismi
dialettici, è già stato detto in precedenza: perché le sue conclusioni non debbono essere prese partendo
troppo da lontano e non è necessario esporre tutti i passaggi. Nel primo caso la lunghezza genera oscurità,
nel secondo, dicendo ciò che è evidente, si cade nella prolissità”. Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano,
Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 239).
43
“La sua funzione si esplica in relazione a oggetti intorno ai quali deliberiamo ma non possediamo delle
tecniche, e in presenza di ascoltatori che non sono in grado di comprendere con un solo sguardo numerosi
passaggi, e di seguire un lungo ragionamento”. Ivi, p.17. Aristotele prosegue sottolineando: “Pertanto, è
necessario che l’entimema e l’esempio vertano su questioni che hanno per la massima parte la possibilità di
essere diverse da come sono […] e siano tratti da poche premesse, spesso meno numerose di quelle da cui
si trae il primo sillogismo, perché se una di queste è nota, non è necessario esprimerla, in quanto è
l’ascoltatore stesso ad aggiungerla”. Ivi, p. 19.
15
quelli necessari alla sua comprensione e omettere gli altri: da qui deriva l’efficacia
dell’entimema nel provocare il cambiamento della controparte.
L’ultimo argomento dell’opera aristotelica che riteniamo di particolare importanza a
causa delle ripercussioni avute sul pensiero moderno, è quello dello stile e
dell’organizzazione del discorso: esso sarà oggetto del prossimo paragrafo.
2.3. L’ORGANIZZAZIONE DEL DISCORSO
Nel terzo libro della Retorica, Aristotele si occupa dello stile del discorso persuasivo e
dell’organizzazione del discorso stesso. Egli sostiene infatti che, oltre agli argomenti da
discutere, occorre padroneggiare una certa tecnica di discussione per vincere
sull’avversario44.
Segue dunque una articolata esposizione sullo stile e gli effetti da esso giocati nella
comprensione del discorso; la chiarezza si identifica con lo stile45, il quale deve anche
adattarsi al tipo di discorso e al pubblico cui l’oratore si rivolge46.
Aristotele dà consigli sulle scelte da fare se si vuole persuadere la controparte e tratta il
ruolo delle metafore, delle similitudini, degli epiteti, dei diminutivi, delle iperboli, della
metrica.
Egli sostiene che lo stile viene percepito come freddo se si utilizzano le parole composte,
le quali appaiono artefatte e non naturali, le glosse, gli epiteti troppo lunghi e le metafore
inappropriate. Tutti questi elementi, infatti, contribuiscono all’oscurità del discorso, che
si contrappone alla chiarezza evocata come tratto distintivo dello stile. La purezza
linguistica è il “fondamento dello stile”47 e consiste in cinque elementi che
contribuiscono alla chiarezza e quindi alla maggiore comprensione di ciò che viene detto.
Questi cinque elementi sono:
1)
l’uso corretto delle correlazioni, in modo che si capisca ciò che viene prima e ciò
che segue,
2)
l’uso di termini propri che danno idea di naturalezza e di chiarezza nel pensiero di
chi parla,
44
Scrive Aristotele: “non basta possedere gli argomenti che si devono esporre, ma è anche necessario
esporli nel modo appropriato, e questo contribuisce ampiamente a far apparire il discorso di un certo tipo
[mio il grassetto]”. Ivi, p. 295.
45
“Consideriamo sufficiente quanto esaminato in precedenza, e definiamo qualità dello stile la chiarezza
(il discorso è una forma di segno, e pertanto se non chiarisce non svolgerà la propria funzione) [mio il
grassetto]”. Ivi, p. 299.
46
“Essa non deve essere né umile né troppo elevata, ma adatta al soggetto [mio il grassetto]”. Ibidem.
47
Ivi, p. 313.
16
3)
la rinuncia a termini ambigui che creano confusione,
4)
la classificazione dei nomi in maschili, femminili e neutri,
5)
l’accordo di singolare e plurale.
Ciò fa sì che quello che viene sentito o letto possa facilmente essere seguito e compreso,
e dunque apprezzato. Aristotele sottolinea il fatto che, se qualcosa viene capito senza
difficoltà, è apprezzato maggiormente e quindi considerato “brillante”48.
Per essere brillante, il discorso deve inoltre far immaginare all’ascoltatore ciò che si dice,
come se le parole pronunciate si materializzassero davanti a lui49: in tal caso le metafore
assolvono una funzione di primaria importanza, e non devono essere costruite con parole
sconosciute, ma nemmeno scontate, in modo che il pubblico riesca ad afferrare
l’associazione di idee propria di questa figura retorica rimanendo stupito50.
Per quanto concerne le parti in cui è diviso un discorso, Aristotele afferma che due sono
le principali e quelle comuni a tutti i discorsi, ossia proposizione e argomentazione, le
quali corrispondono, rispettivamente, all’affermazione di una tesi e alla sua
dimostrazione51.
A queste due parti possono essere aggiunte una introduzione che serve a non far sembrare
il discorso improvvisato, così come a fare capire di cosa o di chi si parla e quali sono i
fini che si vogliono raggiungere, e un epilogo, il quale consta di quattro mosse: “disporre
l’ascoltatore favorevolmente nei propri confronti e sfavorevolmente nei confronti
dell’avversario; amplificare e diminuire; suscitare reazioni emotive nell’ascoltatore;
ricapitolare”52.
Il terzo ed ultimo libro della Retorica si occupa dunque di come utilizzare al meglio lo
stile e di come organizzare il discorso se si vuole persuadere la controparte. Per scegliere
quale stile utilizzare e per decidere quale disposizione dare agli argomenti della
discussione, bisogna tenere in considerazione quale tipo di discorso si affronta, quindi il
48
Ivi, p. 331. “Lo stile e gli entimemi che creano in noi un rapido apprendimento sono necessariamente
brillanti. Per questo motivo gli entimemi superficiali non sono popolari […] e non lo sono neppure quelli
che, una volta pronunciati, restano incompresi; lo sono invece quelli dai quali nasce conoscenza nel
momento stesso in cui vengono pronunciati, anche se prima non esisteva, oppure quelli che si comprendono
subito dopo: in questo caso sorge una certa conoscenza, ma non sorge in nessuno degli altri due casi”.
Ibidem.
49
“Inoltre, sono brillanti se fanno apparire le cose “davanti agli occhi”, perché occorre vedere le cose
mentre avvengono e non nel futuro”. Ivi, p. 333.
50
Afferma Aristotele: “"Azione" è anche – nel modo in cui se ne serve Omero – rendere animati gli oggetti
inanimati attraverso la metafora.” e ancora “le metafore devono essere tratte da oggetti familiari ma non
scontati”. Ivi, p. 337.
51
“Due sono le parti del discorso: è necessario proporre l’argomento di cui si parla e quindi dimostrarlo.”;
Ivi; 349. Aristotele rimarca poi: “ Le parti necessarie, dunque, sono la proposizione e l’argomentazione.
Appropriate a ogni discorso sono queste; e al massimo, esordio, proposizione, argomentazione, epilogo
[mio il grassetto]”. Ivi, p. 351.
52
Ivi, p. 379.
17
fine e il pubblico cui ci si rivolge. Aristotele, nel primo libro dell’opera, afferma infatti
che i generi della retorica sono tre, così come sono tre gli obiettivi e i tipi di pubblico53:
l’adattamento alla situazione è fondamentale per riportare una vittoria, ossia per
persuadere il pubblico, in quanto ogni tipo di uditorio avrà conoscenze diverse,
aspettative differenti e capacità di giudizio altrettanto eterogenee.
Il concetto di adattamento alle circostanze comunicative è un concetto chiave di tutta la
teoria della comunicazione, e sarà anch’esso ripreso dagli studiosi del nostro tempo,
come verrà confermato nel prossimo paragrafo.
3. I CONCETTI ARISTOTELICI IN EPOCA MODERNA
Nei paragrafi precedenti abbiamo rivolto la nostra attenzione a tre argomenti cui
Aristotele riconosce una certa importanza e che tratta in altre opere oltre alla Retorica,54
ossia all’avvicinamento di dialettica e retorica, all’importanza del sillogismo,
dell’entimema, a quella dello stile e dell’organizzazione del discorso.
I concetti aristotelici che vengono approfonditi dagli studiosi moderni, tuttavia, non si
limitano a questi tre: riteniamo degni di nota la rivalutazione di ethos e pathos, il ruolo
giocato dal retroterra culturale comune ai soggetti coinvolti nel processo comunicativo, il
ruolo svolto dal desiderio di una parte di provocare un mutamento nell’altra e
l’importanza riconosciuta alla chiarezza del discorso.
Trattiamo qui di seguito ciascun concetto focalizzandoci, anche nelle note a piè pagina,
sulla rilevanza che è loro attribuita dagli studiosi moderni.
Gli argomenti fondamentali dell’opera aristotelica che vengono ripresi più di frequente
dagli ultimi decenni a questa parte sono:
•
l’avvicinamento tra dialettica e retorica55, non più considerate discipline antitetiche
ma complementari nel processo di convincimento del pubblico. Esse, infatti, sono
53
“I generi della retorica sono tre di numero : altrettante sono infatti le specie di coloro che ascoltano i
discorsi. Il discorso consta di tre elementi: colui che parla, ciò di cui si parla, colui al quale si parla. Il fine
del discorso è diretto a costui – voglio dire all’ascoltatore. E necessariamente l’ascoltatore è uno
spettatore o uno che decide, ed è uno che decide rispetto o agli avvenimenti passati o a quelli futuri. In
rapporto agli avvenimenti futuri è il membro dell’assemblea a decidere; riguardo a quelli passati, il giudice
di tribunale; riguardo all’abilità dell’oratore, lo spettatore. Pertanto, saranno necessariamente tre i generi di
discorsi retorici: deliberativo, giudiziario, epidittico [mio il grassetto]”. Ivi, p. 25. Inoltre, Aristotele afferma
a proposito dello stile e del suo adattamento al soggetto: “Lo stile possiederà proprietà quando sia in grado
di esprimere emozioni e caratteri e sia proporzionato al soggetto [mio il grassetto]”. Ivi, p. 317.
54
E’ il caso, ad esempio, dei sillogismi e degli entimemi, che sono oggetto di indagine nei Topici, negli
Analitici Primi e negli Analitici Secondi.
55
In particolare, nella sua analisi di Aristotele, Krabbe individua quattro tratti comuni a retorica e dialettica
e altrettante differenze. I tratti comuni sono così riassunti:
18
tecniche e non scienze, si occupano di tematiche universali e non specifiche, si servono
rispettivamente di induzione e sillogismo, esempi ed entimemi, hanno come base di
partenza i luoghi comuni e gli èndoxa. Aristotele sottolinea che la retorica è inglobata
nella dialettica, ne è una sorta di doppione56 e, in un certo senso, affermando ciò la
subordina alla dialettica. In questo senso Aristotele influenza la Scuola di Amsterdam, il
cui approccio pragma-dialettico deriva appunto dall’equilibrio tra dialettica e retorica con
preminenza della prima sulla seconda57;
1)
dialettica e retorica non sono scienze ma facoltà per fornire argomenti. Tuttavia la loro importanza
non è sminuita rispetto alla scienza, in quanto esse sono in grado di raggiungere un sapere veritiero e
un’opinione condivisa;
2)
dialettica e retorica forniscono argomenti per i due lati di una disputa, ossia per tesi, antitesi,
obiezioni;
3)
entrambe possono essere usate per scopi negativi sfociando, ad esempio, nella sofisticheria;
4)
sia la dialettica che la retorica si avvalgono di procedimenti logici quali rispettivamente il sillogismo
e l’induzione.
Le differenze riscontrate dall’autore sono invece:
1)
la dialettica, diversamente dalla retorica, ha a che fare con il dialogo, come indica il nome stesso;
2)
la dialettica vede due partecipanti contrapposti che possono scambiarsi i ruoli ed essere personificati
da più individui, ma sempre ben distinguibili in due parti. Quando questa distinzione non sussiste più e si
ha un dibattito allora interviene la retorica;
3)
lo scopo della dialettica è il raggiungimento della verità, quello della retorica la persuasione, ossia
una opinione condivisa dai partecipanti;
4)
nonostante Aristotele affermi che la retorica sia universale al pari della dialettica, in effetti è
quest’ultima a trattare temi di importanza universale come ad esempio, la virtù, la giustizia, il bene, il male,
mentre la retorica interviene nel risolvere casi specifici, come nella presa di decisione riguardo a situazioni
quotidiane.
E. C. W. Krabbe, Meeting in the House of Callias: an historical Perspective on Rhetoric and Dialectic, in
F. H. van Eemeren, P. Hotlosser (edited by), Dialectic and Rhetoric: the Warp and Woof of Argumentation
Analysis, Dordrecht-Boston-London, Kluwer Academic Publishers, 2002.
56
Nella Retorica Aristotele afferma che “la retorica è una sorta di ramificazione della dialettica e della
scienza etica, che è giusto definire politica. […] essa rappresenta una sorta di settore o di copia della
dialettica, poiché nessuna delle due è una scienza relativa alla natura di un oggetto definito, ma entrambe
sono soltanto facoltà di fornire ragionamenti”. Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano, Arnoldo Mondadori
Editore, 1996, p. 15).
57
Van Eemeren e Grootendorst affermano: “We propose an approach to argumentation in which the
descriptive and the normative aspects are systematically combined. […] In so trying to bring about a
convergence of different angles, we would, in a certain sense, stimulate an integrating return to the classical
roots of the study of argumentation as exemplified in Aristotelean Analytic, Dialectic, and Rhetoric”. F. H.
van Eemeren, R. Grootendorst, Argumentation, Communication, and Fallacies: a Pragma-Dialectical
Approach, Hillsdale (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 1992, pp. 9-10. Per la Scuola di
Amsterdam, nelle quattro fasi della discussione critica (confronto, apertura, argomentazione e conclusione)
gli obiettivi dialettici portano con sé gli obiettivi retorici a loro completamento. I primi vengono resi più
efficaci dai secondi, i quali assolvono un ruolo di supporto. Come afferma anche Hanns Hohmann, van
Eemeren e Grootendorst “reject “the sharp and infertile ideological division between rhetoric and
dialectic,” and strongly insist on both the theoretical connection between the two fields, and on the way in
which they are linked in actual argumentative discourse. […] Moreover, they also propose to subtly
subordinate rhetoric to dialectic in their model, positing that “we view rhetorical moves as operating
within a dialectical framework [mio il grassetto]”. Hanns Hohmann, Rhetoric and Dialectic: Some
Historical and Legal Perspectives, in F. H. van Eemeren, P. Houtlosser, Dialectic and Rhetoric: The Warp
and Woof of Argumentation Analysis, Dordrecht-Boston-London, Kluwer Academic Publishers, 2002, p.
42.
19
•
l’affermazione dell’importanza di sillogismo ed entimema nel processo persuasivo,
il cui uso verrà ripreso e approfondito in seguito da studiosi quali Toulmin58, van
Eemeren e Grootendorst59, Copi e Cohen60, Schlesinger et alii61;
•
la rivalutazione di ethos62 e pathos quali elementi intrinseci alla natura umana. La
dimensione emotiva, emozionale della comunicazione viene oggi rivalutata da molti
studiosi che la considerano al centro dell’organizzazione del discorso persuasivo 63;
58
Nell’opera Gli Usi dell’Argomentazione, Toulmin si occupa di “quali caratteristiche dovrà avere una
disposizione logicamente onesta delle argomentazioni”. S. Toulmin, Gli Usi dell’Argomentazione, Torino,
Rosenberg & Sellier, 1975, p. 89. Egli parte dalla struttura argomentativa aristotelica del sillogismo,
composta da due premesse e una conclusione, per elaborare uno schema più complesso formato di tesi, dati,
garanzie, riserva, qualificatori modali, fondamento delle garanzie. Per Toulmin il sillogismo riveste un
certo grado di importanza nelle argomentazioni: argomentando si effettuano dei passaggi dalle premesse
alla conclusione che sono fondamentali per far capire al pubblico il perché di una data conclusione. Da qui
l’attenzione dell’autore volta a non comprimere in maniera eccessiva i ragionamenti: “spesso, specialmente
nelle argomentazioni, noi facciamo svolgere all’unica proposizione i due compiti insieme, e mascheriamo,
per brevità, la transizione dal fondamento alla garanzia: dall’informazione fattuale che presupponiamo alla
licenza d’inferenza che questa informazione ci autorizza ad usare. L’economicità pratica di questa abitudine
può essere ovvia; ma, se si hanno scopi filosofici, essa lascia troppo nell’implicito la struttura effettiva delle
nostre argomentazioni”. Ivi, p. 104.
59
Van Eemeren e Grootendorst si occupano del sillogismo nel capitolo 6 dell’opera Argumentation,
Communication, and Fallacies: a Pragma-Dialectical Approach, e nel capitolo 4 di Argumentation:
Analysis, Evaluation, Presentation. Il passaggio dalle premesse alla conclusione deve risultare chiaro per
convincere la controparte, e quando una premessa è implicita occorre esplicitarla con l’aiuto della logica
(logical minimum) e della pragmatica (pragmatic optimum); si veda F. H. van Eemeren, R. Grootendorst,
Argumentation, Communication, and Fallacies: a Pragma-Dialectical Approach, Hillsdale (NJ), Lawrence
Erlbaum Associates, Publishers, 1992. Van Eemeren e Grootendorst ritengono fondamentale anche il
sillogismo in forma di modus ponens e di modus tollens, poiché “with the help of these argument forms a
proposition can be methodically justified or refuted”. Ivi, p. 70.
60
Si veda l’analisi che Copi e Cohen fanno del sillogismo (suddiviso in sillogismo categorico, disgiuntivo,
e ipotetico puro e misto), di cui trattano anche le regole (le sei regole sillogistiche) e le fallacie
(corrispondenti alla violazione delle sei regole), e dell’entimema, che essi definiscono “un argomento
formulato in modo incompleto, dove parte di esso è «sottinteso» o anche solo tenuto «in mente»”. I.
M. Copi, C. Cohen, Introduzione alla logica, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 312, 313. Gli autori
suddividono gli entimemi in entimemi di primo ordine, ossia quelli in cui viene tralasciata la premessa
maggiore, entimemi di secondo ordine in cui ad essere omessa è la premessa minore, ed entimemi di terzo
ordine in cui è la conclusione a mancare. Copi e Cohen considerano anche un’altra forma di ragionamento,
simile all’entimema, che pone di fronte agli ascoltatori due alternative: il dilemma. Esso è definito “una
comune forma di argomento nel linguaggio ordinario, è un retaggio di tempi antichi quando la logica e la
retorica erano connesse in maniera più stretta di quanto non lo siano oggi. […] Dal punto di vista retorico,
invece, il dilemma è forse lo strumento più potente di persuasione mai costruito: nelle controversie, è
un’arma devastante”. Ivi, p. 328. Un esempio di dilemma riportato dai due autori è il seguente, ripreso da J.
Gleick, Genius: The Life and Science of Richard Feynman, New York, Pantheon Books, 1992: “Ogni volta
che parlavamo a qualche alto dirigente, ci dicevano che non ne sapevano nulla dei problemi ai livelli
inferiori…O il gruppo dirigente era all’oscuro, ma avrebbe dovuto sapere, oppure sapeva, e allora ci
stavano mentendo”. Ivi, p. 329.
61
Per Schlesinger et alii il sillogismo è un tipo di giustificazione, considerata dall’autore un’operazione
fondamentale del processo argomentativo. Si veda a tal proposito I. Schlesinger, T. Keren-Portnoy, T.
Parush, The Structure of Arguments, Amsterdam-Philadelphia, John Benjamins Publishing Company, 2001.
62
Rigotti et alii distinguono tra ethos e reputazione sostenendo che il primo viene costruito mano a mano
che l’oratore tiene il suo discorso. Dal modo di parlare, infatti, il pubblico comprende se l’oratore è degno
di fiducia, se è abbastanza benevolo nei suoi confronti o se non è l’individuo brillante e intelligente che
vuole apparire. La reputazione, invece, è qualcosa preesistente al discorso, qualcosa che si è costruito nel
tempo attraverso particolari azioni e che “pour devenir ethos la réputation doit etre mise en jeu dans le
discours”. E. Rigotti, A. Rocci, S. Greco, S. Tardini, A. Petruzzella (con la consulenza di), Argumentieren
in der Bank/Argumenter dans la banque, version française, Lugano, Università della Svizzera Italiana, ILS,
2003, p. 21. L’ethos, sempre secondo Rigotti et alii, sarebbe caratterizzato da tre aspetti: intelligenza
20
•
il ruolo giocato dalle conoscenze comuni nel processo persuasivo64: i partecipanti al
discorso devono avere non solo un linguaggio comune che evita i fraintendimenti, ma
anche possedere dei tratti culturali che aiutano a comprendere i motivi di una certa
conclusione e perché occorre agire in un modo piuttosto che in un altro. Aristotele, nella
Retorica, rimarca più volte l’importanza delle conoscenze per poter prendere decisioni65
nei discorsi deliberativi. Quando si desidera un bene è perché si è a conoscenza di quel
bene e degli effetti che esso procura; Aristotele sostiene addirittura che la conoscenza sia
la base del processo di convincimento66. Il ruolo della conoscenza e del contesto è stato
messo in luce, in epoca moderna, da Toulmin67, Perelman68, van Eemeren69, Rigotti et
alii70;
dell’oratore, determinazione, benevolenza. In particolare, gli autori rimarcano che la dimensione etica non
si forma mettendo al centro dell’attenzione l’oratore ma il pubblico: evidenziare i bisogni, i desideri del
pubblico serve infatti a dare una immagine benevola e disinteressata che dà maggior fiducia a chi deve
prendere una decisione.
63
Rigotti e Cigada, ad esempio, sostengono che l’emotività sia profondamente razionale, in quanto
nell’argomentare si vuole arrivare a conclusioni desiderate e, per desiderarle, occorre sapere, ragionare su
cosa si vuole ottenere, su cosa è meglio per ognuno, e organizzare di conseguenza le proprie azioni in modo
che queste portino al risultato sperato. I due autori ritengono che la comunicazione abbia alla base una dose
di interesse verso ciò che conviene, che è vantaggioso, una dose di desiderio e una di sentimento. In
particolare quest’ultimo, spesso ritenuto elemento deviante, viene rivalutato in quanto “ha una forte
componente di ragione, non solo nel senso che è motivato (come sono anche emozioni e passioni), ma
anche nel senso che si sviluppa con il tempo attraverso quel dialogo interno al soggetto che è la
riflessione”. E. Rigotti, S. Cigada, La Comunicazione Verbale, Milano, Apogeo, 2004, p. 123.
Inoltre, Rigotti et alii sottolineano che “Dans beaucoup de circonstances une émotion est une réaction
naturelle, mais aussi parfaitement raisonnable à un certain type d’expérience vécue”. E. Rigotti, A. Rocci,
S. Greco; S. Tardini, A. Petruzzella (con la consulenza di), Argumentieren in der Bank/Argumenter dans la
banque, version française, Lugano, Università della Svizzera Italiana, ILS, 2003, p. 22.
64
Afferma Aristotele: “è infatti necessario che vi sia accordo a proposito dei fatti, se si vuole discutere della
loro importanza”. Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 379).
65
Si veda Ivi, pp. 29-35.
66
“Il mezzo più importante e più efficace tra tutti per potere convincere e consigliare bene è conoscere
tutte le forme di governo, e distinguere le usanze, le leggi e gli interessi di ciascuna, poiché tutti vengono
convinti in base a ciò che è vantaggioso, e salvare le istituzioni è vantaggioso [mio il grassetto]”. Ivi, p. 65.
67
Toulmin sostiene che la condivisione del contesto sia fondamentale in quanto “Certo il linguaggio, come
lo conosciamo, consiste non di proposizioni atemporali, ma di espressioni dipendenti in ogni genere di
modi dal contesto o dall’occasione in cui sono emesse. Gli enunciati sono formati in situazioni particolari, e
l’interpretazione da dar loro è legata alla loro relazione con queste situazioni”. S. Toulmin, Gli Usi
dell’Argomentazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1975, p. 166. Toulmin critica i logici formali, tra gli
altri motivi, per la loro mancata considerazione della condivisione del contesto in quanto, secondo l’autore,
tale mancata considerazione può avvenire solo nella matematica pura.
68
Nella seconda parte del Trattato, Perelman e Olbrechts-Tyteca parlano della necessità di un accordo
quale base dell’argomentazione. E’ significativo il fatto che essi intitolino questa seconda parte, appunto,
La base dell’argomentazione. I due autori sostengono che “In realtà sia lo svolgimento, sia la base
dell’argomentazione, presuppongono l’accordo dell’uditorio”. C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato
dell’argomentazione: La nuova retorica, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1966, p. 69. Perelman e
Olbrechts-Tyteca trattano, sempre nella seconda parte del Trattato, i diversi tipi di accordo tra i partecipanti
l’argomentazione: accordi relativi ai fatti e alle verità, alle presunzioni, ai valori (astratti e concreti), alle
gerarchie di valori, ai luoghi della qualità e della quantità, gli accordi relativi agli uditori particolari, alle
singole discussioni, all’argomentazione ad hominem e alla petizione di principio.
69
Van Eemeren et alii affermano che le conoscenze comuni, così come il contesto comunicativo, sono
fattori chiave per una corretta interpretazione del discorso: “ The specific situation in which something is
said and the cultural context in which it happens sometimes clarify a lot”. F. H. van Eemeren, R.
Grootendorst, F. Snoeck Henkemans, Argumentation: Analysis, Evaluation, Presentation, Mahwah (NJ),
21
•
l’importanza assegnata all’organizzazione del discorso, per cui è fondamentale non
solo avere argomenti, ma anche disporli in un determinato modo. La lingua è uno
strumento estremamente duttile e adattabile ai vari scopi71. La disposizione degli
argomenti è ritenuta fondamentale anche da Perelman e Olbrechts-Tyteca, i quali trattano
tre diversi tipi di ordine argomentativo, ossia di forza crescente, decrescente e nestorico72,
quest’ultimo ritenuto il più efficace poiché pone gli argomenti migliori all’inizio e alla
fine del discorso. Lo Cascio, da parte sua, sostiene che “l’organizzazione
dell’argomentazione, dunque, varia, e la sua forza sta proprio nella sua composizione.
[…] Può anche essere opportuno, come si è detto, che un certo ordine venga scelto per
ottenere con più facilità il successo, dato che l’ordine con cui vengono presentati i
componenti dell’argomentazione può influenzare il proprio interlocutore in modo
diverso”73. Rigotti et alii riprendono le fasi della retorica greco-latina74 per adattarle alle
Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 2002, p. 42. Inoltre “Usually, the listener or reader can, using
his background knowledge, see from the context and situation what is meant and what the unexpressed
elements are”; F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, Argumentation, Communication, and Fallacies: a
Pragma-Dialectical Approach, Hillsdale (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 1992, p. 196.
Secondo la Scuola di Amsterdam i valori legati alla cultura vanno dunque conosciuti da entrambe le parti
per rendere la discussione più agevole.
70
Anche per Rigotti et alii il background culturale sta alla base dell’attività argomentativa. Le conoscenze
condivise dai soggetti comunicativi sono addirittura parte inscindibile dell’argomentazione definita come
“un mouvement de ce qui est déjà accepté à ce qui n’es encore accepté. Il est donc important de choisir ses
prémisses à partir de ce qu’il y a de partagé entre l’argumentateur et e décideur [mio il grassetto]”. E.
Rigotti, A. Rocci, S. Greco, S. Tardini, A Petruzzella (con la consulenza di), Argumentieren in der
Bank/Argumenter dans la banque, version française, Lugano, Università della Svizzera Italiana, ILS, 2003,
p. 28. Possiamo affermare dunque che per Rigotti et alii il background rappresenta il punto di partenza di
un processo persuasivo felice, che termina con la conquista della controparte. Tra le conoscenze condivise e
la convinzione del pubblico intervengono strategie comunicative che tengono conto di logos, ethos e pathos
in uno schema che si può rappresentare così
uso di logos, ethos e pathos
0--------------------------------------------------------------------------------------------1
(conoscenze condivise)
conoscenze+convinzione+azione)
71
(nuove
Aristotele consiglia: “La lode e i consigli hanno un comune aspetto, perché quanto si potrebbe consigliare
diventa encomio se si modifica la forma dell’espressione”. Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano,
Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 77). Inoltre “Tanto nell’oratoria deliberativa quanto in quella
giudiziaria chi inizia a parlare deve esporre in un primo momento le proprie argomentazioni, e poi
affrontare quelle dell’avversario, confutandole e demolendole prima che egli possa avanzarle. […] Se
invece l’oratore deve parlare per secondo, deve innanzitutto esporre i suoi argomenti contro il discorso
avversario, confutandolo e controbattendo per mezzo di sillogismi, soprattutto se egli ha ricevuto consensi”.
Ivi, p. 373.
72
C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione: La nuova retorica, Torino, Giulio
Einaudi Editore, 1966. L’ordine decrescente pone gli argomenti deboli alla fine del discorso, lasciando così
nell’uditorio un’impressione sfavorevole; l’ordine crescente pone invece gli argomenti più forti alla fine del
discorso e quelli deboli all’inizio, ma Perelman e Olbrechts-Tyteca sostengono che proprio il fatto di
accumulare tutti gli argomenti deboli all’inizio infastidisca il pubblico. Con l’ordine nestorico, invece, gli
argomenti più solidi sono distribuiti all’inizio e alla fine del discorso, mentre quelli deboli sono al centro,
così da risultare meno visibili agli ascoltatori.
73
V. Lo Cascio, Grammatica dell’Argomentare: strategie e strutture, Firenze, La Nuova Italia Editrice,
1991, pp. 208, 209.
22
esigenze comunicative moderne, e trattano la disposizione di pretesa (il claim
toulminiano) e punto in questione (issue), l’uso del climax e dell’anticlimax e delle
argomentazioni subordinative, coordinative e cumulative. Queste disposizioni sortiscono
effetti diversi sulla psicologia degli ascoltatori, inducendoli a prendere le decisioni volute
dal parlante;
•
avere sottolineato più volte, nell’ambito della Retorica, quanto sia importante il
desiderio di entrare in relazione con gli altri e di persuaderli. Alla base
dell’argomentazione, dunque, per Aristotele ci sarebbe il desiderio75 di provocare un
cambiamento di opinione nella controparte, desiderio che induce a organizzare il discorso
in un certo modo, a scegliere una determinata struttura sintattica, a compiere scelte
lessicali precise, a pensare a come strutturare la comunicazione per raggiungere gli
obiettivi prefissati;
•
aver assegnato un ruolo fondamentale alla chiarezza del discorso76, in modo che il
pubblico possa essere convinto grazie alla facilità con cui riesce a seguire i passaggi dalle
premesse alla conclusione. La chiarezza è inoltre “qualità dello stile”77 per lo Stagirita,
che dedica il terzo libro della Retorica all’organizzazione del discorso così che questo
risulti il più comprensibile possibile. Secondo Aristotele l’esposizione dei fatti deve
essere semplice e non prolissa, altrimenti l’ascoltatore non riesce a seguire il discorso78.
74
Rigotti et alii parlano di “Entrée en matière, Exposé des faits, Présentation du issue, Argumentation
proprement dite, Conclusions opératoires”. E. Rigotti, A Rocci, S. Greco, S. Tardini; A. Petruzzella (con
la consulenza di), Argumentieren in der Bank/Argumenter dans la banque, version française, Lugano,
Università della Svizzera Italiana, ILS, 2003, p. 26.
75
Anche Perelman e Olbrechts-Tyteca ritengono che l’argomentazione nasca dal desiderio di entrare in
contatto con gli altri: il desiderio è infatti considerato dagli autori una condizione indispensabile per l’inizio
della discussione argomentativa, così come lo sono il linguaggio comune, l’attribuzione di valore
all’adesione della controparte, la modestia e l’appartenenza ad uno stesso ambiente. C. Perelman, L.
Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione: La nuova retorica, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1966.
Da parte loro, Rigotti e Cigada sostengono che il desiderio sia una componente della natura umana; essi
infatti affermano che “Eppure in tutte le comunicazioni – anche nella trasmissione di informazioni! – il
soggetto è coinvolto in altre dimensioni oltre a quella cognitiva: il soggetto non solo conosce, ma immagina
e desidera, e in ciascuna delle sue azioni – anche in quelle comunicative dunque – coinvolge tutte queste
dimensioni [mio il grassetto]”. E. Rigotti, S. Cigada, La Comunicazione Verbale, Milano, Apogeo, 2004, p.
118. I due autori continuano affermando che “Il desiderio di un bene, […], può essere considerato come la
forza più genuina dell’uomo, perché dal desiderio nasce l’interesse e conseguentemente la conoscenza: il
desiderio è come l’avvertire che qualcosa che mi si presenta davanti c’entra con me, è fatto per me, conta
per me. […] L’interesse e il desiderio rappresentano momenti essenziali della comunicazione proprio
perché rappresentano un fattore fondamentale della soggettività umana [mio il grassetto]”. Ivi, p. 120.
76
Secondo Aristotele “ciò che è indefinito porta fuori strada. Chi pone l’inizio, per così dire, nelle mani
dell’ascoltatore lo mette nelle condizioni – se vi si attiene – di seguire il discorso”. Aristotelis Rhetorica
(Retorica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 353).
77
Ivi, p. 299.
78
“La narrazione non deve essere lunga, come non deve esserlo l’esordio né l’esposizione delle
argomentazioni. In questo caso la proprietà non consiste nella rapidità o nella concisione, ma nella misura,
e ciò significa dire tutto ciò che renderà chiara la questione, o farà credere che è accaduta una certa azione,
che è stato inflitto un certo danno, che è stata commessa una certa ingiustizia, o che i fatti hanno
l’importanza che si desidera”. Ivi, pp. 363-365.
23
Il principio della chiarezza è stato messo in luce recentemente da van Eemeren e
Grootendorst, i quali sostengono che le parti devono impegnarsi per rendere la
comprensione più semplice possibile79, e vedono nella ambiguità una fallacia che può
compromettere la riuscita della discussione critica80. Anche la preferenza per una
lunghezza moderata dell’argomentazione è sottolineata dalla Scuola di Amsterdam81, così
come da Perelman82 e Stati83, tutti concordi per quanto concerne il fatto che la
discussione deve risultare non prolissa per non tediare i partecipanti e per non creare
confusione.
Attribuiamo ad Aristotele il merito di aver formulato dei principi così solidi in ambito
argomentativo, che sono stati tramandati nel tempo e sono validi ed applicabili ancora
oggi. Tali principi vengono sfruttati infatti sia nella comunicazione in generale, che
nell’argomentazione quotidiana e settoriale.
79
“The two discussants are jointly responsible for achieving mutual understanding. This means that the
wording of their speech acts must fulfill the requirement of clarity that is part of the Principle of
Communication. For the interpretation, it implies that each party must assume that the other party is
observing the Principle of Communication and has formulated everything he means as clearly as he can
[mio il grassetto]”. F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, Argumentation, Communication, and Fallacies: a
Pragma-Dialectical Approach, Hillsdale (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 1992, p. 196.
80
Si veda la fallacia della non chiarezza, dovuta a implicitezza, indefinitezza, scarsa familiarità e vaghezza
in Ivi, cap. 18.
81
“The additional arguments may raise the level of acceptance. Too many arguments may of course have
the opposite effect”. F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, F. Snoeck Henkemans, Argumentation: Analysis,
Evaluation, Presentation, Mahwah (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 2002, p. 68. Per van
Eemeren et alii, solo nel modello ideale si può pensare ad una discussione infinita, mentre nella realtà i
partecipanti devono risolvere la disputa in un tempo e in uno spazio limitati, a seconda che si tratti di
argomentazione orale o scritta: “Hence, one characteristic of the ideal model is an unlimited opportunity
for further discussion [mio il grassetto]”. F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, S. Jackson, S. Jacobs,
Reconstructing Argumentative Discourse, Tuscaloosa, Alabama, The University of Alabama Press, 1993, p.
25.
82
Perelman e Olbrechts-Tyteca sostengono che “Ogni discorso è limitato nel tempo, come lo è in pratica
ogni scritto rivolto a terzi. Sia che tale limitazione venga imposta per convenzione, o dipenda
dall’opportunità, dall’attenzione degli ascoltatori, dal loro interesse, dalla disponibilità di spazio in un
giornale o in una rivista, dalle spese che la stampa di un testo comporta, la forma del discorso non può non
tenerne conto. Il problema generale dell’ampiezza del discorso si ripercuote immediatamente sullo spazio
che verrà concesso all’esposizione dei punti di partenza, sulla scelta di questi e sul modo in cui essi
verranno presentati agli ascoltatori”. C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione: La
nuova retorica, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1966, p. 151.
83
Stati afferma che “La catena delle Giustificazioni si può prolungare teoricamente all’infinito: “p poiché
q poiché r ecc.” Di conseguenza, il discorso risulta estensibile all’infinito […]. Il parlante si deve fermare
nella costruzione dei nessi giustificativi, e lo fa quando pensa di essere arrivato a una proposizione con
sufficiente forza persuasiva [mio il grassetto]”. S. Stati, Note sulla forza persuasiva, in Studies in
Communication Sciences 1, Lugano, Università della Svizzera Italiana, 2001, p. 269. Come per la Scuola di
Amsterdam, anche per Stati c’è unha contrapposizione tra argomentazione ideale, che può proseguire senza
limiti, e argomentazione reale, che ha invece dei limiti legati alla dimensione spazio-temporale e al
pubblico, il quale non è in grado di sostenere una argomentazione troppo estesa. L’autore afferma infatti
che “E’ però ovvio che, dal punto di vista della ‘performance’, sequenze troppo lunghe non vengono
tollerate e sono effettivamente irrealizzabili. Perciò il discorso argomentativo risulterà necessariamente
finito”. S. Stati, Principi di Analisi Argomentativa: Retorica, Logica, Linguistica, Bologna, Pàtron Editore,
2002, p. 33.
24
4. LE DEFINIZIONI DI ARGOMENTAZIONE: DA ARISTOTELE A RIGOTTI
Dopo l’excursus sulla storia del rapporto tra dialettica e retorica, e dopo aver incentrato
l’attenzione sui principi fondamentali della Retorica aristotelica, consideriamo le diverse
definizioni attribuite al termine argomentazione e, proponendo un confronto fra tali
definizioni, ne mettiamo in luce i tratti essenziali al fine di osservare come, pur non
esistendo una definizione unanime di argomentazione, le diverse definizioni presentano
alcuni punti in comune.
Oltre alle definizioni vedremo come è mutata l’importanza dell’argomentazione nella
storia e le varie forme che di essa sono state identificate. Iniziamo la nostra trattazione
con la definizione cronologicamente più antica, ossia quella fornita da Aristotele.
Continueremo compiendo un salto temporale di circa due millenni e prendendo in
considerazione le definizioni e le classificazioni fornite da Toulmin e Perelman per
passare a quelle di Naess, Anscombre e Ducrot, Lo Cascio, i pragma-dialettici e Rigotti.
Nelle note a piè pagina proporremo dei confronti tra i punti di vista dei diversi autori.
4.1. L’ARGOMENTAZIONE NELLA DEFINIZIONE ARISTOTELICA
Aristotele, nel terzo libro della Retorica, definisce l’argomentazione come una delle
“parti necessarie […] a ogni discorso”84. Per lo Stagirita, infatti, il discorso più semplice è
composto da due parti fondamentali
è necessario proporre l’argomento di cui si parla e quindi dimostrarlo. Pertanto è
impossibile proporre senza dimostrare, o dimostrare senza avere proposto, poiché chi
dimostra dimostra qualcosa, e chi propone un argomento lo fa al fine di dimostrarlo. Di
queste parti la prima è la proposizione, la seconda l’argomentazione come se si ponesse
la distinzione tra problema e dimostrazione [mio il grassetto].85
Secondo Aristotele, il fatto di avanzare una tesi, un argomento, non può non dare luogo
ad una discussione che prosegue con la dimostrazione della tesi stessa. La discussione
sussiste poiché parlante e ascoltatore hanno idee diverse riguardo ad una tesi: tale
diversità di opinione va eliminata avvicinando l’ascoltatore alla posizione del parlante. Se
un individuo propone un argomento ha delle ragioni per farlo e, affinché tale argomento
possa essere accettato, esso va dimostrato in modo che risulti fondato e convincente.
Proposizione e dimostrazione sono dunque per Aristotele le unità minime della
discussione e, “al massimo, esordio, proposizione, argomentazione, epilogo.”86
84
Aristotelis Rhetorica (Retorica, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1996, p. 351).
Ivi, p. 349
86
Ivi, p. 351.
85
25
Dell’argomentazione, poi, fanno parte la “replica dell’avversario”87 e la comparazione, la
quale “è un’amplificazione del proprio caso”88.
Per Aristotele “Le argomentazioni devono essere dimostrative”89; inoltre, le dispute per
cui occorre argomentare e convincere l’avversario sono di quattro tipi, ed ogni
argomentazione si svolge per risolvere un tipo di disputa.
Lo Stagirita distingue le dispute e le relative argomentazioni in:
1)
relative ad una azione che non si è svolta;
2)
riguardanti una azione che non ha provocato danni o effetti negativi;
3)
relative all’importanza da attribuire all’azione;
4)
riguardanti il fatto che una azione si è svolta.
Per quanto riguarda queste dispute, nella Retorica leggiamo che occorre argomentare in
modo dimostrativo, ossia occorre fornire la dimostrazione che un’azione si è o meno
verificata e che essa ha provocato delle conseguenze.
Sulla base della definizione di argomentazione formulata dallo Stagirita, possiamo
affermare che per lui l’argomentazione serve primariamente a dimostrare la validità e la
solidità di una tesi. Vediamo qui di seguito come i filosofi più recenti hanno modificato
la definizione di argomentazione e come hanno classificato questa pratica comunicativa.
Muovendoci dal IV secolo avanti Cristo, periodo in cui fu redatta la Retorica90, al 1958,
anno di pubblicazione delle opere toulminiana (Gli Usi dell’Argomentazione) e
perelmaniana (La Nuova Retorica), focalizziamo la nostra attenzione sul concetto di
argomentazione avanzato da questi due autori.
4.2.
L’ARGOMENTAZIONE
TOULMINIANA
E
PERELMANIANA:
DEFINIZIONI E CLASSIFICAZIONI
Dedicheremo due capitoli di questa tesi rispettivamente al riassunto del pensiero di
Toulmin e a quello di Perelman e Olbrechts-Tyteca. Qui di seguito ci occupiamo più
specificamente della definizione e classificazione toulminiane dell’argomentazione per
poi passare al Trattato dell’argomentazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca, il quale ha
segnato una svolta decisiva nello studio dell’argomentazione rivalutandone la dimensione
retorica.
87
Ibidem.
Ibidem.
89
Ivi, p. 369.
88
26
4.2.1. TOULMIN E L’ARGOMENTAZIONE
Toulmin non fornisce una definizione esplicita di argomentazione, ma all’inizio
dell’opera Gli Usi dell’Argomentazione egli afferma che essa consiste nell’esigere
attenzione verso quei punti da cui dipendono i meriti dell’asserzione che viene
avanzata91.
Affinché sussista una divergenza di opinione, per Toulmin è sufficiente che vengano
mossi dei semplici dubbi verso una tesi: alle parti occorre difendere le proprie posizioni
per eliminare il dubbio o l’opposizione dell’avversario. Toulmin trova nella
giustificazione la “funzione primaria delle argomentazioni”92: per l’autore si argomenta
per fornire appoggio alle pretese avanzate e renderle così convincenti agli interlocutori.
Per Toulmin le argomentazioni si dividono in tre fasi93:
1)
nel primo passaggio vengono accettate le diverse pretese ritenute come soluzioni;
2)
in un secondo momento diverse pretese vengono scartate;
3)
nella terza e ultima fase si è invece in grado di asserire che solo una pretesa è
ritenuta quella giusta.
Con la terza fase si termina il processo argomentativo giustificatorio. Toulmin, nel terzo
capitolo dell’opera, si concentra sul processo attraverso il quale si può giungere a dire che
la tesi avanzata è valida. Egli paragona l’argomentazione ad un insieme funzionante le
cui parti contribuiscono in modo coordinato al raggiungimento di una conclusione con
cui tutti possono essere d’accordo94.
Per il filosofo inglese le parti fondamentali dell’argomentazione sono sei:
1)
la pretesa o conclusione;
2)
i dati, ossia quelle informazioni che vengono richieste per rafforzare la pretesa95;
3)
le garanzie, ossia quelle proposizioni che servono ad “autorizzare il tipo di passo a
cui ci impegna la nostra particolare argomentazione”96. Le garanzie sono dunque
informazioni aggiuntive riguardanti il modo in cui dai dati forniti si passa alla pretesa;
90
Si veda l’introduzione alla traduzione della Retorica in Ivi.
Secondo Toulmin “Qualunque possa essere la natura della particolare asserzione – […] – in ogni caso noi
possiamo mettere in dubbio l’asserzione ed esigere di portare la nostra attenzione sui fondamenti (sostegni,
dati, fatti, evidenze, considerazioni, caratteristiche) da cui devono dipendere i meriti dell’asserzione.
Possiamo, cioè, esigere un’argomentazione” S. Toulmin, Gli Usi dell’Argomentazione, Torino, Rosenberg
& Sellier, 1975, pp. 13, 14.
92
S. Toulmin, Gli Usi dell’Argomentazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1975, p. 14.
93
Per un approfondimento si veda Ivi, capitolo 1.
94
Per quanto riguarda la metafora dell’organismo si rimanda a Ivi, p. 88.
95
Toulmin afferma che i dati rispondono alla domanda “«A cosa sei in grado di appoggiarti?»”, e sono
quindi fondamentali per rendere giustificabile una pretesa. Ivi, p. 92.
96
Ivi, p. 92. Per Toulmin le garanzie rispondono invece al quesito “«Come ci arrivi?»” e sottolineano
dunque non tanto ciò che si fornisce a sostegno di una tesi ma il modo in cui lo si fornisce. Ibidem.
91
27
4)
i qualificatori modali (“probabilmente”, “necessariamente”, eccetera) i quali
“indicano la forza che la garanzia conferisce”97 al passaggio dai dati alla pretesa;
5)
le “condizioni di ricusazione”, le quali “indicano circostanze in cui l’autorità
generale della garanzia deve essere trascurata”98, ossia quei casi in cui la garanzia non è
valevole, ma presenta eccezioni;
6)
il fondamento delle garanzie, ossia ciò che sostiene la garanzia (ad esempio una
legge, dei dati statistici, eccetera).
Il modello toulminiano dell’argomentazione si fonda principalmente su queste sei
componenti che integrano il modello classico costituito da premessa minore, premessa
maggiore e conclusione. Quest’ultimo è ritenuto dal filosofo inglese troppo
esemplificativo per essere valido in tutti i casi di argomentazione99, in quanto
l’argomentazione è in realtà una struttura complessa, un “organismo”100 che si pone su un
piano generale101 così come su uno più specifico102.
Toulmin distingue inoltre
−
le argomentazioni che si servono delle garanzie, ossia le argomentazioni quotidiane
per cui occorrono dei dati e delle garanzie che autorizzino il passaggio per arrivare alla
conclusione,
dalle
−
le argomentazioni che stabiliscono delle garanzie e che rappresentano le
argomentazioni scientifiche per cui “l’accettabilità di una nuova garanzia è resa chiara
applicandola successivamente ad un gran numero di casi in cui sia i « dati » sia la «
conclusione » siano stati verificati indipendentemente”103.
Toulmin distingue pure le argomentazioni in
•
analitiche, che rappresentano un tipo di argomentazione piuttosto raro, in cui il
fondamento della garanzia include la conclusione104
97
Ivi, p. 94.
Ibidem.
99
Per un approfondimento si veda Ivi, capitolo 3.
100
Ivi, p. 88.
101
Quella che Toulmin definisce “una rozza struttura anatomica macroscopica” formata dalla fasi che
permettono di giungere “dall’affermazione iniziale di un problema irrisolto alla presentazione finale di una
conclusione”. Ibidem.
102
Questo piano più specifico è riconosciuto dall’autore come il piano frastico.
103
Ivi, p. 112.
104
Citiamo un esempio di argomentazione analitica riportato dall’autore: “Anne è una delle sorelle di Jack;
Ciascuna delle sorelle di Jack ha (è stato controllato che ciascuna, individualmente, abbia) i capelli rossi;
Dunque, Anne ha i capelli rossi”. Ivi, p. 116. In questo esempio la conclusione (“Anne ha i capelli rossi”) è
98
28
e
•
sostanziali105, che formano la maggior parte delle argomentazioni quotidiane e in
cui tale inclusione non sussiste106.
Possiamo affermare che la teoria toulminiana rappresenta un modello di argomentazione
razionale e snello, in cui i passaggi dai dati alla conclusione occupano una posizione
chiave. Ce ne occuperemo più in dettaglio nel capitolo dedicato all’autore inglese.
Diverso è l’approccio alla attività argomentativa proposto da Perelman e OlbrechtsTyteca nel Trattato dell’argomentazione, che istituisce una nuova tendenza negli studi
sulla disciplina. Essi focalizzano infatti l’attenzione sull’uditorio, e attribuiscono
all’argomentazione una dimensione antropologica, psicologica e sociale.
4.2.2.
L’ARGOMENTAZIONE
SECONDO
LA
NUOVA
RETORICA
PERELMANIANA
Perelman e Olbrechts-Tyteca creano una nuova tendenza negli studi sull’argomentazione
denominata “nuova retorica”. L’argomentazione, infatti, non è più dominata solo dalla
ragione e dalla dimensione dialettica che hanno prevalso nelle epoche precedenti, ma
riscopre la sua natura retorica107, la sua vicinanza alla dimensione umana e sociale del
linguaggio.
Sulla scia del Trattato, infatti, Perelman affermerà in un’opera successiva, Le Champ de
l’Argumentation, che “l’argumentation est liée à l’anthropologie, à la sociologie, à la
psychologie”108. Ciò significa che l’argomentazione è considerata non solo come puro
ragionamento slegato dalla dimensione spazio-temporale, ma vi è profondamente
immerso, tanto è che per formulare argomenti di successo occorre tenere presente il fatto
già inclusa nel fondamento, ossia nel fatto che il colore dei capelli delle sorelle di Jack sia stato controllato
(“Ciascuna delle sorelle di Jack ha i capelli rossi”).
105
Per un approfondimento delle argomentazioni analitiche e sostanziali si veda Ivi, pp. 114-131 e il
capitolo della presente tesi dedicato a Toulmin.
106
L’esempio di argomentazione sostanziale che riprendiamo da Toulmin è il seguente: “Anne è una delle
sorelle di Jack; Si è osservato in precedenza che tutte le sorelle di Jack hanno i capelli rossi; Dunque,
presumibilmente, Anne ha ora i capelli rossi”. Ivi, p. 118. In questo caso, l’osservazione fatta in precedenza
sul colore dei capelli delle sorelle di Jack non porta ad una conclusione sicura al cento per cento ma ad una
presunzione.
107
In un’opera successiva al Trattato, Perelman sottolinea questa modifica di tendenza definendo
l’argomentazione “une discipline à la fois ancienne et nouvelle. Ancienne, car elle se rattache à l’examen
des raisonnements dialectiques entrepris par ARISTOTE dans une partie de l’Organon […]. Nouvelle,
parce que depuis la condamnation par DESCARTES des raisonnements qui ne sont que vraisembables, et
l’essor pris par la logique formelle, d’allure mathématique, les logiciens et les historiens de la logique ne
s’étaient intéressés chez ARISTOTE, qu’à la théorie des raisonnements analytiques, en négligeant
entièrement les raisonnements dialectiques […]”. C. Perelman, Le Champ de l’Argumentation, Bruxelles,
Presses Universitaires de Bruxelles, 1970, p. 7.
29
che l’uditorio è composto da esseri umani le cui esigenze e i cui desideri si modificano a
seconda dello spazio e del periodo storico in cui vivono109.
I due studiosi belgi sottolineano nel Trattato che l’argomentazione ha per oggetto “lo
studio delle tecniche discorsive atte a provocare o accrescere l’adesione delle menti alle
tesi che vengono presentate al loro assenso”110 e che essa “tende, mediante il discorso, ad
esercitare un’azione efficace sulle menti”111. Essi sottolineano lungo tutta l’opera, come
l’argomentazione debba agire sulla mente degli interlocutori creando l’adesione del
pubblico alle tesi del parlante.
Affinché possa nascere tale adesione, l’argomentazione “presuppone l’esistenza di un
contatto intellettuale”112: ciò significa, secondo gli autori, che in ogni argomentazione
esige:
−
l’esistenza di un interlocutore;
−
un linguaggio comune tra parlante e interlocutore;
−
delle regole sociali che stabiliscono come condurre la conversazione;
−
il desiderio dei soggetti comunicativi di entrare in contatto l’uno con l’altro per
giungere alla convinzione della controparte. Questo implica che il parlante apprezza il
suo pubblico113, che si prende cura di esso114 e che si comporti modestamente115;
108
Ivi, p. 62.
Scrive Perelman a proposito della dimensione antropologica dell’argomentazione: “Nous souhaitons que
l’auditoire universel soit celui de tous les hommes et de tous les temps, mais l’idée que nous nous en
faisons est celle d’un instant. Nous sommes obligés, si nous ne voulons nous leurrer, de reconnaître que cet
auditoire universel est situé, que c’est une extrapolation de ce que nous savons à un moment donné, qu’il
trascende peut-être les quelques divergences dont nous avons conscience, mais que nous n’avons aucune
garantie que nous les avons surmontées toutes [mio il grassetto]”. Ivi, p. 63. Il fatto di considerare il
pubblico e i suoi valori come centrali è un fattore che, secondo Plantin, distingue Perelman dalla tradizione
toulminiana. Afferma infatti Plantin: “Dans la notion d’auditoire réside une des différences essentielles
entre le modèle de Toulmin et l’approche de Perelman. Pour ce dernier, il s’agit d’une notion basique,
orientant toutes les activités de parole, même le discours intérieur, défini comme une délibération”. C.
Plantin, Essais sur l’Argumentation: Introduction à l’étude linguistique de la parole argumentative, Paris,
Editions Kimé, 1990, p. 16. Perelman fa dunque dell’uditorio il fulcro dell’intera attività argomentativa,
tant’è che il pubblico, aggiungiamo noi, non è un paziente, ma un vero e proprio agente della
comunicazione. Il pubblico indica al parlante quale direzione il discorso deve prendere per avere successo,
e il parlante si deve adattare alle richieste degli interlocutori.
110
C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione: La nuova retorica, Torino, Giulio
Einaudi Editore, 1966, p. 6.
111
Ivi, p. 11. Similmente, nell’opera Le Champ de l’Argumentation Perelman sostiene che
l’argomentazione consiste nel presentare delle ragioni per accrescere o diminuire l’intensità dell’adesione
del pubblico ad una tesi. L’argomentazione diventa dunque un mezzo essenziale per diffondere le proprie
idee o allontanare gli ascoltatori da altre tesi: “[…] on reinforce cette adhésion à des thèses qui se trouvent
confrontées: on reinforce cette adhésion ou on la diminue au moyen d’arguments de toute espèce, on
présente des raisons pour et des raisons contre, pour influer, en fin de compte, sur l’individu tout entier qui
doit, grâce au dicours, être incité à agir ou devenir prédisposé à une action éventuelle. Dans
l’argumentation, on ne sépare pas la raison de la volonté, ni la théorie de la pratique”. C. Perelman, Le
Champ de l’Argumentation, Bruxelles, Presses Universitaires de Bruxelles, 1970, pp. 13, 14.
112
C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell‘argomentazione: la nuova retorica, Torino, Giulio
Einaudi Editore, 1966, p. 16.
109
30
−
la partecipazione ad uno stesso ambiente da parte di parlante e ascoltatore, i quali
possono così condividere un retroterra culturale quanto più possibile omogeneo e
113
Perelman e Olbrechts-Tyteca sostengono che “Per argomentare occorre attribuire un valore all’adesione
del proprio interlocutore, al suo consenso, al suo concorso mentale. E’ dunque un segno apprezzabile di
distinzione quello di essere una persona con cui si discute”. Ivi, pp. 17, 18. I due filosofi si contrappongono
alla visione razionalista dei secoli precedenti affermando che “Il razionalismo e l’umanesimo degli ultimi
secoli fanno apparire strano che il fatto di essere qualcuno della cui opinione ci si preoccupa costituisca una
qualità, ma esistono società nelle quali non si rivolge parola a chicchessia, così come non ci si sarebbe
battuti in duello con una persona qualunque”. Ivi, p. 18.
114
Nelle prime pagine del Trattato troviamo la seguente affermazione: “Chi, si tratti di fanciullo o di
adulto, vuole valere qualcosa per gli altri, pretende che non gli si rivolgano ordini, ma che si ragioni con
lui, che ci si preoccupi delle sue reazioni, che lo si consideri come il membro di una società più o meno
egualitaria [mio il grassetto]”. Ibidem. Nell’argomentare il parlante deve tenere conto delle emozioni che le
sue parole suscitano nell’interlocutore: egli deve cioè essere in grado di gestire la comunicazione in modo
che questa riesca a conquistare la controparte e avvicinarla alla posizione del parlante, ma non può ignorare
che alcuni atteggiamenti possono risultare offensivi nei confronti del pubblico. L’ascoltatore deve scegliere
liberamente se farsi condurre dagli argomenti del parlante e avvicinarsi alle sue tesi, non deve esservi
costretto da atteggiamenti minacciosi adottati dalla controparte o da argomenti che feriscono i suoi
sentimenti o che lo turbano a tal punto da non farlo più ragionare liberamente (ad esempio sfruttando storie
commuoventi e che toccano i sentimenti individuali o popolari, vale a dire utilizzando quella che van
Eemeren e Grootendorst indicano come la fallacia patetica. A tal proposito si rimanda a F. H. van Eemeren,
R. Grootendorst, Argumentation, Communication, and Fallacies: a Pragma-Dialectical Approach,
Hillsdale (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 1992, capitolo 12). La libertà è un tratto
distintivo dell’argomentazione secondo Perelman; nell’opera Le Champ de l’Argumentation, in particolare,
l’autore belga ribadisce più volte quanto la libertà di decisione, di scelta caratterizzala comunicazione
argomentativa, e rimarca come l’assenza di costrizione è un fattore fondamentale. Annota Perelman: “En
effet, l’action argumentative, aussi bien que l’action que vise à déclencher l’argumentation, sont le fait
d’agents. La personne intervient ainsi à tout coup; avec sa stabilité, mais aussi avec sa faculté de choix, sa
liberté créatrice, les aléas de son comportement, la précarité de ses engagements. L’adhésion de la
personne aux thèses qu’on lui présente n’est pas simple enregistrement des résultats acquis par
l’argumentation: les thèses adoptées peuvent être remaniées, modifiées, afin d’être mises en harmonie
avec d’autres croyances; de nouvelles structurations peuvent être réalisées pour permettre d’adhérer
pleinement à ce qui est proposé [mio il grassetto]”. Ivi, p. 42. L’argomentazione è dunque vista dal filosofo
belga come un’attività umana in cui i partecipanti esercitano pienamente la loro libertà e conferiscono così
alla comunicazione un carattere altamente dinamico per cui le decisioni possono essere modificate e
influenzate da credenze precedenti o conoscenze acquisite. Il parlante deve scegliere gli argomenti e la
loro organizzazione all’interno del discorso nel modo che ritiene più opportuno (si legge ne Le Champ de
l’Argumentation: “Ce qui importe pour l’argumentation, c’est le choix des prémisses pour leur donner une
présence dans la conscience des auditeurs. Ce qui compte essentiellement donc, c’est un choix. Choix qui
est soumis à toutes sortes de techniques de présentation, de forme [mio il grassetto]”. Ivi, p. 38. Anche la
lunghezza dell’argomentazione dipende dalle scelte che si operano per agire sul pubblico: “dans
l’argumentation, […], le problème de l’ampleur devient essentiellement un problème de choix [mio il
grassetto]”. Ivi, p. 45); il pubblico, da parte sua, va guidato dal parlante nella scelta della propria posizione,
ma il parlante non può in alcun modo costringere la controparte ad adottare un atteggiamento piuttosto che
un altro. L’argomentazione ha un carattere non costrittivo perché propone e non impone un punto di vista.
Il pubblico ha dunque la facoltà di scegliere, tra le ragioni proposte, quelle che sembrano più ragionevoli e
dunque ha la possibilità di accettare o rifiutare il punto di vista del parlante. Secondo Perelman
“l’argumentation a un caractère non contraignant: elle laisse à l’auditeur l’hésitation, le doute, la liberté
de choix; même quand elle propose des solutions rationelles, aucune ne l’emporte à coup sûr [mio il
grassetto]”. Ivi, p. 41.
115
La modestia è per gli autori un tratto fondamentale che deve caratterizzare i soggetti argomentanti
dall’inizio alla fine del processo comunicativo, quando a volte occorre arrendersi alla posizione
dell’avversario: “Non dobbiamo dimenticare che ascoltare qualcuno significa mostrarsi disposti ad
ammettere eventualmente il suo punto di vista.”. C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato
dell'argomentazione: La nuova retorica, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1966, p. 19. Il fatto stesso di dover
trovare degli argomenti appropriati per convincere indica, secondo i due belgi, che tali argomenti servono a
rafforzare una autorità non assoluta e che va conquistata con le parole: “Osserviamo inoltre che il desiderio
di convincere qualcuno implica sempre una certa modestia da parte di chi argomenta, ciò che egli dice non
31
incontrare meno difficoltà nel processo di convincimento. Il fatto che il parlante conosca
il suo pubblico è fondamentale per il successo dell’argomentazione in cui un concetto
chiave, secondo la teoria perelmaniana, è quello di adattamento116. Il parlante deve avere
l'umiltà di conformarsi ai valori dei suoi ascoltatori per portarli verso il proprio punto di
vista; se egli ignorasse i sentimenti e i valori dei suoi ascoltatori, si creerebbe un distacco
ancora più grande di quello causato dalla divergenza di opinione che ha dato inizio
all'argomentazione. Possiamo dunque collegare il concetto di adattamento a quello di
umiltà del parlante, proprio in virtù di questa "sottomissione" del parlante al suo
pubblico117.
Dopo aver spiegato quali requisiti stanno alla base dell'argomentazione, Perelman e
Olbrechts-Tyteca dividono l'argomentazione in:
•
persuasiva, ossia quell'argomentazione "che pretende di valere soltanto per un
uditorio particolare"118 in quanto fa leva sui sentimenti individuali ed è legata ad una
situazione contingente;
•
convincente, ossia "quella che si ritiene possa ottenere l'adesione di qualunque
essere ragionevole"119 in quanto basata su assiomi validi per tutti, indipendenti dalla
situazione e quindi slegati dalla dimensione spazio-temporale.
costituisce « parola di vangelo », egli non dispone di un’autorità sufficiente a renderlo indiscusso e
senz’altro convincente”. Ivi, p. 18.
116
Riteniamo che il processo di adattamento non sia facile né istantaneo in quanto il parlante deve pensare
a cosa il pubblico ritiene importante e a cosa vuole e non vuole sentirsi dire. Certamente esso viene
semplificato se il parlante conosce gli individui con cui ha a che fare e ha dimestichezza coi valori in cui
crede l’uditorio, sia che esso sia un uditorio composito o meno. Perelman e Olbrechts-Tyteca ritengono che
la conoscenza del pubblico e il successivo adattamento ad esso sia fondamentale affinché l’argomentazione
cambi la mente di quest’ultimo: “L’importante nell’argomentazione non è sapere che cosa l’oratore
consideri vero o probante, ma quale sia l’opinione di coloro ai quali egli si rivolge”. Ivi, p. 26. L'importanza
della conoscenza reciproca tra le parti argomentanti viene sottolineata anche dalla Scuola di Amsterdam
(van Eemeren e Grootendorst affermeranno infatti che “If both the language users adapt their handling of
the verbal information in such a way to each other’s background that no problems of understanding do
arise, we may speak of an optimal formulation and an optimal interpretation [mio il grassetto]”. F. H. van
Eemeren, R. Grootendorst, Argumentation, Communication, and Fallacies: a Pragma-Dialectical
Approach, Hillsdale (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 1992, p. 196) e da Rigotti et alii (“Il
est donc important de choisir ses prémisses à partir de ce qu’il y a de partagé entre l’argumentateur et e
décideur [mio il grassetto]”. E. Rigotti, A. Rocci, S. Greco, S. Tardini, A. Petruzzella (con la consulenza
di), Argumentieren in der Bank/Argumenter dans la banque, version française, Lugano, Università della
Svizzera Italiana, ILS, 2003, p. 28).
117
Perelman e Olbrechts-Tyteca affermano che “Spetta soprattutto all'uditorio il compito di determinare la
qualità dell'argomentazione e il comportamento degli oratori”. C. Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato
dell'argomentazione: La nuova retorica, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1966, p. 27. A seconda del tipo di
pubblico, inoltre, la scelta degli argomenti e la loro disposizione varierà: si pensi, ad esempio, alla diversità
di strategie usate nell'argomentare di fronte ad un bambino o ad un adulto, o ancora di fronte ad un adulto
nelle situazioni quotidiane o in discussioni di ambito settoriale. I due autori affermano in seguito: “In
questo campo esiste soltanto una regola e cioè quella della necessità di adattare il discorso all'uditorio,
qualunque esso sia: il nucleo e la forma di certi argomenti, appropriati a certe circostanze, possono apparire
ridicoli in altre”. Ivi, pp. 27, 28.
32
Il Trattato propone dunque una nuova idea di argomentazione, che mette in primo piano
la dimensione antropologica della disciplina. Il pensiero del Trattato è stato ripreso in
seguito in altre opere tra cui Le Champ de l’Argumentation in cui viene rimarcato il ruolo
centrale svolto dall’uditorio120 e la dimensione spazio-temporale della comunicazione
argomentativa121.
Torneremo a parlare di Perelman e Olbrechts-Tyteca nel capitolo ad essi dedicato. Nei
prossimi paragrafi vedremo come l’argomentazione è stata definita e classificata da altri
autori, i quali hanno fatto di questa pratica interazionale il fulcro del loro interesse.
Riassumiamo qui di seguito come Naess definisce la comunicazione argomentativa.
4.3. NAESS E L’ARGOMENTAZIONE
Similmente a Toulmin ne Gli Usi dell’Argomentazione, in Communication and Argument
Naess non dà una definizione precisa di argomentazione. Tuttavia, possiamo
comprendere la posizione dell’autore norvegese sull’argomentazione dalla definizione
formulata relativamente agli argomenti.
Nel quinto e penultimo capitolo della sua opera, Naess afferma infatti che
Arguments are appeals to rationality in the light of the facts. In the following we shall
mean by “argument” that element in our expression which carries the power to convince
people in rational discussion, that is, their factual content and consequences [mio il
grassetto]122.
Da qui emerge che Naess attribuisce un alto valore alla razionalità dei singoli argomenti
e quindi dell’argomentazione stessa in quanto composta da argomenti. Il processo
argomentativo è caratterizzato da una certa forza, ossia il potere di convincere il pubblico
e quindi di provocare in esso un cambiamento.
L’argomentazione provoca dunque mutamenti di opinione nelle persone: tali mutamenti
fanno sì che la comunicazione argomentativa sia altamente dinamica in quanto, se è
118
Ivi, p. 30.
Ibidem.
120
“Il en résulte, fait essentiel pour le sociologue, que toute argumentation se développe en fonction de
l'auditoire auquel elle s'adresse et auquel est obligé de s'adpter”. C. Perelman, Le Champ de
l'Argumentation, Bruxelles, Presses Universitaires de Bruxelles, 1970, pp. 24, 25.
121
“Liée à tous les changements qu'entraîne le temps, changement de la personne, changement du
contexte argumentatif, l'argumentation n'est jamais définitivement close; il n'est jamais inultile de la
renforcer [mio il grassetto]”. Ivi, p. 44.
122
A. Naess, Communication and Argument: Elements of Applied Semantics, London, Allen & Unwin Ltd.,
1966, p. 97.
119
33
felice123, alla fine nulla resta come all’inizio. Il mutamento, rimarca l’autore, può essere
veloce o meno: gli ascoltatori, infatti, possono cambiare opinione subito dopo aver sentito
il parlante, oppure dopo un certo periodo di tempo124. La dinamicità è per noi un fattore
intrinseco all’argomentazione, la quale punta sempre ad un cambiamento; quest’ultimo
può essere modesto quando, ad esempio, il pubblico nutre solamente dei dubbi riguardo
alla tesi del parlante; esso può essere invece radicale quando il pubblico adotta
un’opinione opposta rispetto a quella del parlante.
Nei due casi l’argomentazione viene organizzata differentemente per quanto riguarda il
numero125 e la disposizione degli argomenti126.
Compiendo un salto temporale di circa vent’anni, vediamo ora come l’argomentazione
viene considerata da Anscombre e Ducrot.
4.4. IL PENSIERO DI ANSCOMBRE E DUCROT
L’opera di Anscombre e Ducrot L’Argumentation dans la Langue è stata pubblicata nel
1983, con un intervallo di circa vent’anni dall’opera di Naess.
Anscombre e Ducrot collocano l’argomentazione nell’ambito dello strutturalismo
semantico. Essi, infatti, contrappongono lo strutturalismo semantico, il quale si propone
di descrivere gli enunciati a seconda del dialogo che gli enunciati stessi affermano di
iniziare, al distribuzionalismo, il quale descrive gli enunciati a seconda del dialogo che
questi ultimi iniziano realmente127. I due autori francesi affermano di considerare un
modello di argomentazione ideale128 e quindi non corrispondente al cento per cento alla
realtà129, che è qualcosa di mutevole in cui le situazioni non sono sempre prevedibili.
123
In Swissling si legge che la “happiness” comunicativa è quella che “produce nella realtà il cambiamento
desiderato e conduce alla congruenza effettiva di fini tra il mittente e il destinatario”. Si veda
www.swissling.ch, documento del gennaio 2004.
124
A tal proposito Naess riporta l’esempio delle elezioni per cui “It is more usual, however, for arguments
to acquire their force or weight over a period of time”. A. Naess, Communication and Argument: Elements
of Applied Semantics, London, Allen & Unwin Ltd., 1966, p. 97.
125
Se la posizione dell’ascoltatore è opposta a quella del parlante, spesso occorre avanzare più argomenti
per giustificare la propria tesi.
126
Aggiungiamo che anche la disposizione degli argomenti è fondamentale per convincere il pubblico.
Talvolta, anzi, è più determinante la loro concatenazione rispetto alla quantità. Pochi argomenti legati in
modo efficace attraverso appositi connettivi testuali possono orientare il pubblico in modo notevole.
127
Nel secondo capitolo dell’opera si legge: “Cette thèse, qui constitue selon nous le structuralisme
sémantique, amène à décrire les énoncés par le type de dialogue qu’ils prétendent ouvrir (et non, ce qui
serait du distributionalisme, par les dialogues qu’ils ouvrent en fait) [mio il grassetto]”. J. C. Anscombre,
O. Ducrot, L’Argumentation dans la Langue, Liège, Mardaga, 1983, p. 30.
128
“Délibérément, nous décrivons une sorte d’argumentation idéale”. Ivi, p. 30.
129
L’idea di creare un modello teorico ideale di argomentazione viene accolta dai rappresentanti della
Scuola di Amsterdam i quali sostengono, a proposito del loro modello ideale di discussione critica, che
“By definition, an ideal differs from reality. The idealized model has an important critical function: It can
34
Secondo i due autori francesi l’argomentazione permette di “orienter l’interlocuteur vers
un certain type de conclusion (par le fait qu’on exclut un autre type de conclusion) [mio il
grassetto]”130; essa riveste inoltre un ruolo fondamentale nella comunicazione umana in
quanto pervade gran parte di essa131.
Per Anscombre e Ducrot la lingua è ricca al suo interno di rapporti argomentativi che
guidano l’ascoltatore verso certe tesi piuttosto che verso altre. Tali rapporti hanno
l’importante ruolo di completare le relazioni logiche tra gli enunciati orientandone il
significato in certe direzioni. Secondo i due autori francesi i rapporti argomentativi
forniscono il quid che manca ai rapporti logici tra gli enunciati132.
Dalla trattazione sin qui svolta appuriamo che l’argomentazione ha aumentato nei secoli
la sua importanza in ambito comunicativo. I filosofi si sono occupati assiduamente di
argomentazione, tant’è che mentre per Aristotele l’argomentazione rientra specificamente
nei discorsi retorici deliberativi, giudiziari ed epidittici, per gli autori considerati in
questo capitolo essa fa parte dell’intera comunicazione umana, sia di quella quotidiana
che di quella settoriale.
Continuiamo la nostra trattazione con un altro autore francese: Christian Plantin.
be a tool for identifying where a real-life argumentative discussion goes wrong. It makes it possible to
identify what necessary elements are missing or inadequately represented. […] The model of a critical
discussion is more than a tool for evaluating whether the discussion has proceeded correctly. It is also an
instrument for analysing a discussion (whether simple or complex) in a constructive manner. In this regard
it has a heuristic function: Elements that are only implicitly present in the discussion can more easily be
identified, and the various elements of the discussion can be analyzed in a way that clarifies their role in the
resolution process [mio il grassetto]”. F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, F. Snoeck Henkemans,
Argumentation: Analysis, Evaluation, Presentation, Mahwah (NJ), Lawrence Erlbaum Associates,
Publishers, 2002, p. 27. Essi riconoscono dunque al modello ideale le importanti funzioni critica, valutativa,
analitica ed euristica, anche se esistono delle “discrepancies between theory and practice”, le quali, tuttavia,
“do not diminish the usefulness of the model”. Ibidem.
130
J. C. Anscombre, O. Ducrot, L’Argumentation dans la langue, Liège, Mardaga, 1983, p. 30. Orienter
significa per noi che il parlante usa delle strategie linguistiche e organizza il discorso in modo da far sì che
l’ascoltatore sia condotto verso certe conclusioni, ma vogliamo sottolineare che si tratta di dare al
ragionamento una spinta verso una direzione, non di obbligare gli interlocutori a credere vera o falsa una
tesi senza poter ragionare sugli argomenti a favore o contro di essa. Nell’opera L’Argumentation dans la
Langue i termini orienter e orientation ricorrono molto spesso proprio, secondo noi, per sottolineare il fatto
che chi argomenta deve guidare il pensiero dell’ascoltatore verso ciò che è ritenuto più opportuno sia dal
parlante stesso che dal pubblico. Il soggetto argomentante ha dunque un compito arduo, ossia quello di
trovare le tattiche migliori per condurre gli ascoltatori verso determinate conclusioni. Quando queste ultime
non sono forzate e nella comunicazione non vi è nulla di costrittivo, occorrono più sforzi per convincere la
controparte di una determinata tesi, in quanto chi ascolta può sempre opporre delle obiezioni anche se il
parlante tenta di far prendere al ragionamento altre strade. Per quanto concerne l’assenza di costrizione
della discussione argomentativa possiamo affermare che essa rende più difficile il compito delle parti
coinvolte, le quali non detengono il potere assoluto di decisione. Appoggiamo dunque la teoria toulminiana
secondo cui l’argomentazione è dominata dalla dimensione del probabile e non del necessario (si veda S.
Toulmin, Gli Usi dell’Argomentazione, Torino, Rosenberg & Sellier, 1975, capitolo 1).
131
Affermano gli autori: “C’est, pour nous, un trait constitutif de nombreux énoncés [mio il grassetto]”. J.
C. Anscombre, O. Ducrot, L’Argumentation dans la langue, Liège, Mardaga, 1983, p. 30.
35
4.5. L’ARGOMENTAZIONE SECONDO PLANTIN
In Essais sur l’Argumentation Plantin dichiara di seguire la tradizione di Bühler133 e
Popper134, e di trattare l’argomentazione come la quarta funzione delle lingue naturali che
egli considera essere la funzione critica. Quest’ultima è importante quando si tratta di
affrontare una situazione di contrasto fra il parlante, che sostiene una tesi e argomenta a
proprio favore, e il pubblico, il quale può o nutrire dubbi sulla tesi stessa oppure opporvi
una resistenza più o meno forte.
Per Plantin l’argomentazione è un tentativo di modificare il pensiero del pubblico
attraverso del linguaggio
L’argumentation est l’opération par laquelle un énonciateur cherche à transformer par
des moyens linguistiques le système de croyances et de représentations de son
interlocuteur [mio il grassetto].135
Possiamo dunque affermare che l’argomentazione è considerata da Plantin come un
processo dinamico in quanto implica una trasformazione da uno stato cognitivo
preesistente l’enunciazione della tesi ad una condizione successiva in cui l’interlocutore
modifica il suo pensiero.
Plantin distingue due concezioni dell’argomentazione, ossia
1)
l’argomentazione come fatto linguistico
e
2)
l’argomentazione come fatto discorsivo
affermando la supremazia tradizionale di quest’ultima concezione rispetto alla prima136.
132
“Il reste maintenant à présenter un autre type de rapports, que nous appelons argumentatifs, et que nous
croyons susceptibles de pallier les insuffisances de l’explication logique”. Ivi, pp. 94, 95.
133
Bühler, in Teoria del linguaggio: la funzione rappresentativa del linguaggio, si riferisce alle tre funzioni
fondamentali che accomunano le lingue naturali partendo dall’unità minima delle lingue stesse, ossia dal
segno linguistico. Quest’ultimo, secondo il filosofo tedesco, assolverebbe tre compiti primari, ossia
fungerebbe da espressione del pensiero del parlante, da stimolo alle emozioni dell’ascoltatore, da
descrizione del mondo circostante “in virtù della sua corrispondenza a oggetti e fatti”. K. Bühler; Teoria del
linguaggio: la funzione rappresentativa del linguaggio, citata in L. Cantoni, N. Di Blas, Teoria e pratiche
della comunicazione, Milano, Apogeo, 2002, p. 14.
134
Nell’opera Conjectures and Refutations Popper afferma: “Karl Bühler appears to have been the first to
propose, in 1918, the doctrine of the three functions of language: (1) the expressive or symptomatic
function; (2) the stimulative or signal function; (3) the descriptive function. To these I have added (4) the
argumentative function, which can be distinguished from function (3). It is not asserted that there are no
other functions (such as prescriptive, advisory, etc.) but it is asserted that these four functions mentioned
constitute a hierarchy, in the sense that each of the higher ones cannot be present without all those which
are lower, while the lower ones may be present without the higher ones”. K. Popper, Conjectures and
Refutations: the growth of scientific knowledge, London, New York, Routledge, 2000, p. 295.
135
C. Plantin, Essais sur l’Argumentation: Introduction à l’étude linguistique de la parole argumentative,
Paris, Editions Kimé, 1990, p. 146.
136
“Le consensus traditionnel va à la notion d’argumentation comme fait de discours. En effet, dans le
schéma argumentatif de base, deux énoncés sont mis en relations inférentielle, et reçoivent leur
interprétation l’un par rapport à l’autre, dans une forme de discours minimal dont les contours dessinent la
“cellule argumentative”. Ivi, p. 148.
36
L’argomentazione, per l’autore francese, non è un semplice atto linguistico isolato, ma è
un enunciato cui si attribuisce un significato in rapporto ad altri enunciati137. Nell’opera
Plantin parla infatti in modo ricorrente di “relation argumentative”138, di “discours
enchaînant deux énoncés”139, di “structure linguistique”140 e “structure de l'énoncé”141
[mio il grassetto] rimarcando il fatto che l'argomentazione non è fatta di singoli termini e
frasi isolate, ma deve essere vista come una concatenazione di parole e di enunciati che
danno un senso globale al discorso142.
Secondo l’autore francese la lingua è uno strumento per raggiungere la convinzione della
controparte, e la concatenazione degli enunciati è determinante per far acquisire ad un
enunciato una serie di significati che vanno al di là del significato letterale delle singole
parole che lo compongono143.
137
Si legge nell'opera di Plantin: “L’énoncé primitif ne trouve son sens qu’ailleurs, hors de lui-même, non
pas dans un “état de chose” existant dans le monde réel, mais dans un autre énoncé d’un certain type ou
dans la classe d’énoncés qui peuvent lui succéder. Il doit se comprendre en fonction de l’ensemble de ces
suites-conclusions qu’il annonce [mio il grassetto]”. Ivi, p. 148.
138
Si veda Ivi, p. 151.
139
Ivi, p. 152.
140
Ivi, p. 148.
141
Ivi, p. 161.
142
Plantin afferma che esistono relazioni sia a livello lessicale che discorsivo. Queste relazioni influenzano
l’organizzazione dell’argomentazione e la sua percezione su entrambi i livelli. “Le schéma d’argumentation
cristallisé dans le données lexicales n’est pas différent du schéma d’argumentation repérable à l’état fluide
dans le dicours”. Ivi, p. 317. A livello lessicale, le parole non sono isolate, ma presentano delle relazioni fra
loro, come nel caso degli iperonomi e degli iponimi; tali relazioni si manifestano, a livello più ampio, nella
percezione dell’intero dialogo orientando l’ascoltatore verso una tesi piuttosto che verso un’altra.
Similmente, Schlesinger et alii, in The Structure of Arguments pubblicata nel 2001, ribadiscono il concetto
di relazione e concatenazione di argomenti. Gli autori affermano infatti che esistono sia relazioni interne
agli argomenti, tra i termini che li compongono (per cui egli rappresenta l’argomento come un grafo i cui
componenti sono legati tra loro per dar vita all’argomento stesso), sia relazioni tra argomenti che formano
una conversazione. Sarebbe proprio questo continuo riferimento di un argomento ad un altro, secondo
Schlesinger et alii, a dare coesione al discorso: “Referring back to previous arguments is what makes a
discussion cohesive (at least minimally so); when each discussant talks about something else without
relating to the contribution of others, this will hardly be considered a discussion in any serious sense
[mio il grassetto]”. I. Schlesinger, T. Keren-Portnoy, T Parush, The Structure of Arguments, Amsterdam,
Philadelphia, John Benjamins Publishing Company, 2001, p. 20. Gli autori affermano che “a statement
does not have to be sound, plausible, or even acceptable to be counted as an argument. An argument is
typically part of a larger stretch of discourse, like a discussion. […] It will be seen that arguments and
discussions are not only related as parts to wholes but also have certain structural similarities [mio il
grassetto]”. Ivi, p. 163. Le lingue naturali, indipendentemente dalla loro funzione argomentativa, sono
considerate dei sistemi, ossia degli insiemi di elementi concatenati da rapporti che danno un senso
all’insieme. Nel modulo di Swissling sulle lingue naturali, si legge che queste ultime hanno ragione di
esistere proprio grazie ad una struttura, ad un sistema i cui elementi “si caratterizzano per i rapporti che
intrattengono con gli altri elementi e perché svolgono una precisa funzione all’interno del sistema”.
www.swissling.ch, documento del febbraio 2004. Possiamo dunque dire che gli elementi del “sistema
lingua” non sono disposti a caso, ma usati dai parlanti per perseguire scopi precisi.
143
Per illustrare quanto sia importante il concetto di concatenazione degli enunciati per Plantin, riteniamo
opportuno menzionare la suddivisione dell’argomentazione che l’autore riporta in argomentazione causale
e “par la cause”. C. Plantin, Essais sur l’Argumentation: Introduction à l’étude linguistique de la parole
argumentative, Paris, Editions Kimé, 1990, p. 217. Nel primo caso egli afferma si tratta di relazioni
ipotetico-deduttive formulate ai tempi di Aristotele “pour éviter l’affirmation d’une " non-cause ", d’une "
fausse cause " en lieu et place de la véritable cause”. Ibidem. Plantin, parlando dei manuali che trattano
questo tipo di argomentazione afferma che “Certains élaborent l’étude des arguments permettant de
37
Plantin formula allora un’altra definizione di argomentazione per cui
L’argumentation est l’opération linguistique par laquelle un énonciateur avance un énoncéargument dont la structure linguistique oriente le destinataire vers certains
enchaînements [mio il grassetto].144
conclure à l’existence d’une relation causale entre deux événements. Dans ces argumentations, la
relation de causalité a donc le statut de thèse, à confirmer ou à infirmer: Je propose de parler alors d’"
argumentation causale " [mio il grassetto]”. Ibidem. Nel caso dell’argomentazione “par la cause”, invece, la
relazione non costituisce più la tesi, ma l’argomento; in ogni caso si tratta sempre di una concatenazione, di
una relazione che unisce eventi ed enunciati, ossia, possiamo dire, fatti reali, materiali e fatti linguistici.
Plantin afferma: “Ici, la relation causale n’a plus le statut de conclusion, mais le statut d’argument: je
propose de parler alors d’" argumentation par la cause " [mio il grassetto]”. Ivi, p. 218. Sempre a proposito
dell’argomentazione “par la cause” Plantin sottolinea la relazione argomentativa tra enunciati affermando:
“il faut partir d’une proposition énonçant généralement l’accessibilité d’un événement à partir d’un autre
événement [mio il grassetto]”. Ivi, p. 224. Plantin tratta anche il ruolo delle definizioni all’interno
dell’argomentazione da un punto di vista relazionale, di concatenazione. Egli distingue la definizione
nella sua accezione classica, ossia vista come “instrument privilégié de l’univocité” (Ivi, p. 225) soprattutto
nei dibattiti scientifici, e nell’accezione retorica per cui essa “devra alors être comprise en fonction de la
conclusion visée, dont elle ne pourra plus être isolée. Du premier point de vue, le mots reçoivent leur
définition avant d’entrer dans le discours, dont ils sont les instruments impassibles; du second point de vue,
ils sont les enjeux du dialogue, aussi plastiques que les intentions énonciatives elles-mêmes [mio il
grassetto]”. Ivi, p. 225. Le relazioni argomentative si esplicano, secondo Plantin, a livello lessicale anche
attraverso la relazione tra iperonimi e iponimi: egli infatti afferma che “toute relation d’hyperonyme à
hyponymes peut être vue comme une série de relations argumentatives construites dans le lexique. […]
l’argumentateur peut construire dans son discours des dispositifs superordonnés analogues et les faire
fonctionner sur-le-champ”. Ivi, p. 317. Il soggetto argomentante può quindi sfruttare le relazioni tra termini
iperonimi e iponimi per convincere il pubblico; pensiamo, ad esempio, all’uso di termini iperonimi come
“genere umano” o “animali” all’inizio di un enunciato per dare una idea generale di cosa si sta parlando,
per poi proseguire attraverso i relativi iponimi al fine di porre l’argomentazione su un piano più specifico.
144
Ivi, p. 148. Qui, come in nell’opera di Anscombre e Ducrot di cui al paragrafo precedente, notiamo che
l’autore parla di orienter l’interlocutore verso una direzione. Anche per Plantin, dunque, non vi è nulla di
forzato, di costrittivo nell’argomentazione, che si serve delle strategie linguistiche per guidare il pubblico in
certe direzioni, ma non per forzarlo verso di esse. Tale caratteristica dell’argomentazione è ribadita più
volte dall’autore che fornisce diverse definizioni di argomentazione in cui compare il concetto di “non
violenza” della comunicazione argomentativa. Menzioniamo, a titolo esemplificativo, qualche definizione
riportata nel testo Essais sur l’Argumentation, a parte le due già riportate nel testo. Parlando di funzione
scientifica e pratica dell’argomentazione, Plantin accoglie la definizione perelmaniana di argomentazione
affermando che “L’argumentation est l’opération discursive par laquelle un locuteur cherche à influencer
un public [mio il grassetto]”. Ivi, p. 149. Trattando invece l’argomentazione formale e non formale Plantin
rimarca che “L’argumentation est l’opération discursive par laquelle un locuteur cherche à faire admettre
à son interlocuteur une conclusion substantielle en lui fournissant de bonnes raisons pour cela [mio il
grassetto]”. Ivi, p. 150. Nel paragrafo in cui l’autore francese tratta l’argomentazione basata sull’esperienza
troviamo la seguente definizione: “Une argumentation est une opération discursive, faisant également usage
du calcul et de l’expérience, par laquelle on teste une hypothèse”. Ibidem. Dalle definizioni qui riportate si
evince che l’argomentazione cerca di influenzare il pensiero, oppure testa un’ipotesi nel senso che essa si
serve di metodi ritenuti efficaci come il calcolo e l’esperienza pregressa per verificare se una ipotesi può o
meno essere accettata. L’argomentazione non forza dunque il pubblico ad accettare una tesi basandosi su
regole che devono valere per tutti senza possibilità di discussione. Al contrario, Plantin parla, a proposito
delle argomentazioni che si basano su premesse ipotetiche, fittizie, anche di un “diritto all'ipotesi” che non
può essere negato al pubblico: “Ce type de faits ouvertement imaginaires présente l'avantage incontestable
d'être impossible à récuser, car il se fonde sur un "droit à l'hypothèse" qu'on ne peut que difficilement
refuser à son adversaire [mio il grassetto]”. Ivi, p. 153. Gli ascoltatori vantano dunque anche dei diritti che
consentono loro di portare avanti la discussione da un punto di vista diverso da quello del parlante. E
ancora: “nous lions les mouvements argumentatifs à l’existence de possibilités de contestation et de
réfutation [mio il grassetto]”. Ivi, p. 161. Possiamo affermare che per Plantin, così come gli autori dei
paragrafi precedenti e quelli che tratteremo in seguito, l'argomentazione è una attività altamente
democratica.
38
Dalla definizione emerge che la lingua è un supporto alla costruzione di una
concatenazione di enunciati, il cui senso globale provoca un cambiamento nel
destinatario.
Nell’affrontare i vari autori fin qui considerati abbiamo visto come, con il tempo, la
concezione di argomentazione si sia modificata e arricchita di nozioni. Dalla visione
aristotelica, già peraltro molto elaborata, si è passati alla visione toulminiana e a quella
perelmaniana in cui il pubblico è al centro del discorso. Naess e i linguisti francesi
Anscombre e Ducrot insieme a Plantin hanno contribuito a sottolineare ulteriormente
l’aspetto dinamico del discorso argomentativo mettendo in risalto la nozione di
cambiamento di pensiero e quella di “non violenza” legata alla funzione orientativa
dell’argomentazione stessa.
Affrontiamo, nel prossimo paragrafo, un altro autore di primo piano in ambito
argomentativi: Lo Cascio.
4.6. LO CASCIO E L’ARGOMENTAZIONE
Col passare degli anni gli studiosi hanno assegnato all’argomentazione un posto di
primaria importanza nella comunicazione umana facendo addirittura coincidere
argomentazione e comunicazione145.
Non fa eccezione Lo Cascio, il quale, nella Grammatica dell’Argomentare, sostiene che
ogni settore della vita sociale e della vita individuale, ha sviluppato un suo codice a
quindi adotta regole argomentative proprie che bisogna rigorosamente osservare quando si
vuole realmente agire in modo qualificato nel settore in questione, rimanendo in sintonia
con l’ambiente ed il tema [mio il grassetto].146
145
La sovrapposizione tra argomentazione e comunicazione viene ribadita da diversi studiosi. Perelman, ne
Le Champ de l’Argumentation (1970), afferma: “Je crois que nous ne pouvons pas, non seulement
discuter avec autrui, mais même nous engager dans une délibération intime, sans utiliser
l’argumentation. Il n’est donc pas question d’éviter l’argumentation. Il n’est pas question de dire qu’elle
est inefficace: c’est une certaine argumentation qui est inefficace, opposée à une autre que l’on se présente
à soi-même. Mais dire que l’argumentation comme telle est inefficace, c’est dire que nous agissons
simplement au hasard, ou suite à des intuitions incommunicables [mio il grassetto]”. C. Perelman, Le
Champ de l’Argumentation, Bruxelles, Presses Universitaires de Bruxelles, 1970, p. 40.
Stati la definisce addirittura “una delle attività verbali che esercitiamo in parte automaticamente, e cioè
senza pensarci troppo, e in parte come risultato di un apprendimento, e quindi consapevolmente. […] Il
dominio dei testi argomentativi è vastissimo: è argomentazione l’arringa dell’avvocato e lo è pure il
messaggio di pubblicità, è argomentazione la dimostrazione di un teorema e il comizio di un politico,
l’omelia di un sacerdote ecc., ecc [mio il grassetto]” (S. Stati, Principi di Analisi Argomentativa: Retorica,
Logica, Linguistica, Bologna, Patron Editore, 2002, premessa), mentre Rigotti et alii sostengono che
“L’argumentation est une composante fondamentale de la communication [mio il grassetto]”. E. Rigotti, A.
Rocci, S. Greco, S. Tardini, A. Petruzzella (con la consulenza di), Argumentieren in der Bank/Argumenter
dans la banque, version française, Lugano, Università della Svizzera Italiana, ILS, 2003, p. 4.
39
Ciò significa che l’argomentazione è possibile in ogni campo dello scibile umano, dalla
filosofia alla matematica, dall’economia alla medicina, alla chimica, alla politica.
A seconda del campo varia il tipo di pubblico e il contesto, e dunque l’argomentazione
assume forme differenti, adattandosi alle varie situazioni. L’autore formula una
definizione di argomentazione per cui
L’argomentazione, essendo formata da almeno due frasi esprimenti la tesi, implicita o
esplicita, e un argomento a favore di essa, e quindi formata da due atti linguistici, può
essere definita, appunto, come un macro-atto linguistico volto a convincere [mio il
grassetto]. 147
Per Lo Cascio l’argomentazione ha dunque come scopo principale la convinzione della
controparte, ed è formata da due atti linguistici diversi identificabili nella tesi e
nell’argomento a sostegno di quest’ultima.
L’autore parte dalla definizione sopra riportata per trattare l’argomentazione in modo
molto dettagliato nel corso dell’opera. Egli propone una nuova visione dell’attività
argomentativa148 quale macro-atto linguistico che comprende almeno due micro-atti (tesi
e argomento), e propone una suddivisione particolareggiata della struttura argomentativa.
Lo Cascio tratta due componenti fondamentali del discorso argomentativo:
1)
la cornice, ossia il contesto, la situazione in cui si svolge la comunicazione149;
2)
la struttura, che l’autore chiama anche “nucleo fondamentale”150, la quale si
compone delle regole grammaticali facenti parte del dialogo argomentativo,
dell’organizzazione di tesi e argomenti, dei modi più efficaci per esprimerli, eccetera.
Per quanto riguarda la struttura, Lo Cascio parte dall’organizzazione data da Toulmin alla
discussione argomentativa151 per passare ad una trattazione della grammatica
argomentativa152 cui dedica il quinto capitolo della sua opera.
146
V. Lo Cascio, Grammatica dell’Argomentare: strategie e strutture, Firenze, La Nuova Italia Editrice,
1991, p. 59.
147
Ivi, p. 65.
148
Lo Cascio intitola il paragrafo 2.2 della sua opera “Cos’è l’argomentazione: una nuova prospettiva
[mio il grassetto]”. Ivi, p. 65. L’autore, a differenza degli autori a lui precedenti trattati in questo capitolo,
definisce infatti l’argomentazione come un macro-atto linguistico, e passa successivamente
all’individuazione del contesto composto dalla cornice, dalle fasi e dalle regole comunicative.
149
Dal testo di Lo Cascio emerge che la cornice comprende 1) un tema di discussione, 2) un contesto ossia
un particolare ambito che può variare dal quotidiano allo specifico, 3) il parlante e l’interlocutore, 4) le fasi
dell’argomentazione vale a dire inizio, argomentazione e conclusione, 5) le regole per condurre la
discussione.
150
Ivi, p. 57.
151
Egli considera il modello toulminiano composto da tesi, prove, garanzie, fondamento delle garanzie,
qualificatori modali e riserva come particolarmente efficace nell’illustrare la struttura ideale che
un’argomentazione felice dovrebbe adottare. Secondo Lo Cascio il modello del filosofo inglese si
differenzia dalla rigidità e universalità della logica formale per avvicinarsi alla realtà, e questo lo rende
particolarmente interessante. Si legge nella Grammatica dell’Argomentare: “Secondo Toulmin, tutti i tipi di
argomentazione possono essere considerati razionali e le norme riguardo alla validità o alla non validità
40
Per quanto concerne la suddivisione della comunicazione argomentativa in varie
tipologie, l’autore distingue innanzitutto l’argomentazione sulla base del registro
comunicativo utilizzato, della presenza o assenza degli interlocutori, sulla base
dell’oggettività o soggettività di premesse e conclusioni in:
•
orale e scritta153,
•
colloquiale e formale154,
•
dimostrativa155,
•
persuasiva156.
dell’argomentazione dipendono dal carattere dei problemi a cui ci si riferisce. Valgono cioè, secondo
Toulmin, norme specifiche a seconda del tema in discussione”. Ivi, p. 151. Possiamo dunque ritenere che
Lo Cascio apprezza il modello toulminiano poiché, pur basandosi su regole razionali, esso non pretende di
fissare criteri validi per tutti in qualsiasi tempo, ma si presenta come una struttura adattabile alle varie
situazioni che mano a mano si presentano, sia in ambito quotidiano che in ambito settoriale.
152
Lo Cascio ritiene che la grammatica argomentativa sia una “grammatica linguistica ed interna
dell’argomentazione” e la suddivide in due componenti, ossia la parte “sintattico-testuale”, che riguarda
appunto la sintassi e la formazione del testo argomentativo, e la parte pragmatica, che invece riguarda
l’argomentazione dal punto di vista pratico e da quello della valutazione della discussione. Ivi, p. 167. Nella
grammatica Lo Cascio fa rientrare, ad esempio, la disposizione degli argomenti, gli schemi argomentativi,
gli indicatori di forza (“pertanto”, “siccome”, “ecco perché”, “infatti”, “dato che”…). L’autore dichiara di
adottare, per quanto riguarda la struttura argomentativa, un approccio generativo il quale “ci porta ad
enunciare regole di legamento, cioè regole che rendono specifico e dinamico un testo”. Ivi, p. 168. Lo
Cascio spiega la scelta dell’approccio generativo con queste parole: “«Generativo», qui si intende non nel
senso di una teoria che cerchi di individuare idee universali o innate, o cerchi di fornire soprattutto regole di
grammaticalità e buona formazione delle sequenze linguistiche, come spesso è la grammatica generativa di
tipo sintatticista, ma nel senso di una grammatica basata fondamentalmente sul concetto di sistematicità,
gerarchia, ricorsività, economia, legamento, produttività e come grammatica che cerca di formulare regole
il più possibile generali distinguendole da quelle specifiche e che formano i parametri che caratterizzano e
distinguono una lingua particolare da un’altra”. Ibidem. Possiamo affermare che Lo Cascio, similmente a
Plantin, ritiene l’argomentazione non come un fatto linguistico isolato, ma integrato in una unità testale e
discorsiva più ampia grazie a quelle che egli chiama “regole di legamento”. Queste, di cui fanno parte i
connettivi testuali, occupano una parte rilevante della struttura testuale in quanto legano fra loro le varie
parti discorsive orientando la percezione del pubblico verso certe conclusioni.
153
La distinzione tra argomentazione scritta e orale non è nuova; la troviamo anche ne La nuova retorica,
in cui Perelman e Olbrechts-Tyteca affermano “Se è vero che la tecnica del discorso pubblico differisce da
quella dell’argomentazione scritta, dal momento che il nostro scopo è l’analisi dell’argomentazione, non
potremo limitare il nostro esame al discorso orale. Anzi le nostre analisi, vista l’importanza e i compiti
sempre maggiori, assunti dalla stampa nella vita moderna, riguarderanno soprattutto i testi stampati”. C.
Perelman, L. Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione: La nuova retorica, Torino, Giulio Einaudi
Editore, 1966, p. 8. Argomentazione scritta e orale sono prese in considerazione anche dalla Scuola di
Amsterdam: van Eemeren et alii dedicano infatti gli ultimi due capitoli dell’opera Argumentation: Analysis,
Evaluation, Presentation alla spiegazione dell’organizzazione di una efficace argomentazione scritta e
orale. Si veda a tal proposito F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, F. Snoeck Henkemans, Argumentation:
Analysis, Evaluation, Presentation, Mahwah (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 2002.
154
La distinzione tra argomentazione colloquiale e argomentazione formale è formulata da Lo Cascio sulla
base della presenza o assenza fisica di un interlocutore per cui in presenza di quest’ultimo si ha un vero e
proprio dialogo con domande e risposte o l’affermazione di una tesi e la proposta di argomenti contrari da
parte del pubblico, mentre in assenza della controparte si ha un testo scritto che può essere indirizzato
anche ad ascoltatori fittizi e ha un più alto grado di formalità in quanto in esso l’argomentazione va
organizzata in modo differente, per esempio esplicitando delle premesse che nel parlato rimarrebbero
implicite.
155
Lo Cascio sostiene che l’argomentazione è dimostrativa quando dimostra fatti accettabili da tutti
partendo da premesse valide e accettate all’unanimità. Egli sostiene si tratti di “ragionamenti argomentativi
universali che hanno al centro il «razionale»”. V. Lo Cascio, Grammatica dell’Argomentare: strategie e
strutture, Firenze, La Nuova Italia Editrice, 1991, p. 297.
41
Successivamente Lo Cascio presenta un’altra suddivisione dell’attività argomentativa
basata sulla presenza o assenza del pubblico e sulla posizione di quest’ultimo.
Si tratta di:
•
argomentazione con o senza interlocutore;
•
argomentazione in cui si svolge una disputa tra i protagonisti;
•
argomentazione in cui non si svolge una disputa, ma i partecipanti cercano degli
argomenti validi a favore della stessa tesi;
•
argomentazione in cui i protagonisti si esprimono a favore di una tesi;
•
argomentazione in cui i protagonisti si esprimono contro una tesi.
Nel capitolo 5 della Grammatica dell’Argomentare l’autore propone una terza
suddivisione dell’attività argomentativa, questa volta a seconda dei “modi di condurre
l’argomentazione”157.
Egli distingue l’argomentazione in:
•
formale (per esempio, formulazione di una legge e presentazione delle conclusioni),
•
informale (conversazione);
•
celata (si tratta di un’argomentazione implicita in cui è tuttavia possibile accorgersi
della presenza di argomenti a favore o contro una tesi);
•
cooperativa (in essa si appoggia la tesi dell’avversario con argomenti propri);
•
con argomenti imprevisti o inattesi (si appoggia una tesi servendosi di argomenti
inattesi dal pubblico, che acquisiscono una forza notevole proprio perché gli
interlocutori si accorgono della loro esistenza e della loro funzione di appoggio nel
momento in cui vengono usati);
•
a catena (gli argomenti vengono legati tra loro da connettivi testuali che orientano il
pensiero del pubblico verso la tesi);
•
libera (gli argomenti sono disposti senza alcuna previsione da parte del parlante,
che si adatta alle reazioni dell’ascoltatore e li organizza secondo le esigenze
momentanee del pubblico).
156
L’argomentazione persuasiva è legata a situazioni momentanee, contingenti, e in essa sono assenti le
premesse accettate universalmente che invece occorrono all’argomentazione dimostrativa. Possiamo
affermare che l’argomentazione persuasiva è altamente soggettiva, in quanto in essa le premesse e le
conclusioni non sono necessariamente accettate dai partecipanti alla comunicazione, che vi si possono
opporre contestandole e proponendo delle premesse o giungendo a conclusioni che essi ritengono più
opportune.
157
Ivi, p. 215.
42
Lo Cascio parte dal modello toulminiano dell’argomentazione per suddividere le varie
tipologie argomentative che permettono di passare dai dati alla conclusione utilizzando i
connettivi testuali, le garanzie, il fondamento delle garanzie e le riserve. L’autore propone
inoltre una grammatica dell’attività argomentativa, ossia una rassegna in cui spiega la
forza esercitata dai connettori linguistici, tanto importanti per guidare il pubblico in certe
direzioni.
Dall’analisi della definizione di argomentazione data da Lo Cascio, dalla suddivisione da
lui proposta e dalla spiegazione del modo in cui agiscono i connettori, possiamo
affermare che l’argomentazione è da lui ritenuta una attività
Ø
altamente dinamica, grazie all’uso dell’approccio generativo che permette, secondo
l’autore, di creare una comunicazione mai statica ma sempre in trasformazione e
adattabile alle esigenze di parlante e ascoltatore158;
Ø
complessa, in quanto essa presenta molteplici forme a seconda della presenza o
assenza del pubblico, della soggettività o della oggettività delle premesse e delle
conclusioni e dell’organizzazione degli argomenti;
Ø
regolata, poiché per essere efficace l’argomentazione non può svolgersi senza
seguire un percorso preciso, ma deve attenersi al contesto comunicativo, alle regole
di svolgimento della comunicazione di un particolare campo disciplinare159;
Ø
comprensiva di tutte le dimensioni comunicative: l’argomentazione può svolgersi
in modo scritto od orale, sotto forma di monologo dialogo, formale o informale;
Ø
comprensiva di tutti i campi conoscitivi, in quanto l’argomentazione può svolgersi
a livello quotidiano, così come nell’ambito di discipline specifiche.
Passiamo ora a considerare la Scuola di Amsterdam e Rigotti.
158
Affermiamo che, similmente alla concezione di Plantin, anche secondo Lo Cascio l'argomentazione non
è un fatto linguistico isolato. Questo si comprende considerando l’analisi che l’autore fa dei connettivi
testuali, i quali legano tra loro le varie parti testuali che non vanno viste come unità separate le une dalle
altre ma come aventi significato se legate tra loro. Si veda a tal proposito il capitolo 6 della Grammatica
dell’Argomentare.
159
A dimostrazione della presenza di regole che l’argomentazione deve seguire nel suo svolgimento
troviamo, nel penultimo capitolo della Grammatica dell’Argomentare, la rassegna delle fallacie che Lo
Cascio propone sulla base della suddivisione operata da van Eemeren e Grootendorst. Egli infatti definisce
le fallacie degli “argomenti «fuorilegge» che non hanno attinenza con le tesi messe in discussione” o “atti
illegali” (Ivi, p. 352) che si contrappongono quindi a delle regole per la buona riuscita della comunicazione.
43
4.7. LA SCUOLA DI AMSTERDAM
Come vedremo più dettagliatamente in seguito, la Scuola di Amsterdam fornisce una
definizione di argomentazione che racchiude in sé tutta la complessità di questo tipo di
comunicazione. Secondo l’approccio pragma-dialettico l’argomentazione si può definire
generalmente come
a verbal, social, and rational activity aimed at convincing a reasonable critic of the
acceptability of a standpoint by putting forward a constellation of one or more propositions
to justify this standpoint [mio il grassetto].160
L’argomentazione è dunque caratterizzata come attività verbale, sociale e razionale.
Questi tre aggettivi indicano un alto grado di complessità dell’argomentazione, la quale è
definita dalla Scuola di Amsterdam un “atto linguistico complesso”161 in quanto essa non
si limita ad agire a livello frastico, bensì testuale162. Ciò deriva dal fatto che per
argomentare devono esserci almeno due parti, e queste devono condividere, oltre alla
lingua, anche delle conoscenze, dei valori che rendono più semplice il processo di
convincimento. Inoltre, le parti coinvolte devono rispettare delle regole affinché la
comunicazione si svolga in modo regolare e venga raggiunto lo scopo per cui la
discussione è stata incominciata.
Nei capitoli successivi vedremo in dettaglio come la pragma-dialettica suddivide
l’argomentazione e quali influssi hanno avuto le teorie di altri autori sulla Scuola di
Amsterdam. In questo capitolo ci limitiamo ad anticipare alcune di queste suddivisioni ed
ad affermare che, essendo la pragma-dialettica una teoria recente163, essa ha raccolto
l’eredità degli studiosi precedenti per modificarla e proporre un approccio che unisce le
dimensioni dialettica e retorica e che considera dunque l’argomentazione come una
160
F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, F. Snoeck Henkemans, Argumentation: Analysis, Evaluation,
Presentation, Mahwah (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 2002, p. XII. Questa definizione
evidenzia i tratti fondamentali dell’argomentazione secondo l’approccio pragma-dialettico: il fatto che si
tratta di una attività verbale significa che la comunicazione argomentativa si svolge non attraverso il
linguaggio del corpo o i gesti, ma attraverso l’attività verbale. Ne consegue che, affinché si realizzi uno
scambio di parole e frasi, le parti coinvolte devono essere almeno due, ossia un parlante e un ascoltatore, un
protagonista e un antagonista che si possono scambiare i ruoli durante la comunicazione; per questo motivo
l’argomentazione è vista come una attività sociale. L’argomentazione è una attività razionale in quanto fa
appello a standard di ragionevolezza senza i quali non potrebbe nemmeno essere iniziata. Per essere
razionale, la discussione deve essere guidata da regole che stabiliscono quali comportamenti sono ammessi
o non ammessi. Come vedremo in seguito, la violazione di tali regole provoca le cosiddette “fallacie
argomentative”.
161
Si veda il capitolo 3 in F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, Argumentation, Communication, and
Fallacies: a Pragma-Dialectical Approach, Hillsdale (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers,
1992.
162
Si veda Ivi.
163
Le più importanti opere della Scuola di Amsterdam sono state pubblicate a partire dagli anni Settanta del
secolo scorso. S. Stati, Principi di Analisi Argomentativa: Retorica, Logica, Linguistica, Bologna, Pàtron
Editore, 2002.
44
attività che concilia gli scopi personali del parlante con la presa di coscienza
dell’esistenza di un pubblico164 e di regole da seguire165.
Van Eemeren e Grootendorst suddividono in modo piuttosto particolareggiato le
differenze di opinione le quali innescano la discussione argomentativa166.
In base al modo più o meno esplicito di formulare un dubbio o una opinione contraria, le
divergenze di opinione sono classificate in:
−
esplicite167 e
−
implicite168
mentre, a seconda che l'antagonista nutra un semplice dubbio o adotti una posizione
completamente opposta a quella del parlante, esse sono suddivise in:
−
singole169,
−
multiple170,
−
miste171,
−
non miste172.
Possiamo affermare che similmente a Plantin, il quale identifica l’argomentazione in una
struttura, e a Lo Cascio, il quale assegna grande importanza ai connettivi testuali,
anche i rappresentanti della pragma-dialettica olandese ritengono di primaria importanza
la concatenazione degli argomenti tra loro e quella tra argomenti e proposizione cui essi
si riferiscono. Van Eemeren et alii dedicano infatti parte delle due opere Argumentation:
Analysis, Evaluation, Presentation e di Argumentation, Communication, and Fallacies: a
164
Van Eemeren e Grootendorst affermano: “Due to its emphasis on the effectiveness of argumentative
patterns with respect to the people who have to be won over, a rhetorical reconstruction can be
characterized as audience-oriented”. F. H. van Eemeren, R. Grootendorst, Argumentation, Communication,
and Fallacies: a Pragma-Dialectical Approach; Hillsdale (NJ), Lawrence Erlbaum Associates, Publishers,
1992, p. 7.
165
La presenza e l'osservanza delle regole è ritenuta fondamentale nella dimensione dialettica
dell'argomentazione: “For dialecticians who maintain a critical outlook, reasonableness is not solely
determined by the norm of intersubjective agreement but also depends on the "external" norm that this
agreement should be reached in a valid manner [mio il grassetto]”. Ivi, p. 6.
166
Per i rappresentanti della Scuola di Amsterdam le divergenze di opinione sono il fattore che dà vita
all'argomentazione. “An analysis of argumentation must begin by identifying the main difference of
opinion, and what type of difference of opinion it is [mio il grassetto]”. F. H. van Eemeren, R.
Grootendorst, F. Snoeck Henkemans, Argumentation: Analysis, Evaluation, Presentation, Mahwah (NJ),
Lawrence Erlbaum Associates, Publishers, 2002, p. 3.
167
In esse entrambi i partecipanti all'argomentazione esprimono la propria opinione riguardo una
proposizione.
168
Nelle divergenze implicite solo uno dei soggetti argomentanti esprime chiaramente la propria opinione.
169
Esiste solo il punto di vista del protagonista e il dubbio dell’antagonista.
170
Lo stesso punto di vista è relativo a più proposizioni.
171
La stessa proposizione dà vita a punti di vista differenti.
172
Solo uno dei soggetti comunicativi deve difendere la propria posizione.
45
Pragma-Dialectical Approach alla descrizione della struttura che l’argomentazione può
assumere.
Tale struttura può essere di quattro tipologie distinte in base alle connessioni che legano
tra loro gli argomenti e questi ultimi con il punto di partenza dell’argomentazione.
Si parla infatti di struttura
−
singola,
−
multipla,
−
coordinativa,
−
subordinativa.
Dopo aver trattato la struttura argomentativa, i rappresentanti della Scuola di Amsterdam
passano ad illustrare gli schemi argomentativi, definiti utili per la valutazione della
discussione argomentativa e per il riconoscimento di eventuali errori logici e pragmatici.
Gli schemi si riallacciano all’idea di concatenazione in quanto suddividono
l’argomentazione in base alla relazione tra argomenti e punto di vista173.
Abbiamo dunque una argomentazione basata su:
−
una relazione sintomatica (vi fanno parte l’esempio e la definizione),
−
una relazione di analogia (la comparazione),
−
una relazione causale (la causa e l’effetto).
I rappresentanti della Scuola di Amsterdam trattano ampiamente gli indicatori di
argomentazione174, ossia quelle locuzioni e quei connettivi175 che, legando tra loro gli
argomenti e gli argomenti ai punti di vista, orientano il pubblico verso certe direzioni.
Gli indicatori dell’argomentazione e i connettivi sono considerati dalla Scuola di
Amsterdam una parte indispensabile per l’organizzazione dell’intera comunicazione
argomentativa in quanto essi permettono innanzitutto di riconoscere punto di vista e
argomenti, e poi di legare tra loro le varie parti del discorso per giungere alla convinzione
della controparte.
Passiamo ora all’ultimo autore in ordine cronologico della nostra rassegna: Rigotti.
173
“For each type of argumentation, there is a particular relation between the argumentation and the
standpoint [mio il grassetto]”. Ivi, p. 96.
174
Quelli che van Eemeren e Grootendorst chiamano “indicators of argumentation”. Ivi, p. 39.
46
4.8. RIGOTTI E L’ARGOMENTAZIONE
Rigotti è l’ultimo studioso di linguistica e comunicazione che consideriamo in questa
nostra rassegna.
Rigotti et alii sostengono che l’argomentazione è una parte basilare e quotidiana della
comunicazione umana176 : ogni giorno infatti forniamo ragioni in numerosissime
occasioni, e quando dobbiamo convincere qualcuno del nostro punto di vista cominciamo
a dare una ragione a ciò che noi diciamo.
Rigotti et alii appoggiano la visione aristotelica per cui l’argomentazione è composta da
logos, ethos e pathos. Tutti e tre gli elementi sono fondamentali per il successo
dell’interazione argomentativa: il logos in quanto rappresenta la razionalità del discorso e
il legame tra tesi e argomenti; l’ethos in quanto mette in risalto l’affidabilità e la
credibilità del parlante177; il pathos in quanto rappresenta un mezzo potente di
persuasione che fa leva sui sentimenti del pubblico. Questa interazione fa
dell’argomentazione un tipo di comunicazione complessa.
Come per van Eemeren e Grootendorst, la razionalità è considerata da Rigotti et alii un
ingrediente fondamentale dell’argomentazione178, anche se i sentimenti non possono
essere ignorati e spesso occorre far leva proprio su questi ultimi per convincere la
controparte.
L’argomentazione è vista da Rigotti et alii come uno scambio di ragioni per conquistare
l’avversario: come nei casi precedenti, dunque, possiamo affermare che anche per Rigotti
et alii essa è una attività altamente dinamica, che include non solo un cambiamento ma
175
Si vedano, ad esempio, i capitoli 3 e 5 in Ivi, in cui van Eemeren, Grootendorst e Snoeck Henkemans
trattano indicatori quali “therefore”, “so”, “of course”, “since”, “after all”, “in view of”, ecc.
176
Rigotti et alii sostengono che “l’argumentation […] est partout dans notre vie quotidienne. On pourrait
même dire que la plupart de nos conversations quotidiennes sont argumentatives [mio il grassetto]”. E.
Rigotti, A. Rocci, S. Greco, S. Tardini, A. Petruzzella (con la consulenza di), Argumentieren in der
Bank/Argumenter dans la banque, version française, Lugano, Università della Svizzera Italiana, ILS, 2003,
p. 17.
177
Rigotti et alii sottolineano l’importanza della pìstis greca, ossia della fiducia che il parlante deve essere
degno di ottenere dal pubblico. Non è facile infatti per la controparte abbandonare una posizione per
adottarne un’altra. Il parlante deve mostrarsi dunque competente e convincente: l’ethos è una parte
fondamentale dell’argomentazione in quanto è attraverso di esso che il pubblico si crea una immagine
positiva del parlante. Gli autori sostengono che esistono tre aspetti fondamentali dell’ethos che il parlante
deve mostrare, ossia l’intelligenza, il carattere (inteso come forza di volontà) e la benevolenza. Si veda Ivi,
p. 21.
178
L’argomentazione è infatti definita anche come “un discours qui montre au décideur d’une manière
rationelle l’acceptabilité d’une décision [mio il grassetto]”. Ibidem. Per l’autore una argomentazione di
successo si basa sulla scelta di premesse fondate su valori condivisi che aiutano nel passaggio verso la
conclusione, ossia che permettono più facilmente di aderire ad una tesi prima sconosciuta. Questo implica
un alto grado di razionalità, poiché la scelta delle premesse va ragionata in modo che si scelgano dei punti
di partenza efficaci.
47
un vero e proprio “movimento”179 da ciò che si sa, che già si conosce a ciò che è
sconosciuto.
Infine, possiamo affermare che anche per Rigotti et alii, così come per Plantin e per la
Scuola di Amsterdam, l’argomentazione è una attività strutturata poiché, come
affermato dall’autore, “il y a beaucoup de relations possibles entre arguments”180.
Tali relazioni sono identificate nell’argomentazione
−
subordinativa, per cui gli argomenti si sostengono l’un l’altro;
−
coordinativa, nel cui caso la concatenazione tra argomenti è il fattore che determina
la convinzione;
−
cumulativa, nella quale ad essere convincente è il numero di argomenti indipendenti
tra loro ma che sostengono la stessa tesi.
179
Si legge infatti che “D’abord il faut remarquer que l’argumentation est un mouvement de ce qui est
déjà accepté à ce qui n’es pas encore accepté. C’est comme si par un mouvement de la pensée la force de
l’adhésion du décideur se déplace de la prémisse à la conclusion”. Ivi, p. 25.
180
Ivi, p. 30.
48
CONCLUSIONI
Lo scopo di questa rassegna è quello di far prendere coscienza del fatto che
l’argomentazione è una parte fondamentale della comunicazione sia quotidiana che
specialistica.
In particolare si sono sviluppati i concetti di
•
socialità e di
•
dinamicità dell’argomentazione
che ne determinano il carattere complesso.
Per quanto riguarda la socialità, possiamo affermare che si è manifestata una sempre
maggiore attenzione nei confronti del destinatario, il quale non reagisce passivamente ai
messaggi del parlante, ma gioca un ruolo attivo e addirittura determinante nel corso
dell’intera comunicazione. L’uditorio, infatti, ha un proprio retroterra culturale e molto
spesso ha già delle idee precise riguardo ad una tesi. Quanto più è forte l’opinione del
pubblico, tanto più è difficile per il parlante riuscire a convincerlo; per questo il parlante
deve organizzare la discussione molto attentamente scegliendo gli argomenti appropriati
e disponendoli in modo efficace.
Per quanto concerne invece la dinamicità, essa scaturisce dal fatto che l’argomentazione
si presenta come una attività che si prefigge un cambiamento, uno spostamento da una
concezione ad un’altra per cui non esiste staticità. Parlante e pubblico possono inoltre
scambiarsi i ruoli, e non è inusuale che proprio chi vuole condurre la controparte verso il
proprio punto di vista debba rivedere la posizione iniziale e arrendersi agli argomenti
avanzati dal pubblico.
Riteniamo che la dinamicità sia legata alla socialità: il confronto del protagonista con
l’antagonista mette in luce che entrambe le parti hanno un background culturale, dei
valori e dei sentimenti che, anche se parzialmente coincidenti tra loro, spesso danno
luogo ad atteggiamenti diversi nei confronti della stessa tesi. Ogni individuo cerca di
difendere la propria opinione dando luogo ad una notevole varietà di comportamenti e di
organizzazione del discorso.
49