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Luca Somigli
ANTONIO ANIANTE
GELSOMINO D ARABIA
Introduzione di Alfredo Sgroi
Fossombrone (PS): Metauro, 2001. 119 pp.
on Gelsomino d Arabia, commedia del 1926 di Antonio Aniante
(pseudonimo scelto dal catanese Antonio Rapisarda per distinguersi
dall allora già noto Mario Rapisardi), la casa editrice Metauro
inaugura una nuova collana dedicata al teatro novecentesco d avanguardia
diretta da Paolo Puppa e programmaticamente intitolata Non solo
Pirandello . Come spiega una nota editoriale, la collana intende riproporre
opere un tempo popolari ma sulle quali nel secondo dopoguerra è scesa una
sorta di Alzheimer, una esplicita rimozione a favore di repertori antichi e/o
stranieri che meglio consentivano la presa di potere del palcoscenico ad opera
del regista
operazione facilitata dalla contiguità cronologica di molte
opere rimosse dal canone novecentesco col fascismo, che è spesso equivalsa ad
una inappellabile condanna ideologica. Il progetto si propone inoltre di
effettuare un recupero di opzioni avanguardistiche e sperimentali alternative e
complementari a quelle più note futurismo, grottesco e pirandellismo ,
privilegiando quindi testi eccentrici sul piano della lingua e sulla tipologia dei
generi . Una vittima di tale rimozione culturale è stata appunto l opera di
Aniante, difficilmente collocabile nel quadro dei più consolidati ismi della
tradizione letteraria. Alfredo Sgroi, in una articolata e ricca Introduzione
corredata anche da un utile cronologia della vita dell autore, ripercorre le
tappe fondamentali della carriera di Aniante il quale, dopo un esordio
inconclusivo su alcune riviste futuriste e futuristeggianti della seconda metà
degli anni dieci, si trasferí, come tanti altri esponenti dell avanguardia italiana,
a Parigi dopo la guerra. Nella capitale della cultura europea si avvicinò a dada
e surrealismo (le due etichette gli sarebbero rimaste poi attaccate, come quella
di futurista , anche se randagio , secondo la definizione di Luciano Bottoni)
e si dedicò al teatro con testi che però sembravano rivolgersi più al pubblico
borghese delle opere medievaleggianti alla Sem Benelli, con virate verso il
melodramma e il dannunzianeismo (9) che a quello delle simultaneità
futuriste o dell iconoclastia dada. Il suo primo dramma a venire messo in scena
fu Il Quinziano, basato sulla storia di Sant Agata, patrona di Catania: un
clamoroso fallimento in seguito al quale Aniante si trovò letteralmente
costretto ad abbandonare la città nativa e, cosa più importante, il terreno
evidentemente a lui non congeniale del dramma pseudo-storico. Intorno al
1925 si stabilí a Roma, dove iniziò una proficua collaborazione con il Teatro
degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia, per il quale scrisse, oltre a
Gelsomino d Arabia, sei commedie tra il 1926 e il 1930 (nel 26 fu anche
autore di Mezzuomo per Petrolini). Il teatro sperimentale di Aniante, giocato
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sulle corde del surreale e dell assurdo, ricevette il plauso convinto di Marinetti,
ma trovò poco spazio nel clima di ritorno all ordine degli anni 20; di
conseguenza, l autore abbandonò del tutto la scrittura drammaturgica e si
trasferí di nuovo in Francia, dove si dedicò alla narrativa e alla saggistica (fu
autore fra l altro di una biografia critica di Mussolini che gli valse non pochi
problemi con il regime). Tornò brevemente, e con qualche successo, al teatro
soltanto alla fine degli anni 50, con La rosa di zolfo, tratto dal suo romanzo
omonimo.
Gelsomino d Arabia è probabilmente la più fortunata delle commedie
scritte per Bragaglia, di alcune delle quali non solo non si hanno edizioni, ma
sono addirittura andati perduti i copioni. Si svolge, come molte delle opere di
Aniante, a Catania, o, meglio, come precisa una didascalia, alle falde del
Mongibello (45), ma il dato realistico serve soltanto ad enfatizzare,
antifrasticamente, la dimensione fantastica della vicenda di Gelsomino, la
bellissima moglie dell anziano scienziato Magonza ed amante di numerosi
altri personaggi (33, per la precisione), tra i quali il brigante Strapietra, il
Maresciallo Spaccone e il malandrino Crudo. Nel secondo atto, Gelsomino
seduce il venditore ambulante tripolino Karis-el-Mabul unico fra tutti i
personaggi maschili del dramma a resistere almeno parzialmente al suo
fascino ma l amplesso è interrotto dal ritorno di Magonza, che nell atto
precedente si era assunto la responsabilità dell aggressione al becchino
Beccamorto compiuta in realtà dalla moglie e che adesso è stato liberato di
prigione dalla folla e candidato alle elezioni comunali. L ultimo atto si svolge
il giorno in cui Gelsomino dà alla luce un figlio la cui paternità viene
rivendicata dai vari amanti. Spaccone e Strapietra ingaggiano un ridicolo
duello per decidere la questione, ma vengono interrotti dall arrivo di Magonza,
appena eletto sindaco, che naturalmente si ritiene il padre del bimbo. Questi
viene finalmente mostrato alla folla che, constato il fatto che il piccolo è nero,
grida al miracolo. In quel momento riappare il tripolino e il sipario cala proprio
mentre Magonza si scaglia su di lui e su Gelsomino brandendo la spada del
Maresciallo: una conclusione aperta che, come scrive Sgroi, dà la sensazione
che l autore abbia volutamente e provocatoriamente lasciato sospeso il finale
della commedia, come un sogno caotico che non si conclude quasi ad
esorcizzare il finale ritorno all ordine imposto dalla ragione e a volere lasciare
ancora aperta la porta all invenzione fantastica (28).
Gelsomino è una intelligente riproposizione dell archetipo decadente della
femme fatale, una sorta di Salomé di provincia capace di soggiogare gli uomini
più diversi grazie alla sua prorompente e ostentata sensualità. Costantemente
in perfetto controllo di sé e degli altri, la donna riduce i numerosi spasimanti a
marionette da manipolare a proprio piacimento, fino al punto di farli ululare e
latrare come animali pur di accontentare i suoi capricci. Ciò che la rende una
figura assolutamente inedita nel panorama non solo teatrale del modernismo
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italiano è la quasi completa mancanza di motivazioni che ne razionalizzino il
comportamento. Anche in Nostra Dea di Bontempelli, a cui Sgroi avvicina
opportunamente l opera di Aniante, la volubilità e l apparente amoralità della
protagonista trovava una giustificazione, per quanto ironica, nella suscettibilità
di Dea ai propri abiti: in Gelsomino d Arabia, al contrario, la protagonista
rimane una figura enigmatica, assolutamente aliena alle norme sociali, morali
e sessuali della comunità. Alternativamente celebrata come santa e vituperata
come bagascia dalle donne che costituiscono una sorta di coro che commenta
le vicende del dramma, Gelsomino non è in fondo altro che uno schermo sul
quale tutti gli altri personaggi proiettano i propri meschini desideri, trovando
quindi nella donna soltanto una immagine distorta di loro stessi. Come il
personaggio pirandelliano, Gelsomino è una, nessuna e centomila, ma,
diversamente da ciò che accade nelle opere del drammaturgo agrigentino,
rimane in controllo del gioco di rifrazioni e disseminazioni della propria
soggettività, che sfugge ed eccede le attese dei numerosi spasimanti.
Ennesimo esempio della vitalità e della dirompente originalità del filone
fantastico della letteratura italiana del primo Novecento, Gelsomino d Arabia
dimostra se mai ce ne fosse ancora bisogno che rimane ancora molto da fare
per articolare in tutta la sua complessità il nostro recente passato letterario.
Con Non solo Pirandello l editore Metauro si pone all avanguardia in questa
operazione di recupero e di storicizzazione.
LUCA SOMIGLI
University of Toronto,
Toronto, Ontario