apocalisse prologo 19 dicembre 2010 doc

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apocalisse prologo 19 dicembre 2010 doc
Testo del ritiro spirituale di Dicembre 2010
Brani tratti da: ADRIENNE VON SPEYR,
L’Apocalisse. Meditazione sulla rivelazione nascosta,
Jaca Book Milano 1983.
Prologo
 1,1: Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render conto ai suoi servi le cose
che devono presto accadere, e che egli manifestò inviando il suo angelo al suo servo
Giovanni.
 L’Apocalisse è una rivelazione che Dio Padre ha riservato all’apostolo prediletto del
Figlio e che gli comunica per la via della visione. Egli ha scelto questa via, affinché
nella chiesa non sorgesse l’impressione che la rivelazione di Dio è diventata un
passato inefficace, ma assumesse una forma duratura negli uomini attraverso la
vitalità della grazia del Figlio e si dischiudesse in modo nuovo ad ogni generazione
che la incontra.
 L’Apocalisse
non si contrappone al Vangelo, ma è una specie di ampliamento e di
traduzione della sua verità su un altro piano: mentre là la verità celeste appare in
terra e può essere contemplata, qui la verità sull’aldiqua viene illustrata dall’aldilà.
Qui il cielo si apre continuamente e manifesta attraverso tale apertura la sua verità.
 Solo i credenti possono esserne colpiti. Per accogliere l’Apocalisse si presuppone la
fede ferma comunicata dal Vangelo, che accoglie la vitalità della rivelazione nella
forma di una realtà in continuo avvento e imminente.
 In secondo luogo Dio ha scelto questa via affinché tutti i cristiani, pure quelli che non
ricevono visioni, sapessero che la sua verità conserva sempre anche un lato assoluto,
totalmente ultraterreno. Nel Vangelo la verità di Dio ha assunto veste umana; era
possibile avvicinarla, ascoltarla, farle domande, vivere umanamente con essa, essere
da lei introdotti nei misteri.
 Invece
nell’Apocalisse non si dà alcuna relativizzazione, alcuna possibilità di
intrattenersi umanamente con i portatori della rivelazione – gli angeli, i cavalieri, gli
animali – e di entrare in relazione con essi.
 La verità è proposta in forma assoluta, piena, compiuta. Pure gli eventi, le battaglie
descritte non sono brani del divenire reale e storico, bensì sguardi gettati su cose che
sono già state ottenute e stabilite da lungo tempo nell’assoluto.
 Ogni
divenire descritto dall’Apocalisse è sempre anche un passato visto dalla fine.
Esso viene presentato contemporaneamente come in divenire e come concluso.
Questo elimina ogni concetto terreno del tempo e rende impossibile ogni
interpretazione temporale delle visioni. Non esiste alcun io e tu, nessuna vita reale,
nessuna possibilità di avvicinarsi all’evento o inserirvisi.
 Oltre al tempo è eliminato pure lo spazio. Quel che avviene non si verifica né in cielo
né in terra, ma in un terzo luogo intermedio non precisabile e non appartenente a
nessuno dei due. Dove si trova la grande Babilonia? E gli angeli?
 Si trovano in uno spazio proprio, che ha una sua verità: una verità che non è né la
verità della terra reale, né del cielo reale e che tuttavia indica un campo della verità
assoluta di Dio. Perciò non può neppure essere mostrata alla creatura così com’è in
se stessa, ma solo nell’estasi.
 Esistono
vari piani della verità, che sono confinanti senza coincidere. Potrebbe
succedere per esempio che un mistico, che si trova in una stanza con un’altra
persona, veda là visionariamente anche un celeste. Egli li vedrebbe ambedue –
l’uomo terreno e il celeste – contemporaneamente e in maniera senz’altro oggettiva,
benché l’altro non veda l’uomo celeste. E di quest’ultimo non si potrebbe dire che ora
si trova in terra, perché quell’altro che non lo vede, possiede la misura del terreno.
Ma neppure si potrebbe dire che egli si trovi in cielo, perché viene visto nello stesso
spazio terreno come qualsiasi altro uomo.
 L’Apocalisse è rivelazione di Gesù Cristo non nel senso di una descrizione di lui, ma di
un suo stato, di uno che osserva terra e cielo e può cogliere da un unico punto di
osservazione sia la verità terrena che quella celeste. Si tratta di un mistero
cristologico, aperto con l’incarnazione, cui egli può far partecipare i suoi credenti e
che qui comunica per primo nell’amore a Giovanni.
 Tale possibilità di vedere il cielo e la terra dallo stesso punto di osservazione non è
data in ogni forma di visione. Giovanni si colloca tra cielo e terra, contraddistinto da
un’oggettività senza riserve. La realtà personale è sospesa e sottratta; l’osservatore
diventa un puro strumento di registrazione.
 Egli prova sì dei sentimenti, ma tali sentimenti non sono quelli della vita vissuta, della
quotidianità terrena, bensì stati d’animo oggettivi e assoluti, puri, che son una parte
degli stessi eventi visti e uditi. Tutta la sfera del temperato, dell’umanamente
moderato – con i suoi inizi, moti, tentazioni e influssi – è tagliata fuori.
 L’Apocalisse
non è neppure rivelazione di Gesù Cristo nel senso di una rinnovata
auto-espressione del Figlio. In primo luogo è esclusa la sfera corporea e sensibile,
con i suoi toni e le sfumature, ma esclusi sono pure ogni aspirazione, ogni desiderio e
addirittura ogni decisione spirituale. Il veggente non deve compiere alcuna scelta.
Come se egli non avesse rapporto con la rivelazione stessa che porta.
 Il
servizio di Giovanni è puro e assoluto ed egli si dice servo e schiavo. Poiché il
servizi puro suppone il disinteresse assoluto, e questo a sua volta l’amore assoluto,
tale missione – l’ultima e conclusiva della nuova alleanza – viene affidata al discepolo
prediletto.
 Si
tratta di una forma dell’indifferenza non raggiungibile con sforzi umani. Con la
meditazione, la preghiera, la rinuncia, unitamente alla grazia, è possibile pervenire
ad una certa indifferenza, in cui uno cerca di non voler più una cosa rispetto all’altra.
 L’amore reciproco tra il Signore e Giovanni aveva portato quest’ultimo all’indifferenza
di preferire a qualsiasi cosa la volontà del Signore. Egli era pervenuto a tale
atteggiamento non senza la propria collaborazione. Tale sua indifferenza viene ora
utilizzata come punto di partenza per trasporlo in un’altra indifferenza, necessaria per
la visione apocalittica.
 Tale nuova forma viene donata; Giovanni vi perviene non attraverso la rinuncia alla
propria scelta, ma viene da essa scelto e assunto. Ogni sforzo da parte suo è escluso.
Se la prima era un’offerta aperta a tutto, ora Dio si prende da questo tutto qualcosa,
che Giovanni non sapeva.

Il Padre ha dato questa rivelazione al Figlio. Essa è un dono che perfeziona e corona
il sacrificio d’amore del Figlio. Perciò l’indifferenza imposta a Giovanni non è uno stato
escogitato per lui in quanto uomo, ma è una funzione del Figlio, una parte del dono
che il Padre trasmette al Figlio.

Alla sua base c’è l’amore del Figlio, che dona tutto in una volta così perfettamente
che non rimane alcunché, neppure il piacere e la pretesa di voler disporre
autonomamente del frutto e del risultato della passione. Quest’amore compare
nell’Eucaristia, dove egli rimane disponibile per Dio e per il mondo, per ogni spazio e
ogni tempo.

L’amore del Figlio è spogliamento così perfetto di tutto il proprio da essere
indifferenza assoluta tra cielo e terra. A questa indifferenza del Figlio, che è il
Vangelo, il Padre risponde con la rivelazione al Figlio, con l’Apocalisse, in cui
consegna il potere delle chiavi su tutte le cose e condizioni tra cielo, terra e inferno,
su tutta l’Antica Alleanza del Padre e tutto il giudizio della giustizia a lui riservato.

Nel Vangelo il Figlio percorre come uomo un’unica via, la via del creato, mentre ora
Dio gli mostra e gli dona tutte le vie, la via dell’increato.


Nel cammino compiuto in terra il Figlio ha portato nel mondo le possibilità della vita
cristiana, tutta la molteplicità delle vie per vivere come uomo nell’amore tra Padre e
Figlio.
Ora il Padre mostra al Figlio dal cielo l’illimitatezza in generale, che però divenne in
un certo senso libera e modellabile solo con la sua incarnazione. Egli non gliela
mostra nello stato della partecipazione, della sofferenza, dell’amore, come è
avvenuto all’interno dell’incarnazione, e neppure nell’oscurità dell’inferno, come nel
Venerdì santo, bensì al termine di tutto l’ordine dell’incarnazione, là dove tutte le
possibilità differenziate sono compiute e integrate.
 Al


termine estremo dell’amore del Figlio al Padre inizia l’Apocalisse al Figlio. È il
coronamento dell’indifferenza, in cui tutte le differenze dell’amore sono pienamente
compiute. Umanamente una simile indifferenza della pienezza è inconcepibile, perché
la sospensione dell’amore nell’indifferenza ci appare umanamente come una
mancanza d’amore, che dovrebbe necessariamente includere il desiderio di un amore
nuovo e più grande.
Le grazie mistiche della visione e del’esperienza di cose celesti o ultraterrene, che Dio
comunica per mantenere viva la fede cristiana nel mondo e comunica in missioni
particolare, appartengono alla sfera assoluta e in sé permanente della verità di Dio.
Tali grazie stanno in rapporto con la chiesa: si diramano nella vita ecclesiale, si
mantengono in costante rapporto con il dogma, rimangono collegate con la vita
morale. Ma esse appartengono alla sfera trascendente di Dio. Esse sono in una sfera
chiusa in sé, cui non conduce alcun passaggio continuo, bensì solo un salto dalla
quotidianità cristiana.
 L’Apocalisse
è una spiegazione del Vangelo
nell’incomprensibile del Dio sempre più grande.
che
fa
esplodere
l’umano
 Quando Giovanni vede nell’Apocalisse il Figlio dell’uomo, il modo in cui egli compie
opere della pura giustizia ordinategli dallo Spirito, questa visione ha senz’altro una
verità oggettiva. Ma tale verità ha un carattere completamente diverso, per esempio
dalla verità della risurrezione di Lazzaro.
 Questo
fu un evento valido per tutti, a tutti accessibile, verificabile sulla base di
testimonianze terrene anche da parte di chi non vi aveva assistito. Tutte le cose
narrate nei Vangeli sono vere secondo una chiave valida per tutti.
 Invece la verità delle visioni è valida in un primo momento solo per colui che la vede,


e precisamente secondo l’estensione e il contenuto che viene mostrato. Per gli altri le
visioni diventano vere soltanto attraverso la mediazione del veggente.
Questo però non significa che la verità della visione sia vera unicamente per il
veggente. Essa è vera in se stessa nella misura in cui si tratta di una visione genuina.
Questo la distingue dall’allucinazione di un malato psichico, le cui visioni sono vere
solo in lui e per lui.
Ogni visione autentica è parte di un compito affidato al veggente, ed essa gli viene
comunicata in modo da acquisire il proprio senso in ordine a tale compito.
Considerata in se stessa, essa è solo una verità parziale, e chi la sperimenta non può
volerla completare all’interno di se stessa.
 Pertanto egli non può, ad esempio, voler sperimentare più di quanto gli viene offerto,
ma deve lasciare trasmettere la verità oggettiva della visione così come gli è stata
presentata.
 Se
deriva da Dio, essa è sempre in compimento di qualche intenzione divina. Tale
compimento non sta nella persona che la riceve e che non può considerarla
successivamente come appartenente a lei. La visione autentica è cattolica: essa va
dalla chiesa alla chiesa e serve alla vita della chiesa.
 Il veggente e la realtà contemplata nella visione costituiscono una unità, un contesto
di verità, che ha un determinato scopo e senso. Ma la verità qui incarnata è una
verità parziale orientata a un contesto più grande, e la verità del senso esprimentesi
nella visione non ha bisogno di realizzarsi letteralmente all’interno della verità totale.
 Una verità parziale può e deve sempre essere inserita in un contesto più grande, e
qui essa può cambiare totalmente il proprio senso.

Le visioni possono contenere una verità parziale, il che non significa che la loro
parzialità sia o debba essere condizionata dalla soggettività o limitatezza del soggetto
che le riceve.

Tale parzialità, quando la visione viene da Dio, è del tutto indipendente dal peccato
fintanto che il veggente l’accoglie in pura obbedienza e non mette avanti la propria
soggettività. Se egli facesse questo, la visione verrebbe subito deformata nella sua
oggettività. Il veggente non sarebbe più oggettivo, ma proietterebbe nell’immagine la
soggettività del proprio peccato e falsificherebbe il tutto.
 Ma Dio è capace di servirsi di un veggente, come se questi avesse la possibilità di
essere oggettivo. Nella misura in cui egli è realmente così, la sua soggettività può
intervenire utilmente e colorare addirittura la visione.
 Il veggente deve dedicarsi con tutta


la propria personalità alla visione donatagli, e
tale dedizione della propria capacità soggettiva di vedere lo aiuta a capire meglio.
Il contenuto della visione è stabilito da Dio, e nel compito è implicito che esso va
comunicato in maniera cattolica. Esso è vero nel contesto ecclesiale e partendo da
qui deve essere vero per il peccatore.
Qualora si tratti della visione della pura giustizia vendicativa divina, il contenuto di
tale visione possiede una verità fondata in Dio e valevole per la chiesa e non soltanto
il senso di una misura pedagogica per spaventare il peccatore. All’interno della
visione comunicata da Dio non è possibile procedere semplicemente a complementi e
sintesi, finché la minaccia del giudizio appare come un’ipotesi innocua. La sintesi


finale di tale giudizio con l’amore è riposta totalmente in Dio , in un luogo a noi
inaccessibile.
Le visioni dell’Apocalisse sono concesse a Giovanni e da lui accolte all’interno di un
compito d’amore. Egli può vedere quel che vede perché è amato e ama. Tutta
l’amicizia di Giovanni per il Signore conserva sempre i tratti dell’amore più rispettoso
di Dio, e questo tinge dei colori dell’amore l’amicizia.
Solo sullo sfondo di questa situazione è possibile comunicare la verità oggettiva delle
visioni, perché solo in forza del suo amore per Dio Giovanni è in grado di essere tanto
oggettivo da accogliere e trasmettere la verità che vede così come l’ha accolta.