Maestra di libertà Oriana Fallaci, la sua lezione su Libero: la

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Maestra di libertà Oriana Fallaci, la sua lezione su Libero: la
Maestra di libertà
Oriana Fallaci, la sua lezione su
Libero: la profezia sull'Islam
fanatico, gli insulti della sinistra, i
processi
Il testo di cui oggi iniziamo la pubblicazione - per gentile concessione di Edoardo Perazzi, nipote e
erede della Fallaci - è quello di un discorso pronunciato da Oriana Fallaci nel novembre del 2005.
La grande toscana fu insignita del Annie Taylor Award, un premio conferito dal Centro Studi di
cultura popolare di New York. Il suo discorso, in versione integrale inglese, fu pubblicato pochi
giorni dopo da Il Foglio. Poi, il primo dicembre del 2005, Libero ne pubblicò la versione italiana,
col permesso della stessa Fallaci, che volle rivederne personalmente la forma (modificandola
tramite memorabili telefonate con l'allora responsabile delle pagine culturali Alessandro Gnocchi).
Abbiamo deciso di ripubblicare questo testo perché pensiamo che oggi, a quasi dieci anni di
distanza, sia più attuale che mai.
Oriana Fallaci, maestra di libertà
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2. "Le galline della sinistra in ginocchio"
Lo scorso agosto venni ricevuta in udienza privata da Ratzinger, insomma da Papa Benedetto XVI.
Un Papa che ama il mio lavoro da quando lesse Lettera a un bambino mai nato e che io rispetto
profondamente da quando leggo i suoi intelligentissimi libri. Un Papa, inoltre, col quale mi trovo
d’accordo in parecchi casi. Per esempio, quando scrive che l’Occidente ha maturato una sorta di
odio contro sé stesso. Che non ama più sé stesso, che ha perso la sua spiritualità e rischia di perdere
anche la sua identità. (Esattamente ciò che scrivo io quando scrivo che l’Occidente è malato di un
cancro morale e intellettuale. Non a caso ripeto spesso: «Se un Papa e un’atea dicono la stessa cosa,
in quella cosa dev’esserci qualcosa di tremendamente vero»).
Nuova parentesi. Sono un’atea, sì. Un’atea-cristiana, come sempre chiarisco, ma un’atea. E Papa
Ratzinger lo sa molto bene. Ne La Forza della Ragione uso un intero capitolo per spiegare
l’apparente paradosso di tale autodefinizione. Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice:
«Ok. (L’ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse».
Parole da cui desumo che nella comunità religiosa vi sono persone più aperte e più acute che in
quella laica alla quale appartengo. Talmente aperte ed acute che non tentano nemmeno, non si
sognano nemmeno, di salvarmi l’anima cioè di convertirmi. Uno dei motivi per cui sostengo che,
vendendosi al teocratico Islam, il laicismo ha perso il treno. È mancato all’appuntamento più
importante offertogli dalla Storia e così facendo ha aperto un vuoto, una voragine che soltanto la
spiritualità può riempire.
Uno dei motivi, inoltre, per cui nella Chiesa d’oggi vedo un inatteso partner, un imprevisto alleato.
In Ratzinger, e in chiunque accetti la mia per loro inquietante indipendenza di pensiero e di
comportamento, un compagnon-de-route. Ammenoché anche la Chiesa manchi al suo appuntamento
con la Storia. Cosa che tuttavia non prevedo. Perché, forse per reazione alle ideologie
materialistiche che hanno caratterizzato lo scorso secolo, il secolo dinanzi a noi mi sembra marcato
da una inevitabile nostalgia anzi da un inevitabile bisogno di religiosità. E, come la religione, la
religiosità finisce sempre col rivelarsi il veicolo più semplice (se non il più facile) per arrivare alla
spiritualità. Chiusa la nuova parentesi.
***
E così ci incontrammo, io e questo gentiluomo intelligente. Senza cerimonie, senza formalità, tutti
soli nel suo studio di Castel Gandolfo conversammo e l’incontro non-professionale doveva restare
segreto. Nella mia ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse. Ma la voce si diffuse
ugualmente. Come una bomba nucleare piombò sulla stampa italiana, e indovina ciò che un
petulante idiota con requisiti accademici scrisse su un noto giornale romano di Sinistra. Scrisse che
il Papa può vedere quanto vuole «i miserabili, gli empi, i peccatori, i mentalmente malati» come la
Fallaci. Perché «il Papa non è una persona perbene». (A dispetto di ogni dizionario e della stessa
Accademia della Crusca, il «perbene» scritto "per bene"). Del resto, e sempre pensando a
Tocqueville, alla sua invisibile ma insuperabile barriera dentro-la-quale-si-può-soltanto-tacere-ounirsi-al-coro, non dimentico mai quello che quattro anni fa accadde qui in America.
Voglio dire quando l’articolo La Rabbia e l’Orgoglio (non ancora libro) apparve in Italia. E il New
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York Times scatenò la sua Super Political Correctness con una intera pagina nella quale la
corrispondente da Roma mi presentava come «a provocateur» una «provocatrice». Una villana
colpevole di calunniare l’Islam... Quando l’articolo divenne libro e apparve qui, ancora peggio.
Perché il New York Post mi descrisse, sì, come «La Coscienza d’Europa, l’eccezione in un’epoca
dove l’onestà e la chiarezza non sono più considerate preziose virtù». Nelle loro lettere i lettori mi
definirono, sì, «il solo intelletto eloquente che l’Europa avesse prodotto dal giorno in cui Winston
Churchill pronunciò lo Step by Step cioè il discorso con cui metteva in guardia l’Europa
dall’avanzata di Hitler». Ma i giornali e le TV e le radio della Sinistra al Caviale rimasero mute,
oppure si unirono alla tesi del New York Times.
Tantomeno dimentico ciò che è avvenuto nel mio paese durante questi giorni di novembre 2005.
Perché, pubblicato da una casa editrice che nella maggioranza delle quote azionarie appartiene ai
miei editori italiani, e da questi vistosamente annunciato sul giornale che consideravo il mio
giornale, in un certo senso la mia famiglia, un altro libro anti- Fallaci ora affligge le librerie. Un
libro scritto, stavolta, dall’ex vice-direttore del quotidiano che un tempo apparteneva al defunto
Partito Comunista. Bé, non l’ho letto. Né lo leggerò. (Esistono almeno sei libri su di me. Quasi tutti,
biografie non-autorizzate e piene di bugie offensive nonché di grottesche invenzioni. E non ne ho
mai letto uno. Non ho mai neppure gettato lo sguardo sulle loro copertine). Ma so che stavolta il
titolo, naturalmente accompagnato dal mio nome che garantisce le vendite, contiene le parole
«cattiva maestra». So che la cattiva-maestra è ritratta come una sordida reazionaria, una perniciosa
guerrafondaia, una mortale portatrice di «Orianismo». E secondo l’ex vice-direttore dell’ex
quotidiano ultracomunista, l’Orianismo è un virus. Una malattia, un contagio, nonché
un’ossessione, che uccide tutte le vittime contaminate. (Graziaddio, molti milioni di vittime.
Soltanto in Italia, la Trilogia ha venduto assai più di quattro milioni di copie in tre anni. E negli altri
ventun paesi è un saldo bestseller).
Ma questo non è tutto. Perché nei medesimi giorni il sindaco milanese di centro-destra mi incluse
nella lista degli Ambrogini: le molto ambite medaglie d’oro che per la festa di Sant’Ambrogio la
città di Milano consegna a persone note, o quasi, nel campo della cultura. E quando il mio nome
venne inserito, i votanti della Sinistra sferrarono un pandemonio che durò fino alle cinque del
mattino. Per tutta la notte, ho saputo, fu come guardare una rissa dentro un pollaio. Le penne
volavano, le creste e i bargigli sanguinavano, i coccodè assordavano, e lode al cielo se nessuno finì
al Pronto Soccorso. Poi, il giorno dopo, tornarono strillando che il mio Ambrogino avrebbe
inquinato il pluriculturalismo e contaminato la festa di Sant’Ambrogio. Che avrebbe dato alla
cerimonia del premio un significato anti-islamico, che avrebbe offeso i mussulmani e i premiati
della Sinistra. Quest’ultimi minacciarono addirittura di respingere le ambite medaglie d’oro e
promisero di inscenare una fiera dimostrazione contro la donna perversa. Infine il leader del Partito
di Rifondazione Comunista dichiarò: «Dare l’Ambrogino alla Fallaci è come dare il Premio Nobel
della Pace a George W. Bush».
Detto questo, onde rendere a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio, devo chiarire
qualcosa che certo dispiacerà ad alcuni o alla maggioranza di voi. Ecco qua. Io non sono un
Conservatore. Non simpatizzo con la Destra più di quanto non simpatizzi con la Sinistra. Sebbene
rifiuti ogni classificazione politica, mi considero una rivoluzionaria. Perché la Rivoluzione non
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significa necessariamente la Presa della Bastiglia o del Palais d’Hiver. E certamente per me non
significa i capestri, le ghigliottine, i plotoni di esecuzione, il sangue nelle strade. Per me la
Rivoluzione significa dire «No». Significa lottare per quel «No». Attraverso quel «No», cambiare le
cose.
E di sicuro io dico molti «No». Li ho sempre detti. Di sicuro vi sono molte cose che vorrei
cambiare. Cioè non mantenere, non conservare. Una è l’uso e l’abuso della libertà non vista come
Libertà ma come licenza, capriccio, vizio. Egoismo, arroganza, irresponsabilità. Un’altra è l’uso e
l’abuso della democrazia non vista come il matrimonio giuridico dell’Uguaglianza e della Libertà
ma come rozzo e demagogico egualitarismo, insensato diniego del merito, tirannia della
maggioranza. (Di nuovo, Alexis de Tocqueville...). Un’altra ancora, la mancanza di autodisciplina,
della disciplina senza la quale qualsiasi matrimonio dell’uguaglianza con la libertà si sfascia.
Un’altra ancora, il cinico sfruttamento delle parole Fratellanza-Giustizia-Progresso. Un’altra ancora,
la nescienza di onore e il tripudio di pusillanimità in cui viviamo ed educhiamo i nostri figli. Tutte
miserie che caratterizzano la Destra quanto la Sinistra.
Cari miei: se coi suoi spocchiosi tradimenti e le sue smargiassate alla squadrista e i suoi snobismi
alla Muscadin e le sue borie alla Nouvel Riche la Sinistra ha disonorato e disonora le grandi
battaglie che combatté nel Passato, con le sue nullità e le sue ambiguità e le sue incapacità la Destra
non onora certo il ruolo che si vanta di avere. Ergo, i termini Destra e Sinistra sono per me due viete
e antiquate espressioni alle quali ricorro solo per abitudine o convenienza verbale. E, come dico ne
La Forza della Ragione, in entrambe vedo solo due squadre di calcio che si distinguono per il colore
delle magliette indossate dai loro giocatori ma che in sostanza giocano lo stesso gioco. Il gioco di
arraffare la palla del Potere. E non il Potere di cui v’è bisogno per governare: il Potere che serve sé
stesso. Che esaurisce sé stesso in sé stesso.
di Oriana Fallaci
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