Caro socio ti scrivo

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Caro socio ti scrivo
MILANO FINANZA
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20 Febbraio 2016
Ancora troppe le società quotate che limitano
il dialogo con gli azionisti a quando devono chiedere fiducia o nuovo
capitale. Prassi da rivedere, perché gli istituzionali sono in aumento
CORPORATE GOVERNANCE
di Manuel Follis
S
ulla corporate governance a Piazza Affari
c’è ancora molto da
lavorare e il listino
sembra spaccato in
due mondi: quello delle big company, che stanno progredendo
(pur se lentamente) verso modelli più virtuosi e quello
delle mid e small cap, che invece rimangono un mondo che
dialoga sempre a singhiozzo
con i propri azionisti. Il tema
tra qualche settimana tornerà d’attualità, visto che con
la progressiva chiusura e comunicazione sui bilanci del
2015 arriverà a stretto giro
il tempo dell’approvazione in
assemblea, il vero momento di
confronto tra i soci. Un mese
fa è stata la Consob a fornire
una fotografia del mercato nel
rapporto sulla corporate governance italiana, che ha rilevato
i cambiamenti all’interno delle società quotate a fine 2014.
Caro socio ti scrivo
Fabio
Bianconi
Da quell’indagine emergono
miglioramenti nel panorama
italiano, con alcune caratteristiche che varrebbe la pena
prendere in considerazione.
Sembra infatti ancora poco
esplorato il tema della differenza delle pratiche di corporate
governance tra blue chip e resto del mercato (soprattutto
mid cap) che è la parte del
listino che paradossalmente avrebbe maggior bisogno
di attrarre capitali e quindi
di «invogliare» gli investitori istituzionali a partecipare
all’equity. Una recente analisi
di Sodali, società internazionale specializzata in attività
di corporate advisory, attività assembleare e proxy, che ha
preso in considerazione le 40
società del Ftse Mib e 110 società del Ftse Mid Cap, mostra
in maniera evidente queste criticità. Quello che emerge è che
in sostanza le società si preoccupano di dialogare con i loro
azionisti solo quando si tratta
di chiedere fiducia, cioè prin-
cipalmente in occasione di
aumenti di capitale. «In molte situazioni manca proprio
il cosiddetto engagement con
gli investitori soprattutto su
tematiche di governance e gestione del rischio», spiega a
MF-Milano Finanza Fabio
Bianconi, director di Sodali,
che ha elaborato la ricerca, «e
non essendo una priorità tale
comunicazione, le società non
si pongono il problema di come andrebbe fatta». Il rischio,
prosegue, «non è nell’immediato ma più nel medio-lungo
periodo. Gli investitori possono perdere interesse per una
società che, al di là di target
e piani industriali, non dia
sufficienti garanzie sull’investimento fatto».
Il treno passa adesso, visto
che numeri alla mano, prendendo in considerazione oltre
600 verbali assembleari, emerge che negli ultimi anni gli
investitori istituzionali hanno iniziato a credere nelle mid
cap. Tra il 2013 e il 2015 si è
registrato, in media, per il Ftse
Mib un aumento della quota degli azionisti istituzionali
del 5,7%, mentre le società del
Ftse Mid Cap hanno registrato un aumento più marcato,
del 6,3%. Il dato va però letto nel lungo termine, per la
maggior parte infatti si tratta di investment advisors, cioè
investitori che gestiscono fondi pensione e quindi applicano
schemi di investimento prudenti. Quello che trovano una
volta che prendono posizione
sul listino sarà determinante per il futuro. «Molte società
però ancora prevedono l’assegnazione di pochi posti in
consiglio dedicati alle minoranze, anche se in media queste
minoranze hanno una presenza del 25% nell’azionariato»,
spiega Bianconi. Tanto più, aggiunge, «che spesso l’obiettivo
finale è poter mettere a disposizione del board le proprie
skills, le competenze». Il vento
comunque sta cambiando, visto che la stessa Assogestioni
nel 2015 ha dichiarato di voler
avere una presenza maggiore nella composizione dei cda
delle mid cap. Così, mentre nel
2014 Assogestioni aveva candidato solo un membro di un
collegio sindacale (Brembo),
nel 2015 ha presentato suoi
candidati per il cda di nove
società e per il collegio sindacale di 10 aziende. Diverso il
discorso nel caso degli azionisti strategici, quindi quelli che
hanno nella maggior parte dei
casi il controllo delle aziende.
MILANO FINANZA
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LOMBARD STREET
VOTO DELLE MINORANZE SU SAY ON PAY (GIUDIZIO SUI COMPENSI)
Dati medi
FTSE MIB
64,4%
57,8%
2012
2013
Home sweet home per FT
FTSE MID CAP
74%
74,6%
2014
2015
67,5%
70,3%
66,9%
2012
2013
2014
63,1%
2015
RACCOMANDAZIONI FAVOREVOLI DEI PROXY ADVISOR - SAY ON PAY
FTSE MIB
61%
65%
2012
2013
67%
2014
FTSE MID CAP
69%
2015
52%
55%
2012
2013
56%
53%
2014
2015
Fonte: Team Sodali Research
GRAFICA MF-MILANO FINANZA
Tra il 2012 e il 2015 si è infatti registrato, in media, un calo
della quota degli azionisti di riferimento pari al 5% per il Ftse
Mib mentre solo del 3% per il
Ftse Mid Cap, a testimonianza
del fatto che i grandi gruppi si
stanno abituando a condividere maggiormente il rischio.
Se da queste rilevazioni si
passa invece al «say on pay»,
cioè al giudizio sui compensi, le
cose cambiano drasticamente.
«Si tratta del voto più diretto
nei confronti dell’ad», spiega
Bianconi, «e se da un lato abbiamo un aumento medio del
consenso per le società appartenenti al Ftse Mib, siamo ai
minimi storici per quelle del
Mid Cap. Questo significa che
le società più piccole non si sono ancora poste il problema di
come affrontare le politiche di
remunerazione». In maniera
direttamente proporzionale si
muovono le raccomandazioni
favorevoli da parte dei principali proxy advisor. «Nelle
società del Ftse Mid Cap in un
caso su due votano contro, un
voto che potrebbe assumere
una sfumatura di dissenso più
ampio non solo nei confronti
del management», spiega ancora il responsabile del mercato
Italia di Sodali. E così si torna
a considerazioni dal sapore antico: dove ci sono azionisti più
forti c’è poca considerazione
del mercato. Va detto però, sottolinea Bianconi, «che ci sono
casi isolati di grande apertura come è stato quello di Tod’s,
che nel caso dell’acquisizione
del marchio Roger Vivier dalla
finanziaria Guisson ha applicato la procedura cosiddetta
whitewash, mostrando un’incredibile apertura al mercato
e incassando l’apprezzamen-
di Giovanni Barbara - partner KStudio associato (Kpmg)
to del 99,4% degli azionisti.
Sintomatico che nessun socio
internazionale abbia votato
contro». In molti altri casi non
si vogliono invece condividere le scelte con gli azionisti di
minoranza. Ma chi è più sensibile? «Normalmente sono le
società più esposte sui mercati internazionali», è la risposta,
«quindi più abituate ad avere a
che fare con benchmark globali, come possono essere Safilo,
Interpump o Engineering». E
quelle invece da mettere dietro la lavagna? «Sono molte:
tra quelle in cui la stragrande
maggioranza delle minoranze ha votato contro la politica
di remunerazione ci sono Beni
Stabili, Erg, Diasorin, Piaggio».
(riproduzione riservata)
Quotazioni, altre news e analisi su
www.milanofinanza.it/governance
ROSSO & NERO
Gli obblighi sui sindaci dimissionari
N
uovi contributi precisano i delicati aspetti
pubblicitari relativi alla cancellazione dal
registro delle imprese dei sindaci cessati. Una circolare del 9 febbraio (3687/C del Mise)
fornisce chiarimenti sui sindaci dimissionari e
sulle modalità di iscrizione della cancellazione
nel registro delle imprese in caso di inerzia degli
amministratori. Entro 30 giorni dalla cessazione dalla carica del sindaco gli amministratori
della società devono richiederne la cancellazione dal registro delle imprese. L’obbligo, così come
previsto dall’art. 2400, comma 3, c.c., è stato collocato dal legislatore in capo agli amministratori.
Questo fa sì che nell’inerzia pubblicitaria dell’organo amministrativo i sindaci cessati dall’incarico
si ritrovino spettatori inermi di due conseguenze:
una di ordine sanzionatorio (articolo 2630 del c.c.),
da 103 a 1.032 euro, e l’altra di ordine pubblicitario, connessa alla non opponibilità degli effetti
della cessazione dell’ufficio dei sindaci nei confronti dei terzi. Non solo. Il mancato adempimento
della trascrizione nel registro delle imprese entro 30 giorni determina poi per gli ex sindaci
una spiacevole situazione trovandosi prigionie-
ri di una responsabilità nei confronti dei terzi.
Come risolvere questo impasse normativo? Il
Mise ha sottolineato che laddove l’organo amministrativo non provveda per tempo alle iscrizioni,
il sindaco dimissionario può richiedere l’iscrizione
al registro delle imprese facendo ricorso all’articolo 9 della legge 241/90 che consente a chiunque
ne abbia interesse di intervenire nei procedimenti, laddove ne possa avere un pregiudizio.
Coerentemente con la normativa di settore e in
linea con la norma di comportamento del Cndcec
1.6 (pubblicità della cessazione), il Mise ha così
richiamato l’attenzione dei sindaci sulla possibilità dell’esperimento del procedimento di iscrizione
d’ufficio secondo le regole dettate dall’art. 2190
c.c. Con la sua applicazione verrebbe garantito
all’ex sindaco la possibilità di richiedere all’ufficio di avviare il procedimento di cui all’art. 2190
c.c. e potersi così tutelare verso terzi. La posizione del Mise, abbracciando la tutela del mercato,
assicurata attraverso la tutela dell’affidamento,
rimessa all’esatta e puntuale compilazione del registro delle imprese, potrebbe diventare così ben
presto vincolante per i registri delle imprese.
Nikkei Group, la casa editrice giapponese proprietaria del
Financial Times, ha annunciato questa settimana che Bracken
House, storico palazzo della fine degli anni 50 all’ombra della cattedrale di Saint Paul, sarà la futura sede del rinomato
quotidiano finanziario a partire dal 2018. Si tratta a tutti gli
effetti di un ritorno a casa per il FT: l’edificio venne infatti originariamente
eretto per ospitare
la redazione della Pink’un dopo la
sua fusione con la
testata concorrente Financial News,
avvenuta nel 1945,
e rimase il suo quarBracken House a Londra
tier generale fino al
1989. In quell’anno,
la testata traslocò nell’attuale sede sulla riva sud del Tamigi,
dall’altro lato di Southwark Bridge, che è però rimasta nella
disponibilità del gruppo Pearson dopo il recente passaggio di
proprietà del quotidiano salmonato. Disegnato da Sir Albert
Richardson, il palazzo di quasi 19 mila metri quadri è costruito in pietra arenaria rosa in onore del newspaper della
City e deve il suo nome al visconte Brendan Bracken, ministro dell’Informazione del governo di Winston Churchill
durante la Seconda Guerra Mondiale. Il figliol prodigo dell’informazione anglosassone è tornato a casa.
Instrumental
La Royal Opera House di Londra ha annunciato nelle scorse
settimane i nominativi dei partecipanti alla prossima edizione del Jette Parker Young Artist, programma volto a far
crescere professionalmente migliori talenti lirici internazionali. Per il secondo anno consecutivo non figura alcun artista
italiano, a testimonianza di come il mercato internazionale
dell’opera sia diventato più competitivo e non più appannaggio quasi esclusivo di un’unica scuola, quella italica, un
tempo ritenuta la casa della lirica dato il suo glorioso passato. Secondo il parere del maestro genovese Marco Armiliato,
l’Italia ha vissuto una sorta di effetto Roger Federer, che ha
visto molti giovani seguire le orme di una stella mondiale ispirati dal suo successo. Nella conduzione d’orchestra,
Arturo Toscanini prima, Claudio Abbado e Riccardo
Muti poi, hanno influenzato molti giovani capaci, che con
duro lavoro e sacrificio sono arrivati ai vertici della lirica internazionale. Tra loro, Gianandrea Noseda, recentemente
nominato direttore della National Symphony Orchestra di
Washington, Nicola Luisotti dell’Opera di San Francisco,
e Corrado Rovaris dell’Opera di Philadelphia. Questo non
si è tuttavia ripetuto nel canto lirico, disciplina che, pur non
essendo priva di giovani talenti italiani, dalla scomparsa
di Luciano Pavarotti non riesce a far emergere un professionista di riferimento di rilevanza mondiale in grado di
stimolare la futura generazione di tenori e soprani. Complice
anche la crisi del settore teatrale, il futuro presenta qualche
nota dolente per le arti liriche italiane.
Reply: cogito, ergo sviluppo
La multinazionale della consulenza informatica Reply ha
aperto questa settimana a Gütersloh, importante centro industriale nella Renania Settentrionale-Vestfalia, il primo
Design Thinking Lab per lo sviluppo di soluzioni innovative
nel campo dell’Internet degli Oggetti e della trasformazione
digitale. Importato in Europa da Hasso Plattner, fondatore
del gigante tedesco dell’informatica Sap il design thinking è
un metodo dedicato alla risoluzione di problemi in maniera
creativa e pratica, applicato inizialmente nel mondo del design e dell’architettura e allargatosi progressivamente agli
altri ambiti tra l’inizio degli anni 70 e la fine degli anni 80
sull’asse Stanford-Harvard. Il laboratorio di Reply fornisce
agli stakeholder interni ed esterni all’azienda l’ambiente
e gli strumenti ideali per la risoluzione delle sfide aziendali tramite lo sfruttamento del potenziale messo a loro
disposizione dall’Internet degli Oggetti, ambito nel quale
il gruppo guidato da Tatiana Rizzante vanta una grande expertise, grazie al proprio centro di R&D dedicato e
la collaborazione con importanti partner accademici e industriali, come l’università di San Gallo, Thyssen Krupp
e Sap. Let’s design the future.
Egerdon Pelham - [email protected]