Untitled - Rizzoli Libri

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EMELIE SCHEPP
MEMENTO
Traduzione di Alessandra Albertari e Giulia Pillon
ROMANZO
BOMPIANI
Schepp, emelie, Märkta för livet
Copyright © Emelie Schepp 2013 by agreement with Grand Agency
First published in 2013 by En&Ett Förlag, Sweden
© 2016 Bompiani / Rizzoli Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-452-8313-0
Prima edizione Bompiani novembre 2016
Per H
DOMENICA 15 APRILE
“112, pronto intervento. Mi dica.”
“Mio marito è morto…”
L’operatrice Anna Bergström avvertì la voce tremante della
donna e abbassò in fretta lo sguardo sull’angolo dello schermo
davanti a sé. Le 19.42.
“Può dirmi il suo nome?”
“Kerstin Juhlén. Mio marito si chiama Hans, Hans Juhlén.”
“Come fa a sapere che è morto?”
“Non respira. È qui steso, immobile. Era così quando sono tornata a casa. E c’è sangue… c’è sangue sul tappeto,” singhiozzò la donna.
“Lei è ferita?”
“No.”
“Qualcun altro è ferito?”
“No, ma mio marito è morto!”
“Capisco, lei dove si trova adesso?”
“A casa.”
La donna dall’altro capo del filo fece un respiro profondo.
“Può dirmi l’indirizzo, per favore?”
“Östanvägen 204, a Lindö. È una casa gialla, con dei grandi
vasi in giardino.”
Anna muoveva veloce le dita sui tasti, mentre con lo sguardo
cercava Östanvägen sulla mappa digitale.
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“Le mando subito qualcuno,” disse con voce pacata. “Nel
frattempo la prego di rimanere in linea con me.”
Anna non ottenne alcuna risposta e premette la mano contro l’auricolare.
“Pronto? È ancora lì?”
“È morto davvero.”
I singhiozzi ripresero, trasformandosi subito in un pianto
isterico e sulla linea del pronto intervento si udì solo un lungo
grido di angoscia.
* **
L’ispettore Henrik Levin e il sovrintendente Maria Bolander
scesero dalla Volvo a Lindö. La gelida aria del Baltico afferrò la
leggera giacca primaverile di Henrik. L’uomo tirò su la cerniera
fino al collo e infilò le mani nelle tasche.
Sul viale d’accesso lastricato era parcheggiata una Mercedes
nera, in compagnia di due macchine della polizia e un’ambulanza. Poco distante dallo sbarramento c’erano altre due macchine che, a giudicare dalle scritte pubblicitarie, appartenevano ai principali quotidiani locali.
I due giornalisti delle testate rivali si sporgevano con tale veemenza contro il nastro che questo scompariva, letteralmente
fagocitato dai loro piumini.
“Cazzo, che lusso qui…”
Il sovrintendente Maria Bolander, o soltanto Mia come la
chiamavano tutti, scosse la testa irritata.
“E hanno persino le statue…” disse lanciando un’occhiata
di traverso ai leoni di granito. Poi il suo sguardo venne attratto
dai vasi lì accanto, alti almeno un metro.
Henrik rimase in silenzio e iniziò a salire lungo il viale illuminato che portava al numero 204 di Östanvägen. Piccoli
cumuli di neve contro il bordo del marciapiede dimostravano
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che l’inverno non aveva ancora mollato la presa. L’ispettore fece un cenno all’agente di pattuglia Gabriel Mellqvist di
guardia fuori dall’entrata, batté i piedi per liberare le scarpe dalla neve, poi aprì il pesante portone a Mia e la seguì
all’interno.
Nella magnifica villa era in corso un’attività febbrile. I tecnici lavoravano in maniera metodica alla ricerca di eventuali
impronte digitali e tracce di altro genere. Avevano già spennellato e passato al laser le porte e le maniglie, e al momento
erano concentrati sulle pareti, alla ricerca di eventuali superfici interessanti. A tratti i flash delle macchine fotografiche illuminavano la stanza arredata in modo minimale. Il corpo di un
uomo giaceva sul tappeto a righe del soggiorno.
“Cristo santo…” disse Mia.
“Già,” rispose Henrik.
“Chi è stato a trovarlo?”
“La moglie, Kerstin Juhlén. L’ha trovato così quando è tornata a casa,” disse Henrik.
“Lei dov’è?”
“Al piano superiore, con Hanna Hultman.”
Henrik guardò il corpo steso davanti a lui. Apparteneva a
Hans Juhlén, direttore operativo all’Ufficio immigrazione per
le questioni inerenti alle richieste d’asilo.
L’ispettore girò attorno al corpo e si protese sul viso della vittima. Studiò la mascella possente, la pelle segnata dalle
intemperie, l’accenno di barba grigia che ricopriva il viso e le
tempie. Hans Juhlén era apparso parecchie volte sui media,
ma le immagini di repertorio usate non corrispondevano per
nulla all’uomo non più giovane che ora giaceva davanti a lui.
La vittima indossava pantaloni ben stirati e una camicia a righe
di una pallida tonalità di azzurro. Il cotone era imbevuto delle
macchie di sangue che andavano allargandosi sul petto.
“Guardare ma non toccare.”
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Il tecnico della scientifica Anneli Lindgren, in piedi accanto
all’ampia vetrata, lanciò a Henrik un’occhiata eloquente.
“Gli hanno sparato?” chiese l’ispettore.
“Sembra di sì, due fori d’entrata.”
Henrik si alzò e si guardò attorno nel soggiorno dove troneggiavano un divano e due poltrone di pelle. In mezzo alla
stanza c’era un tavolino di cristallo con le gambe cromate e alle
pareti quadri di Ulf Lundell.
Henrik si passò una mano sul mento e sentì la barba ispida
contro i polpastrelli. Constatò che l’arredamento non era stato
toccato, la stanza era in perfetto ordine.
“Nessun segno di colluttazione,” disse voltandosi verso Mia
che si trovava dietro di lui.
“Già,” rispose lei, senza distogliere lo sguardo da un tavolino ovale. Sopra c’era poggiato un portafoglio di pelle marrone
da cui sporgevano tre banconote da cinquecento corone. Mia
fu tentata di toccarle, rigirarsele un po’ tra le dita. Più di ogni
altra cosa avrebbe voluto sfilarle tutte quante. O anche solo
una. Così, senza farsi notare. Ma si trattenne, pensando tra sé
e sé che doveva darsi una regolata. Non poteva andare avanti
così.
Henrik fece scorrere lo sguardo fino a fermarlo su una grande finestra ad arco che dava sul giardino, poi la sua attenzione
si spostò su Anneli che spennellava alla ricerca di impronte
digitali.
“Trovato qualcosa?”
Lei guardò in su da dietro gli occhiali.
“Non ancora, ma la moglie dice di aver trovato questa finestra aperta quando è entrata in casa e spero di riuscire a individuare qualcos’altro oltre alle sue impronte.”
Anneli riprese a spennellare. Lavorava con calma, meticolosamente.
Henrik si passò la mano tra i capelli e si voltò verso Mia.
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“Andiamo a scambiare due parole con la signora Juhlén?”
“Vai su tu, io intanto do un’occhiata qui intorno,” rispose
lei, disegnando con l’indice due cerchi nell’aria.
* **
Kerstin Juhlén sedeva sul letto matrimoniale con una coperta sulle spalle e fissava il comodino con occhi incavati.
L’agente Hanna Hultman fece un rispettoso passo indietro
chiudendo la porta dietro l’ispettore.
Mentre saliva le scale Henrik Levin si era immaginato una
persona minuta e aggraziata, vestita con abiti eleganti. Ma di
fronte a lui sedeva una donna ben piantata, dal girovita considerevole, con indosso un cardigan leggero e dei jeans scuri elasticizzati: non propriamente ciò che si aspettava. Aveva
il viso gonfio e gli occhi rossi di pianto. I capelli ossigenati
erano tagliati a caschetto e la ricrescita scura lasciava intuire
che era trascorso parecchio tempo dalla sua ultima visita dal
parrucchiere.
Henrik distolse gli occhi da lei e si guardò intorno, incuriosito. Dapprima fece scorrere lo sguardo sul comò, poi sulla
parete con le fotografie. Al centro c’era una grande foto che
ritraeva una sorridente coppia di sposi. L’immagine era un po’
sbiadita e di sicuro era appesa lì da molti anni.
Di colpo si accorse che la donna lo stava fissando.
“Sono l’ispettore Henrik Levin,” disse lui, rendendosi subito conto di aver bisbigliato. “Le faccio le mie condoglianze, ma
mi deve scusare, ho un paio di domande da farle.”
Kerstin Juhlén si asciugò una lacrima dalla guancia con la
manica del cardigan.
“Capisco.”
“Può dirmi cos’è successo quando è rientrata stasera?”
“Sono tornata a casa e… e… lui era disteso lì.”
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“Ricorda che ore erano?”
“Circa le sette e mezzo.”
“Ne è sicura?”
“Sì.”
“C’era qualcun altro in casa, quando è entrata?”
“No. No, c’era solo mio marito che…”
Il labbro inferiore iniziò a tremarle e la donna si coprì il
volto con le mani.
Henrik sapeva che non era quello il momento per fare un
interrogatorio più approfondito e decise di tagliare corto.
“Mi ascolti, Kerstin, tra poco le manderò qualcuno ad aiutarla, ma prima di lasciarla tranquilla ho bisogno di controllare
con lei alcune cose.”
Kerstin tolse le mani dal volto e le appoggiò sulle ginocchia.
“Mi dica.”
“Lei ha riferito di aver trovato una finestra aperta giù in soggiorno, quando è rientrata a casa. E di averla chiusa. È esatto?”
“Sì.”
“Non ha notato niente di strano fuori quando l’ha chiusa?”
“No… no,” rispose la donna guardando dalla finestra della
camera da letto.
Henrik infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e rifletté un
attimo.
“Ok, prima di lasciarla, vuole che chiamiamo qualcuno?
Un’amica, un parente? Un figlio?”
La donna abbassò lo sguardo sulle proprie mani tremanti.
Poi mosse le labbra in un sussurro appena percettibile.
“Mi scusi, può ripetere?” chiese Henrik.
Kerstin chiuse gli occhi per un momento, poi alzò piano il
viso sofferente verso l’ispettore. Fece un respiro profondo e
aprì la bocca per rispondere.
* **
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