Aerodinamica

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Aerodinamica
Massimo Bucca matr. 644978
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Aerodinamica
martedì 2 ottobre 2001
Su un’ala agisce la forza aerodinamica, questa può essere scomposta lungo due
direzioni preferenziali, che sono la direzione normale e parallela alla direzione che il
fluido che incontra la nostra ala ha a monte dell’ala stessa.
L
V∞
F
D
Le componenti della forza aerodinamica vengono chiamate portanza e resistenza, e
s’indicano con le lettere L e D. Definiamo come portanza la componente normale alla
direzione del vettore velocità della forza aerodinamica, e resistenza la componente
parallela alla direzione del vettore velocità asintotica.
Abbiamo visto dal corso di fluidodinamica che il mezzo più sofisticato per studiare
un fluido e quindi anche un corpo immerso in esso, sono le equazioni di NavierStokes. Queste ci permettono di conoscere tutte le variabili fluidodinamiche che
entrano in gioco nel fenomeno, ma sebbene sono un mezzo molto potente, sono nello
stesso tempo un mezzo poco pratico per l’enorme costo computazionale che ne segue
per risolverle in modo soddisfacente.
Allora si è costretti a scendere a dei compromessi, in pratica introdurre dentro il
nostro modello delle semplificazioni che ci permettono comunque di arrivare a dei
risultati soddisfacenti.
Le semplificazioni più importanti che andremo a fare per studiare il nostro sistema
fluidomeccanico sono due:
• Andremo a trascurare la comprimibilità del fluido,
• E/o andremo a trascurare la viscosità del fluido.
Sappiamo che il gruppo adimensionale che regola la comprimibilità in un fenomeno
fluidodinamico è il numero di Mach, cioè
Ma =
V∞
a∞
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dove con V∞ si indica la velocità asintotica e con a∞ si è indicata la celerità del suono.
Possiamo affermare che più alto è il numero di Mach più alta sarà la dipendenza del
fenomeno fisico dalla comprimibilità. Anzi possiamo dire che il nostro fenomeno può
essere chiamato subsonico se il Ma ≤ 1, sarà supersonico se il 1 ≤ Ma ≤ 4, sarà infine
ipersonico se il numero di Mach è maggiore di 4.
Tutti i fenomeni con numero di Mach compresi fra 0.3 e 1 vengono anche chiamati
transonici. Comunque possiamo dire che l’effetto della comprimibilità comincia a
farsi sentire proprio da Ma = 0.3.
Noi nel nostro studio partiremo dallo stato più semplice possibile cioè da Ma = 0.
Abbiamo visto che l’altra semplificazione che andiamo ad apportare al nostro
modello è quella di fluido non viscoso. Sappiamo che questa nella realtà è una non
verità, infatti non esistono dei fluidi in cui la viscosità non faccia sentire i suoi effetti,
ma possiamo dire che in alcuni questo effetto è trascurabile.
Il gruppo adimensionale che tiene conto degli effetti della viscosità è il numero di
Reynolds, definito come
Re =
V∞ L
ν .
Dal numero di Reynolds capisco che gli effetti della viscosità si annullano, o per lo
meno diventano infinitesimi, quando il numero di Reynolds tende a valori molto
grandi. Questo però non vuol dire che in tutta la corrente questi effetti siano
trascurabili.
Infatti nelle immediate vicinanze di un contorno solido, e soprattutto dentro lo strato
limite il numero di Reynolds non supera mai l’unità, quindi localmente gli effetti
della viscosità sono tutt’altro che trascurabili.
Da un punto di vista analitico succede che quando Re tende ad infinito, i termini alle
derivate seconde delle N-S scompaiono, quindi le nostre equazioni si abbassano di
esattezza. Questa dev’essere riacquistata con l’inserimento del modello dello strato
limite, in cui sono descritti in modo sufficienti gli effetti locali della viscosità.
Si badi bene che rinunciare alla viscosità ci porta a non poter più utilizzare la
condizione di perfetta adesione alla parete solida, cioè V(c) = 0.
Un’altra semplificazione che faremo è che il campo di moto sia irrotazionale.
Questa semplificazione ci porta ad eliminare un altro problema che può sorgere
considerando dei corpi che lasciano una scia notevole.
Infatti in questa tutte le condizioni e tutti gli strumenti analitici che andremo ad
utilizzare non valgono più, quindi supporremo che la scia sia “sottile”.
Fortunatamente i profili di cui ci dobbiamo occupare hanno un bordo d’uscita molto
aguzzo e se utilizzati con angoli d’incidenza ragionevoli, questo ci permette di essere
abbastanza coerenti con il fatto che la scia debba essere molto sottile.
Essendo molto sottile possiamo pensare che essa sia, nella trattazione analitica,
comparabile ad una retta, cioè una specie di discontinuità del campo di moto che per
il resto è irrotazionale.
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Prima di entrare nel complesso campo dell’aerodinamica, conviene fare una piccola e
veloce trattazione sul calcolo tensoriale.
Definiamo vettore una grandezza fisica caratterizzata da tre numeri che cambiano al
variare del sistema di riferimento come cambierebbero le componenti del vettore in
senso geometrico.
Consideriamo un vettore v di componenti vi, se ipotizziamo un cambiamento di
sistema di riferimento, non facciamo altro che utilizzare una matrice di rotazione,
cioè
3
vi = ∑ Rij v′j ,
j =1
la sommatoria degli Rij sono 9 numeri che regolano la rotazione, non sono tutti
indipendenti, ma essendo la matrice di rotazione simmetrica, solo 6 sono
indipendenti.
Proviamo adesso che sia v che v′ sono uguali, per fare ciò basta verificare che hanno
la stessa lunghezza,
3
⎛ 3
⎞⎛ 3
⎞
⎜
⎟
′
′
l = ∑ vi ⋅ vi = ∑ ⎜ ∑ Rij v j ⎟⎜ ∑ Rik vk ⎟ = ∑ Rij Rik v′j vk′
i =1
i =1 ⎝ j =1
⎠ i , j ,k =1
⎠⎝ k =1
3
3
3
∑R R
definito però
i , j ,k =1
ij
ik
= δ jk
si ottiene
3
l = ∑ vk′ ⋅ vk′ .
k =1
Il nostro scopo principale è quello di introdurre delle grandezze che non dipendono
dal nostro sistema di riferimento. Il prodotto vettoriale è pseudo-invariante.
Possiamo dimostrarlo facilmente, infatti
3
⎛ 3
⎞⎛ 3
⎞
u ⋅ v = ∑ u i ⋅ vi = ∑ ⎜⎜ ∑ Rij u ′j ⎟⎟⎜ ∑ Rik vk′ ⎟ = ∑ Rij Rik u ′j vk′ =
i =1
i =1 ⎝ j =1
⎠ i , j ,k =1
⎠⎝ k =1
3
3
si vede che non dipende dal sistema di riferimento.
3
∑δ
j , k =1
3
jk
u ′j vk′ = ∑ u k′ vk′
k =1
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mercoledì 3 ottobre 2001
Consideriamo una funzione scalare f e un vettore v, possiamo trovare una relazione
lineare che mette in relazione il vettore e la funzione scalare, tramite 3 coefficienti ci:
3
f = ∑ ci vi = c ⋅ v
i =1
se invece noi vogliamo andare a trovare una relazione che ci lega un vettore f ad un
altro vettore v, notiamo che i coefficienti che entrano in gioco nella relazione sono
diventati 9,
3
f i = ∑ cik vi
k =1
Dobbiamo capire come variano questi 9 coefficienti in modo da stabilire con
esattezza se questa relazione sia o meno invariante. Portata in un altro sistema di
riferimento abbiamo:
3
∑R
ih
h =1
3
3
sapendo che
f l′ = ∑ δ lh f h′ =
h =1
3
k =1
j =1
f h′ = ∑ cik ∑ Rkj v′j
∑ Ril Rih f h′ =
i ,h =1
3
3
3
∑R c ∑R
i ,k =1
il ik
j =1
kj
v′j
3
∑ Ril Rih f h′
i , h =1
3
e definendo
∑R c
i ,k =1
il ik
Rkj = clj′ (*) si
ottiene,
3
f l′ = ∑ clj′ v′j
j =1
I coefficienti non sono arbitrari ma devono seguire la regola data dalla relazione (*),
sicuramente posso affermare che se posso farlo allora posso cambiare il sistema di
riferimento senza problemi.
Adesso andiamo ad elencare alcune operazioni fra grandezze tensoriali che sono
invarianti:
•
a = b⋅c
•
a = bc
cioè a ij = bi c j
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()
Tr c = s =
• contrazione di un tensore, o traccia di c
• doppio prodotto tensoriale
s=bc=
5
3
∑c
i =1
ii
3
∑b c
i , j =1
ij ij
Gli approcci allo studio di un fluido possono essere portati da un punto di vista
macroscopico o da un punto di vista microscopico. Quello che noi useremo sarà
macroscopico, ma malgrado sia macroscopico esso si baserà e si fonderà con una
visione microscopica.
Se andiamo a considerare il nostro sistema fluido come una massa costituita da
singole particelle possiamo incorrere in dei problemi, il più grosso dei quali è quello
di scoprire che i nostri risultati non servono a niente, cioè abbiamo ottenuto dei
risultati inutili.
Allora dobbiamo cercare un altro punto di vista, un altro potrebbe essere quello
statistico o probabilistico che ci permette di costruire dei legami fra le variabili
macroscopiche e certe loro distribuzioni di grandezze a cui noi siamo interessati.
Il nostro scopo ultimo è quello di riuscire a scrivere delle equazioni che riguardano il
nostro sistema fluido, ma che siano indipendenti dal sistema di riferimento.
Partiamo con il considerare una porzione di fluido che contiene un certo numero di
particelle N. Questa porzione di fluido la ipotizziamo isolata con il mondo esterno, la
i-esima particella avrà una massa mi, e le forze intermolecolari che esistono fra le N
particelle vengono raccolte in un'unica energia potenziale eipot.
La i-esima particella avrà una velocità propria che chiamiamo velocità microscopica,
ottenuta derivando la posizione della particella rispetto al tempo,
vi =
d xi
dt
possiamo scrivere il bilancio della conservazione della massa e della quantità di
moto,
d⎛N ⎞
⎜ ∑ mi ⎟ = 0 ,
dt ⎝ i =1 ⎠
d⎛N
d ⎛ N ⎛1
⎞⎞
⎞
⎜ ∑ ⎜ mi vi2 + eipot ⎟ ⎟ = 0 .
⎜ ∑ mi v i ⎟ = 0 ,
dt ⎝ i =1
dt ⎝ i =1 ⎝ 2
⎠
⎠⎠
Se chiamiamo
N
∑m
i =1
i
=M ,
N
∑m v
i =1
i
i
=Q ,
⎛1
i =1 ⎝
N
∑⎜ 2 m v
i
2
i
⎞
+ eipot ⎟ = E
⎠
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possiamo definire e quindi anche passare alle grandezze specifiche, cioè per unità di
volume,
ρ=
M
V
,
Q=
Q
V
,
E=
E
.
V
Adesso vogliamo trovare le equazioni di bilancio, cioè collegare la variazione dello
tempo con il flusso della nostra grandezza fisica attraverso il nostro volume di
controllo. Prima di fra ciò dobbiamo vedere che cosa otteniamo dal flusso di una
grandezza scalare. Infatti noi ancora non sappiamo che grandezza otteniamo, se uno
scalare o un vettore.
Sappiamo che,
∂
J f dS
∫∫∫ f dV = − ∫∫
∂t
∂V
oppure
∂
J f ⋅ n dS .
∫∫∫ f dV = − ∫∫
∂t
∂V
Notiamo che se fosse uno scalare l’intero integrale dovrebbe dipendere dalla
superficie, ciò che non voglio che succeda. Mi accorgo che nel secondo caso
esistendo lo scalare tra il vettore flusso e la normale alla superficie, questo problema
non sussiste perché andrei a prendere la sua proiezione.
Quindi concludo dicendo che il flusso di una grandezza scalare deve essere un
vettore. Con un ragionamento analogo si può arrivare alla conclusione che il flusso di
uno scalare è un tensore,
∂
J f ⋅ n dS .
∫∫∫ f dV = − ∫∫
∂t
∂V
Tramite il teorema di Stokes, che ci da l’uguaglianza tra l’integrale del flusso esteso
alla superficie con l’integrale della divergenza estesa a tutto il volume d’integrazione,
possiamo ancora scrivere,
∂
J f ⋅ n dS = 0
∫∫∫ f dV + ∫∫
∂t
∂V
⎛ ∂f
∫∫∫ ⎜⎝ ∂t
V
⎞
+ ∇ ⋅ J f ⎟dV = 0
⎠
se l’integrale vale per qualunque volume e se la funzione scalare f è continua e
derivabile, allora possiamo andare ad annullare direttamente la funzione integranda,
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∂f
+ ∇⋅ J f = 0,
∂t
riscritta per le nostre quantità, cioè per la massa, la quantità di moto e l’energia,
diventa,
∂ρ
+∇⋅Jρ =0
∂t
∂Q
∂t
+∇⋅ JQ =0
∂E
+∇⋅JE =0
∂t
Cominciamo a considerare un fluido in quiete, sappiamo che questo è descritto
appieno quando è noto il suo stato termodinamico. La quantità di moto totale, se il
nostro sistema si trova dentro un contenitore chiuso, può essere considerata nulla
quindi il suo stato termodinamico viene completamente descritto da sole due
grandezze, la massa e l’energia delle particelle che lo compongono.
Ma a noi non interessano dei sistemi che sono in quiete, supponiamo di avere un
sistema meccanico che non sia in quiete e che non sia neanche in equilibrio
termodinamico. Supponiamo ancora però, che questo equilibrio termodinamico non
sia tanto lontano dal raggiungimento. Si può affermare che possano esistere delle
regioni del sistema che sono già in equilibrio, e nelle regioni che ancora non lo sono i
tempi caratteristici che occorrono al raggiungimento dell’equilibrio, sono bassi in
confronto con i tempi caratteristici dell’intero sistema.
l << L
l
t << T
L
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I flussi di massa, di quantità di moto e di energia sono funzioni delle grandezze
termodinamiche, cioè
J Q = J Q (ρ , Q , E ) ,
J ρ = J ρ (ρ , Q , E ) ,
J E = J E (ρ , Q , E ).
Andiamo a trovare la forma di questi flussi. Cominciamo con il flusso della massa,
che è
Jρ =Q
questo ci permette di definire la velocità macroscopica come,
N
def
v=
∑m v
i =1
N
i
i
∑m
i =1
i
ma anche,
N
def
v=
∑m v
i
i =1
N
∑m
i =1
i
=
Q
ρ
⇒
Jρ =Q = ρv
i
l’equazione di bilancio per la massa diventa,
∂ρ
+ ∇ ⋅ ( ρ v) = 0 .
∂t
A questo punto dobbiamo chiederci, l’equazione trovata sarà indipendente dal
sistema di riferimento? Verifichiamolo introducendo una trasformazione qualunque
da x a x′,
⎧ x = x′ + v 0 t ′
⎨
⎩ t = t′
il legame fra le derivate sarà,
∂
∂
⎧
=
⎪
∂x′ ∂x
⎨∂
∂
⎪ = + (v 0 ⋅ ∇′ )
⎩ ∂t ′ ∂t
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andiamo a scrivere con queste opportune trasformazioni l’equazione di bilancio che
avevamo calcolato per la massa.
Nel nuovo sistema di riferimento x′ e t′ il bilancio di massa diventa,
∂ρ ′ ∂ρ ′ ⎛
′
=
+ ⎜ v 0 ⋅ ∇ ρ ′ ⎞⎟
⎠
∂t ′ ∂t ⎝
la massa si mantiene costante indipendentemente dal sistema di riferimenti, quindi
ρ = ρ′, poi noto che
v′i = v i − v 0
si ha,
Q = ∑ mi v i = ∑ mi′(v′i + v 0 ) = Q′ + ∑ mi′v 0 = Q′ + ρ ′ v 0
N
N
N
i =1
i =1
i =1
∂ρ ′
= −∇′ ⋅ Q + v 0 ⋅ ∇′ ρ ′ = −∇′ ⋅ (Q′ + ρ ′ v 0 ) + v 0 ⋅ ∇′ ρ ′ = −∇′ ⋅ Q′ − ∇′ ⋅ ( ρ ′v 0 ) + v 0 ⋅ ∇′ρ ′
∂t ′
ma dato che
si ottiene,
∇′ ⋅ ( ρ ′v 0 ) = v 0 ⋅ ∇′ρ ′
∂ρ ′
+ ∇′ ⋅ Q ′ = 0
∂t ′
abbiamo ottenuto la stessa equazione, quindi l’equazione di bilancio della massa è
invariante.
Adesso passiamo a trovarci quella della quantità di moto, il problema però non è
facile come per la massa, in quanto con la massa avevamo trovato facilmente il flusso
di massa, qui non è altrettanto facile. Quindi opereremo al contrario, cioè andremo a
trovarci il flusso imponendo che l’equazione di bilancio sia invariante.
L’equazione di bilancio per la quantità di moto è,
∂Q
∂t
+∇⋅ JQ =0
costruendo la derivata con il cambio di riferimento otteniamo,
∂
(Q′ + ρ ′v 0 ) − (v 0 ⋅ ∇′) ⋅ (Q′ + ρ ′v 0 ) + ∇′ ⋅ J Q = 0
∂t ′
∂Q′ ∂ρ ′
+
v 0 − (v 0 ⋅ ∇′)Q′ − (v 0 ⋅ ∇′)ρ ′v 0 + ∇′ ⋅ J Q = 0
∂t ′ ∂t ′
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∂Q ′
− ∇′ ⋅ Q′ v 0 − (v 0 ⋅ ∇′ )Q′ − (v 0 ⋅ ∇′ )ρ ′ v 0 + ∇′ ⋅ J Q = 0
∂t ′
∂Q′
+ ∇′ ⋅ J Q − Q′ v 0 − v 0 Q′ − ρ ′ v 0 v 0 = 0
∂t ′
(
)
affinché l’equazione sia invariante dobbiamo imporre che,
(
J ′Q = J Q − Q′ v 0 − v 0 Q′ − ρ ′ v 0 v 0
)
essendo invariante con questa opportuna scelta del flusso, possiamo scegliere
qualunque velocità v0, e per comodità scegliamo v0 = v, in modo che anche Q = 0,
otteniamo allora,
J Q = J ′Q + ρ ′ v 0 v 0
(
)
troviamo che il flusso di quantità di moto J′ è proporzionale al tensore unitario I, e
una funzione proporzionale è data dalla funzione scalare p(ρ,E), la funzione scalare
prende il nome di pressione, possiamo scrivere
J ′Q = J ′Q ( ρ , E ) = p( ρ , E )I
l’equazione di bilancio della quantità di moto diventa,
∂Q
+ ∇ ⋅ (ρ vv + pI ) = 0
∂t
si ricordi che ∇ ⋅ p I = ∇ p .
Andiamo adesso a ricavarci il flusso di energia e di conseguenza il suo bilancio.
Partiamo dalla
∂E
+∇⋅JE =0
∂t
N
1
⎛1
⎞ N ⎛1
⎞
E = ∑ ⎜ mi vi2 + eipot ⎟ = ∑ ⎜ mi (vi2 + v02 + v i ⋅ v 0 ) + eipot ⎟ = E ′ + ρv02 + Q′ ⋅ v 0
2
i =1 ⎝ 2
⎠
⎠ i =1 ⎝ 2
passiamo al sistema x′ tramite le solite trasformazioni,
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∂Q′ ∂ρ ′ v02
v02
∂E ′
⎛
⎞
+ v0 ⋅
+
− (v 0 ⋅ ∇′ ) ⋅ ⎜ E ′ + ρ ′ + Q′ ⋅ v 0 ⎟ + ∇′ ⋅ J E = 0
∂t ′
2
∂t ′ ∂t ′ 2
⎝
⎠
utilizzando le equazioni di bilancio e considerando la velocità v0 costante otteniamo,
v02
v02
∂E ′
⎛
⎞
′
′
′
′
′
+ ∇ ⋅ ⎜ J E − J Q ⋅ v0 − Q − E v0 − ρ
v 0 − (Q′ ⋅ v 0 )v 0 ⎟ = 0
2
2
∂t ′
⎝
⎠
come fatto per la quantità di moto andiamo a scegliere un sistema di riferimento
comodo, cioè per v0 = v e per Q = 0, si ottiene che il flusso di energia deve avere la
forma,
v02 ⎞
⎛
J E = ⎜ J ′ E + J ′Q ⋅ v 0 + E ′v 0 + ρ ′ v 0 ⎟
2 ⎠
⎝
tramite le identità vettoriali
J ′Q = p I e
v2
si ha
E′ = E − ρ ′
2
J E = J ′E + p I ⋅ v + E v
ma dovendo valere l’isotropia ed essendo il flusso J′ dell’energia un tensore di ordine
dispari, quindi non invariante rispetto al sistema di riferimento, questo flusso non può
esistere, dunque il flusso di energia si riduce a
J E = pI ⋅ v + E v
e l’equazione di bilancio sarà,
⎛ ⎛ v2 ⎞
⎞
∂ ⎛ ⎛ v2 ⎞⎞
⎜⎜ ρ⎜ e + ⎟⎟⎟ + ∇ ⋅ ⎜⎜ ρ ⎜ e + ⎟v + p v ⎟⎟ = 0
∂t ⎝ ⎝ 2 ⎠⎠
⎝ ⎝ 2⎠
⎠
Abbiamo dunque trovato le equazioni di bilancio per la massa, per la quantità di moto
e per l’energia. Queste tre equazioni vanno sotto il nome di equazioni di Eulero.
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Il sistema di equazioni di Eulero è,
∂ρ
+ ∇ ⋅ ( ρ v) = 0
∂t
∂Q
+ ∇ ⋅ (ρ vv + pI ) = 0
∂t
⎛ ⎛ v2 ⎞
⎞
∂ ⎛ ⎛ v2 ⎞⎞
⎜⎜ ρ⎜ e + ⎟⎟⎟ + ∇ ⋅ ⎜⎜ ρ ⎜ e + ⎟v + p v ⎟⎟ = 0
∂t ⎝ ⎝ 2 ⎠⎠
⎝ ⎝ 2⎠
⎠
possiamo notare che le equazioni scritte in questa forma, cioè con la derivata rispetto
al tempo e poi con la divergenza di un certo vettore, vanno dette in forma
conservativa.
Non sempre la forma conservativa è la forma più semplice per lavorare con queste
formule, certo se noi abbiamo già pronto un algoritmo al che ci consente di introdurre
soltanto le quantità all’interno della derivata temporale e quella dentro la divergenza,
questa forma è preferibile in quanto abbiamo subito sott’occhio le due grandezze, ma
se vogliamo fare i conti noi stessi allora possiamo andare a semplificare un po’ queste
formule.
Cominciamo con quella di continuità, esplicitando la divergenza del prodotto tra la
densità e la velocità v,
∂ρ
+ v⋅∇ρ + ρ∇⋅v = 0
∂t
i primi due termini possono essere presi assieme e vanno sotto il nome di derivata
sostanziale,
Dρ
+ ρ ∇⋅ v = 0
Dt
Passiamo ora alla quantità di moto, come primo termine ho la derivata temporale del
prodotto tra la densità e la velocità, lo sviluppo ed ho:
∂v
∂v
∂ ( ρ v ) ∂ρ
v+ρ
=
= −∇ ⋅ ( ρ v )v + ρ
∂t
∂t
∂t
∂t
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adesso andiamo a esplicitarci i due termini con la divergenza,
∇ ⋅ (ρ vv + p I ) = ∇ ⋅ (ρ vv ) + ∇ ⋅ ( p I ) = ∇ ⋅ ( ρ v )v + ρ (v ⋅ ∇ )v + ∇ p
come si vede facilmente due termini si elidono a vicenda quindi l’equazione diventa,
ρ
∂v
+ ρ(v ⋅ ∇) v + ∇ p = 0
∂t
Questa forma dell’equazione della quantità di moto è chiamata forma convettiva.
Ora tocca all’equazione dell’energia sviluppiamo la derivata temporale e la
divergenza,
∂ρ ⎛
v2 ⎞
∂⎛
v2 ⎞
v2 ⎞
v2 ⎞
⎛
⎛
⎜ e + ⎟ + ρ ⎜ e + ⎟ + ∇ ⋅ ( ρ v )⎜ e + ⎟ + ρ v ⋅ ∇⎜ e + ⎟ + ∇ ⋅ ( p v ) = 0 **
2⎠
2⎠
2⎠
2⎠
∂t ⎝
∂t ⎝
⎝
⎝
per l’equazione di continuità il primo e il terzo termine si elidono, coi restanti termini
faccio una combinazione lineare con l’equazione della quantità di moto moltiplicata
scalarmente per v, e ottengo
∂ ⎛ v2 ⎞
⎛ v2 ⎞
ρ ⎜ ⎟ + ρ v ⋅ ∇⎜ ⎟ + v ⋅ ∇ p = 0
∂t ⎝ 2 ⎠
⎝2⎠
sottraendo membro a membro con la ** si ottiene
ρ
∂e
+ ρ v ⋅ ∇e + p∇ ⋅ v = 0
∂t
che può essere scritta in forma di derivata sostanziale,
ρ
De
+ p ∇⋅ v = 0
Dt
Quando andiamo ad assumere che il nostro fluido è incomprimibile significa
assumere che
dρ
=0
dp
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in questo caso l’equazione di stato diventa ρ = cost. Questo ci porta a capire che delle
tre equazioni di bilancio che abbiamo ricavato, quella dell’energia diventa
disaccoppiata rispetto alle altre due. Diventa del tutto secondaria se vogliamo
calcolare il nostro campo do moto, a meno che non volgiamo calcolare la temperatura
in tal caso è fondamentale.
Allora nel caso di densità costante le nostre equazioni diventano
∇⋅v =0
⎧
⎪ ∂v
⎨ + (v ⋅ ∇)v + 1 ∇ p = 0
⎪⎩ ∂t
ρ
Tutto quello che è stato trovato, e tutti i ragionamenti che ci hanno portato alla
formulazione delle equazioni di bilancio si basano sulla condizione e ipotesi
dell’equilibrio locale.
Adesso facciamo un passo avanti e cerchiamo di toglierci da questo vincolo, noi
sappiamo che il flusso delle nostre grandezze dipende dallo stato termodinamico del
sistema, dipende quindi dallo stato puntuale che hanno le grandezze di stato in un
determinato punto in un determinato tempo.
Supponiamo adesso di spostarci dall’equilibrio, ma non di tantissimo, siamo in
prossimità dell’equilibrio. Possiamo pensare che il generico flusso sia la somma del
flusso che noi abbiamo all’equilibrio più un flusso che è dovuto al gradiente delle
variabili di stato, cioè
J f = J f (ρ , E , Q ) + J f (∇ ρ , ∇E , ∇ Q )
eq
(d )
Quindi andiamo a correggere il flusso con un termine ricavato dallo sviluppo in serie
di Taylor di l/L, sotto l’ipotesi di linearità. Questa grandezza è dissipativa e
considerando l’ipotesi di linearità possiamo dire che il flusso della quantità di moto
deve essere,
(d )
J Q = a ∇ρ + b ∇ Q + c ∇ E
Adesso noi vogliamo che il nostro flusso sia indipendente dal sistema di riferimento,
quindi deve essere anche indipendente il flusso dissipativo, abbiamo già affermato
che non esistono tensori d’ordine dispari che siano indipendenti dal sistema di
riferimento. Quindi posso concludere che i tensori a e c devono necessariamente nulli
affinché JQ(d) possa esistere.
A dire il vero anche il secondo termine presenta delle difficoltà, infatti se
consideriamo la quantità di moto, abbiamo
∇ Q = ∇ Q′ + ∇ρ ′v 0
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ci accorgiamo che anche la quantità di moto non è invariante, quindi andiamo a
sostituire la dipendenza del flusso, invece della quantità di moto mettiamo la velocità
v che essendo un vettore è sicuramente invariante, si ha
(d )
J Q = b∇v
b non potrà non essere che la combinazione lineare di solo tre tensori di ordine 4 che
sono certamente invarianti, cioè
bi , j ,h ,k = α ( ρ , E )δ ij δ hk + β ( ρ , E )δ ihδ jk + γ ( ρ , E )δ ik δ jh
otteniamo,
∑δ δ
ij
hk
h ,k
∂v
∂v
∂vk
= δ ij ∑ δ hk k = δ ij ∑ k = δ ij ∇ ⋅ v = (∇ ⋅ v )I
∂xh
∂xh
h ,k
k ∂x k
∑δ δ
ih
∂vk ∂v j
=
= ∇v
∂xh ∂xi
jk
h ,k
∑δ δ
ik
h ,k
jh
∂vk ∂vi
=
= (∇ v) T
∂xh ∂x j
possiamo concludere dicendo che la parte dissipativa del flusso diventa,
J Q = α (∇ ⋅ v )I + β ∇ v + γ (∇ v )
(d )
T
A volte può ritornare utile scrivere il flusso dissipativo con la parte simmetrica e
antisimmetrica del gradiente della velocità v.
(∇ v )
( SIM )
∇ v + (∇ v )
=
2
T
e
(∇ v )
( ANT )
∇ v − (∇ v )
=
2
T
utilizzando queste due relazioni il flusso dissipativo diventa,
J Q = α (∇ ⋅ v )I + (β + γ )(∇ v) ( SIM ) + (β − γ )(∇ v )
(d )
( ANT )
Questo lavoro è stato fatto perché se siamo di fronte al caso particolare di moto
rigido, sappiamo già che la rotazione rigida ha un tensore che è antisimmetrico e con
traccia nulla, quindi i primi due termini scompaiono, e se vogliamo che il flusso
dissipativo sia nullo, dobbiamo imporre che β = γ. In questo caso il flusso diventa,
J Q = α (∇ ⋅ v )I + β (∇ v + (∇ v ) )
(d )
T
Massimo Bucca matr. 644978
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che può essere ancora riscritto come,
1
(d )
( SIM )
⎡
⎤
J Q = −2 µ ⎢(∇ v )
− (∇ ⋅ v )I ⎥ − λ (∇ ⋅ v )I
3
⎣
⎦
Si può fare discorso analogo sul flusso dell’energia il quale però ha questa forma,
(d )
J E = d ∇ρ + e ∇ v + f ∇ E
infatti si può notare facilmente che questa volta andrà via solo il secondo termine
legato al tensore di ordine dispari, con una trattazione analitica si arriva alla
conclusione che il flusso dissipativo dell’energia ha una forma del tipo,
(d )
J E = −k ∇ T .
martedì 9 ottobre 2001
L’obiettivo della aerodinamica è il calcolo delle forze e dei momenti che agiscono
sulla nostra ala. Se andiamo a prendere l’equazione di bilancio della quantità di moto,
e andiamo a considerare la quantità di moto totale, somma delle quantità di moto
delle singole particelle che formano il nostro sistema, deve essere uguale al flusso del
vettore JQ.
∂
J Q ⋅ n dS
∫∫∫ Q dV = − ∫∫
∂t
∂V
Questa relazione e il suo equivalente differenziale vale indipendentemente se ci
troviamo di fronte ad un fluido o ad un solido, o ad un sistema che si compone di
entrambi. Questo perché non abbiamo fatto nessuna ipotesi sulla isotropia del
sistema.
Se ci troviamo di fronte un sistema del tipo,
Massimo Bucca matr. 644978
17
Osserviamo che se facessimo tendere il volume, in cui si trova il fluido, al contorno
del profilo,
Capiamo che le proprietà di volume, tendendo il volume stesso al volume del profilo,
diventano le proprietà del corpo. Quindi nell’equazione di bilancio della quantità di
moto il I° termine ci da la forza a cui è sottoposto il corpo sotto l’azione del fluido.
Abbiamo detto che il II° termine è quello delle proprietà di superficie, che sono
dipendenti dal flusso del fluido.
Se prendiamo in considerazione un fluido non viscoso sappiamo che il flusso della
quantità di moto ha una forma particolare, che ci permette di scrivere che la forza
aerodinamica sarà,
F = − ∫ (ρ vv + p I ) ⋅ ndS
∂V
ma essendo il fluido non viscoso, sulla parete del profilo la velocità non si annullerà
quindi varrà la condizione v⋅n = 0, e allora si ha
F = − ∫ p ndS
∂V
Ricordiamoci sempre che il flusso JQ vale dimensionalmente uno sforzo. Siamo in un
caso simile a solidi soggetti a sforzi, solo che lì lo sforzo era dovuto a delle
deformazioni, qui lo sforzo è dovuto a delle velocità.
Possiamo fare un’altra osservazione sulla forza aerodinamica, infatti se andiamo a
prendere il nostro profilo con il nostro volume di controllo, ma questa volta invece di
ridurlo sul profilo, lo allarghiamo all’infinito possiamo concludere che le forze
fluidodinamiche sono sempre uguali alle forze agenti sul copro se il fluido si muove
si moto uniforme.
Questo capita perché l’integrale derivante dalla quantità di moto della parte di
volume del fluido è nullo, dato che il moto del fluido è stazionario, l’integrale si
superficie dovrebbe essere nullo in quanto non c’è flusso netto, essendo il moto
stazionario, quindi ci resta solo il termine concernente la forza agente sul corpo.
Questo risultato è molto utile, perché sotto l’ipotesi di stazionarietà ci consente di
trascurare la geometria del nostro profilo.
Massimo Bucca matr. 644978
18
Il problema differenziale non è ben definito se non riusciamo a chiuderlo, cioè se non
riusciamo a trovare le condizioni al contorno. Le nostre incognite sono 5 derivanti
dalle incognite delle equazioni di bilancio, ma tramite l’equazione di stato riusciamo
a diminuire le incognite indipendenti quindi anche il numero delle condizioni al
contorno necessarie per la risoluzione numerica delle equazioni di bilancio.
Se ancora noi riusciamo a costruire il nostro sistema di riferimento in modo tale che
esso sia solidale al profilo stesso, possiamo imporre che la velocità sul corpo sia
nulla, vc = 0, questo ci permette di avere già tre condizioni al contorno.
La quarta condizione ci viene da una grandezza del campo termico, che non ci
interessa a tanto per quanto riguarda il campo di moto ma se vogliamo conoscere il
campo di temperatura siamo costretti a risolverlo.
Ma se siamo in presenza di un fluido incomprimibile non viscoso allora l’equazione
di bilancio dell’energia è perfettamente disaccoppiata dalle altre due, questo ci
permette di scendere a sole tre condizioni al contorno. Solo che nasce il problema che
non portò usare più la condizione di perfetta adesione, e sarò costretto a porre come
condizione al contorno che la derivata della velocità lungo la normale del profilo sia
nulla, cioè la condizione di non penetrabilità del corpo.
Le altre condizioni sono che le velocità tangenti al profilo non sono affatto nulle, in
generale la giustificazione di questa trattazione ci richiederà di ricavare lo strato
limite.
Riprendiamo le equazioni di Eulero nel caso di fluido incomprimibile non viscoso,
∇⋅v =0
⎧
⎪ ∂v
⎨ + (v ⋅ ∇)v + 1 ∇ p = 0
⎪⎩ ∂t
ρ
e ricordiamo anche che l’equazione di bilancio, disaccoppiata rispetto alle altre due,
era così fatta,
De
ρ
+ ρ ∇⋅v = 0
Dt
dall’equazione sostanziale di continuità ottengo,
∇⋅v = −
1 Dρ
ρ Dt
⇒
De p Dρ
−
=0
Dt ρ 2 Dt
ricordando che,
⎛1⎞
p
Tds = de + pdv = de + pd ⎜⎜ ⎟⎟ = de − 2 dρ
ρ
⎝ρ⎠
otteniamo,
Massimo Bucca matr. 644978
T
Ds
=0
Dt
⇒
19
Ds
=0
Dt
abbiamo ottenuto che il sistema è anche isoentropico.
Avendo il sistema variazione di entropia nulla, ci permette di scrivere la densità, che
era funzione della pressione e dell’entropia, come funzione della sola pressione, cioè
ρ = ρ ( p, s ) = ρ ( p )
e ci permette di definire una funzione P, come
P =∫
1
dp
ρ( p)
nel caso in cui il sistema sia comprimibile e isoentropico il sistema di equazioni sarà,
⎧ ∂ρ
⎪ ∂t + ∇ ⋅ ( ρ v ) = 0
⎨ ∂v
⎪ + (v ⋅ ∇)v + ∇ P = F
⎩ ∂t
Possiamo introdurre anche le equazioni di bilancio sotto la forma di Crocco, infatti se
prendiamo in considerazione il secondo termine dell’equazione di bilancio della
quantità di moto, e ricordando la relazione vettoriale
v × (∇ × v ) = (∇v ) ⋅ v − (v ⋅ ∇ )v e definendo ω = ∇ × v si ha,
⎛ v2 ⎞
(v ⋅ ∇ )v = ∇⎜ ⎟ + ω × v
⎝2⎠
l’equazione di bilancio diventa considerando la risultante delle forze nulle,
∂v
⎛ v2
⎞
+ ∇⎜ + P ⎟ + ω × v = 0 .
∂t
⎝2
⎠
Da questa formula si possono ricavare le relazioni dei teoremi di Bernoulli:
1. Caso stazionario,
⎛ v2
⎞
∇⎜ + P ⎟ + ω × v = 0
⎝2
⎠
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e moltiplicando scalarmente per v si ottiene,
⎛ v2
⎞
v ⋅ ∇⎜ + P ⎟ = 0
⎝2
⎠
da cui si vede chiaramente il binomio è costante lungo ogni linea di corrente.
2. Caso irrotazionale e stazionario,
⎛ v2
⎞
∇⎜ + P ⎟ = 0
⎝2
⎠
da cui si vede subito che il binomio si mantiene costante in tutto il campo di moto.
3. Caso irrotazionale,
∂v
⎛ v2
⎞
+ ∇⎜ + P ⎟ = 0
∂t
⎝2
⎠
se esiste un potenziale scalare per cui possa scrivere, v = ∇ϕ allora si ha,
∂ (∇ϕ )
⎛ v2
⎛ v2
⎞
⎞
⎛ ∂ϕ ⎞
+ ∇⎜ + P ⎟ = 0 ⇒ ∇ ⎜
⎟ + ∇⎜ + P ⎟ = 0
∂t
⎝ ∂t ⎠
⎝2
⎝2
⎠
⎠
⎛ ∂ϕ v 2
⎞
∇⎜
+ +P ⎟=0
2
⎝ ∂t
⎠
si conclude dicendo che questo trinomio che abbiamo trovato si mantiene costante in
tutto il campo di moto, si noti che questa volta la costanza è soltanto spaziale ma non
temporale.
Se il nostro campo di moto è un campo di moto irrotazionale, allora possiamo
trasformare ulteriormente la nostra equazione di bilancio della quantità di moto,
infatti passiamo a fare il rotore di tutta l’equazione, otteniamo
⎡ ∂v
⎤
⎛ v2
⎞
∇ × ⎢ + ∇⎜ + P ⎟ + ω × v ⎥ = 0
⎝2
⎠
⎣ ∂t
⎦
questa equazione è quasi equivalente al sistema,
⎧⎪ ∂ω
+ ∇ × (ω × v ) = 0
⎨ ∂t
⎪⎩
ω =∇×v
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Ho detto che l’equazione precedente è quasi equivalente al sistema sopra scritto,
poiché non è detto che tutte le soluzioni del sistema siano soluzione dell’equazione, il
viceversa è sempre vero.
Se il dominio è monoconnesso allora le soluzioni del sistema e dell’equazione
andranno a coincidere, altrimenti bisogna garantire che la soluzione sia tale che la
∂v
quantità
+ ω × v sia un gradiente, e che sia garantito anche
∂t
⎛ ∂v
⎞
∫ ⎜⎝ ∂t + ω × v ⎟⎠ ⋅ dc = 0
Per il nostro studio ci conviene fare il passaggio dalle coordinate euleriane, cioè fissi
nello spazio, ad un sistema di coordinate lagrangiane, cioè con un sistema mobile
nello spazio che segua istante per istante il nostro sistema fisico. Il sistema di
riferimento lagrangiano si muove con velocità pari a quella macroscopica del fluido,
andiamo a vedere come si trasformano le derivate evolutive in derivate lagrangiane.
La generica trasformazione in spazio e tempo è,
∂x ∂
∂
∂t ∂
= j
+
∂ξ i ∂ξ i ∂x j ∂ξ i ∂t
e
∂t ∂
∂ ∂x j ∂
+
=
∂t ′ ∂t ′ ∂x j ∂t ′ ∂t
il passaggio da terna fissa a terna lagrangiana è specificato da,
⎧⎪ t ′ = t
⎨ ∂x j = v
j
⎪⎩ ∂t ′
scopriamo che la derivata sostanziale sarà
∂
∂
∂
= + vj
∂t ′ ∂t
∂x j
Tornando sulla nostra equazione in vorticità, ottenuta facendo il rotore dell’equazione
di bilancio della quantità di moto, e sapendo che
∇ × (ω × v ) = (∇ ⋅ v )ω + (v ⋅ ∇ )ω − (∇ ⋅ ω )v − (ω ⋅ ∇ )v
il primo termine dell’uguaglianza vettoriale si annulla tramite l’equazione di
continuità, e il terzo pure dato che la divergenza di un rotore è nulla per definizione.
Allora l’equazione in vorticità diventa,
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∂ω
+ (v ⋅ ∇ )ω − (ω ⋅ ∇ )v = 0
∂t
⇒
Dω
= (ω ⋅ ∇ )v
Dt
∂vl ∂vl ∂ξ i
=
∂xh ∂ξ i ∂xh
in coordinate lagrangiane abbiamo,
∂v
∂v ∂ξ
Dω l
= ωh l = ωh l i
∂xh
Dt
∂ξ i ∂xh
il secondo termine esprime le componenti della derivata sostanziale della vorticità e il
terzo esprime le coordinate lagrangiane. Ma sappiamo anche
∂vl
∂ ⎛ Dxl ⎞
=
⎜
⎟
∂ξ i ∂ξ i ⎝ Dt ⎠
e dato che la ξ e il tempo sono indipendenti posso scrivere,
∂vl
D ⎛ ∂xl ⎞
⎜
⎟
=
∂ξ i Dt ⎜⎝ ∂ξ i ⎟⎠
quindi si ha
Dω l
∂v
∂v ∂ξ
D ⎛ ∂xl ⎞ ∂ξ i
⎜
⎟
= ωh l = ωh l i = ωh
Dt
∂xh
∂ξ i ∂xh
Dt ⎜⎝ ∂ξ i ⎟⎠ ∂xh
prendendo in considerazione il primo membro si ha,
Dω l D
(δ lhω h )
=
Dt
Dt
ma
δ lh =
∂xl ∂xl ∂ξ i
=
∂xh ∂ξ i ∂xl
quindi si ha,
∂x D ⎛ ∂ξ i ⎞
Dω l D ⎛ ∂xl ∂ξ i ⎞ D ⎛ ∂xl ⎞ ∂ξ i
⎜⎜
⎟⎟
⎜
=
ω h ⎟⎟ = ⎜⎜
ωh + l
ωh ⎟
∂ξ i Dt ⎜⎝ ∂xh ⎟⎠
Dt
Dt ⎝ ∂ξ i ∂xh ⎠ Dt ⎝ ∂ξ i ⎠ ∂xh
si nota che, uguagliando le due derivate si hanno due termini uguali, e resta solo
∂xl D ⎛ ∂ξ i ⎞
⎜
ωh ⎟ = 0
∂ξ i Dt ⎜⎝ ∂xh ⎟⎠
le derivate di xl rispetto alle ξi essendo lo jacobiano della trasformazione non è mai
nullo quindi lo possiamo semplificare e ottenere,
Massimo Bucca matr. 644978
∂ξ i
ω h = ω i(0 )
∂xh
ω h = ω i(0 )
⇒
23
∂xh
∂ξ i
dove con ωi(0) si è indicati la costante di integrazione. Si può notare che nella nostra
trattazione abbiamo fatto scomparire le derivate temporali, ma queste in verità non
sono scomparse perché la dipendenza dal tempo rimane sempre nelle coordinate
lagrangiane della x.
Questa relazione ci dice che se abbiamo un campo di moto in cui la vorticità iniziale
è nulla nelle sue tre componenti, allora essa si manterrà nulla per il resto del tempo,
qualunque sia il moto del sistema lagrangiano.
Questo è molto importante nel nostro studio di un profilo, infatti se noi assumiamo
che all’infinito la velocità si mantiene costante e che la vorticità è nulla, allora sia
sicuri che il profilo starà in un campo di moto irrotazionale, oltre ad essere un fluido
non viscoso e incomprimibile per ipotesi, escludendo chiaramente la scia che è una
regione del campo di discontinuità.
Mercoledì 10 ottobre 2001
Abbiamo ricavato le componenti della vorticità nel caso di fluido non viscoso e
incomprimibile, andiamo adesso a vedere come quelle formule possono variare nel
caso di fluido comprimibile.
Nel caso comprimibile sappiamo che l’equazione di bilancio della vorticità è,
Dω
+ (∇ ⋅ v )ω = (ω ⋅ ∇ )v
Dt
grazie all’equazione di continuità il primo termine può essere scritto come,
⎛ 1 Dω
1 Dρ ⎞
Dω 1 Dρ
D ⎛ω ⎞
−
− 2
ω = ρ ⎜⎜
ω ⎟⎟ = ρ ⎜⎜ ⎟⎟
Dt ρ Dt
Dt ⎝ ρ ⎠
⎝ ρ Dt ρ Dt ⎠
quindi si ha,
⎞
D ⎛ω ⎞ ⎛ω
⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜⎜ ⋅ ∇ ⎟⎟v
Dt ⎝ ρ ⎠ ⎝ ρ
⎠
Si noti che il risultato raggiunto è simile a quello nel caso precedente, con la sola
differenza che lì c’era solo la vorticità, al contrario qua compare il rapporto della
vorticità rispetto alla densità. Scrivendo la formula raggiunta in coordinate
lagrangiane, facendoci aiutare dai passaggi fatti in precedenza, si ha,
(0 )
ω h ⎛ ω i ⎞ ∂xh
=⎜ ⎟
.
ρ ⎜⎝ ρ ⎟⎠ ∂ξ i
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Anche in questo caso se la condizione all’infinito è uniforme o è di quiete, allora
possiamo concludere che in tutto il campo la vorticità sarà nulla.
Passiamo all’equazione di bilancio della massa, e scriviamola in coordinate
lagrangiane, partiamo dalla derivata sostanziale della massa,
Dρ
+ ρ∇ ⋅ v = 0
Dt
come abbiamo fatto in precedenza, andiamo a scomporre la divergenza della velocità,
scrivendola prima in coordinate cartesiane e passando poi in coordinate lagrangiane,
∇⋅v =
∂vi ∂vi ∂ξ j D ⎛⎜ ∂xi
=
=
∂xi ∂ξ j ∂xi Dt ⎜⎝ ∂ξ j
⎞ ∂ξ j
⎟
⎟ ∂x
⎠ i
l’equazione diventa,
Dρ
D ⎛ ∂x
+ ρ ⎜⎜ i
Dt
Dt ⎝ ∂ξ j
⎞ ∂ξ j
⎟
⎟ ∂x = 0
⎠ i
ricordiamo che se abbiamo una matrice A con determinante |A|, possiamo dire
A −1 :
dA
d
= A −1
A
dc
dc
dove c è un parametro qualunque. Considerando nel nostro caso il tempo come
parametro
e
riconoscendo
con
J=
∂x
∂ξ
il
determinante
Jacobiano
della
trasformazione che lega le coordinate x a quelle ξ, si ha
DJ
Dρ
+ ρ J −1
=0
Dt
Dt
se J non è singolare,
J
Dρ
DJ
+ρ
=0
Dt
Dt
⇒
D
( ρJ ) = 0
Dt
all’istante iniziale la densità vale ρ(0) = ρ(0) e lo jacobiano vale 1, in quanto all’istante
iniziale i sistemi di riferimento cartesiano e lagrangiano vanno a coincidere.
Lo jacobiano ci dice come varia il rapporto degli elementi di volume nei diversi
sistemi x e ξ, man mano che il sistema lagrangiano si evolve. Quindi la relazione ci fa
capire che la densità ρ evolverà in maniera inversa rispetto al volume.
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25
Quello che abbiamo fino ad ora detto ha un grosso difetto, infatti le soluzioni che noi
ritroviamo vengono fuori da equazioni differenziali. Sappiamo che quando esiste una
discontinuità del campo di studio non possiamo più utilizzarle. Quindi siamo costretti
a ripiegare su delle equazioni di tipo integrale.
Andiamo a guardare alcuni teoremi che ci verranno utili sotto l’ipotesi cinematica che
ω = 0.
Il teorema di Stokes ci dice,
∫∫ω ⋅ n dS = ∫ v ⋅ dc
S
∂S
Il teorema di Kelvin ci dice che se noi calcoliamo il seguente integrale ∫ v ⋅ dc lungo
un percorso chiuso che si muove con velocità macroscopica, possiamo pensare ai
cerchi fatti col fumo, la derivata dell’integrale si manterrà uguale a zero,
D
(∫ v ⋅ dc ) = 0
Dt
Dimostrazione:
D
(∫ v ⋅ dc ) = D (∫ vi dxi ) = D ⎛⎜⎜ ∫ vi ∂xi dξ j ⎞⎟⎟
Dt
Dt
Dt ⎝ ∂ξ j
⎠
il cammino dell’integrale dipende dal tempo, ma essendo passato alle coordinate
lagrangiane questa dipendenza scompare , quindi posso portare la derivata all’interno
dell’integrale. Dopo passo a scomporre i due integrali che ottengo derivando il
prodotto della funzione integranda,
Dvi ∂xi
D ⎛⎜ ∂xi ⎞⎟
D ⎛⎜ ∂xi
v
d
ξ
d
ξ
v
+
=
∫ Dt ⎜ i ∂ξ ⎟ j ∫ Dt ∂ξ j ∫ i Dt ⎜ ∂ξ
j ⎠
j
⎝
⎝ j
⎞
⎟dξ j
⎟
⎠
dimostrare il teorema significa dimostrare che questi due integrali sono entrambi
nulli, prendiamo in considerazione prima il secondo
D ⎛ ∂xi
∫ vi Dt ⎜⎜ ∂ξ
⎝ j
2
⎞
Dx
v
v
∂
∂
∂
⎛
⎞
⎛
⎞
i
i
i
⎟ dξ j = ∫ v i
d
ξ
v
d
ξ
=
=
⎜
⎟ dξ j
⎜
⎟
j
j
i
∫
∫
⎟
ξ
ξ
ξ
2
Dt
∂
∂
∂
⎝
⎠
⎠
j
j
j ⎝
⎠
ci accorgiamo che è l’integrale di un differenziale esatto, che calcolato in un percorso
chiuso è banalmente zero.
Da notare come fino a questo punto non abbiamo fatto uso delle equazioni del moto.
Massimo Bucca matr. 644978
26
Passiamo adesso all’altro integrale,
∫
Dvi ∂xi
dξ j
Dt ∂ξ j
tramite la derivata sostanziale
−∫
Dvi ∂P
+
= 0 diventa,
Dt ∂xi
∂P
∂P ∂xi
dξ j = − ∫
dξ j
∂xi ∂ξ j
∂ξ j
anche qui abbiamo raggiunto un integrale di un differenziale esatto, che è nullo
perché il percorso è chiuso. Quindi anche la derivata dell’integrale iniziale sarà nullo
e il teorema di Kelvin è stato dimostrato, nelle ipotesi di fluido non viscoso
incomprimibile o comprimibile isoentropico.
Dal teorema di Kelvin possiamo ricavare i teoremi di Helmotz, che sono un misto di
considerazioni cinematiche e dinamiche, passiamo comunque prima a definire alcune
grandezze fisiche.
Si definisce linea vorticosa il luogo dei punti che hanno istante per istante parallelo il
vettore vorticità, matematicamente e definita localmente come ω × ds = 0 .
Possiamo definire come superficie vorticosa una superficie che ha come direttrici
delle linee vorticose.
Se una superficie vorticosa ha come generatrice una linea chiusa allora si parlerà di
tubo vorticoso, e l’area della generatrice verrà chiamata sezione del tubo.
Se un tubo vorticoso ha una sezione che tende a zero, cioè la curva altro non è che un
punto, allora parleremo di filamento vorticoso.
Il primo teorema di Helmotz racchiude in se queste due proprietà: 1) il flusso di
vorticità risulta costante in ogni sezione di un tubo vorticoso, 2) se si prende un tubo
vorticoso o filamento vorticoso la circolazione è costante attraverso qualsiasi linea
che circonda il tubo stesso.
Il secondo teorema di Helmotz ci dice che una superficie che è in un dato istante
superficie vorticosa lo sarà per tutti gli istanti successivi. Questo teorema deriva da
quello di Kelvin.
Sostituire al vettore velocità un potenziale scalare è una cosa che mi gratifica molto,
perché mi fa capire che ci troviamo di fronte ad un campo irrotazionale.
Ma questo non sempre è possibile farlo, perché devo stare attento al tipo di dominio
io ho. Infatti se voglio che il mio campo di moto sia ovunque irrotazionale devo avere
o fare in modo che sia monoconnesso.
Purtroppo un problema aerodinamico non è quasi mai monoconnesso, infatti se
considero il piano dove giace la sezione del mio profilo, mi accorgo facilmente che il
profilo stesso fa in modo che il dominio non sia monoconnesso.
Invece se trattiamo il problema in tre dimensioni allora è monoconnesso, perché
anche se costruisco un percorso chiuso attorno all’ala, posso sempre estrarre fuori
questo percorso e ridurlo in un punto nello spazio.
Massimo Bucca matr. 644978
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Concludiamo dicendo che il problema aerodinamico è sempre monoconnesso in tre
dimensioni, in due dimensioni invece è biconnesso.
Ricordando che stiamo sempre trattando con fluido stazionario e non viscoso,
abbiamo trovato che se il mio dominio è biconnesso allora il potenziale scalare ϕ non
sarà monodromo, cioè non avrà un sol valore in un determinato punto del dominio.
Allora noi possiamo spezzare il dominio tramite una striscia di apertura infinitesima,
Così facendo il dominio è monoconnesso, infatti non posso cerchiare il profilo con
una curva chiusa. Logicamente quello che abbiamo fatto è soltanto un trucco, perché
il problema sussiste comunque, infatti il valore del potenziale attraverso la striscia è
comunque diverso, ma all’interno del dominio privato della striscia il potenziale sarà
continuo.
La scelta di dove porre la striscia non è obbligatoria, anche se vedremo che conviene
scegliere un posto rispetto ad un altro. E che la striscia deve essere infinitesima e di
lunghezza infinita.
Nel caso di fluido incomprimibile e moto irrotazionale possiamo scrivere questo
sistema di equazioni,
⎧∇ ⋅ v = 0
⎨
⎩∇ × v = 0
e scrivendo la velocità tramite il suo potenziale scalare ϕ, si ottiene l’equazione di
Laplace,
∇2ϕ = 0
Questa equazione differenziale del secondo ordine è lineare, e questo ci permette di
applicare il principio di sovrapposizione degli effetti.
Andiamo adesso a trovare le possibili condizioni al contorno per l’equazione di
Laplace,. Se voglio che la velocità all’infinito sia v∞ allora posso dire che il
potenziale sarà,
∇ ⋅ ϕ(∞ ) = v ∞
Massimo Bucca matr. 644978
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l’altra condizione possiamo ricavarla considerando il corpo, noi sappiamo che il
fluido è non viscoso, quindi non possiamo dire nulla circa la velocità sul corpo, ma
possiamo dire che la componente normale della velocità sul corpo è certamente nulla,
cioè la condizione di non penetrabilità,
(v ⋅ n )
c
=0
⇒
(∇ϕ ⋅ n )
c
= 0.
Le condizioni al contorno che abbiamo ricavato sono riferite ad un sistema di
riferimento fisso, se ci mettiamo solidali con il fluido, le condizioni cambiano. Infatti
la velocità all’infinito sarà nulla, e la velocità sul corpo sarà la velocità v∞, cioè
v∞ = 0
vc = v∞
⇒
⇒
∇ ⋅ ϕ(∞ ) = 0
(∇ϕ ⋅ n )
c
= −v ∞ ⋅ n .
Abbiamo detto in precedenza che il taglio che noi effettuiamo al nostro dominio, per
renderlo monoconnesso, non sarà fatto in un posto qualunque, ma esso avrà un
legame con la scia del nostro oggetto.
Dovrò risolvere l’equazione di Laplace facendo in modo che il taglio mi tolga la
discontinuità rotazionale che la scia mi dà nel mio dominio di calcolo.
Per risolvere il mio problema, devo avere anche delle condizioni al contorno della
scia, che sono doppie perché sui bordi della scia sappiamo che il potenziale è
discontinuo, allora posso andare ad applicare una equazione di bilancio attraverso un
contorno chiuso, che mi racchiude un pezzo della scia, in modo da ricavare delle
relazioni che mi introducono un legame tra le quantità a cavallo della scia.
Per fare ciò non posso utilizzare delle relazioni differenziali, poiché il campo presenta
una discontinuità, passo allora a delle equazioni di tipo integrale.
giovedì 11 ottobre 2001
Data la velocità e presi due punti sul piano P1 e P2, il potenziale sarà:
P2
ϕ(P2 ) − ϕ(P1 ) = ∫ v ⋅ dc
P1
se P1 e P2 vanno a coincidere, allora ci troviamo di fronte ad un percorso chiuso e
l’integrale per il teorema di Stokes sarà nullo.
I valori di ϕ(Pi) possono assumere infiniti valori, ma sappiamo con certezza che
questi valori sono multipli interi della circolazione della velocità, cioè
Γ = ∫ v ⋅ dc
Massimo Bucca matr. 644978
29
Abbiamo detto che il taglio non andrà fatto in un punto arbitrario, ma noi imponiamo
dove farlo. E risolvendo l’equazione di Laplace vado a determinare i legami che
esistono tra le grandezze attraverso il salto che si crea sul taglio.
Immaginiamo di avere un tratto della scia, e di costruire intorno ad essa un percorso
chiuso,
(1)
A
B
F
C
E
D
(2)
Andiamo a scrivere la conservazione della massa in forma integrale, si ha
∫ v ⋅ n dl = ∫ v dx + ∫ u dy + ∫
B
A
C
1
B
1
D
C
u 2 dy + ∫D − v2 dx + ∫E − u 2 dy + ∫F − u1dy = 0
E
F
A
le distanze verticali rispetto a quelle orizzontali del percorso sono molto più piccole,
quindi i contributi degli integrali legati a y possono essere pensati nulli, ma nello
stesso tempo le distanze AB e ED non sono eccessive, per fare in modo che la scia
possa essere pensata rettilinea, quindi quelle distanze possono considerarsi uguali, si
ha
∂ϕ1 ∂ϕ 2
v1 AB − v2 ED = 0 ⇒ v1 = v2 ⇒
=
∂n
∂n
siamo arrivati alla conclusione che le componenti normali della velocità sono uguali,
quindi anche continue, e saranno uguali anche le componenti normali del potenziale.
Ma andando a considerare la scia come una linea di corrente, sappiamo che una linea
di corrente non ha componente normale, quindi possiamo ancora scrivere,
∂ϕ1 ∂ϕ 2
=
=0
∂n
∂n
(solo sulla scia).
A questa conclusione siamo arrivati andando a studiare la conservazione della massa,
se andiamo a considerare la conservazione della quantità di moto si ha,
(ρ v v + p I ) ⋅ n | = (ρ v v + p I ) ⋅ n |
1
2
Massimo Bucca matr. 644978
30
ma essendo nullo il prodotto scalare della velocità con il versore normale, dalla
relazione ci resta soltanto,
p1 = p2 .
Quella che abbiamo ricavato è una relazione in cui compare la pressione, ma io
voglio tradurla in termini di potenziale ϕ, per fare ciò metto in gioco il teorema di
Bernoulli, ed ho
2
2
∂ϕ1 (∇ϕ1 )
∂ϕ 2 (∇ϕ 2 )
+
+ p1 =
+
+ p2
∂t
2
∂t
2
∂
(ϕ1 − ϕ 2 ) + (∇ϕ1 ) − (∇ϕ 2 ) = 0
2
∂t
2
2
se definiamo ∆ϕ = ϕ1 − ϕ 2 otteniamo,
∂
(∆ϕ) + (∇ϕ1 − ∇ϕ 2 ) ⋅ (∇ϕ1 + ∇ϕ 2 ) = 0
∂t
2
se definisco la velocità di un punto della scia come la media delle velocità dei punti al
∇ϕ1 + ∇ϕ 2
di sopra e al di sotto della scia v =
, ottengo
2
∂
(∆ϕ) + v ⋅ (∇ϕ1 − ∇ϕ 2 ) = ∂ (∆ϕ) + v ⋅ ∇(∆ϕ) = 0
∂t
∂t
D
(∆ϕ) = 0
Dt
Notiamo che l’equazione di Laplace non è dipendente dal tempo, ma questo è pura
apparenza infatti la dipendenza del tempo è stata spostata nelle condizioni al
contorno.
Infine possiamo dire che l’equazione di Laplace ci consente di studiare il campo di
moto, escludendo con un trucco l’unica regione di campo che è sicuramente
rotazionale, e che presenta una difficoltà intrinseca di studio.
L’equazione di Laplace non ci dice nulla su quanto riguarda la scia, ma noi
imponiamo che il taglio di dominio prenda in gioco la scia e ce la elimini dal campo
di moto. La discontinuità rimane in quanto da entrambe le parti della scia il
potenziale assume due valori completamente diversi, ma questa discontinuità viene
superata ricavando, come abbiamo fatto, altre condizioni al contorno che ci
permettono di legare grandezze come la velocità normale e la pressione da cui ciamo
riusciti a ricavare il potenziale.
Massimo Bucca matr. 644978
31
Passiamo ora a vedere alcune forme risolutive dell’equazione di Laplace, la scelta del
sistema di riferimento dipende dal tipo di fenomeno che sto studiando, comunque
sappiamo che l’equazione di Laplace potrà essere scritta come,
∂ 2ϕ ∂ 2ϕ
∇ ϕ= 2 + 2 =0
∂x
∂y
2
questa forma è in coordinate cartesiane. Noi non sappiamo che forma avrà la
soluzione di questa equazione, ma provo se possa essere di questo tipo,
ϕ( x, y ) = F ( x )G ( y )
sostituendo dentro l’equazione si ha,
F ′′( x )G ( y ) + F ( x )G ′′( y ) = 0
⇒
F ′′( x ) G ′′( y )
+
=0
F (x ) G( y )
affinché la somma di due funzioni di variabile diversa siano uguali a zero, deve
accadere che le due funzioni siano costanti,
F ′′( x )
G ′′( y )
= A=−
F (x )
G( y )
F ′′( x ) − A F ( x ) = 0
e
G ′′( y ) + A G ( y ) = 0
le soluzioni di queste equazioni differenziali avranno una forma del tipo,
F (x ) = e k x
1
G( y ) = e k y
2
⎧a ∈ C se A < 0
k1 = ± A = ± a ⎨
⎩a ∈ R se A ≥ 0
⎧ia ∈ C se A > 0
k 2 = ± − A = ±ia ⎨
⎩ia ∈ R se A ≤ 0
quindi la soluzione dell’equazione sarà,
ϕ( x, y ) ∝ e ± ax ⋅ e ± iay
Ma variando il dominio di calcolo e le condizioni al contorno, la soluzione più
generale possibile che possiamo scrivere ha una forma del tipo,
Massimo Bucca matr. 644978
32
+∞
ϕ( x, y ) = ∫ k (a )e
−∞
−a x
e iay da
Se prendo in considerazione una geometria in cui il mio dominio sia solo la parte
positiva delle x, e quindi la mia condizione al contorno sia solo una funzione della
sola y,
ϕ(0, y ) = g ( y )
e devo pure stare attento a non fare andare ad infinito il mio potenziale, in questo
caso basta mettere in valore assoluto la a all’esponente della x, perché sono sicuro
che il contributo derivante dalla y sia limitato, poiché sono funzioni goniometriche,
tramite la mia condizione al contorno ho
ϕ(0, y ) = ∫−∞ k (a )e iay da = g ( y )
+∞
sfruttando la trasformata di Fourier si può prendere l’inversa ed avere,
ka =
1
2π
∫
+∞
−∞
g ( y )e −iay dy .
mercoledì 17 ottobre 2001
Abbiamo ricavato l’equazione di Laplace, e abbiamo anche visto la forma che può
assume una sua soluzione espressa come il prodotto di due funzioni dipendenti da
variabili separate.
Ma tutto il procedimento seguito è stato svolto in coordinate cartesiane, questo a
volte può essere un limite molto alto soprattutto quando siamo in presenza di domini
circolari. Infatti se siamo in questo caso le coordinate più adatte sono quelle
cilindriche, la topologia sferica o cilindrica va bene anche in casi di profili, cosa che a
noi interessa molto.
Quando abbiamo ricavato la soluzione dell’equazione di Laplace mediante il
procedimento di separazione di variabili, abbiamo lavorato in coordinate cartesiane,
ora non è assolutamente detto che in coordinate polari valga ancora quello che
abbiamo fatto per il caso cartesiano, quindi siamo costretti a rifare i conti.
In coordinate polari l’equazione di Laplace diventa,
1 ∂ 2 ϕ 1 ∂ ⎛ ∂ϕ ⎞
+
⎜r ⎟ = 0
r 2 ∂θ 2 r ∂r ⎝ ∂r ⎠
anche qui vogliamo cercare delle funzioni soluzioni che abbiamo la forma,
ϕ(r ,θ ) = F (r )G (θ )
Massimo Bucca matr. 644978
33
sostituendo nell’equazione di Laplace si ha:
G ∂
1
(rF ′) = 0
FG ′′ +
2
r
r ∂r
⇒
G ′′ r
′
+ (rF ′) = 0
G F
abbiamo separato le variabili, il primo addendo è funzione solo della θ, mentre il
secondo è funzione solo della r, affinché diano somma nulla deve accadere che
entrambi siano uguali a costanti, cioè
G ′′
= −A
G
e
r
(rF ′)′ = A
F
La prima equazione differenziale, quella dipendente da θ, è simile a quelle viste nel
caso cartesiano, quindi avrà soluzione del tipo,
G (θ ) = e ± iaθ
la seconda equazione è una equazione di Eulero, cioè a coefficienti non costanti, ma
che può essere riportata a coefficienti costanti con la banale sostituzione di variabile
log r = t
quindi la nostra equazione
⇒
1
dt = dr
r
⇒
d
d
=r
dt
dr
′
r (rF ′) + AF = 0
in funzione di t diventerà, con soluzione
Ftt + AF = 0 ⇒ F (t ) = e ± at
e tornando nella variabile r, si ha
F (r ) = r ± a
Quindi notiamo che le due soluzioni separate hanno faccia diversa, cosa che non
accadeva nel caso cartesiano.
In più accade che le soluzioni trovate non comprendono tutte le soluzioni possibili al
variare della costante A, infatti se supponiamo che A sia nulla abbiamo
G ′′(θ ) = 0 ⇒ G (θ ) = C1 + C 2θ
Massimo Bucca matr. 644978
34
′
r (rF ′) = 0 ⇒
(rF ′)′ = 0
⇒ rF ′ = a 0
F′ =
⇒
a0
r
F (r ) = a0 log r + b0
⇒
queste due soluzioni non venivano comprese nelle soluzioni generali trovate con A
qualunque.
Passiamo adesso a lavorare sulle condizioni al contorno e supponiamo di conoscere la
condizione sul contorno circolare di raggio r0.
Cioè supponiamo di conoscere la ϕ(r0,θ)=g(θ),
la soluzione generale sarà la combinazione
lineare più generale possibile fra le soluzioni
r
trovate separatamente, ricordiamo che noi
θ
stiamo cercando il potenziale in un punto r
all’esterno del cerchio di raggio r0, quindi
dobbiamo stare attenti che il nostro potenziale
r0
non vada all’infinito.
La soluzione generale sarà,
ϕ(r ,θ ) = a0 log r + b0 + C 2θ + ∫−∞ k (a )r a e iaθ da
∞
abbiamo detto che il potenziale non può divergere allora il terzo termine non può
esistere perché all’infinito il potenziale deve essere uniforme.
Dovendo le funzione essere continue implica che l’esponente a dentro l’integrale non
può essere reale ma intero, di conseguenza al posto dell’integrale posso sostituire una
sommatoria così fatta,
∫ k (a )r
+∞
−∞
a
e da =
iaθ
∑ (A r
+∞
n = −∞
n
n
+ Bn r − n )e inθ
ma ci accorgiamo che anche quando r tende all’infinito il potenziale diverge, quindi
dobbiamo eliminare dalla sommatoria anche le potenze di r con esponente positivo.
La soluzione diventerà,
ϕ(r ,θ ) = a0 log r + b0 +
+∞
∑k r
n = −∞
n
−|n|
e inθ
adesso una semplice trasformata di Fourier e la condizione al contorno sul cerchio di
raggio r0 ci permettono di ricavare i coefficienti della sommatoria kn, cioè
ϕ(r0 ,θ ) = g (θ ) = a0 log r0 + b0 +
+∞
∑k r
n = −∞
n
−|n|
e inθ
⇒
k n r0−|n| =
1
2π
∫
2π
0
g (θ )e −inθ dθ
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35
Finora abbiamo studiato come trovare il potenziale in un punto all’esterno del
contorno scelto, ma vogliamo anche trattare il caso in cui il nostro punto sta
all’interno del contorno. Il discorso da fare è abbastanza analogo, solo che mentre
prima eliminavo i termini della sommatoria con esponente positivo, questa volta
dovrò eliminare quelli con esponente negativo. E per lo stesso motivo devo eliminare
il termine che compare con il logaritmo perché esso presenta una discontinuità in
zero.
Detto questo la soluzione avrà forma
+∞
ϕ(r ,θ ) = b0 +
∑k r
n = −∞
|n|
n
e inθ
Per quanto riguarda la condizione al contorno per il problema interno non cambia
assolutamente niente, infatti resta quella che abbiamo trovato prima con le dovute
variazione di segno, quindi possiamo dire che c’è una simmetria della condizione di
tipo Dirichlet per il problema esterno e interno.
Cosa che non accade se andiamo a prendere una condizione al contorno di tipo
Neumann, infatti se considero la derivata radiale per il problema interno, io ho
+∞
g (θ ) = ϕ r (r0 ,θ ) =
∑k
n = −∞
n −1
n
n r0 e inθ
invertendo con la trasformata di Fourier si ha,
k n n r0|n|−1 =
1
2π
∫
2π
0
g (θ )e −inθ dθ
andiamo adesso a notare che, se n = 0 il primo membro diventa identicamente nullo,
quindi se anche il secondo membro, cioè l’integrale, fa zero non ho casini e il mio
problema è ben posto, se zero non è allora il mio problema è mal posto.
Affinché sia ben posto devo rispettare la condizione di compatibilità
∫ ∇ϕ ⋅ n dl = 0 .
l
Questa condizione non ha luogo di esistere se consideriamo il problema esterno,
infatti in quel caso dato che la soluzione generale cambia e la sua derivata di
conseguenza anche, si avrà una condizione al contorno del tipo,
g (θ ) = ϕ r (r0 ,θ ) =
+∞
∑− k
n = −∞
− n −1
n
n r0
e inθ +
a0
r0
Massimo Bucca matr. 644978
36
avendo un grado di libertà in più, riesco comunque a soddisfare la condizione di
media non nulla della condizione al contorno.
Quindi mi accorgo che il problema polare con condizioni di tipo Neumann non è
affatto simmetrico.
Con le coordinate polari possono essere risolti non solo domini prettamente circolari,
ma anche domini che rappresentano corone circolari,
Oppure spicchi di domini circolari,
θ2
θ1
in questo caso le soluzioni avranno esponente non intero ma reale, perché essendo il
dominio limitato secondo l’ampiezza non c’è il problema della continuità.
Prima di andare a vedere qualche caso particolare di soluzione dell’equazione di
Laplace, introduciamo il concetto di funzione di corrente, se abbiamo un campo di
moto piano e una linea che unisce due punti A e B la funzione,
ψ l ( A, B ) = ∫ v ⋅ n dl
l
Massimo Bucca matr. 644978
37
se supponiamo di porre l’origine del sistema di riferimento nel punto A, la funzione
di corrente ψ non dipenderà più dal punto A. e se supponiamo ancora di avere un
moto irrotazionale e incomprimibile allora la funzione di corrente ψ non dipende dal
percorso scelto, e sarà soluzione dell’equazione di Laplace cioè
∇ 2ψ = 0 .
Se prendiamo in considerazione il solito problema aerodinamico, possiamo dire che il
corpo è linea di corrente, quindi anche la ψ è costante su ogni linea di corrente, se le
condizioni al contorno sono del tipo Dirichlet sfruttando la ψ si hanno le seguenti
formule,
∂ϕ
=u
∂x
∂ψ
= −v
∂x
∂ϕ
=v
∂y
∂ψ
=u
∂y
Portiamo alcuni esempi di correnti, incominciamo con il caso di corrente parallela ad
un piano obliquo,
u∞
V∞
x
v∞
Il potenziale ϕ e quello ψ saranno,
ϕ( x, y ) = u ∞ x + v∞ y
ψ ( x, y ) = − v ∞ x + u ∞ y
Prendiamo il caso della sorgente di intensità q, chiaramente è espressa per unità di
profondità, se q > 0 allora si tratta di una vera e propria sorgente, se q < 0 allora si
tratta di un pozzo.
Considerando in coordinate polari il nostro sistema per determinare la velocità
radiale, basta considerare una corona circolare da cui si ricava
Massimo Bucca matr. 644978
38
q
log r
2π
q
ψ (r ,θ ) = θ
2π
ϕ(r ,θ ) =
ψ = cost
ϕ = cost
il termine log(r) prende il nome di termine di monopolo o sorgente.
In questo particolare caso esiste un caso duale, cioè quando si invertono le curve del
potenziale ψ e quelle del potenziale ϕ. Quando questo accade fisicamente si ha il
caso del vortice piano con circolazione Γ, i potenziali diventano
Γ
θ
2π
Γ
ψ (r ,θ ) = − log r
2π
ϕ(r ,θ ) =
ψ = cost
Γ
ϕ = cost
Se abbiamo un sistema cinematico che comprende una sorgente e un pozzo posti ad
una certa distanza d questo viene chiamato doppietta, poi ad un certo istante facciamo
avvicinare queste due sorgenti in modo da far tendere a zero la loro distanza, e
facendo in modo che il prodotto q⋅d si mantenga costante ed uguale a
qd = cst = µ
ϕ = cost
ψ = cost
Massimo Bucca matr. 644978
39
con µ indichiamo l’intensità della doppietta ed è caratterizzato da un segno, anche in
questo caso possiamo ricavare i due potenziali ed avere,
µ cosθ
2π r
µ sen θ
ψ (r ,θ ) =
2π r
ϕ(r ,θ ) = −
Se mettiamo assieme una doppietta e un moto uniforme, otteniamo sapendo che vale
il principio della sovrapposizione degli effetti,
Y
ψ = cost
V∞
x
ψ = V∞ y −
µ senθ
µ senθ
µ ⎞
⎛
= rV∞ sen θ −
= sen θ ⎜ rV∞ −
⎟
2π r
2π r
2πr ⎠
⎝
notiamo che θ = 0 e per θ = π si ha che il potenziale ψ si annulla, ma questo accade
pure per il valore
r=
µ
= r0
2πV∞
Notiamo che anche il dominio circolare di raggio r0 è linea di corrente, quindi non
abbiamo fatto altro che disegnare la linea di corrente di moto uniforme che investe un
cilindro.
Andiamo ora a calcolarci le velocità, per derivazione dal potenziale ψ, e facile
verificare che,
1 ∂ψ
⎛ r02 ⎞
vr =
= V∞ cosθ ⎜1 − 2 ⎟
r ∂θ
⎝ r ⎠
∂ψ
⎛ r02
⎞
= V∞ sen θ ⎜ 2 + 1⎟
vθ =
∂r
⎝r
⎠
⇒
vθ (r0 ) = 2V∞ senθ .
Massimo Bucca matr. 644978
40
giovedì 18 ottobre 2001
Riguardando ancora il problema del cilindro investito da una corrente uniforme,
possiamo notare dalle linee a potenziale ψ costante che il nostro problema presenta
una simmetria sia per quanto riguarda l’asse delle x, ma anche per quanto riguarda
l’asse delle y.
Se andiamo a calcolarci dalle velocità tangenziali il coefficiente di pressione, e lo
diagrammiamo per la velocità, si ha
Cp
1
π
v
sfera
cilindro
Da quello che abbiamo trovato seguono due importanti riflessioni.
Dalla simmetria rispetto all’asse x ci viene che non esiste portanza, questo risultato
però non contrasta con la realtà sperimentale, perché sappiamo che un cilindro non in
rotazione relativa rispetto al fluido, non genera portanza.
Ma dalla simmetria rispetto all’asse delle y notiamo che non si genera neanche
resistenza, e questo in realtà non succede. Questa contraddizione che va sotto il nome
di paradosso di D’Alembert, spunta dal fatto che si è trascurata la viscosità del fluido,
che ci è servita per fare delle semplificazioni matematiche per ricavare le nostre
formule. Infatti anche nella realtà se non avessimo viscosità non si genererebbe
resistenza che comunque c’è sempre.
Continuiamo a vedere altri metodi risolutivi della nostra equazione di Laplace.
Abbiamo visto fino ad ora il metodo delle separazione delle variabili, sia in
coordinate cartesiane che in coordinate polari.
E siamo riusciti a ricavare una soluzione del tipo ϕ1(r,θ), allora mi chiedo, se esiste la
ϕ1(r,θ) esisterà la soluzione ϕ2(1/r,θ), soluzione sì di un altro problema ma comunque
soluzione che verifica l’equazione di Laplace?
Ebbene esiste.
Quello che faccio per prima cosa e trovare la formula di Laplace in coordinate polari
nella nuova variabile
1
r′ = ,
r
Massimo Bucca matr. 644978
41
sappiamo che la derivata prima sarà,
∂
∂
= −r ′ 2
∂r ′
∂r
allora l’equazione di Laplace diventa,
2
∂ ⎛
∂ϕ ⎞
2 ∂ϕ
− r′
=0
⎜ − r′ ⎟ + r′
∂θ 2
∂r ′ ⎝
∂r ′ ⎠
3
Supponiamo di voler calcolare ϕ2 quando ϕ1 è il potenziale di una sorgente, che ha la
forma
ϕ1 = log r − r 0
in coordinate cartesiane diventa la soluzione,
(
2
)
1
2 2
ϕ1 = log ( x − x0 ) + ( y − y 0 )
in coordinate polari avremo
(
2
)
1
2 2
ϕ1 = log (r cosθ − x0 ) + (r senθ − y 0 )
Quindi l’altra soluzione, di non sappiamo quale problema ma comunque soluzione di
Laplace, si ottiene sostituendo alla r la sua inversa, cioè
1
2
2 2
⎞
⎛⎛ x
y
⎞
⎛
⎞
ϕ 2 = log⎜⎜ ⎜ 2 − x0 ⎟ + ⎜ 2 − y 0 ⎟ ⎟⎟
⎠ ⎠
⎠ ⎝r
⎝⎝ r
Notiamo che mentre prima la singolarità della soluzione ϕ1 stava nel punto r0, adesso
noi l’abbiamo spostata nel punto
r
r ′ 0 = 02
r0
Questo metodo di ricerca delle soluzioni è il metodo delle immagini.
Ma ci possiamo chiedere a che cosa ci serve la ϕ2. Supponiamo di avere il cerchio
unitario, sappiamo che la soluzione ϕ1 e la soluzione ϕ2 hanno lo stesso valore, e se
andiamo a considerare la funzione
ϕ 3 = ϕ1 − ϕ 2
Massimo Bucca matr. 644978
42
che sarà certamente soluzione, perché combinazione lineare di soluzioni di Laplace,
questa soluzione sarà identicamente nulla sul cerchio unitario, quindi non abbiamo
fatto altro che trovare il campo di moto di una sorgente che differisce con un cilindro.
Un problema così posto, avendo preso come condizioni al contorno i valori delle
soluzioni sul cerchio unitario è di tipo Dirichlet, ma se noi abbiamo condizioni di tipo
Neumann, allora invece della differenza delle funzioni dobbiamo prendere la somma
delle soluzioni, cioè
ϕ 4 = ϕ1 + ϕ 2
Vediamo il perché. Per vederlo dobbiamo farci la derivata normale della soluzione ϕ4
sul cerchio unitario,
∂ϕ 4 ∂ϕ1 ∂ϕ 2 ∂ϕ1 ∂ϕ 2 ∂r ′ ∂ϕ1 1 ∂ϕ1 r =1
=
+
=
+
=
−
=0
∂r
∂r
∂r
∂r
∂r r 2 ∂r
∂r ′ ∂r
Andiamo a vedere adesso una applicazione del metodo delle immagini, e per una
spiccata dose di fantasia riprendiamo il problema del cilindro investito da una
corrente di fluido che si muove con velocità uniforme.
Sappiamo che il potenziale di una corrente uniforme è,
ϕ( x, y ) = V∞ x ⇒ ϕ(r ,θ ) = V∞ r cosθ
andiamo a prendere l’immagine di questa soluzione, cioè
ϕ2 =
V∞
cosθ
r
e adesso andiamo a trovare la somma delle funzioni trovate, prendo la somma perché
la condizione al contorno è di tipo Neumann, cioè la non penetrabilità del cilindro,
⎛
1
⎛
⎞
ϕ1 + ϕ 2 = V∞ ⎜ r cosθ + cosθ ⎟ = V∞ x⎜1 +
⎜
r
⎝
⎠
⎝
⎞
⎟.
2
2 ⎟
x +y ⎠
1
Massimo Bucca matr. 644978
43
Abbiamo visto che sotto il metodo della separazione di variabili ci sta la trasformata
di Fourier, che ci consente la scomposizione delle coordinate al contorno in termini di
funzioni sinusoidali, per poi applicare il principio delle sovrapposizione degli effetti.
Adesso andiamo a vedere il metodo di Green che al contrario di quanto visto in
precedenza si basa sulla somma infinita da valori puntuali per la determinazione della
soluzione.
Consideriamo la funzione di Laplace non omogenea, cioè la funzione di Poisson,
∇ 2 ϕ = g (r )
questa equazione è lineare quindi varrà il principio della sovrapposizione degli effetti,
questo ci consente di dire che la funzione soluzione dell’equazione sarà del tipo,
ϕ(r 0 ) = c.c + ∫∫∫ g (r )G (r 0 , r )dV ,
V
il primo termine del secondo membro ci dice che la funzione deve dipendere dalle
condizioni al contorno, il secondo termine ci da l’informazione che la soluzione sarà
data dall’integrale del prodotto della funzione termine noto calcolata in tutti i punti
del dominio per una funzione G, detta funzione di Green, calcolata in non solo in
tutto il dominio ma anche nel punto r0.
Andiamo adesso a semplificare questa espressione, e soprattutto andare ad eliminare
le derivate del potenziale per sostituirle con le derivate della funzione di Green.
G ∇ 2 ϕ = G g (r )
∫∫∫ G ∇ ϕ dV = ∫∫∫ G g (r )dV
2
V
V
G ∇ 2 ϕ = G ∇ ⋅ ∇ϕ = ∇ ⋅ (G ∇ϕ ) − ∇G ⋅ ∇ϕ
∫∫∫ G ∇ ϕ dV = ∫∫ (G ∇ϕ) ⋅ n dS − ∫∫∫ (∇G ⋅ ∇ϕ)dV
2
V
V
come si nota facilmente siamo riusciti ad eliminare tutte le derivate seconde di ϕ e
anche eliminato un integrale di volume in uno al contorno, ma sappiamo ancora
∇G ⋅ ∇ϕ = ∇ ⋅ (ϕ ∇G ) − ϕ ∇ ⋅ ∇G = ∇ ⋅ (ϕ ∇G ) − ϕ ∇ 2 G
∫∫∫ G ∇ ϕ dV = ∫∫ n ⋅ (G ∇ϕ)dS − ∫∫ n ⋅ (ϕ ∇G )dS + ∫∫∫ ϕ ∇ G dV
2
V
2
V
Massimo Bucca matr. 644978
44
Ma noi vogliamo la soluzione, cioè la ϕ(r0), quindi vado a scegliere una particolare
forma della funzione di Green, cioè definisco
∇ 2 G = δ (r − r 0 )
dove la funzione δ è chiamata funzione di Dirach, questa funzione ha la particolarità
che il suo integrale calcolato in un dominio infinitesimo quando essa tende ad infinito
diventa unitario. A questo punto l’integrale di volume diventa
∫∫∫ ϕ ∇ G dV = ∫∫∫ ϕδ (r − r )dV = ϕ(r )
2
0
V
0
V
la soluzione sarà,
∂G (r , r 0 )
∂ϕ(r ) ⎞
⎛
ϕ(r0 ) = ∫∫∫ G g (r )dV + ∫∫ ⎜ ϕ(r )
− G (r , r 0 )
⎟dS *
∂n
∂n ⎠
⎝
V
Adesso se sono in grado di trovare una funzione di Green adatta al mio contorno che
mi permetta di eliminare a priori alcuni termini ho fatto bignè, altrimenti sono
costretto ad integrare, il primo termine è un integrale noto, quindi facilmente
integrabile.
Andiamo a vedere alcune forme che possiamo trovare al variare del nostro dominio
della funzione di Green.
Cominciamo col caso di un dominio senza contorno, e se supponiamo di metterci
sull’origine si avrà che
∇ 2 G = δ (r )
le soluzioni devono godere della simmetria rispetto all’angolo, quindi non deve
esserci la dipendenza della soluzione rispetto a θ, inoltre tranne nell’origine è anche
soluzione di Laplace, queste considerazioni ci permettono di dire che l’unica forma
che possiamo avere è del tipo
G = a0 log r + b0
dobbiamo verificare che l’integrale esteso ad un dominio infinitesimo della G sia
unitario, come contorno scegliamo un cerchio infinitesimo, ed abbiamo
∫ n ⋅ ∇(a0 log r + b0 )dS = ∫0
2π
∂S
a0
rdθ = 2πa0
r
Massimo Bucca matr. 644978
quindi la condizione affinché questo integrale sia unitario è
a0 =
45
1
. Quindi la
2π
funzione di Green avrà una forma del tipo,
G=
1
log r + b0
2π
posta non nell’origine sarà
G=
1
log r − r 0 + b0 .
2π
In tre dimensioni la soluzione continuerà ad essere indipendente da θ, e la funzione di
Green sarà,
a
G = 0 + b0
r
andiamo a verificare lo stesso integrale, ricordandoci che questa volta non avremo un
angolo piano ma un angolo solido, quindi si avrà
4π
a
1
⎞
⎛ a0
+ b0 ⎟dS = ∫0 − 20 r 2 dΩ = −4πa0 ⇒ a0 = −
4π
r
r
⎠
∫∫ n ⋅ ∇⎜⎝
∂S
G=−
1
4π r
+ b0
non nell’origine
G=−
1
+ b0 .
4π r − r 0
Fino ad ora abbiamo visto casi in cui il contorno non esisteva, un altro caso semplice
da studiare è quello con contorno circolare, infatti andiamo a prendere un cerchio di
raggio unitario in cui r0 sta all’interno del cerchio e con condizione al contorno
ϕ(1,θ) = g(θ).
Se riesco a trovare una funzione di Green fatta in modo che sul contorno essa si
annulli, allora certamente uno dei due addendi dell’integrale * se ne andranno.
Cercare una funzione che sia annulli sul contorno è molto facile trovarla con il
metodo delle immagini, per esempio
1
G=
log
2π
(x − x )
2
0
+ ( y − y0 )
2
2
1
⎛ x
⎞ ⎛ y
⎞
−
log ⎜ 2 − x0 ⎟ + ⎜ 2 − y0 ⎟
2π
⎝r
⎠ ⎝r
⎠
2
Massimo Bucca matr. 644978
46
la soluzione sarà,
∂ϕ ⎞
⎛ ∂G
ϕ(r0 ) = ∫∫ ⎜ ϕ
− G ⎟rdθ
∂r ⎠
⎝ ∂r
così facendo siamo sicuri che il secondo termine dell’integrale di superficie si annulla
dato che la G sul contorno, così come l’abbiamo costruita è nulla. La ϕ la conosciamo
perché è una condizione al contorno, e abbiamo trascurato l’integrale di volume
perché è un dato del problema, dopo averlo integrato.
Con la nostra scelta di G, la sua derivata radiale sarebbe stata,
⎛
2
⎛1
⎞ 2
⎛1
⎞⎞
⎜
− 2 cos θ ⎜ cos θ − x 0 ⎟ − 2 sen θ ⎜ sen θ − y 0 ⎟ ⎟
1 ⎜ 2 cos θ (r cos θ − x 0 ) + 2 sen θ (r sen θ − y 0 )
∂G
r
⎝r
⎠ r
⎝r
⎠⎟
=
−
2
2
2
2
⎟
⎜
∂r 4π
(r cos θ − x 0 ) + (r sen θ − y 0 )
⎛1
⎞
⎛1
⎞
⎟⎟
⎜⎜
⎜ cos θ − x 0 ⎟ + ⎜ sen θ − y 0 ⎟
⎝r
⎠
⎝r
⎠
⎠
⎝
e la nostra soluzione di potenziale diventa,
2π
∂G
ϕ(r 0 ) = ∫0 g (θ )
∂r
dθ
r =1
Se invece della condizione sul cerchio unitario avremmo avuto una condizione del
tipo Neumann, avremmo costruito la G invece che con la differenza, con la somma e
non sarebbe cambiato un bel nulla.
martedì 23 ottobre 2001
Andiamo a scrivere la formula di Green per un cerchio di raggio ρ, e con la G di
spazio libero, si ha
2π
ϕ(0) = ∫ ϕ( ρ ,θ )
0
2π ⎛ 1
1
1
⎞ ∂ϕ
ρ dθ − ∫ ⎜ log ρ + b0 ⎟ ρ dθ =
0
2πr
2π
⎝ 2π
⎠ ∂n
2π
∫ ϕ(ρ ,θ )dθ
0
in quanto il secondo addendo dev’essere nullo, questa relazione che va sotto il nome
di corollario della media, ci dice che l’integrale del potenziale intorno su un cerchio
di raggio qualunque ci da il potenziale calcolato nell’origine. Ma si può estendere il
ragionamento al potenziale di qualunque punto r0, e non dipendendo dal raggio del
cerchio l’integrale si può calcolare su qualunque cerchio centrato nel punto voluto.
Questo risultato ci permette di capire e dimostrare che la soluzioni ottenuta da C.C. di
tipo Dirichlet è unica.
Diciamo anche che la soluzione di Laplace non può avere massimi e minimi a meno
che questi non si trovano sul contorno.
Massimo Bucca matr. 644978
47
Supponiamo che ci siano due soluzioni del potenziale ϕA e ϕB, essendo soluzioni
dell’equazione di Laplace, sono funzioni lineari quindi anche la differenza delle due
sarà una funzione soluzione dell’equazione di Laplace,
ϕ3 = ϕ1 − ϕ 2
ma su un contorno di raggio qualunque entrambe le soluzioni devono avere lo stesso
valore per il corollario della media, ottengo che la differenza è nulla, quindi il
potenziale ϕC è nullo sul contorno, ma essendo nulla sul contorno deve essere nulla
ovunque, da qui l’unicità dei due potenziali ϕA e ϕB.
Le formule di Green ci permettono di avere un informazione qualitativa di come sarà
il nostro campo di moto all’infinito, senza specificare il nostro problema di Laplace,
ci chiediamo cosa succede quando r0 va ad infinito. Chiedere questo equivale a
chiedere che la distanza tra r e r0 tende ad infinito, cioè
r 0 >> r
Questa condizione in assenza di scia ci va bene, in presenza di scia non tanto perché
essendo che anche la scia va all’infinito, ci sarà qualche punto sulla scia che si
avvicina ad r0.
Prendiamo sempre in considerazione la formula di Green con la funzione G sempre
quella di spazio libero, e in particolare concentriamo la nostra attenzione sul secondo
addendo dell’integrale, trascurando eventuali costanti,
∫ log r − r
0
∂ϕ
dl
∂n
sviluppiamo in serie di Taylor la quantità
r − r 0 = r0 rˆ0 −
r
= r0
r0
⎛
⎛ 1 r 2 rˆ ⋅ r
⎞
r ⎞⎛
r⎞
rˆ ⋅ r r 2
⎜⎜ rˆ0 − ⎟⎟⎜⎜ rˆ0 − ⎟⎟ = r0 rˆ02 − 2 0 + 2 ⎯Taylor
⎯
⎯→r0 ⎜⎜1 + 2 − 0 + ...⎟⎟
r0 ⎠
r0
r0
r0
r0 ⎠⎝
⎝
⎝ 2 r0
⎠
log r − r 0 ≈ a0 log r0 +
a1 a 2
+ + ...
r0 r02
il primo addendo tenendo dentro l’integrale la derivata della G, cioè
r − r0
∫ ϕ(r )n ⋅ r − r
2
0
dl ≈
rˆ 0
∫ ϕ(r )ndl
r0
Massimo Bucca matr. 644978
48
otteniamo che è dello stesso tipo del secondo addendo con la differenza della non
presenza del logaritmo, questo ci consente di dire che quando r0 va all’infinito il
potenziale può anch’esso andare all’infinito, ma la velocità essendo la sua derivata
tende a zero.
Il logaritmo non c’è sempre , ma lo troviamo solo quando abbiamo flusso di massa,
quando non c’è il potenziale dipende dal vettore r come 1/r, mentre la velocità
dipenderà come un fattore 1/r2.
Andiamo a calcolarci la forza che agisce sul nostro profilo,
F = − ∫∫ J Q ⋅ n dS
S1
calcolata attraverso una superficie molto prossima al profilo, sappiamo anche che se
il nostro fluido è non viscoso la forza si riduce a,
F = − ∫∫ p n dS .
S1
Ma se il moto è stazionario, possiamo pensare che la variazione della quantità di
moto sia nulla in tutto il campo di moto, quindi possiamo allargare la superficie S1 e
portarla all’infinito, possiamo anche applicare Bernoulli, e considerare la velocità
come la somma della velocità all’infinito più una componente infinitesima di
variazione v, cioè
p
1
1
+ V 2 = ∞ + V∞2
ρ 2
ρ 2
p
la forza diventa,
V =V ∞ + v
F = − ∫∫ (ρV V + p I ) ⋅ n dS
S∞
⎡
⎞ ⎤
⎛p
⎛
p ⎞
1
F = − ρ ∫∫⎜⎜V V + I ⎟⎟ ⋅ n dS = − ρ ∫∫ ⎢V ∞ V ∞ + vV ∞ + V ∞ v + vv + ⎜⎜ ∞ − V ∞ ⋅ v − v ⋅ v ⎟⎟I ⎥ dS
ρ ⎠
2
S ⎝
S ⎣
⎠ ⎦
⎝ ρ
∞
∞
il primo termine dell’integrale essendo costante si può portare fuori, si ottiene
l’integrale ∫∫ n dS = 0 , quindi possiamo trascurare il termine, allo stesso modo posso
S∞
fare per il rapporto p∞/ρ. Il terzo termine dell’integrale, essendo V∞ costante, lo porto
fuori e mi rimane l’integrale ∫∫ v ⋅ n dS = 0 , che per la condizione di non penetrabilità
S∞
è nullo, quindi andiamo a trascurare il suo termine.
Se siamo in 2D possiamo trascurare il termine v⋅v, perché sappiamo che all’infinito la
velocità dipende da 1/r, quindi quel prodotto dipenderà da 1/r2.
Massimo Bucca matr. 644978
Quello che ci resta è,
49
F = − ∫∫ [(V ∞ ⋅ n )v − (V ∞ ⋅ v )n]dS
S∞
sfruttando il doppio prodotto vettoriale
Relazione di Kutta-Jukonski,
a × b × c = (a ⋅ c )b − (a ⋅ b )c
otteniamo la
F = ρV ∞ × ∫∫ n × v dS .
S∞
Abbiamo portato fuori dall’integrale la velocità all’infinito perché essa si mantiene
costante, se siamo in presenza della scia e in 3D allora siamo costretti a fare
l’integrale non solo sul profilo ma anche sulla scia, perché la presenza della scia mi fa
saltare l’ipotesi che la distanza r0 sia molto maggiore della distanza r.
Dalla relazione di Kutta-Jukonski notiamo che all’infinito la forza è normale alla
velocità, quindi non abbiamo resistenza, scrivendo V al posto della velocità
infinitesima v, e notando che l’integrale non è altro che la circolazione Γ, abbiamo
F = L = ρV ∞ Γ
quindi se la circolazione è nulla dentro il campo di moto, anche la portanza sarà nulla,
questo abbiamo già visto va sotto il nome di paradosso di D’Alembert.
Se andiamo a considerare la scia abbiamo visto che la circolazione coincide con la
variazione di potenziale attraverso la scia, ma al variare della circolazione noi
otteniamo delle soluzioni del problema di Laplace tutte lecite, quindi ci accorgiamo
che esso non è ben posto.
Sappiamo che esiste
D∆ϕ
=0
Dt
ma non sappiamo quando si stacca e nemmeno dove si stacca la scia. Allora si
dovrebbe ricorrere alla viscosità, ma non vogliamo farlo, quindi metto in gioco delle
semplificazioni che derivano dai corpi aerodinamici che stiamo trattando.
Diciamo che la scia deve staccarsi dal bordo d’uscita, questa considerazione equivale
al saper trovare la Γ giusta, e saper mettere il taglio del nostro dominio proprio sulla
scia.
Massimo Bucca matr. 644978
50
Ritorniamo alla nostra formula di Green, questa formula l’abbiamo ricavata per un
punto r0 interno al campo di moto, ma qui ci interessa che stia fuori dal profilo,
quindi penso di allargare la superficie S1 e portarla all’infinito.
A questo punto metto il taglio per rendere connesso il dominio, sappiamo che la
formula di Green è
∂ϕ ⎞
⎛ ∂G
ϕ(r0 ) = ∫∫ ⎜ ϕ
− G ⎟dS
∂n ⎠
⎝ ∂n
e sappiamo anche che dobbiamo calcolarla sul contorno infinito S∞. La funzione di
Green è continua sul taglio, devo fare in modo che anche il potenziale lo sia
all’infinito, ma non lo è, però se prendo il potenziale così fatto lo diventerà,
ϕ1 = ϕ − V ∞ ⋅ x
Prendiamo ora in considerazione la scia, su di essa sappiamo che la derivata normale
del potenziale si mantiene costante, quindi i secondo addendo dell’integrale della
formula di Green posso buttarlo via. Ma non è più vero che la funzione di Green sia
continua, quindi devo tenere in conto l’integrale sulla scia.
Dall’integrale di Green otteniamo che,
∂G
∂G
∫ ϕ ∂n dl = ∆ϕ∫ ∂n dl
l
questo ci consente di trovare un potenziale che sia continuo sempre, in quanto noi
riusciamo a eliminare la discontinuità togliendogliela, cioè
ϕ 2 = ϕ1 −
∆ϕ
θ.
2π
mercoledì 24 ottobre 2001
Abbiamo visto che la composizione di un campo di moto uniforme è una singolarità,
più precisamente una doppietta, ci da il campo di moto attorno ad un cilindro.
Allora ci possiamo chiedere, se questo procedimento concettuale lo possiamo rifare
per ogni geometria assegnata. Il problema sta nel fatto di non sapere dove sono le
singolarità e la loro intensità, ma c’è anche il problema che non sappiamo che questa
distribuzione di singolarità sia unica e che esista sempre.
La formula di Green ci dirà che questa distribuzione esiste sempre.
Come funzione di Green andiamo a prendere quella di spazio libero,
G = log r − r 0
Massimo Bucca matr. 644978
51
ricordiamo che il log r − r 0 non è altro che il potenziale di una sorgente di intensità
unitaria, allora il secondo addendo dell’integrale della formula di Green a meno di
segno ed eventuali costanti è,
∂ϕ
∫ ∂n log r − r
0
dS
altro non è che l’integrale di potenziali dati da sorgenti di intensità pari alla derivata
normale del potenziale ϕ al variare punto per punto sul contorno di calcolo.
Il secondo addendo diventa,
1
∫ϕ r − r
dS
0
ma ricordando che 1/r è il potenziale di una doppietta, l’integrale di Green è il
potenziale di una doppietta di intensità pari al potenziale ϕ, sempre calcolato al
variare sul contorno.
Questo che abbiamo enunciato è il principio su cui si basa il nostro futuro
procedimento, adesso dobbiamo mettere tutto assieme, e per farlo utilizzeremo il
metodo a pannelli.
La scelta di singolarità da fare non è univoca, quindi noi andremo ad utilizzare una
scelta fatta da Hen-Smith, i quali ci dicono che il potenziale scelto è la somma di tre
potenziali, il primo è quello di moto uniforme, il secondo sarà il potenziale legato a
delle sorgenti e il terzo sarà un potenziale legato a dei vortici.
ϕ = ϕ∞ + ϕ s + ϕv
Supponiamo di avere un profilo, di cui vogliamo calcolarci il coefficiente di
pressione e il coefficiente di portanza, allora ci serve il potenziale, da cui ricavare la
velocità e poi tramite Bernoulli, il campo di pressioni.
α
V∞
1
N
r0
s
Massimo Bucca matr. 644978
52
il potenziale all’infinito sarà,
ϕ ∞ (r 0 ) = V∞ ( x0 cosα + y0 sen α )
sul profilo mettiamo un’ascissa curvilinea con una origine piazzata sul bordo
d’uscita, e diciamo che le intensità dei potenziali delle sorgenti varia con la legge
q(s), e quella dei vortici γ(s). I due potenziali saranno,
ϕ s (r 0 ) =
1
∫ q(s )log r − r 0 dS ,
2π
ϕ v (r 0 ) = −
1
∫ γ (s )θdS .
2π
A questo punto però ci accorgiamo che noi le geometrie reali non li sappiamo trattare,
quindi andiamo a spezzare il nostro profilo, in N tratti rettilinei, facendo coincidere il
primo pannello con l’origine dell’ascissa curvilinea, come in figura.
I due integrali dei potenziali delle sorgenti e dei vortici, devono essere scritti nel
nuovo contorno, quindi l’integrale finale sarà la sommatoria di N integrali fatti sugli
N pannelli.
Imponiamo che le intensità q(s) rimangano costanti su tutto il pannello, ma che
cambino da pannello a pannello, al contrario dell’intensità γ(s) che rimane costante su
tutti i pannelli. Quindi il potenziale diventerà
1
j =1 2π
ϕ s ,v (r 0 ) = ∑
N
∫ [q
j
log r − r 0 − γθ ]dS
pannelli
Ora non ci resta che risolvere il problema, notando che abbiamo N + 1 incognite,
derivanti dalle N q(s) più la γ(s). Dobbiamo innanzitutto scegliere quali condizioni al
contorno usare, potremmo usare quelle che ci anno la funzione di corrente ψ costante,
oppure che non ci sia velocità normale.
Per fare questo prendiamo il punto medio di ogni pannello e lo chiamiamo punto di
controllo,
i+1
i
punto di controllo
j
j+1
noi imporremo che su ogni punto di controllo la velocità normale dovuta al potenziale
infinito e ai potenziali delle distribuzioni di singolarità sia nulla.
Questo significa scrivere una combinazione lineare fra N + 1 incognite, su tutti gli N
pannelli. Ci accorgiamo che il numero delle incognite supera di uno numero di
equazioni, ci viene in aiuto la condizione di Kutta.
Massimo Bucca matr. 644978
53
Infatti ci rendiamo conto che il nostro profilo ha una forma aerodinamica, quindi
possiamo imporre che le velocità tangenti del pannello 1 e del pannello N sia uguali,
v1 ⋅ t = v N ⋅ t .
La condizione di Kutta non è sempre questa ma varia a secondo del problema che sto
affrontando.
Queste relazioni che abbiamo trovato prendono il nome di coefficienti di influenza.
Ci dicono qual è l’effetto del pannello i sul pannello j in base alla nostra distribuzione
di singolarità.
Trovati le intensità delle singolarità possiamo trovare il potenziale e quindi risalire
alla nostra informazione cercata.
Da notare che l’informazione dell’angolo di incidenza sta solo nel potenziale
all’infinito, quindi dal punto di vista algoritmico, basta costruire un solo modello di
calcolo per poi riutilizzarlo con angoli di incidenza diversi, in pratica quello che
cambia in un sistema matriciale, non è la matrice dei coefficienti che è stata trovata
identicamente, ma la colonna dei termini noti, dipendenti da α.
Fino ad ora abbiamo calcolato, o tentato di farlo, il potenziale di un punto r0 che stava
dentro il nostro campo di moto, ma se facciamo in modo che il punto r0 sta sul
contorno, che cosa succede?
Il metodo di Morino porta il punto r0 sul corpo, e la formula di Green diventa,
∂ϕ ⎤
∂G
⎡
ϕ1 (r c ) = ∫ ⎢ϕ1 (r c )
− G (r , r c ) 1 ⎥ dS
∂n
∂n ⎦
⎣
scegliendo la funzione di Green per lo spazio libero, G = log r − r c .
Ci accorgiamo che essendo rc sul contorno, prima o poi capita che r va a coincidere
con rc. Vediamo cosa succede alla formula di Green, il secondo addendo sarà
−
∂ϕ1
1
log r − r c
dS
∫
2π
∂n
otteniamo una singolarità, ma essendo un logaritmo questa singolarità non ci crea
problemi, quindi possiamo non preoccuparcene. Prendiamo il primo addendo,
1
1
ϕ1 (r )
dS
∫
2π
r − rc
anche questo integrale non è integrabile, ma possiamo adottare un trucco possiamo
pensare che quando r tende a rc, lo facciamo passare non sul contorno scelto, ma
bensì su una semicirconferenza infinitesima di raggio ρ, quindi l’integrale diventa,
Massimo Bucca matr. 644978
54
1
1
1
ϕ1 (r c ) ρdθ = ϕ1 (r c )
∫
2π
2
ρ
quindi l’integrale generale eliminando questa discontinuità diventa,
∂ϕ ⎤
∂G
1
⎡
ϕ1 (r c ) = ∫ ⎢ϕ1 (r c )
− G (r , r c ) 1 ⎥ dS .
∂n
∂n ⎦
2
⎣
Adesso ci rimane da discutere la scia, prendiamo la formula di Green calcolata sulla
scia, abbiamo
∂ϕ ⎞
⎛ ∂G
ϕ1,s (r c ) = ∫ ⎜ ϕ1
− G 1 ⎟dS
∂n
∂n ⎠
S ⎝
s
ma sulla scia la derivata normale del potenziale è costante, la G è pure continua
quindi l’integrale di circolazione è identicamente nullo, ci resta
ϕ1 (r c ) = ∫ ϕ +
S+
∂G
∂G
∂G
dS = ∫ (ϕ + − ϕ − ) dS
dS + ∫ ϕ −
∂n
∂n
∂n
S
S
−
+
e in caso di moto stazionario abbiamo,
ϕ1 (r c ) = ∆ϕ ∫
S+
∂G
dS
∂n
A questi punto si continua come abbiamo fatto nel metodo dei pannelli discretizzando
il dominio facendo le nostre ipotesi sulle intensità delle singolarità ecc.
La circolazione non è altro che il salto di potenziale fra il potenziale calcolato sul
primo pannello e quello calcolato sul pannello N.
giovedì 25 ottobre 2001
Più volte si è detto che un problema che si deve affrontare nel calcolo del potenziale è
quello relativo alla geometria assegnata. Infatti non è affatto semplice trattare con
geometri che non sono quelle già viste, il cerchio.
Ma per fare questo ci vengono in aiuto le variabili complesse.
Infatti tramite la trasformazione conforme, noi riusciremo a trasformare un contorno
noto, nel contorno che a noi interessa. E nella trasformazione noi otterremo che anche
le leggi analitiche trovate per il contorno noto, si trasformano di conseguenza.
La teoria su cui si basa tutto questo è la formula si Schwarz, che è la duale della
formula di Green in variabili complesse.
Massimo Bucca matr. 644978
55
Trovare la soluzione del problema di Laplace significa trovare una funzione analitica
che soddisfi certe condizioni, ma in variabili complesse, assegnata una condizione al
contorno equivale a due condizioni. Perché esiste un legame fra la parte reale e
immaginaria della condizione al contorno assegnata.
Quindi ci basta, e supporremo che sia così assegnata solo la parte reale della funzione
F(z) = g(θ) sul contorno scelto.
Abbiamo detto che la funzione F(z) è analitica, quindi ammette sviluppo i serie di
Taylor, e siccome anche la potenza di una funzione analitica è anch’essa analitica, la
serie ottenuta da potenze di funzioni analitiche è a sua volta anche analitica.
Possiamo esprimere la funzione F(z) come,
F (z ) =
+∞
∑a
n = −∞
n
zn .
Anche qui dobbiamo andare a distinguere il problema esterno da quello interno,
quindi prenderemo le potenze positive quando abbiamo a che fare con il problema
interno, e le potenze negative quando abbiamo a che fare con il problema esterno.
Noi partiamo a studiare il problema interno. Quindi dobbiamo eliminare tutte le
potenze negative, la serie diventa,
+∞
F ( z ) = ∑ an z n .
n =0
Il nostro problema è quello di trovare i coefficienti an della serie nota che sia la
condizione al contorno. Se come condizione al contorno avessi scelto la parte
immaginaria della funzione F(z), avrei dovuto prendere la sommatoria moltiplicata
per il coefficiente immaginario i.
Ma noi conosciamo la funzione g(θ), e sviluppandola in serie di Fourier si ha
g (θ ) =
+∞
∑c e
n = −∞
inθ
n
invertendo la serie e calcolandoci i coefficienti della serie, si ha
cn =
1 2π
g (θ )e −inθ dθ
∫
2π 0
Se la funzione F(z) la scriviamo solo per la parte reale sul cerchio, otteniamo,
indicando con F*(z) il coniugato di F(z),
1 +∞
F (e iθ ) + F * (e iθ )
= Re[F ( z )] = ∑ (an e inθ + an* e −inθ )
2
2 n =0
Massimo Bucca matr. 644978
56
confrontando questo sviluppo con quello della serie di Fourier della funzione g(θ),
possiamo definire
an ⎫
2 ⎪⎬ n > 0
a
c−n = n ⎪
2⎭
cn =
c0 = Re[a0 ]
A questo punto possiamo andare a sostituire agli an dentro lo sviluppo della funzione
F(z), i coefficienti cn ricavati dallo sviluppo della funzione g(θ). Si ha
+∞
F ( z 0 ) = a0 + ∑ a n z 0n
n =1
F (z0 ) =
+∞
1 2π
⎛ 1 2π
⎞ n 1 2π
⎛ 1 +∞ n − n ⎞
−inθ
(
)
(
)
(
)
+
=
g
d
g
e
d
z
g
θ
θ
θ
θ
θ
⎜ ∫
⎟ 0
⎜ + ∑ z 0 z ⎟ dθ
∑
∫
2π 0
π ∫0
n =1 ⎝ π 0
⎝ 2 n=1
⎠
⎠
F (z0 ) =
1 2π
⎛ +∞ n − n 1 ⎞
(
)
g
θ
⎜ ∑ z 0 z − ⎟ dθ
2⎠
π ∫0
⎝ n =0
ma la serie che compare dentro l’integrale è una serie geometrica, che sappiamo
convergere se la radice z0/z è minore di 1. Ma questo è sicuramente vero dato che r0
sta dentro il contorno, quindi r è maggiore di r0.
+∞
∑z
n =0
n
0
z
−n
n
1
⎛z ⎞
= ∑⎜ 0 ⎟ =
z
n =0 ⎝ z ⎠
1− 0
z
+∞
la funzione F(z) diventa,
⎛
⎞
⎜
z + z0
1
1
1⎟
1 2π
− ⎟dθ = ∫ g (θ )
F ( z 0 ) = ∫ g (θ )⎜
dθ
π 0
π 0
2( z − z 0 )
⎜ 1 − z0 2 ⎟
⎜
⎟
⎝
⎠
z
2π
e ritornando in variabili complesse,
F (z0 ) =
1
z + z 0 dz
g (θ )
π∫
2( z − z ) iz
0
Massimo Bucca matr. 644978
57
questa non è altro che la formula di Schwarz,
F (z0 ) =
z + z 0 dz
1
Re[F ( z )]
∫
2πi
z − z0 z
che ci dice che il valore di una funzione analitica soluzione del problema di Laplace è
completamente determinato da un integrale di contorno. Possiamo notare la
somiglianza con la formula di Green, lì c’era il potenziale ϕ e la sua derivata normale
pesato sulla funzione di Green, qui abbiamo la parte reale della funzione F(z) pesata
z + z0 1
.
sul rapporto
z − z0 z
Tutto questo quando abbiamo un problema interno, ma se siamo al di fuori del mio
contorno, allora sappiamo che dobbiamo considerare le potenze negative, e la serie di
Taylor della funzione F(z) diventa,
⎛1⎞
F (z ) = ∑ an ⎜ ⎟
n =0
⎝z⎠
+∞
n
se andiamo a ripercorrere identicamente il percorso di prima ci accorgiamo che
otterremo una serie geometrica identica a prima con la differenza che questa volta
sarà di radice z/z0, che comunque resta sempre minore di 1, dato che r0 sta fuori del
contorno, quindi converge comunque, e la formula di Schwarz sarà
F (z0 ) =
z + z 0 dz
1
Re[F ( z )]
.
∫
2πi
z0 − z z
Dato che la funzione F(z) è analitica, e le sue parti reale e complessa sono legate dalle
relazioni di Cauchy-Riemann, cioè
F ( z ) = ξ ( z ) + iη ( z )
ma ci ricordiamo che
⎧ ∂ξ ∂η
⎪⎪ ∂x = ∂y
⎨ ∂ξ
∂η
⎪ =−
⎪⎩ ∂y
∂x
∂ϕ
∂ψ
=u =
∂x
∂y
∂ϕ
∂ψ
=v=−
∂y
∂x
Massimo Bucca matr. 644978
58
quindi possiamo definire la funzione F(z) come una funzione complessa, la cui parte
reale non è altro che il potenziale ϕ, e la cui parte immaginaria non è altro che la
funzione di corrente ψ,
F ( z ) = ϕ( x, y ) + iψ ( x, y )
il potenziale complesso è la somma di un potenziale cinetico e di una funzione di
corrente.
Possiamo ancora dire di più, infatti possiamo costruire la derivata rispetto alla
variabile complessa z del potenziale complesso
dF
= w( z )
dz
e derivare la velocità complessa, si può dimostrare che la velocità complessa a
componenti reali e immaginari, tali che
w( z ) = u ( x, y ) − iv( x, y ) .
Questo si vede chiaramente pensando che, dato che la funzione F(z) è analitica, la sua
derivata esiste sempre, quindi noi possiamo farla facendo tendere il ∆z da dove
vogliamo. Allora per comodità scegliamo questo percorso sull’asse delle x, ciò
significa fare la derivata delle componenti della F(z) rispetto alla variabile reale x, e
da qui spuntano banalmente le componenti della velocità complessa.
A questo punto si può vedere che tutti i potenziali che abbiamo trovato per campi di
moto semplici, si possono esprimere in variabili complesse con un’unica espressione:
corrente uniforme;
F (z ) = A z
dove A è una costante complessa,
sorgente;
F ( z ) = a log z
dove a è una costante reale,
vortice puntiforme;
F ( z ) = ia log z
doppietta;
F (z ) =
a
z
Massimo Bucca matr. 644978
59
Il principio delle immagini si può applicare anche in variabili complesse, e dato che
se F(z) è analitica lo sarà anche la sua coniugata,
⎛1⎞
F1 ( z ) = F * ⎜ * ⎟
⎝z ⎠
z = re iθ
F ( z ) = ϕ( x, y ) + iψ ( x, y )
1 1 iθ
= e
z* r
⎛1⎞
⎛1 ⎞
⎛1 ⎞
F * ⎜ * ⎟ = ϕ⎜ ,θ ⎟ − iψ ⎜ ,θ ⎟
⎝z ⎠
⎝r ⎠
⎝r ⎠
Andiamo a parlare di trasformazioni conformi.
Consideriamo una funzione complessa Z = Z(z), e se z e Z li pensiamo come delle
coppie ordinate di valori reali, li possiamo rappresentare su due piani cartesiani
y
Y
x
X
Quindi la funzione complessa Z = Z(z) non è altro che una trasformazione che mi fa
passare da un piano ad un altro, chiaramente esiste anche la trasformazione z = z(Z).
Fra tutte le trasformazioni possibili, noi ci occuperemo solo di quelle analitiche.
Andiamo a guardare cosa succede a livello locale,
y
Y
dz2
p
dz
dz2
x
Q
dz
X
Massimo Bucca matr. 644978
60
il punto p subisce una spostamento dz, che trasformato tramite la funzione di
trasformazione diventa
dz
dz =
dZ
dZ
ma nei loro rispettivi piani gli spostamenti dz e dZ sono identificati come,
dz = dl e iθ
dZ = dL e iφ
la derivata della variabile z rispetto alla variabile Z è costante, dato che le
trasformazioni sono funzioni analitiche, e vale,
dz
= Ae ib
dZ
si ha
dl e iθ = A e ib dL e iφ da cui si ottiene
dl = A dL
θ =φ + b
se consideriamo un’altra coppia di spostamenti sempre sul punto p e Q, abbiamo che
dl2 = A dL2
θ 2 = φ2 + b
Ci accorgiamo che localmente le lunghezze si modificano dello stesso fattore A, che
come abbiamo detto la derivata della variabile z rispetto alla variabile Z non cambia,
poiché funzioni analitiche, la loro derivata esiste sempre indipendentemente dal
percorso scelto.
Quindi l’angolo fra gli spostamenti dz e dz2, si mantiene anche dopo la
trasformazione, quindi le forme in “piccolo” non cambiano. Ovviamente sia A che b
cambiano se cambiamo il punto p, quindi le forme in “grande” cambieranno.
Una funzione può non essere analitica, oppure non esserla in un punto particolare,
questi punti dove la funzione smette di essere analitica si dicono singolari.
Ma a volte a me interessa proprio che non sia analitica di modo che si abbia una
trasformazione non conforme in un determinato punto, pensiamo alla trasformazione
di un cerchio in un profilo, e prendiamo in considerazione il punto coincidente con il
bordo d’uscita, sicuramente li la mia trasformazione non sarà conforme.
La trasformazione conforme non è univoca. I gradi di libertà sono addirittura tre,
quindi la mia trasformazione dipende da tre parametri.
Dobbiamo cercare di trovare delle condizioni che mi limitano questi gradi di libertà,
una cosa che io posso chiedere al mio problema è quella di avere all’infinito la
coincidenza tra la variabile z e Z.
Massimo Bucca matr. 644978
61
Questa condizione si traduce nel limite
lim
z →∞
Z (z )
= 1,
z
tramite questa condizione, che mi vincola una variabile complessa, riusciamo a
giocarci due parametri reali.
Abbiamo bisogno di un’altra condizione, allora posso pensare di volere che anche le
velocità all’infinito nei due piani siano coincidenti, e dato che la velocità all’infinito
ha a che fare con le derivate delle variabili complesse, questa condizione si traduce in
lim
z →∞
dZ
= 1.
dz
Con questa condizione sono andati via altri due parametri reali, quindi abbiamo
superato il numero di gradi di libertà del nostro problema.
Siamo costretti a rinunciare a qualcosa, e rinunciamo alla esattezza della forma del
profilo da studiare, cioè riottengo la costante introducendo un fattore di scala sul
profilo.
Si potrebbe anche recuperare la costante pensando di assumere la velocità all’infinito
uguale ad una costante , e non 1. Questo ragionamento prende il nome di teorema di
Vibermack.
martedì 30 ottobre 2001
È utile dare a questo punto degli ingredienti che ci possono tornare utili per la
determinazione di alcune trasformate conformi.
Se andiamo a prendere questa funzione biunivoca fra i due piani z e Z,
z = a + bZ
dove a e b sono delle costanti complesse, di cui la prima regola la traslazione, e la
seconda regola il fattore di espansione delle lunghezze al passaggio di un piano
all’altro. Questa trasformazione non altera le forme.
Poi possiamo avere anche l’inversione, cioè
z=
1
Z
e possiamo scomporla in modulo e argomento
re iθ =
1
1
= e −iφ
iφ
Re
R
Massimo Bucca matr. 644978
62
come si vede chiaramente, questa trasformazione serve per invertire i punti
dall’interno di un cerchio a fuori del cerchio specularmente anche rispetto all’asse
delle x. Questa trasformazione permette di modificare le forme, ma mantiene la
forma circolare e anche la forma rettilinea, pensata come una circonferenza con
centro all’infinito. La più generale combinazione delle trasformazioni appena viste è,
z=
a + bZ
c + dZ
Un’altra interessante trasformazione è rappresentata dall’esponenziale,
Z = ez
Re = e
iφ
x + iy
=e e
x
iy
⎧R = e x
⇒⎨
⎩φ = y
modulo
argomento
Questa trasformazione ci consente di trasformare delle rette verticali sul piano z, in
circonferenze a raggio costante sul piano Z. E rette orizzontali sul piano z, in rette
con inclinazione φ sul piano Z. Da notare che la trasformazione non è biunivoca, dato
che fa corrispondere l’intero piano Z in una striscia del piano z.
Lo stesso capita con la trasformazione inversa dell’esponenziale, cioè quella
logaritmica,
z = log Z
⎧ x = log R modulo
x + iy = log R e iφ = log R + log e iφ = log R + iφ ⇒ ⎨
argomento
⎩ y =φ
Un’altra trasformazione è quella di elevamento a potenza, cioè
Z = z a =ˆ e a log z
se a è intero non ci crea nessun problema, ma se non lo è allora siamo costretti a
definire la potenza tramite il logaritmo quindi ricadiamo in problemi di polidromia
della soluzione, in modulo e argomento abbiamo
R = ra
φ = aθ
questa trasformazione è molto utile, perché ci consente di trasformare gli angoli di
uno spigolo, ma allora può essere usata per trovare il campo di moto attorno ad uno
spigolo, infatti se avessimo il campo di moto attorno ad una parete rettilinea
Massimo Bucca matr. 644978
Z
63
z
V
β
Sappiamo che il potenziale della corrente uniforme sulla parete piana è F (Z ) = −iZ ,
allora la corrente intorno allo spigolo sarà,
F ( z ) = −iz
π
β
e la velocità complessa è,
π
π −1
w( z ) = −i z β
β
si noti come la trasformazione non è conforme sullo spigolo, dato che al variare del
segno dell’esponente la velocità complessa sullo spigolo vale infinito o zero.
Se avessimo invece una geometria del genere,
Z
z
V
β
Il potenziale del campo uniforme diretto verso la parete è, F (Z ) = Z 2 quindi il nuovo
potenziale sul piano trasformato sarà,
π
F ( z ) = (z 2 ) β .
Massimo Bucca matr. 644978
64
martedì 6 novembre 2001
Considerando un contorno S1 infinitamente prossimo al profilo, e prendendo la
normale con verso entrante nel contorno, abbiamo che la forza aerodinamica, può
essere espressa come,
F = ∫ (ρ vv + p I ) ⋅ n dc
S1
avendo fatto l’ipotesi che il nostro campo di moto non è viscoso, il prodotto scalare
della velocità per la normale è nullo, l’integrale diventa,
F = ∫ p n dc
S1
ed esprimendo la pressione tramite Bernoulli, trascurando i termini costanti, si ha
v2
F = − ρ ∫ n dc
S 2
1
Per il momento possiamo operare allo stesso modo, avendo
M = ∫ (r × ρ vv ⋅ n + r × p n )dc
S1
trascurando il primo termine perché nullo, si ha
v2
M = − ρ ∫ r × n dc = M z k
2
S1
Occorre adesso trasformare le nostre formule in componenti cartesiane, quindi
notando che, n dc = (− dy, dx ) si ha,
ρ 2
⎧
F
=
x
∫ v dy
⎪⎪
v2
2S
(Fx , Fy ) = − ρ ∫ (− dy, dx ) = ⎨
ρ
S 2
⎪ Fy = − ∫ v 2 dx
⎪⎩
2S
1
1
1
per il momento possiamo fare la stessa cosa, considerando questa volta che,
r × n dc = ( x, y ) × (− dy, dx ) = ( x dx + y dy )k
Massimo Bucca matr. 644978
Mz = −
ρ
65
∫ v (x dx + y dy )
2
2
S1
Si può adesso effettuare il passaggio alle variabili complesse, pensando che
z=x+iy
w = u − i v = Ve − iφ
y
V
φ
θ
S1
x
Ma dovendo essere la velocità parallela al contorno abbiamo che w = Ve − iθ , e
sapendo che il differenziale dz in variabili complesse si scrive dz = dc e iθ , si ha
∫w
S1
2
dz = ∫ V 2 e −2 iθ e iθ dc = ∫ V 2 e − iθ dc
S1
scritto per componenti,
S1
∫ V (dx − i dy )
2
S1
confrontando la relazione trovata con gli integrali delle forze precedentemente trovati
si ha,
Fy + i Fx = −
ρ
∫ w dz
2
2
e adimensionalizzando il tutto con una velocità di riferimento che è la velocità
all’infinito, e con una lunghezza di riferimento, per esempio il raggio della
circonferenza unitaria R, sia ha
ρ
Fy + i Fx = − V∞2 R ∫ w 2 dz
2
Formula di Blausius
Massimo Bucca matr. 644978
66
a questo punto le quantità all’interno dell’integrale sono prive di dimensioni, al
contrario della formula precedente.
Ritornando al momento, esso non è altro che la funzione integranda precedente
moltiplicata per la distanza z, si ha
∫w
Mz = −
2
z dz = ∫ V 2 ( x dx + y dy + i ( y dx − x dy ))
ρ
2
[
ℜ ∫ w 2 z dz
ρ
]
[
M z = − V∞2 R 2 ℜ ∫ w 2 z dz
2
]
Abbiamo eliminato il contorno dagli integrali perché stiamo sfruttando i vantaggi che
ci danno le variabili complesse, infatti esse ci permettono di spostare il contorno
dell’integrale dove vogliamo, oltre al fatto di calcolare la soluzione di qualsiasi
profilo come se fosse quella intorno ad un cerchio. Quindi possiamo spostare il nostro
contorno all’infinito purché stiamo attente a non introdurre delle singolarità.
Conviene allora portarci molto lontani dal corpo in modo da poter sfruttare lo
sviluppo in serie di Laurent della funzione integranda 1/z.
La formula di Blausius ci permette di calcolare la forza aerodinamica per mezzo della
velocità complessa, se ora immaginiamo di trasformare il corpo in un cerchio tramite
una trasformazione conforme, la forza diventa
ρ
ρ ⎛ W
2
⎞ dz
W2
⎟
Fy + i Fx = − ∫ w dz = − ∫ ⎜⎜
dZ = ∫
dZ
2
2 ⎝ dz dZ ⎟⎠ dZ
dz dZ
2
Quest’integrale è calcolabile facilmente se si usa il teorema dei residui, ma prima
dobbiamo portare il contorno all’infinito è sostituire alla funzione integranda il suo
sviluppo in serie di Laurent.
La velocità complessa W, avevamo visto che può essere espressa naturalmente in
serie di Laurent, infatti
W ( z ) = W∞ −
W∞ W∞* − W∞
.
+
Z2
Z
Per la variabile z prendo lo sviluppo più generale possibile, cioè
z = z (Z ) = Z + a 0 +
a1 a2
+
+ ...
Z Z2
Troviamo adesso lo sviluppo della derivata di z rispetto a Z,
a
dz
= 1 − 12 + ...
dZ
Z
−1
⇒
a
⎛ dz ⎞
⎜
⎟ = 1 + 12 + ...
Z
⎝ dZ ⎠
Massimo Bucca matr. 644978
67
ma a noi interessano i termini proporzionali a 1/z perché il suo coefficiente è il
residuo che mi da il risultato dell’integrale che sto calcolando, quindi l’ultimo
sviluppo lo possiamo pensare uguale a 1.
Quindi il nostro integrale diventa,
Fy + i Fx = −
ρ ⎛
∫ ⎜ ... +
2 ⎝
2W∞ (W∞* − W∞ )
⎞
+ ... ⎟dZ
Z
⎠
risolvendo sapendo che il residuo cercato è il coefficiente del termine 1/Z, si ha
ρ
Fy + i Fx = − V∞2 R(2π i 2W∞ (W∞* − W∞ ))
2
osserviamo che le velocità complesse che compaiono sono adimensionali, quindi
W∞* − W∞ = e iα − e − iα = 2i sen α
la forza diventa,
Fy + i Fx = 4πρV∞2 R sen α e − iα
Da notare che la forza aerodinamica è tutta portanza, infatti essa è proporzionale a
W∞, quindi il suo coniugato è proporzionale a W∞* che è parallelo alla V∞, quindi la
forza aerodinamica è perpendicolare a V∞.
La componente portante può essere chiamata L, e si ha
V∞2
L=ρ
R 8π sen α
2
questa portanza è per unita di apertura.
La portanza quindi risulta indipendente dalla forma geometrica del profilo, questo
perché non abbiamo più la dipendenza di nessun coefficiente della trasformazione
conforme fatta in precedenza.
Apparentemente la sensibilità alla geometria del profilo si è persa, ma se noi andiamo
a calcolarci il coefficiente di portanza per unità di apertura,
cl =
L
1
ρV∞2 c
2
=
R
8π sen α
c
ci compare la corda del nostro profilo, ma si può fare di più, infatti bisogna ricordare
che direttamente dal singolo profilo dipende il modo con cui si misura l’angolo di
Massimo Bucca matr. 644978
68
incidenza. Tale angolo che è fissato nel piano del cerchio ma non in quello del
profilo, ed è fissato rispetto alla corda, di cui la definizione è arbitraria, esiste dunque
una direzione di portanza nulla che corrisponde sempre , nel sistema da noi utilizzato
ad α = 0.
Ritorniamo adesso al momento che tramite la formula di Blausius può essere scritto
come,
ρ
[
M z = − V∞2 R 2 ℜ ∫ w 2 z dz
2
]
con la trasformazione conforme adottata in precedenza si ha,
⎡ ⎛ W ⎞2
⎤
dz
⎟⎟ z (Z ) dZ ⎥
M z = − V R ℜ ⎢ ∫ ⎜⎜
dZ ⎥⎦
2
⎢⎣ ⎝ dz dZ ⎠
ρ
2
∞
2
questa volta dobbiamo considerare più termini di quanto fatto prima, perché la
trasformazione conforme di z ha dei termini diversi, cominciamo con il considerare il
quadrato della velocità, che può essere scritto
2W∞ (W∞* − W∞ ) (W∞* − W∞ ) 2(W∞*W∞ )
W =W +
+
−
+ ...
Z
Z2
Z2
2
2
2
∞
−1
a
⎛ dz ⎞
⎜
⎟ = 1 + 12 + ...
Z
⎝ dZ ⎠
z = Z + a0 +
a1
+ ...
Z
W∞2 (W∞* − W∞ ) 2(W∞*W∞ )
2W∞ (W∞* − W∞ )
⎛ dz ⎞
2
W ⎜
+ a1 2 +
−
+ ...
⎟ = W∞ +
Z
Z
Z2
Z2
⎝ dZ ⎠
−1
2
2
l’integrale diventa,
2
⎡ ⎛
⎞ ⎤
a1W∞2 + 2a0W∞ (W∞* − W∞ ) + a1W∞2 + (W∞* − W∞ ) − 2(W∞*W∞ )
M z = − V R ℜ⎢∫ ⎜⎜... +
+ ...⎟⎟dZ ⎥
2
Z
⎢⎣ ⎝
⎠ ⎥⎦
ρ
2
∞
2
se stiamo attenti ai termini del residuo, ci accorgiamo che gli ultimi due sono reali,
quindi moltiplicati per il coefficiente 2πi, per il calcolo dell’integrale, diventano
immaginari e quindi possiamo scartarli, dato che cerchiamo solo la parte reale
dell’integrale.
Massimo Bucca matr. 644978
Si ha
69
ρ
M z = − V∞2 R 2 ℜ[2π i (2a1W∞2 + 2a0W∞ (W∞* − W∞ ))]
2
M z = 2πρV∞2 R 2 ℑ[a1e −2 iα + a0 e − iα (e iα − e − iα )]
M z = 2πρV∞2 R 2 ℑ[e −2 iα (a1 − a0 ) + a0 ]
In questa espressione sono presenti i due coefficienti a0 e a1 che dipendono dalla
trasformazione, a0 rappresenta semplicemente una traslazione e non è quindi altro che
la scelta rispetto a quale polo calcolare la coppia.
È possibile fare una traslazione di assi di una quantità z0 = a0 − a1, questo trucco ci
permette di eliminare la dipendenza del momento dall’incidenza.
Quindi se si opera la traslazione della quantità z0 = a0 − a1, si porta il tutto in un
punto, detto centro aerodinamico, dove il momento è costante e non varia con
l’incidenza, anche se cambia al variare del profilo.
M z = 2πρV∞2 R 2 ℑ[a0 ]
I profili simmetrici dovendo avere memento nullo per incidenza nulla, devono avere
memento nullo rispetto al centro aerodinamico, anche se non lo sarà più se calcolato
per un polo diverso.
Se andiamo a calcolare il coefficiente di momento per unità di apertura, si ha
c M ,c.a .
2
⎛R⎞
=
= 4π ⎜ ⎟ ℑ[a 0 ] .
1
⎝c⎠
ρV 2 c 2
2
Mz
mercoledì 7 novembre 2001
Profili Sottili.
Fino a questo punto la nostra analisi ci ha sempre portato dalle equazioni, che sono
sempre state lineari quindi soggette al principio di sovrapposizione degli effetti, al
nostro profilo geometrico. Adesso noi vogliamo fare il percorso opposto,
considerando che i nostri profili si assomigliano un po’ tutti, infatti hanno un bordo
d’attacco molto arrotondato, lo spessore piccolo in confronto alla lunghezza e il
bordo d’uscita aguzzo. Possiamo linearizzare questa volta il problema geometrico, in
modo da considerare il problema intorno al nostro profilo come la somma degli effetti
che si hanno intorno ad una lastra piana ad incidenza uguale a quella del nostro
profilo, più gli effetti di una linea media simile a quella del nostro profilo, e più ad un
Massimo Bucca matr. 644978
70
profilo che ha un gradiente di spessore simile a quello del nostro profilo però messo
ad incidenza nulla.
Il problema matematico sarà sempre quello di risolvere la nostra equazione di
Laplace, con le solite condizioni al contorno, che sono quella di non penetrabilità sul
profilo, e quella di velocità asintotica costante che per semplicità possiamo fissare
unitaria, cioè
V∞ = 1
ϕ x (∞ ) = 1
⇒
∇ϕ ⋅ n = 0
e definendo n = (− dy, dx ) / ds si ha,
1
(− dy, dx ) ⋅ (ϕ x , ϕ y ) = 0
ds
⇒
ϕx
dy
dx
− ϕy
=0
ds
ds
ed esplicitandosi la ϕy, dopo aver definito una funzione y = f(x) che ci descrive il
profilo,
ϕ y ( x, f ( x )) =
df
ϕ x ( x, f ( x )) .
dx
La teoria linearizzata si costruisce considerando una famiglia di profili tramite un
parametro ε, molto piccolo in modo da non far allontanare la forma da quella di una
lastra piana. E considerando anche due funzioni per descrivere il profilo, una per il
dorso e una per il ventre,
y = ε f d (x ) e
y = ε f v (x ).
Per linearizzare il problema si sviluppa per Taylor il potenziale ϕ,
ϕ = ϕ( x, y, ε ) = ϕ 0 ( x, y ) + ε ϕ1 ( x, y ) + ε 2 ϕ 2 ( x, y ) + ...
La condizione all’infinito non contiene il parametro ε, quindi significa che da un
contributo solo per la soluzione di ordine zero, mentre per tutti gli altri darà un
contributo nullo.
Passiamo ora alla condizione al contorno non tanto banale come quella precedente.
Sostituiamo alla condizione al contorno precedentemente trovata la funzione del
profilo, e per ricorrenza di procedimento facciamo i conti solo con la funzione del
dorso,
Massimo Bucca matr. 644978
ϕ y ( x, ε f d ( x )) = ε
71
df d
ϕ x ( x, ε f d ( x ))
dx
e sviluppiamola per Taylor rispetto al parametro ε,
ϕ y ( x,0 ) + ε f d ϕ yy ( x,0 ) + ... = ε
df d
ϕ x ( x,0 ) + ...
dx
abbiamo trascurato i termini del parametro ε superiori alla potenza 1.
Adesso sostituiamo lo sviluppo del potenziale ϕy, cioè
ϕ 0 , y ( x,0 ) + ε ϕ1, y ( x,0 ) + ε f d ϕ 0 , yy ( x,0 ) + ... = ε
df d
ϕ 0 , x ( x,0 ) + ...
dx
Se ora andiamo a considerare il problema di ordine zero (ε0), cioè la lastra piana,
abbiamo che il problema sarà cosi fatto,
⎧ ∇ 2 ϕ0 = 0
⎪
⎨ ϕ 0 , x (∞ ) = 1
⎪ϕ ( x,0 ) = 0
⎩ 0, y
che ci da una soluzione
ϕ 0 ( x, y ) = x
questo ci fa capire che se io avessi una lastra piana investita da una corrente
uniforme, la corrente non la vede per niente.
Passiamo adesso al problema del primo ordine (ε1), cioè di profilo sottile,
∇ 2 ϕ1 = 0
⎧
⎪
ϕ1, x (∞ ) = 0
⎪
⎪
df
⎨ϕ1, y (x,0 + ) = d ϕ 0, x (x,0 + ) − f d ϕ 0, yy (x,0 + )
dx
⎪
df
⎪
−
−
−
v
⎪⎩ ϕ1, y (x,0 ) = dx ϕ 0 , x (x,0 ) − f v ϕ 0, yy (x,0 )
ma tenendo conto della soluzione del problema di ordine zero, sia ha
Massimo Bucca matr. 644978
72
⎧ ∇ 2 ϕ1 = 0
⎪
⎪ ϕ1, x (∞ ) = 0
⎪
df
⎨ϕ1, y (x,0 + ) = d
dx
⎪
df
⎪
−
v
⎪⎩ ϕ1, y (x,0 ) = dx
Ci siamo ricondotti in un problema dove la forma del profilo viene espressa in modo
lineare dalle funzioni f quindi possiamo applicare il principio di sovrapposizione
degli effetti, in più la condizione omogenea che avevamo prima sul contorno è
diventata non omogenea, ma adesso il profilo è certamente più semplice dato che si
tratta della retta y = 0.
Adesso dobbiamo passare alla risoluzione del problema, per far ciò ci vengono in
aiuto le variabili complesse.
Possiamo pensare di portare il nostro profilo sottile, che si è ridotto ad un segmento
sull’asse x, in un cerchio tramite una trasformazione conforme. E poi conoscendo
dalle condizioni al contorno la parte immaginaria della velocità complessa sul
cerchio, con la formula di Schwarz possiamo ricavare tutta la velocità complessa.
Questo procedimento è stato sviluppato da Glauert.
Ma noi non useremo questo procedimento, ma rimarremo sempre nello stesso piano
evitando di usare la trasformazione conforme, il nostro problema sta nel fatto che le
nostre condizioni al contorno sono solo nel segmento (0;1).
Se riusciamo ad estendere le condizioni su tutto l’asse reale, potremmo pensare di
applicare l’equivalente alla formula di Schwarz, per ricavare la nostra soluzione nel
semipiano.
Per estendere le nostre condizioni al contorno sfruttiamo delle proprietà delle
simmetrie, dalle condizioni al contorno è nota la componente normale della velocità
sia sul dorso che sul ventre. Ma queste li posso sempre pensare come espresse tramite
una velocità simmetrica v(s) e una velocità antisimmetrica v(a), cioè
v (s ) =
v d + vv
2
,
v (a ) =
v d − vv
2
a questo punto ci troviamo di fronte a due problemi distinti, uno simmetrico e uno
antisimmetrico.
In quello antisimmetrico, schematizzando avremo
v=0
v = v(a)
v = − v(a)
v=0
Massimo Bucca matr. 644978
73
dato che le velocità normali nei due semipiani sono uguali e opposte, sull’asse reale
devono necessariamente essere nulle, quindi sono riuscito a estendere le mie
condizioni su tutto l’asse reale.
Passiamo ora al problema simmetrico, qui non sarà così facile, schematizziamo:
u=0
v = v(s)
u=0
v = v(s)
qui le due velocità sono uguali, ma usando l’equazione di continuità possiamo dire
che,
∂u ( s ) ∂v ( s )
+
=0
∂x
∂y
ma la derivata di v(s) rispetto ad y, è antisimmetrica dunque nulla sull’asse reale, di
conseguenza sarà nulla anche la derivata rispetto ad x di u(s), quindi si manterrà
costante su tutto l’asse reale, ma la u(s) è nulla ad infinito per le condizioni al
contorno, quindi si manterrà sempre nulla al di fuori del nostro segmento.
Siamo riusciti ad estendere anche nel caso del problema simmetrico le nostre
condizioni, ma purtroppo esse non sono omogenee, infatti all’interno del segmento
conosciamo la v, al di fuori conosciamo la u, questo ci darà qualche problema.
La scomposizione del problema in una parte simmetrica e in una parte antisimmetrica
si può anche vedere da un punto di vista geometrico, infatti se considero il profilo
stesso separato in una parte simmetrica ed una antisimmetrica, ho
Si vede che le componenti normali delle velocità sul dorso e sul ventre sullo spessore
sono antisimmetriche, invece sulla linea media sono simmetriche. Possiamo pensare
che il problema dello spessore sia antisimmetrico e quello della linea media sia
simmetrico.
Massimo Bucca matr. 644978
74
Introducendo delle funzioni che mi descrivono spessore e linea media, posso poi
definire le velocità di spessore e di linea media,
y sp ( x ) = f d ( x ) − f v ( x )
vsp =
1
( f d (x ) + f v (x ))
2
ylm ( x ) =
1 dy sp
∝ v (a )
2 dx
vlm =
dylm
∝ v (s )
dx
Andiamo a calcolarci le forze aerodinamiche agenti sul nostro profilo, sappiamo che
F = ∫ p n dc
ed esprimendo la pressione tramite la relazione di Bernoulli, senza dimenticarci di
linearizzarla, abbiamo
p∞ +
⎞
⎛V 2
1
ρV∞2 = p0 + ε p1 + ... + ρ ⎜⎜ 0 + ε V 0 ⋅ V 1 + ...⎟⎟
2
⎠
⎝ 2
e uguagliando i termini del primo ordine si ha,
p1 + ρ V 0 ⋅ V 1 = 0
e definendo u1* la componente dimensionale di V1, che è anche direzione di V0, e
definendo ancora u1 come la componente adimensionale di u1*/V∞, si ha
p1* = − ρ *V∞2*u1
e il coefficiente di pressione sarà,
cp =
p1*
1 * 2*
ρ V∞
2
= −2u1
ritornando alla forza si ha,
⎛ dy ⎞
F = ∫ p1* n dc = − ρ *V∞2* ∫ u1 (− dy, dx ) = − ρ *V∞2* ∫ u1 ⎜ − ,1⎟dx
⎝ dx ⎠
il prodotto u1dy/dx è di ordine ε2, quindi nel nostro caso otteniamo che la resistenza è
di ordine superiore ad 1.
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75
1
1
⎡0
⎤
*
2*
L = − ρ V ∫ u1dx = − ρ V ⎢ ∫ u d dx + ∫ u v dx ⎥ = ρ V∞ ∫ (u d − u v )dx
⎣1
⎦
0
0
*
2*
∞
*
2*
∞
ma sfruttando le simmetrie già viste,
u d = u sp + u lm
u v = u sp − ulm
L=ρ V
*
2*
∞
1
∫ 2u
lm
dx
0
Pur non avendo ancora determinato la soluzione, possiamo notare che la portanza non
dipende dallo spessore del profilo, questo avviane anche in considerazione delle
semplificazioni che abbiamo fatto, una su tutte la condizione di non viscosità.
In presenza di viscosità la separazione dello strato limite non è affatto trascurabile, e
la resistenza diventa anche fondamentale.
In modo del tutto analogo si può ricavare il momento,
1
1
0
0
M = − ρ *V∞2* ∫ u1 xdx = ρ *V∞2* ∫ (u d − u v )xdx = 2 ρ *V∞2* ∫ u lm x dx .
giovedì 8 novembre 2001
Il calcolo della velocità complessa si può affrontare tramite la formula di Cauchy, ma
questa si può utilizzare solo se il percorso di integrazione è chiuso. Qui ho solo l’asse
reale, ma se penso di poter racchiudere tutto il semipiano superiore con una
semicirconferenza di raggio infinito, ottengo un percorso chiuso.
Il problema passa a dimostrare che l’integrale calcolato sulla semicirconferenza è
nullo, perché se è nullo allora la formula di Cauchy
f (z0 ) =
può essere riscritta come,
f (z )
1
dz
∫
2πi z − z 0
1 +∞ f ( x )
f (z0 ) =
dx .
∫
2πi −∞ x − z 0
Ma ricordandosi che stiamo trattando dei profili sottili, quindi la ϕ1,x(∞) = 0,
possiamo trascurare l’integrale sulla semicirconferenza.
La velocità complessa sarà,
Massimo Bucca matr. 644978
76
1 +∞ u ( x ) − i v( x )
w( z 0 ) =
dx
∫
2πi −∞ x − z 0
ma noi non conosciamo contemporaneamente la parte reale e la parte complessa della
velocità w, anzi nel problema della linea media abbiamo anche delle condizioni non
omogenee, perché conosciamo la u fuori del segmento e la v sul segmento (0,1).
Dobbiamo tentare di ricavare delle relazioni che ci permetteranno di trovare una
relazione che lega la parte reale alla parte immaginaria della velocità complessa.
Cominciamo con il porre la nostra attenzione sul primo addendo dell’integrale,
1 +∞ u ( x )
1 +∞ u ( x )( x − x0 + i y0 )
dx =
dx
2
∫
∫
2πi −∞ x − z 0
2πi −∞ ( x − x0 ) + y 02
si nota come la ℜ[I] è una funzione dispari, mentre la ℑ[I] è una funzione pari
rispetto alla y0.
Prendendo il secondo addendo si ha,
1 +∞ − i v( x )
1
dx =
∫
2πi −∞ x − z 0
2π
− v( x )( x − x0 + i y0 )
dx
(x − x0 )2 + y02
−∞
+∞
∫
questa volta la ℜ[II] è una funzione pari, mentre sarà dispari la parte ℑ[II].
Dal teorema di Cauchy so che prendendo il punto z0 fuori dal dominio dell’integrale,
questo è nullo. Quindi vado a prendere z0 nel semipiano inferiore, ottengo che
l’integrale sarà nullo, quindi che la parte reale e immaginaria della funzione
integranda devono essere separatamente nulle.
Quindi devono essere uguali e opposte le parti reali e immaginarie dei due addendi,
ℜ[I ] = −ℜ[II ]
ℑ[I ] = −ℑ[II ]
**
adesso se porto il punto z0 nel semipiano superiore, mi accorgo che ℜ[I] e ℑ[II]
cambiano di segno perché funzioni dispari, mentre ℜ[II] e ℑ[I] non cambiano segno
perché funzioni pari,
− ℜ[I ] + i ℑ[I ] , ℜ[II ] − i ℑ[II ]
e utilizzando le ** si vede che il primo addendo è uguale al secondo, e viceversa.
Possiamo scrivere le formule di Hilbert che ci danno la soluzione tramite la parte
immaginaria o la parte reale separatamente,
w( z 0 ) =
1 +∞ u ( x )
dx
π i −∫∞ x − z 0
e
w( z 0 ) =
1 +∞ − i v( x )
dx .
π i −∫∞ x − z 0
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77
Quello che interessa a noi è il calcolo delle azioni aerodinamiche, quindi il calcolo
della nostra velocità complessa sul profilo e non tanto in un punto qualunque del
campo di moto.
Il nostro profilo altro non è che il segmento (0,1). Allora devo fare un passaggio al
limite del mio integrale, e farlo tendere sull’asse reale, cioè devo far tendere z0 a x0,
per fare questo devo far tendere y0 a zero.
+∞
u (x )
1
w( x0 ) = lim
dx
∫
π i y →0 − ∞ x − x0 − i y 0
w( x0 ) =
0
1
π
− v( x )
dx
− ∞ x − x0 − i y 0
+∞
lim
y →0 ∫
0
+∞
+∞
u ( x )( x − x0 + i y 0 )
− v( x )( x − x0 + i y 0 )
1
1
w( x0 ) = lim
dx
dx
=
lim
π i y →0 −∫∞ ( x − x0 )2 + y02
π y →0 −∫∞ ( x − x0 )2 + y02
0
0
decomponendo nelle due componenti u e v, si ha
+∞
− v( x )( x − x0 )
u (x )y0
=
dx
dx
lim
2
2
∫
2
2
y →0
(
)
(
)
−
+
−
+
x
x
y
x
x
y
−∞
−∞
0
0
0
0
+∞
π u ( x0 ) = lim
y →0 ∫
0
0
+∞
u ( x )( x − x0 )
v( x ) y 0
=
dx
lim
dx
2
2
∫
2
2
y →0
− ∞ ( x − x0 ) + y 0
−∞ ( x − x0 ) + y 0
+∞
π v( x0 ) = lim
y →0 ∫
0
0
prendendo in esame l’ultimo integrale ci si accorge che esso non è integrabile
secondo Riemann, infatti quando x = x0 il denominatore si annulla.
Allora cerchiamo di isolare la discontinuità, integrandolo secondo Cauchy.
Prendiamo un δ piccolo e costruiamo un intorno simmetrico del punto x0, in modo da
poter scrivere,
x +δ
+∞
⎡ x −δ u ( x )( x − x0 )
u ( x )( x − x0 )
u ( x )( x − x0 ) ⎤
+
+
lim ⎢ ∫
dx
dx
dx ⎥
2
2
2
∫
∫
2
2
2
y →0
(
)
(
)
(
)
−
+
−
+
−
+
x
x
y
x
x
y
x
x
y
−
∞
−
+
x
δ
x
δ
0
0
0
0
0
0
⎣
⎦
0
0
0
0
0
il primo e terzo integrale non creano nessun problema di integrazione, per il secondo
pensando che δ sia molto piccolo possiamo supporre che la funzione u(x) sia costante
in quest’intervallo e pari a u(x0), si ha
x +δ
(x − x0 ) dx = u(x )lim⎧1 log (x − x )2 + y 2
u( x0 )( x − x0 )
lim0 ∫
dx = u( x0 )lim
0 y →0⎨
0
0
2
2
∫
2
2
y →0
y →
⎩2
x −δ ( x − x0 ) + y0
x −δ ( x − x0 ) + y0
x0 +δ
[
0
0
0
0
0
0
u ( x0 )
2
log( x − x0 )
2
[
]
x0 + δ
x0 −δ
]
x0 +δ
x0 −δ
⎫
⎬
⎭
= u ( x0 )(log δ − log δ ) = 0
quindi possiamo concludere dicendo che l’integrale contenente la singolarità è nullo.
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78
Le formule di Hilbert riportate sul profilo diventano,
1 +∞ u ( x )
v( x0 ) = ∫
dx
π − ∞ x − x0
e
1 +∞ − v( x )
u ( x0 ) = ∫
dx .
π − ∞ x − x0
A questo punto è facile risolvere il problema antisimmetrico dello spessore, infatti in
questo caso abbiamo le condizioni al contorno omogenee su tutto l’asse reale, in più
la condizione ci dice che la velocità normale è nulla al di fuori del profilo, quindi
utilizzando la formula di Hilbert opportuna si ha,
1 +∞ − vsp
1 1 − v sp
u sp ( x0 ) = ∫
dx = ∫
dx
π − ∞ x − x0
π 0 x − x0
Il problema della linea media è un po’ più incasinato, in quanto le nostre condizioni
non sono omogenee, quindi dobbiamo usare ora una ora l’altra componente.
Per fare ciò utilizziamo il metodo di Hilbert, pensiamo di avere la parte reale della
w(z), in funzione di altre due funzioni reali g(x) e α(x), tale che
ℜ[w( x )e iα ( x ) ] = g ( x )
la condizione al contorno consiste nel conoscere puntualmente la componente di w
nella direzione data da α(x).
Il metodo di Hilbert introduce un fattore moltiplicativo reale A(x), quindi la formula
precedente diventa,
ℜ[A( x )w( x )e iα ( x ) ] = A( x )g ( x )
ponendo F(x) = A(x)eiα(x), la condizione al contorno diventa,
ℜ[wF ] = g ( x )A( x ) .
Scrivendo la funzione F come,
log F = log A + i α
possiamo notare che essendo la funzione F analitica, è possibile usare su di essa le
formule di Hilbert appena trovate, quindi conoscendo la parte immaginaria della F,
cioè α(x), si può ritrovare la A(x).
A questo punto si conosce la parte reale del prodotto wF, ma applicando di nuovo
Hilbert si può conoscere tutta la funzione che poi divisa per F ci da la soluzione
cercata.
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79
Nel caso della linea media noi conosciamo o la parte reale o la parte immaginaria,
quindi α(x) è una funzione a tratti costante, e vale
x < 0 x >1
⎧⎪ 0
α ( x ) = ⎨π
⎪⎩ 2
0 < x <1
avendo la parte immaginaria della funzione F, tramite una formula di Hilbert
possiamo trovare la A(x), quindi
1 +∞ α ( x )
1 1π 1
1 x −δ 1
1 1
1
dx = ∫
dx = ∫
dx + ∫
dx
log A( x0 ) = ∫
2 0 x − x0
2 x +δ x − x 0
π − ∞ x − x0
π 0 2 x − x0
0
0
log A( x0 ) =
1
[log x − x0 ]0x −δ + 1 [log x − x0 ]1x +δ = 1 logδ − 1 log x0 + 1 log(1 − x0 ) − 1 logδ
2
2
2
2
2
2
0
0
A( x0 ) =
Se il punto sta nel piano complesso
analogo si ottiene,
1 − x0
x0
non sull’asse allora con un procedimento
1 − z0
1
1 +∞ α ( x )
1 1π 1
1
1
log F ( z 0 ) = ∫
dx = ∫
dx = log x − z 0 0 = log
π −∞ x − z 0
π 0 2 x − z0
2
2
− z0
F (z0 ) =
z0 − 1
z0
quindi la funzione complessa wF sarà,
1 +∞
dx
1 +∞ 1 − x − vlm dx
=
w( z 0 )F ( z 0 ) =
A( x )g ( x )
∫ x x−z
x − z 0 π i −∞
π i −∫∞
0
e dividendo per F(z0) si ottiene,
w( z ) = −
0
z 0 + ∞ 1 − x vlm dx
1
π i z 0 − 1 −∫∞ x x − z 0
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80
martedì 13 novembre 2001
La relazione che abbiamo trovato per la velocità complessa, è una delle tante che
possiamo trovare, infatti noi abbiamo preso α uguale a π/2 sul nostro profilo, ma si
può sempre pensare di prendere come α il valore -π/2, che ci porta alla funzione
F (z0 ) =
z0
z0 − 1
Scopriamo che le funzioni F sono una famiglia di funzioni così fatte,
F ( z ) = ( z − 1) z
m
2
n
2
Ma dato che all’infinito la velocità non deve essere diversa da 1, anche il limite della
F dev’essere unitario, quindi capiamo che m = −n.
Un ulteriore vincolo risiede nel fatto di richiedere la funzione con minima singolarità,
quindi otteniamo che gli esponenti devono essere ±1.
L’ultima condizione viene fuori dalla condizione di Kutta, che ci obbliga ad avere
una velocità nel punto z = 1 che sia finita. Quindi la singolarità non è accettabile nel
punto (1,0), con queste condizioni la velocità complessa sarà
1
w( z 0 ) = −
πi
z 0 − 1 +∞
x vlm dx
∫
z 0 −∞ 1 − x x − z 0
e sull’asse reale,
1 1 − x0
u (x0 ) = −
π
x0
1
∫
0
x vlm dx
.
1 − x x − x0
Problema inverso.
Con lo stesso procedimento mentale con cui siamo arrivati alla determinazione della
velocità, quindi della distribuzione di un coefficiente di pressione, partendo dalla
assegnazione di una linea media e di uno spessore. Possiamo fare esattamente il
contrario, e partendo dalla distribuzione del coefficiente di pressione risalire alla
funzione della linea media e dello spessore.
Con considerazioni analoghe a quelle precedenti possiamo dividere il problema in
due distinti problemi, uno simmetrico e uno antisimmetrico.
Si vede che il problema della linea media, che era antisimmetrico, fa sì che il suo
inverso sia simmetrico.
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81
INVERSO LINEA MEDIA
u=0
u = ulm
u=0
u = −ulm
e come ricavato in precedenza si ricorda facilmente che,
c p = −2u1
si ha che la componente v della velocità del problema inverso della linea media
diventa,
vlm(i ) ( x0 ) =
1 1 − c p ,lm ( x ) 2
dx
π ∫0 x − x0
da cui per integrazione si ricava facilmente l’equazione della linea media.
Il problema inverso dello spessore al contrario di quello della linea media è un pò più
difficile dato che non è simmetrico, ma antisimmetrico, quindi
INVERSO SPESSORE
vsp = 0
u = usp
vsp = 0
u = usp
anche in questo caso per risolvere il problema siamo costretti a usare le formule di
Hilbert, che però non ci danno una soluzione unica. Ma mentre prima tramite la
condizione di Kutta riuscivamo ad eliminare questo problema, qui non si riesce a fare
sempre, cioè non tutte le distribuzioni di pressioni ci danno un profilo chiuso.
Infatti a volte si ha un approccio misto, dando una distribuzione di pressione su una
parte del profilo e la geometria dall’altra.
Massimo Bucca matr. 644978
82
Il problema della lastra piana è molto importante, dato che potendo linearizzare la
geometria del nostro problema, possiamo pensare di studiare il problema della linea
media ad incidenza nulla, per poi studiare una lastra piana posta ad incidenza pari a
quella voluta.
Adesso andiamo a trovare le forze che entrano in gioco nel nostro problema, per
trovarle ho bisogno di trovare la velocità complessa della lastra piana, potrei
utilizzare una delle formule di Hilbert, dato che so che all’interno del segmento (0,1)
la componente normale della velocità è pari ad -α, mentre fuori del segmento la
componente u è pari a zero.
Ma possiamo anche raggiungere lo stesso risultato in modo euristico, cioè possiamo
pensare che dovendo la componente u essere nulla all’esterno del segmento, significa
che w è reale, mentre essendo la componente v = −α all’interno del segmento, la
velocità complessa è immaginaria.
Se parto da forma ipotizzata della velocità complessa del tipo
z0 − 1
z0
mi accorgo che quando z tende a ±∞ la nostra scelta tende a 1, ma noi vogliamo che
tenda a 0, quindi possiamo trasformarla in
z0 − 1
−1
z0
ma ancora io voglio che all’interno del segmento (0,1) valga −α la sua componente
verticale, cioè la sua parte immaginaria, quindi infine scrivo
⎛ z −1 ⎞
− 1⎟⎟
wlp ( z ) = −iα ⎜⎜ 0
z0
⎝
⎠
Adesso supponiamo che il profilo sottile possa essere descritto da un’equazione del
tipo
y = εf 0 ( x ) = y0 ( x )
se è posta ad una certa incidenza α, l’equazione diventa
y( x ) = y0 ( x ) − αx
dy dy0
=
−α
dx dx
Massimo Bucca matr. 644978
vlm =
83
dylm
−α
dx
quindi ci accorgiamo che nel problema della linea media adesso compare il
contributo dell’incidenza, che noi andiamo a studiare separatamente considerandolo
come il contributo di una lastra piana posta ad incidenza α.
Prendiamo in considerazione le formule di Blausius per le forze e calcoliamoci la
portanza:
Fy + iFx = − ρ
V∞2
c ∫ w 2 dz
2
la w che compare dentro la formula di Blausius è tutta la velocità complessa, ma noi
abbiamo linearizzato la velocità w, quindi al posto della w possiamo sostituire la sua
linearizzazione fino al primo grado, cioè
V∞2
V∞2
2
(
)
Fy + iFx = − ρ
c ∫ 1 + w1 dz = − ρ
c ∫ (1 + w12 + 2 w1 )dz
2
2
ma il termine 1, essendo una costante, ci da un integrale di circuitazione nullo, e il
termine w12 lo trascuriamo essendo un infinitesimo di ordine superiore.
Nel termine della velocità complessa linearizzato ci sono considerati i contributi dello
spessore della linea media e della lastra piana. Sapendo che il contributo dello
spessore si può trascurare, possiamo considerare i contributi restanti in modo
separato.
Cominciamo dalla lastra piana,
V∞2
Fy + iFx = − ρ
c ∫ 2 wlp dz
2
risolvendo l’integrale con il metodo dei residui, si ottiene
1
⎛
⎞
⎛ z −1 ⎞
1 ⎞2
⎛
⎛ 11 1 1
⎞
⎜
− 1⎟⎟ = −iα ⎜1 − ⎟ − 1⎟ = −iα ⎜1 −
−
+ ... − 1⎟
wlp ( z ) = −iα ⎜⎜
2
⎜⎝
⎟
z
z⎠
⎝ 2z 8z
⎠
⎝
⎠
⎝
⎠
si vede chiaramente che il residuo è 1/2iα dato che è il coefficiente del termine 1/z,
perché ci fermiamo al primo grado di linearizzazione.
1 ⎞
⎛
Fy + iFx = − ρV∞2 c ∫ wlp dz = − ρV∞2 c⎜ 2πi iα ⎟ = ρV∞2 cπα
2 ⎠
⎝
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84
come si può notare la forza che abbiamo ottenuto è un numero reale, quindi è pura
portanza, cioè
Llp = ρV∞2 cπα
possiamo anche notare che questa relazione è simile a quella già ottenuta per quella
della lastra piana di lunghezza 4. Con la sola differenza che qui abbiamo ottenuto
direttamente l’incidenza α e non il seno di α. Questo perché l’ipotesi di angoli
d’incidenza piccoli è già implicita nel nostro procedimento.
Il coefficiente di portanza diventa
cl =
2L
= 2πα
ρV∞2 c
Adesso passiamo al problema della linea media,
V∞2
Fy + iFx = − ρ
c ∫ 2wlm dz
2
questa volta la velocità complessa della linea media sarà,
wlm ( z ) =
1 z −1 1
x − vlm ( x )
dx
∫
πi
z 0 1 − x x − z0
sviluppando in serie si ha
1⎛ 11 1 1
x vlm ( x ) ⎛
x
⎞1
⎞
−
+ ...⎟ ∫
wlm ( z ) = ⎜1 −
⎜1 + + ...⎟dx
2
πi ⎝ 2 z 8 z
z
⎠0 1 − x z ⎝
⎠
⎤
⎞ 1 ⎛1
⎞
1 ⎡1 ⎛ 1
x
x ⎛
1⎞
⎜
wlm ( z ) = ⎢ ⎜ ∫
vlm ( x )dx ⎟⎟ + 2 ⎜⎜ ∫
⎜ x − ⎟vlm ( x )dx ⎟⎟ + ...⎥
πi ⎣ z ⎝ 0 1 − x
2⎠
⎠ z ⎝ 0 1− x⎝
⎠
⎦
quindi il residuo in questo caso è
11
x
v ( x )dx
∫
πi 0 1 − x lm
la forza aerodinamica diventa,
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85
⎛
⎞
11
x
Fy + iFx = − ρV∞2 c⎜⎜ 2πi ∫
vlm ( x )dx ⎟⎟
πi 0 1 − x
⎝
⎠
1
Llm = 2 ρV c ∫
2
∞
0
x
(− vlm (x ))dx
1− x
anche qui ci accorgiamo che essendo un numero reale è tutta portanza.
La portanza totale diventa
1
L = Llp + Llm = ρV cπα + 2 ρV c ∫
2
∞
2
∞
0
x
(− vlm (x ))dx
1− x
⎡
⎤
21
x
(− vlm (x ))dx⎥
L = ρV cπ ⎢α + ∫
π 0 1− x
⎣
⎦
2
∞
e definendo come angolo di portanza nulla la quantità
α0 =
21
π∫
0
x
(vlm (x ))dx
1− x
la portanza diventa,
L = ρV∞2 cπ (α − α 0 )
e il coefficiente di portanza è
cl = 2π (α − α 0 )
Possiamo notare una cosa interessante se portiamo la nostra attenzione sull’integrale
che ci da il contributo di portanza della linea media. Infatti in quest’ultimo compare
la radice x (1 − x ) che diventa infinita quando ci spostiamo dal bordo d’attacco al
bordo d’uscita. Questo ci fa capire che ogni modifica locale alla linea media è più
“pesante” se portata alla fine di essa. Questa è una causa per cui gli alettoni vengono
messi in prossimità del bordo d’uscita.
Anche per il momento possiamo rifare il nostro procedimento di separazione di due
problemi, uno della lastra piana ad incidenza α, e l’altro della linea media.
Dalla formula di Blausius si ottiene
[
]
[
V∞2 2
M z = −ρ
c ℜ ∫ w 2 z dz = − ρV∞2 c 2 ℜ ∫ w12 z dz
2
]
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86
sfruttando gli sviluppi fatti in precedenza, possiamo scrivere per la lastra piana
⎡ iα ⎤ 1
M z = − ρV∞2 c 2 ℜ ⎢2πi ⎥ = ρV∞2 c 2πα
8⎦ 4
⎣
e il coefficiente di momento diventa
c
π
cm = α = l
2
4
riportando il momento rispetto ad un generico polo x0, si ha
π
M x = ρV∞2 c 2 α + (0 − x0 )ρV∞2 cπα
4
0
⎛c
⎞
M x = ρV∞2 cπα ⎜ − x0 ⎟
⎝4
⎠
0
questa formula ci permette di affermare che se calcoliamo il momento rispetto ¼
della corda di un qualunque profilo sottile, questo risulta indipendente dall’incidenza.
Questo punto viene chiamato centro aerodinamico.
In più per il caso della lastra piana, questo momento risulta anche essere nullo.
Passiamo ora al problema della linea media,
⎡
⎤
11
1⎞
x ⎛
M z = − ρV c ℜ ⎢2πi ∫
⎜ x − ⎟vlm ( x )dx ⎥
2⎠
⎣ πi 0 1 − x ⎝
⎦
2
∞
2
1
M z = −2 ρV∞2 c 2 ∫
0
x ⎛
1⎞
⎜ x − ⎟vlm ( x )dx
1− x⎝
2⎠
se ci riportiamo nel centro aerodinamico si ha
1
c⎞
x
⎛
M c .a. = M z + ⎜ 0 − ⎟2 ρV∞2 c ∫ −
vlm ( x )dx
4
1
−
x
⎝
⎠
0
1
M c .a. = −2 ρV∞2 c 2 ∫ vlm ( x )
0
3⎞
x ⎛
⎜ x − ⎟dx
1− x⎝
4⎠
il momento della linea media non è nullo, ma è indipendente dall’incidenza e
calcolabile a partire dalla forma geometrica del profilo.
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87
mercoledì 14 novembre 2001
L’angolo di Theodorsen
La velocità della linea media non presenta singolarità sul bordo d’uscita, perché
abbiamo applicato la condizione di Kutta e scelto in modo opportuno la funzione F da
eliminare la singolarità in z = 1.
Esiste invece la singolarità sul bordo d’attacco, cioè in z = 0.
Osservando l’equazione della velocità complessa
wlm ( z ) =
1 z −1 1
x − vlm ( x )
dx
∫
πi
z 0 1 − x x − z0
si vede che essa è non singolare al bordo d’attacco, ma questa singolarità scompare se
contemporaneamente tendono a zero sia il numeratore che il denominatore.
Quindi richiediamo che per z0 = 0 si annulli anche l’integrale
1
∫
0
x ⎛ − dy0 dx + α ⎞
⎜
⎟dx .
1− x⎝
x
⎠
Questa condizione si verifica quando l’incidenza assume un particolare valore, che
prende il nome di angolo di Theodorsen, detta anche angolo di incidenza ideale o di
progetto.
In corrispondenza dell’angolo di Theodorsen si ha
1
∫
0
1
⎛ dy0
⎞
+ α Th ⎟dx = 0
⎜−
x(1 − x ) ⎝ dx
⎠
adesso passiamo a ricavarci l’angolo di Theodorsen,
1
dy0 dx
dx
x(1 − x )
0
α Th = 1
dx
∫0 x(1 − x )
∫
α Th =
1
1
π∫
0
dy0 dx
dx
x(1 − x )
L’angolo di Theodorsen rappresenta una media dell’inclinazione della linea media,
pesata attraverso un fattore che risulta simmetrico rispetto allo scambio di x e 1−x. Si
tratta quindi di una specie di incidenza media del profilo.
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88
Da un punto di vista fisico la velocità infinita sul bordo d’attacco non è realistica.
L’infinito ottenuto dalla teoria linearizzata significa che la velocità sul bordo
d’attacco assume delle velocità molto elevate, ma questo comporta problemi di
separazione degli strati limite causati dalle forti decelerazioni che ne conseguono.
Un buon profilo deve evitare questa situazione per avere una scia sottile e poca
resistenza. L’angolo di Theodorsen rappresenta l’angolo di incidenza per il quale si
hanno le condizioni più vicine a quelle ideali.
Si può anche vedere che l’angolo di Theodorsen da ottimi risultati anche in presenza
di viscosità.
Mercoledì 21 novembre 2001
Comprimibilità
Ci occuperemo d’ora in avanti della capacità di un fluido di cambiare il proprio
volume sotto l’effetto di pressioni applicate al suo contorno. Questa capacità del
fluido viene chiamata comprimibilità. Quantificandola essa può essere espressa come,
τ =−
1 dv
v dp
dove con v si è espresso il volume specifico, infatti da adesso in poi non faremo
nessuna distinzione nell’indicare la velocità v e il volume specifico v, chiaramente
può benissimo capirsi dal contesto in cui ci troveremo.
Gli effetti della comprimibilità su un fluido diventato tanto più evidenti tanto più
aumenta il valore adimensionale chiamato numero di Mach.
L’equazione del potenziale, al contrario del caso incomprimibile, risulta essere non
lineare, e nel caso supersonico l’equazione è di tipo iperbolico non più ellittico.
L’espressione della comprimibilità che abbiamo scritto sopra, può essere ancora di
più specializzata, nel senso che possiamo ottenerla in maniera isoterma
τT = −
1 ∂v
v ∂p T
τs = −
1 ∂v
v ∂p s
oppure in maniera isoentropica, cioè
e ricordandosi il legame fra densità ρ e volume specifico v si ha
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τ=
89
1 ∂ρ
ρ ∂p
da questa relazione che quando la pressione aumenta il volume specifico diminuisce,
ma aumenta la densità del fluido.
Quindi la variazione di densità è legata alla τ, per i liquidi la τ è molto piccola quindi
li consideriamo incomprimibili, al contrario i gas hanno una τ grande quindi devono
essere considerati comprimibili.
Ma ci accorgiamo che la densità può variare anche con un forte gradiente di
pressione, noi finora abbiamo sempre considerato costante la densità.
Questo assunzione può essere errata?
Se il nostro gas ha una velocità modesta, allora malgrado abbia una τ grande il la
pressione è molto piccolo, e la variazione di densità risulta irrilevante.
Torniamo alle nostre equazioni, quando entra in gioco la comprimibilità, bisogna
tenere in conto la natura del gas, dato che abbiamo bisogno di una equazione di stato
per risolvere il nostro sistema di equazioni.
Lo stato termodinamico del sistema è descritto se introduciamo una equazione che
lega due grandezze termodinamiche. Ad esempio ρ = ρ(p,T), ma la densità non è un
potenziale termodinamico, mentre lo è l’energia interna che lega densità alla
temperatura, cioè
e = e( ρ , T )
differenziando
⎛1⎞
p
de = Tds − p dv = Tds − pd ⎜⎜ ⎟⎟ = Tds + 2 dρ
ρ
⎝ρ⎠
e introducendo l’entropia si ha
h(s, p ) = e + pv
Noi lavoreremo sempre con gas perfetti, quindi posso scrivere che
p = ρRT
avendo introdotto questa relazione, si può ulteriormente vedere che l’energia interna
è funzione della sola temperatura, e l’ulteriore ipotesi di gas caloricamente perfetto
conduce ad una relazione lineare fra energia interna e temperatura, cioè
e = cvT
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90
si può anche vedere che l’entalpia per un gas caloricamente perfetto ha una
espressione del tipo
h = c pT
Dove cp e cv sono rispettivamente il calore specifico a pressione costante e a volume
costante, ma sappiamo anche che per un gas perfetto valgono le seguenti relazioni
c p = cv + R
cp =
γR
cv =
γ −1
c
R
γ= p
cv
γ −1
Noi siamo interessati alle trasformazioni isoentropiche, perché si può vedere che
queste ultime sono ad entropia costante.
Già sappiamo che se trascuriamo la viscosità e la conducibilità termica per un fluido
ideale la trasformazione che otteniamo è isoentropica, vediamo allora come legare p a
v,
s = cst + R log v + cv log T
k = R log v + cv log T
v RT c = k1
v
ρ − RT c = k1
v
T = k 2 ρ γ −1
se vogliamo il legame fra p e ρ, otteniamo
p = ρRT ∝ ρ ⋅ ρ γ −1
⇒
p = k3 ρ γ
e valutando le formule appena scritte fra due punti 1 e 2, si ha
γ
⎛ p 2 ⎞ ⎛ ρ 2 ⎞ ⎛ T2 ⎞
⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜⎜ ⎟⎟ = ⎜⎜ ⎟⎟
⎝ p1 ⎠ ⎝ ρ1 ⎠ ⎝ T1 ⎠
γ
γ −1
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91
Dopo aver fatto questo ricapitolazione fra le grandezze termodinamiche, andiamo a
riprendere il nostro sistema delle formule di Eulero,
∂ρ
+ ∇ ⋅ ( ρ v) = 0
∂t
∂Q
+ ∇ ⋅ ( ρ vv + p I ) = 0
∂t
⎛ ⎛ v2 ⎞
⎞
∂ ⎛ ⎛ v2 ⎞⎞
⎜⎜ ρ⎜ e + ⎟⎟⎟ + ∇ ⋅ ⎜⎜ ρ ⎜ e + ⎟v + p v ⎟⎟ = 0
∂t ⎝ ⎝ 2 ⎠⎠
⎝ ⎝ 2⎠
⎠
a queste due si aggiungono le due equazioni di stato trovate,
p = ρRT
e = cvT
Abbiamo già visto che partendo dall’equazione dell’energia e moltiplicando
scalarmente per V, ed utilizzando l’equazione di continuità (pag. 13-18-19), si può
arrivare alla relazione
Ds
=0
Dt
Mi chiedo come si può riscrivere il teorema di Bernoulli per il caso comprimibile?
Prendiamo l’equazione dell’energia, e sapendo che
h=e+
p
ρ
⇒ ρh = ρe + p
l’equazione dell’energia diventa,
⎛ ⎛ v2 ⎞ ⎞
∂ ⎛ ⎛ v2 ⎞⎞
⎜⎜ ρ⎜ e + ⎟⎟⎟ + ∇ ⋅ ⎜⎜ ρ ⎜ h + ⎟v ⎟⎟ = 0
∂t ⎝ ⎝
2 ⎠⎠
2⎠ ⎠
⎝ ⎝
∂ ⎛ ⎛ v2 ⎞⎞
⎛ v2 ⎞
⎛ v2 ⎞
⎜ ρ⎜ e + ⎟⎟⎟ + ∇ ⋅ (ρv)⎜ h + ⎟ + ρv ⋅ ∇⎜ h + ⎟ = 0
2 ⎠⎠
2⎠
2⎠
∂t ⎜⎝ ⎝
⎝
⎝
e facendo il caso di stato stazionario, otteniamo
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92
⎛ v2 ⎞
v ⋅ ∇⎜ h + ⎟ = 0
2⎠
⎝
v2
h + = ht entalpia totale, si può notare che questa si mantiene
e chiamando
2
costante lungo la linea di corrente.
Da questa relazione si vede che quando l’entalpia è massima la velocità è nulla e
viceversa. Quando l’entalpia è nulla la velocità è massima, questa velocità è chiamata
velocità limite, vero limite energetico,
2
vlim
= h∞
2
specializzando il discorso al gas perfetto, si può introdurre la velocità del suono come
a2 =
∂p
∂ρ
s
e ricordando che
∂p
p
p
a2
2
=γ
⇒ a = γ = γRT = (γ − 1)h ⇒ h =
∂ρ
ρ
ρ
γ −1
a2
v2
a2
v2
+ = ∞ + ∞
γ −1 2 γ −1 2
Possiamo notare che quando il Ma tende a ∞ la velocità del suono tende a zero,
quindi la temperatura la pressione e la densità tendono a zero. Ma c’è l’altro caso
limite, cioè quando la velocità tende a zero, l’energia starà tutta nell’entalpia, cioè
a02
a∞2
v∞2
a2
h=
=
=
+
γ −1 γ −1 γ −1 2
ma dato che l’entalpia è legata alla temperatura attraverso il coefficiente lineare del
calore specifico a pressione costante, significa che nel punto di ristagno la
temperatura assume un valore massimo.
Esiste anche un punto speciale dove la velocità del suono e la velocità assumono lo
stesso valore, ciò significa che ci troviamo a Ma = 1, questo valore unico viene
chiamato velocità critica, e indicato con a* o v*, si ha
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93
a*2
a*2
a∞2
v∞2
+
=
+
= ht
γ −1 2 γ −1 2
il rapporto fra la velocità critica e la velocità limite diventa,
a*
γ −1
=
vlim
γ +1
Si può anche mostrare che nel caso non stazionario, se esiste un potenziale scalare
della velocità, in tutto il dominio si mantiene costante il trinomio
v 2 ∂ϕ
h+ +
= cst .
2 ∂t
giovedì 22 novembre 2001
Andiamo a vedere come diventa l’equazione dell’energia nel caso non isoentropico.
Stiamo attenti che dire che la ρ sia costante è molto di più di dire che il fluido è
incomprimibile. Infatti la densità può variare anche in presenza di variazioni di
temperatura.
La formula di Crocco l’abbiamo trovata fissando almeno una delle variabili
termodinamiche che entravano in gioco. Adesso invece cerchiamo di trovare una
relazione medesima però senza fissare alcuna variabile termodinamica.
Dal differenziale dell’energia si ha
Tds = dh −
1
ρ
dp
1
∇p
se passiamo ai gradienti si ha
T ∇s = ∇h −
ρ
dall’equazione della quantità di moto per il caso non viscoso si ha
ρ
Dv
= −∇ p
Dt
espandendo la derivata sostanziale,
ρ
∂v
+ ρ v ⋅ ∇ v = −∇ p
∂t
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94
sostituendo il gradiente di pressione ottenuto dall’equazione di bilancio della quantità
di moto nel bilancio energetico, si ottiene
T ∇s = ∇h +
∂v
+ (v ⋅ ∇ )v
∂t
sappiamo che l’entalpia si mantiene costante lungo una linea di corrente, se il moto è
uniforme in tutto il campo questa entalpia la chiamiamo h0.
Partiamo da un caso generale, vale a dire consideriamo la nostra entalpia isoentalpica,
cioè costante sulla linea di corrente, ma potrebbe anche essere omoentalpica cioè
costante in tutto il campo di moto.
Allora se il flusso è isoentalpico si ha
v2
∇h = ∇h0 − ∇
2
sostituendola nel bilancio energetico si ha
T ∇s = ∇h0 − ∇
v 2 ∂v
+
+ (v ⋅ ∇ )v
2 ∂t
ma dato che esiste la relazione vettoriale
v × (∇ × v ) = ∇v ⋅ ∇ − (v ⋅ ∇ )v
il bilancio energetico diventa
T ∇s = ∇h0 +
∂v
− v ×ω
∂t
a questo punto facciamo un’altra ipotesi, quella di stazionarietà, la facciamo soltanto
per semplicità ma non toglie assolutamente nulla alla generalità del ragionamento,
così facendo si ottiene il teorema di Crocco
T ∇s = ∇h0 − v × ω
Questa relazione ci permette di scoprire che, se abbiamo un campo di moto a monte
irrotazionale omoentropico e omoentalpico, sappiamo già che se l’urto che si crea sul
corpo è curvo allora l’entalpia del sistema si conserva, allora si crea dell’entropia,
quindi il moto a valle dell’urto non sarà più irrotazionale.
Ripartiamo dalle equazioni di Eulero scritte nella forma semplificata e facciamo
l’ipotesi di irrotazionalità. Questa posizione ci consente di scrivere la velocità tramite
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95
il gradiente di un potenziale scalare, questo ci consente anche di chiudere il problema
e di scrivere un’equazione equivalente a quella di Laplace.
Il sistema diventa
⎧ ∂ρ
⎪ ∂t + ∇ ⋅ ( ρ v ) = 0
⎪
∇×v =0
⎪
⎨
s = s∞
⎪
2
2
⎪h + v + ∂ϕ = h + v∞
∞
⎪⎩
2 ∂t
2
ci manca l’equazione di stato che ci consente di recuperare la ρ in funzione di s e h.
abbiamo detto che l’ipotesi di irrotazionalità ci permette di esprimere la velocità
attraverso il gradiente di un potenziale scalare
∇ϕ = v
questo lo mettiamo dentro l’equazione di continuità
∂ρ
+ v ⋅ ∇ρ + ρ ∇ ⋅ v = 0
∂t
Dρ
+ ρ ∇ ⋅ ∇ϕ = 0
Dt
Dρ
+ ρ∇ 2 ϕ = 0
Dt
dall’equazione di stato ρ = ρ(s,h) posso ricavare
Dρ ∂ρ Dh ∂ρ Ds
=
+
Dt ∂h Dt ∂s Dt
in caso di flusso omoentropico il secondo termine si annulla, e introducendo la
velocità del suono, si ha
1
∂ρ
∂ρ ∂p
=
= 2ρ
∂h s ∂p s ∂h s a
Dρ 1 Dh
= ρ
Dt a 2 Dt
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96
1 Dh
+ ∇ 2ϕ = 0
2
a Dt
il sistema diventa
⎧ Dh
2
2
a
+
∇
ϕ=0
⎪ Dt
⎪
∇×v =0
⎪
⎨
s = s∞
⎪
2
2
⎪h + v + ∂ϕ = h + v∞
∞
⎪⎩
2 ∂t
2
con l’aggiunta dell’equazione di stato a2 = a2(h,s).
Si noti che il sistema si riduce all’equazione di Laplace discussa nel caso
incomprimibile, quando a → ∞, che è un altro modo di introdurre il limite di
incomprimibilità.
Per comprendere meglio con che rapidità nel limite incomprimibile il sistema
completo tenda all’equazione di Laplace, scriviamo la conservazione dell’entalpia in
un punto di ristagno, cioè
v∞2
v∞2
h0 = c pT0 = c pT∞ +
= h∞ +
2
2
dividendo tutto per cpT∞ si ha
T0
v∞2
=1+
2c pT∞
T∞
chiaramente T0 > T∞
T0 − T∞ ∆T
v∞2
=
=
T∞
T∞ 2c pT∞
dato che tra la temperatura e la densità esiste una proporzionalità del tipo
∆ρ
ρ
∝
∆T 1
T γ −1
e sapendo che
a∞2
c pT∞ = h∞ =
γ −1
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97
T0 − T∞ ∆T v∞2 γ − 1 γ − 1 2
=
=
=
M∞
2 a∞2
2
T∞
T∞
e la densità
∆ρ
v∞2
1
= 2 = M ∞2
ρ 2a ∞ 2
abbiamo ottenuto che la deviazione dal problema a ρ costante dipende dal quadrato
del numero di Mach. Si stima che la il limite di separazione è circa Ma = 0.3, infatti si
può trovare che l’errore commesso per Ma = 0.3 è
∆ρ
1
= 0.09 = 0.045 ⇒ errore del 5%
ρ 2
Dobbiamo affrontare la parte più complicata, cioè dobbiamo andare a risolvere il
nostro sistema di equazioni.
Ricordiamo che un problema è ben posto quando le condizioni al contorno sono
assegnate ad un contorno chiuso. E anche quando, cambiando di poco le cose
cambiano di poco anche i risultati (stabilità).
Particolareggiamo il nostro sistema di equazioni nel caso 2D, facendo l’ipotesi di
flusso stazionario e chiamando u e v le componenti della velocità V,
1 Dh
+ ∇ 2 ϕ = 0 ⇒ ∇ϕ ⋅ ∇h + a 2 ∇ 2 ϕ = 0
2
a Dt
h+
V2
V 2 ∂ϕ
+
= h∞ + ∞
2
∂t
2
1
⎛V 2 ⎞
2
⇒ ∇h = −∇⎜ ⎟ = − ∇(∇ϕ )
2
⎝ 2 ⎠
sostituendo si ha
1
2
− ∇(∇ϕ ) + a 2 ∇ 2 ϕ = 0
2
scomponendo tutto per componenti, si ottiene
−
−
1
(ϕ x , ϕ y ) ⋅ ⎛⎜⎜ ∂ (ϕ2x + ϕ2y ), ∂ (ϕ2x + ϕ2y )⎞⎟⎟ + a 2 (ϕ xx + ϕ yy ) = 0
∂y
2
⎝ ∂x
⎠
1
(ϕ x , ϕ y ) ⋅ ((2ϕ x ϕ xx + 2ϕ y ϕ xy ), (2ϕ x ϕ xy + 2ϕ y ϕ yy )) + a 2 (ϕ xx + ϕ yy ) = 0
2
− ϕ 2x ϕ xx − ϕ x ϕ y ϕ xy − ϕ x ϕ y ϕ xy − ϕ 2y ϕ yy + a 2 (ϕ xx + ϕ yy ) = 0
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98
chiamando u = ϕx e v = ϕy si ha
− u2ϕxx − 2uvϕxy − v2ϕyy + a2 (ϕxx + ϕyy ) = 0
(a
2
− u 2 )ϕ xx − 2uvϕ xy + (a 2 − v 2 )ϕ yy = 0
Come si risolve?
Consideriamo una linea aperta di equazione parametrica
x = x 0 (s )
y = y 0 (s )
su cui siano assegnate le due componenti della velocità u e v tramite le due funzioni
u = ϕ x = f (s )
v = ϕ y = g (s )
ci chiediamo sotto quali condizioni sia ben posto il problema di Cauchy su una linea
aperta di questo tipo. La velocità in un punto P′ appartenente all’intorno del punto P
che sta sulla linea, può essere calcolata espandendo in serie di Taylor le funzioni f(s)
e g(s) al primo ordine, in modo da far comparire le tre derivate seconde del
potenziale, cioè
u (P ′ ) − u (P ) =
∂u
∂u
dx + dy
∂x
∂y
v(P ′ ) − v(P ) =
∂v
∂v
dx + dy
∂x
∂y
mettendo a sistema le due appena trovate con l’equazione del nostro potenziale si ha
dx
dy
df
⎧
= ϕ xx 0 + ϕ xy 0
⎪
ds
ds
ds
⎪⎪
dx0
dy0
dg
= ϕ xy
+ ϕ yy
⎨
ds
ds
ds
⎪ 2
2
2
(
)
(
−
ϕ
−
2
ϕ
+
−
a
u
uv
a
v 2 )ϕ yy = 0
xx
xy
⎪
⎪⎩
dalle prime due equazioni posso calcolare le derivate ϕxx e ϕyy in funzione della terza
derivata seconda, e sostituirle nell’ultima equazione,
ϕ xx =
dy
df
− ϕ xy 0
dx0
dx0
e
ϕ yy =
dy
dg
− ϕ xy 0
dy 0
dx0
Massimo Bucca matr. 644978
(a
2
− u2 )
99
dy
dx
df
dg
− (a 2 − u 2 ) 0 ϕ xy − 2uvϕ xy + (a 2 − v 2 )
− (a 2 − v 2 ) 0 ϕ xy = 0
dx0
dx0
dy0
dy0
(a
ϕ xy =
(a
2
2
− u2 )
− u2 )
df
dg
+ (a 2 − v 2 )
dx0
dy0
dy0
dx
+ 2uv + (a 2 − v 2 ) 0
dx0
dy0
questa equazione però può non avere soluzione e questo accade quando il
denominatore si annulla, cioè quando
(a
2
− u2 )
dy0
dx
+ 2uv + (a 2 − v 2 ) 0 = 0
dx0
dy0
2
(a − u )⎛⎜⎜ dy0 ⎞⎟⎟ + 2uv dy0 + (a 2 − v 2 ) = 0
dx0
⎝ dx0 ⎠
2
2
dy 0 − uv ± u 2 v 2 − (a 2 − u 2 )(a 2 − v 2 ) − uv a 2 ± M 2 − 1
=
=
dx0
a2 − u2
1 − u2 a2
questa quantità rappresenta la pendenza dello spostamento che ci ha portato dal punto
P al punto P′.
martedì 27 novembre 2001
Le radici dell’equazione in dy0/dx0 possono essere reali, reali e coincidenti o
complesse, e questa possibilità è regolata dal numero di Mach. Infatti se M > 1 le
direzioni saranno reali e dovremo trovare il modo per risolvere il nostro problema
lungo queste direzioni.
Possiamo fare una distinzione sui tipi di equazioni che possiamo affrontare al variare
del numero di Mach:
• M > 1 l’equazione è iperbolica, due direzioni caratteristiche.
• M = 1 l’equazione è parabolica, una sola direzione caratteristica.
• M < 1 l’equazione è ellittica, nessuna direzione caratteristica reale.
Quando il numero di Mach è maggiore di uno affinché il sistema sia risolvibile, anche
nel caso di condizioni assegnate lungo la linea caratteristica, occorre che sia verificata
la condizione di compatibilità, cioè che anche il numeratore sia nullo,
(a
2
− u2 )
df
dg
+ (a 2 − v 2 )
=0
dx0
dy0
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100
Per imporre la condizione di compatibilità può risultare più comodo utilizzare un
piano di riferimento polare nel piano della velocità,
u = V cosθ
v = V sen θ
con questa trasformazione la linea caratteristica avrà una pendenza del tipo,
⎛ dy0 ⎞
⎜⎜
⎟⎟ = tan (θ ± µ )
dx
⎝ 0 ⎠c
⎛ 1
dove con µ si è indicato l’angolo di Mach, cioè µ = sen −1 ⎜
⎝M
⎞
⎟.
⎠
µ
Dentro un campo di moto qualsiasi prendiamo una linea di corrente,
C+
dc
µ
µ θ
P
dc
C−
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Le direzioni caratteristiche formano un angolo con la direzione del vettore velocità V,
che è pari a µ. Se mi sposto nell’intorno del punto P, e vado a mettermi su un punto
che sta lungo una direzione caratteristica, e da questo nuovo punto traccio le sue due
direzioni caratteristiche. E itero questo procedimento, posso così costruire due curve
di punti che hanno sempre direzione caratteristica.
La condizione di compatibilità scritta in precedenza mi da il legame fra le due
componenti della velocità, infatti il sistema ha soluzione solo per particolari
condizioni iniziali, u e v non possono essere arbitrarie ma devono soddisfare la
seguente relazione
(
dg
a 2 − u 2 ) ⎛ dy0 ⎞
⎜
⎟
=− 2
(a − v 2 ) ⎜⎝ dx0 ⎟⎠ c
df
Quindi assegnate le condizioni iniziali su una qualsiasi linea, in ogni suo punto sono
note le pendenze caratteristiche. Si può quindi immaginare di calcolare la soluzione
in un generico punto P di coordinate (x,y) mediante la costruzione di un reticolo di
caratteristiche, in ogni suo punto valgono le condizioni di compatibilità, che
permettono di determinare le due incognite u e v.
Dalle proprietà geometriche del reticolo, si determina facilmente che la soluzione in
un punto del campo i moto dipende dai valori iniziali sull’intero segmento
individuato dalle intersezioni A e B della linea delle condizioni iniziali con le sue
caratteristiche passanti per il punto P considerato.
Questo differisce con quello che accadeva nel problema ellittico, dove si è visto che
la soluzione dell’equazione di Laplace poteva essere risolta attraverso l’integrazione
di un percorso chiuso.
Una modifica delle condizioni al contorno implicava una modifica della soluzione.
In quel caso il dominio di dipendenza era tutto il campo di moto.
Massimo Bucca matr. 644978
102
Qui al contrario il dominio di dipendenza è il dominio racchiuso dalla due
caratteristiche e la linea delle condizioni iniziali.
Abbiamo detto prima che la condizione di compatibilità poteva essere riscritta in
coordinate polari, così da apparire più semplice, infatti
d (V sen θ ) M 2 cosθ sen θ ± M 2 − 1
=
d (V cosθ )
1 − M 2 sen 2 θ
si può arrivare d una espressione che non dipende da θ, cioè
dθ = ± M 2 − 1
dV
V
se trasformiamo la dipendenza della velocità nella dipendenza del numero di Mach,
ed integriamo questa equazione differenziale, otteniamo
± θ + cst = ν (M )
la funzione ν(M) è chiamata funzione di Prandtl-Meyer e per un gas perfetto assume
una forma del tipo
ν (M ) =
γ + 1 −1 γ − 1 2
(M − 1) − tan −1 M 2 − 1
tan
γ −1
γ +1
che presenta quando M → ∞ un valore asintotico di circa 130°.
Si è ottenuto l’importante risultato che lungo la famiglia di curve caratteristiche C +,
la quantità ν(M) − θ rimane costante, e a tale costante si da il nome di invariante di
Riemann R+. in modo del tutto analogo alla famiglia di caratteristiche C− è associato
il valore costante ν(M) + θ, invariante di Riemann R−.
La relazione può essere rappresentata in un diagramma in cui sugli assi cartesiani
vengono riportate le componenti della velocità, u e v. Il grafico così ottenuto è detto
diagramma del piano dell’odografa.
È utile adimensionalizzare le velocità con la velocità critica a*, che in moto
isoentropico è univocamente legata al numero di Mach della relazione.
In questo caso gli invarianti di Riemann in funzione del numero di Mach M* formato
con la velocità critica sono del tipo
R ± = f (M * ) ± θ
Massimo Bucca matr. 644978 103
La rappresentazione grafica nel piano odografico, prende il nome di diagramma di
Busemann. Si tratta di due famiglie di curve, una per ogni famiglia di caratteristiche,
comprese nella corona circolare delimitata da due cerchi di raggio a* e Vlim, i raggi
divengono 1 e M*lim nel caso adimensionalizzato. Le curve di ciascuna famiglia
differiscono l’una dall’altra per una semplice rotazione. Le curve partono
perpendicolari al cerchio interno, e risultano tangenti al cerchio esterno.
Il diagramma di Busemann ci permette di risolvere un caso particolarmente semplice.
Si consideri per esempio un’espansione su parete convessa.
Massimo Bucca matr. 644978
104
Una corrente uniforme all’infinito a monte scorre parallela ad una parete dapprima
rettilinea, che poi presenta un tratto curvo, per poi ridiventare rettilinea.
A sinistra della caratteristica C+ spiccata da A, tutte le caratteristiche sono rettilinee e
parallele, lo stesso vale per il campo di moto a destra della caratteristica spiccata da
B, con la sola differenza del modulo della velocità.
Detto P un generico punto della parete nel tratta compreso fra A e B, la caratteristica
C− che arriva in P non è rettilinea, ma proviene dall’infinito a monte e quindi su di
essa è noto il valore ν(V∞) dell’invariante di Riemann
R − = ν (V ) − θ .
Questa condizione può essere messa a sistema con la condizione al contorno, che si
traduce semplicemente nella imposizione che l’inclinazione θ della velocità in P sia
uguale a quella della parete. È immediato risalire a ν(M) e quindi al modulo della
velocità, che risulta noto in tutti i punti del tratto curvo.
Tutto lo stato del fluido è costante lungo le C+, ed in particolare è costante anche
l’inclinazione di C+, che dipende solo da a e V. Nella regione compresa dalle
caratteristiche spiccate da A e da B, quindi, le caratteristiche C+ sono rettilinee, ma
ovviamente non parallele. Questa regione si dice di onde semplici.
Il caso limite dell’espansione su parete convessa è rappresentata dallo spigolo.
Il valore V1 della velocità dopo lo spigolo dipende solo dalla deflessione della parete
dello spigolo, da punto corrispondente allo spigolo si dipartono una serie di
caratteristiche che vanno a formare un ventaglio di onde semplici di espansione.
Attraverso il ventaglio le linee di corrente vengono deflesse gradualmente fino a
diventare parallele alla parete dopo lo spigolo.
Massimo Bucca matr. 644978 105
V∞
V1
Le cose appena descritte cambiano notevolmente se andiamo a considerare la
compressione e non più l’espansione. Pensando allo spigolo, ci si può aspettare
ancora che la velocità sia costante sia prima che dopo lo spigolo, ma non è immediato
calcolare il valore della velocità dopo lo spigolo. Infatti esiste una regione, compresa
in un triangolo con vertice nello spigolo, in cui le caratteristiche s’incontrano e la
soluzione non è definita.
V1
V∞
Considerando invece una parete concava, anche qui esisteranno punti in cui le
caratteristiche si incontrano. In punti di questo tipo, le condizioni di compatibilità da
imporre sono in numero eccessivo, e quindi l’equazione non ammette soluzione
continua. Il luogo dei punti di questo tipo costituisce un inviluppo con un cuspide, e
la soluzione continua è definita solo al di fuori della cuspide.
Massimo Bucca matr. 644978
106
Quando le caratteristiche sono convergenti, occorre permettere alla soluzione di
presentare una discontinuità. Se ricordiamo quello che abbiamo fatto con la
discontinuità presentata dalla scia, cioè la conservazione delle componenti normali
dei flussi attraverso la discontinuità, possiamo fare anche qui la stessa cosa.
Poniamo allora in un sistema di riferimento in cui la discontinuità, detta anche onda
d’urto, sia rettilinea e parallela all’asse y, cioè
y
(1)
(2)
x
La conservazione dei flussi normali di massa, quantità di moto e di energia
comportano la scrittura del seguente sistema,
ρ 1 u1 = ρ 2 u 2
⎧
⎪
ρ 1u12 + p1 = ρ 2 u 22 + p 2
⎪
⎪
ρ 1 u 1 v1 = ρ 2 u 2 v 2
⎨
ρ 1u1 w1 = ρ 2 u 2 w2
⎪
⎪
V12 ⎞
V 22
⎛
⎛
⎟⎟ = ρ 2 u 2 ⎜⎜ h2 +
⎪ ρ 1u1 ⎜⎜ h1 +
2
2
⎝
⎠
⎝
⎩
⎞
⎟⎟
⎠
A secondo che il flusso di massa sia diverso da zero oppure nullo, si hanno due casi
diversi. Supponiamo dapprima che il flusso di massa sia nullo, cioè
ρ1u1 = ρ 2 u 2 = 0
⎧
⎪
p1 = p 2
⎪
⎪
v1 ≠ v2
⎨
w1 ≠ w2
⎪
⎪⎛
V12 ⎞ ⎛
V22 ⎞
⎟ ≠ ⎜ h2 +
⎟
⎪⎜ h1 +
2 ⎠ ⎝
2 ⎠
⎩⎝
condizioni di questo tipo sono state utilizzate per la discontinuità presentata dalla
scia, e valgono in generale per casi detti di discontinuità tangenziale.
Massimo Bucca matr. 644978 107
Se invece il flusso di massa è diverso da zero, il sistema diventa
ρ1u1 = ρ 2 u 2
⎧
⎪ ρ u2 + p = ρ u2 + p
1
2 2
2
⎪ 1 1
⎪
v1 = v2
⎨
w1 = w2
⎪
⎪⎛
V12 ⎞ ⎛
V22 ⎞
h
h
+
=
+
⎟ ⎜ 2
⎟
⎪⎜ 1
2 ⎠ ⎝
2 ⎠
⎩⎝
Condizioni di questo tipo danno luogo ad una discontinuità di onda d’urto normale.
Dal sistema si capisce che l’entalpia totale si conserva dopo l’urto, ma l’entropia no.
Nel caso di urto normale, abbiamo detto che l’entropia non si conserva, ma il salto di
entropia da punto a punto rimane costante, quindi se il moto era omoentropico prima
dell’urto lo sarà anche dopo l’urto.
Nel caso di urto curvo questo non succede più, e la non isoentropicità del moto dopo
l’urto implica tramite il teorema di Crocco la non irrotazionalità.
Comunque se l’urto non è troppo intenso il salto di entropia e di vorticità del fluido,
costituiscono infinitesimi di ordine superiore all’intensità dell’urto, quindi la teoria
basata su un potenziale isoentropico può ancora essere utilizzata.
Consideriamo le relazioni di conservazione a cavallo di un urto piano e noto lo stato
del fluido dal lato 1 prima dell’urto, permette di calcolare lo stato del fluido nel lato
2, ovvero un sistema nelle tre incognite ρ2, u2 e p2,
⎧
ρ1u1 = ρ 2 u 2
⎪
⎪ 2
2
⎨ ρ1u1 + p1 = ρ 2 u 2 + p2
⎪
u12
u 22
= h2 +
⎪ h1 +
⎩
2
2
Questo sistema ha ovviamente la soluzione banale,
ρ1 = ρ 2 u1 = u 2 p1 = p2 h1 = h2
e si può dimostrare che in regime subsonico ha solo quella. In regime supersonico
compare una seconda soluzione non banale, che rappresenta la possibilità di
formazione di onda d’urto.
Facciamo l’ipotesi di conoscere lo stato del nostro sistema, ma non la sua dinamica,
cioè teniamo come parametro la velocità u1 ed esprimiamo tutto il resto in funzione
delle variabili pressione p2 e volume specifico υ2.
Poniamo il flusso di massa uguale a ρ1u1 = ρ 2 u 2 = j , la seconda equazione del
sistema diventa,
Massimo Bucca matr. 644978
108
j2
ρ1
+ p1 =
j2
ρ2
+ p2 ⇒ v1 j 2 + p1 = v2 j 2 + p 2
j2 =
p 2 − p1
v1 − v2
l’entalpia può essere scritta come
h = c pT =
cp p
c p cv
γ
pv =
pv
=
R ρ (c p − cv ) cv
γ −1
quindi la terza equazione del sistema diventa
j2 =
2γ p2 v2 − p1v1
γ − 1 v12 − v22
uguagliando le due equazioni ricavate, si ottiene una funzione f(p2,v2) = 0, cioè
(v
1
+ v2 )( p1 − p2 ) =
2γ
( p v − p1v1 )
γ −1 2 2
Questa è l’equazione di una iperbole nel piano p2 v2. Tale iperbole passa, come è
necessario, per il punto (p1,v1) cioè la soluzione banale. Una curva di questo tipo, che
è una iperbole solo per il caso dei gas perfetti, si chiama curva di Rankine-Hugoniot.
p2
f(p2,v2) = 0
pvγ = cost
p1
v1
v2
Massimo Bucca matr. 644978 109
Nonostante non risulti evidente dalla rappresentazione grafica della curva, i due tratti
a p2 > p1 e p2 < p1 non sono equivalenti. Infatti, nel tratto in cui la pressione
diminuisce e il volume specifico aumenta, si può mostrare che l’entropia diminuisce.
Oppure si può alternativamente mostrare che la soluzione discontinua non è stabile
nel tempo.
Se adimensionalizziamo tutto per a* otteniamo,
u1u 2 = a*2
M 1* ∝
1
M 2*
da qui si vede che se il moto era supersonico a monte dell’urto, in un urto normale, a
valle il moto sarà subsonico.
Ancora
(
ρ 2 u1
γ + 1)M 12
= =
ρ1 u 2 2 + (γ − 1)M 12
si vede che quando M1 → ∞
ρ 2 u1 (γ + 1)
= =
ρ1 u 2 (γ − 1)
p2
2γ
(M 12 − 1)
=1+
p1
γ −1
T2 h2 p2 ρ1
= =
T1 h1 p1 ρ 2
Se il numero di Mach della corrente supersonica tende ad infinito, il Mach dopo
l’urto sarà minimo di 0.4, questo rappresenta il massimo rallentamento ottenibile da
un onda d’urto.
A questo punto abbiamo gli strumenti per risolvere il problema della compressione,
per il caso dello spigolo.
Consideriamo una parete che formi uno spigolo concavo, indicando con δ l’angolo
della parete dopo lo spigolo, e scegliendo l’asse x allineato con la parete prima della
deviazione.
Dallo spigolo si stacca un’onda d’urto piana, inclinata rispetto all’asse x di un angolo
incognito, che chiamiamo β e che dovremo determinare. Tutte le condizioni a monte
dell’urto sono note, ma siamo in presenza di un urto obliquo, di cui è incognita
l’inclinazione.
Massimo Bucca matr. 644978
110
Per risolvere il problema, ci si pone in un sistema di riferimento cartesiano in cui gli
assi sono uno parallelo e l’altro normale all’onda d’urto.
La velocità asintotica la possiamo scomporre nelle due componenti normale e
parallela all’urto, cioè
u1n = V∞ sen β
u1t = V∞ cos β
attraverso l’urto la componente tangente si conserva, quindi
u1t = u 2t
Per quanto riguarda invece le componenti normali devono soddisfare la relazione
fondamentale dell’urto retto u1u 2 = a*2 , quindi
u1n u 2n = a*2 −
u 2n =
γ − 1 t2
u
γ +1
a*2
γ − 1 V∞ cos 2 β
−
V∞ sen β γ + 1 sen β
Riproiettando i risultati nel sistema d’assi iniziali, è possibile ottenere due relazioni
del tipo,
u 2 = f ( ρ1 , u1 , β )
v2 = g ( ρ1 , u1 , β )
Massimo Bucca matr. 644978 111
che esprimono le componenti di velocità dopo l’urto, in funzione dello stato del gas
dopo l’urto e dell’angolo β. Quest’ultimo verrà determinato imponendo che la
velocità dopo l’urto abbia direzione parallela alla parete solida.
Le relazioni precedenti possono essere considerate come equazioni parametriche di
una curva sul piano odografico u2, v2.
Questa curva prende il nome di polare dell’urto, e rappresenta il luogo di tutte le
possibili velocità a valle di un urto piano, al variare della sua inclinazione β. Al
crescere del numero di Mach abbiamo una famiglia di polari, che si riducono al punto
u2 = a* quando V∞ = a*, mentre il limite opposto V∞ = Vlim la polare diventa un
cerchio.
Tornando al nostro spigolo, dato che abbiamo la velocità a monte dell’urto, abbiamo
fissato anche la nostra polare.
Massimo Bucca matr. 644978
112
Quando δ è nullo esistono due intersezioni fra la polare e la velocità. Tali
intersezioni, indicati con i punti A e E, corrispondono alla soluzione continua e a
quella di urto retto. Quando il δ non è nullo esistono sempre almeno due intersezioni,
per esempio B e D, che prendono il nome rispettivamente di urto debole e urto forte,
differenziandosi per la loro intensità.
Dopo un urto forte la velocità è sempre subsonica, al contrario dopo un urto debole la
velocità resta supersonica, tranne per un ristretto intervallo di angoli di deflessione.
Infatti la tangente alla polare dell’urto non coincide con il punto d’intersezione fra la
polare ed il cerchio sonico a M* = 1.
All’aumentare della deflessione imposta dalla parete, si arriva ad un valore massimo
θmax, in cui si ha il punto di tangenza fra la polare e la retta di inclinazione θmax.
Quando si supera questa deflessione non ci sono intersezioni con la polare, questo
significa che non si può formare un urto che parta dallo spigolo, infatti si forma un
urto normale staccato prima di arrivare allo spigolo.
Sappiamo che la polare dipende dal numero di Mach, quindi anche la deflessione
massima θmax, che uno spigolo può sopportare prima di formare un urto staccato,
dipende dal numero di Mach. Ma esiste un limite superiore che vale circa 45°.
Questo significa che indipendentemente da numero di Mach, se un profilo ha bordo
d’attacco arrotondato presenterà sempre un urto staccato.
martedì 4 dicembre 2001
Abbiamo visto la soluzione del problema comprimibile esatto. Ma anche qui è
possibile, come abbiamo fatto per i profili sottili, dove abbiamo linearizzato la
geometria, andare a linearizzare il potenziale, e trovarci la soluzione del problema
linearizzato. Questa applicazione è molto importante proprio sui profili sottili o per
quanto riguarda la propagazione di piccole perturbazione instazionarie (onde sonore).
Supponiamo che il nostro profilo sia sottile, cioè possiamo scrivere
y = εf d ( x )
y = εf v ( x )
a questo punto il nostro potenziale dipenderà non solo dalle coordinate cartesiane x e
y, ma anche dalla ε, cioè
ϕ = ϕ( x, y , ε )
e linearizzando sappiamo che otterremo
ϕ = ϕ( x, y , ε ) = ϕ 0 ( x, y ) + εϕ1 ( x, y ) + ...
con le solite condizione al contorno che avevamo per i profili sottili, cioè
ϕ x (0 ) = 0
ϕ x (∞ ) = V ∞
Massimo Bucca matr. 644978 113
Ritorniamo al nostro sistema di equazioni, trovato per il caso comprimibile
⎧ 1 Dh
2
⎪ a 2 Dt + ∇ ϕ = 0
⎪
s = s∞
⎨
⎪
h = h∞
⎪
⎩
Passiamo a sviluppare i termini del sistema con la nostra linearizzazione, per
l’entropia abbiamo solo il termine di ordine zero, dato che l’entropia è costante,
avendo fatto l’ipotesi di omoentropicità. Quindi
s = s0 = s∞
Adesso passiamo all’entalpia che può essere scritta sotto questa forma, avendo
sostituito alla velocità il gradiente di ϕ,
(∇ϕ)
h+
2
2
linearizzando si ha
+
∂ϕ
= h∞
∂t
h = h0 + ε h1 + ...
h = h0 − ε
∂ϕ1
− ε ∇ϕ 0 ⋅ ∇ϕ1 + ...
∂t
dove il termine h0 è uguale all’entalpia h∞.
Anche per la velocità del suono si può trovare similmente una linearizzazione del
tipo,
a = a0 + ε a1 + ...
Quindi la linearizzazione del potenziale, fermandoci all’ordine zero diventerà,
∇ 2 ϕ0 +
1 Dh0
=0
a 2 Dt
e dato che l’entalpia di ordine zero è costante, ed uguale all’entalpia infinito, si
ritorna ad avere l’equazione di Laplace, cioè
⎧ ∇ 2 ϕ0 = 0
⎨
⎩∇ϕ 0 (∞ ) = V ∞
Massimo Bucca matr. 644978
114
con soluzione ϕ 0 = V ∞ ⋅ x .
I termini di ordine 1, invece danno, decomponendo la derivata sostanziale,
1
a02
⎡∂
⎤
2
⎢⎣ ∂t + ∇ϕ 0 ⋅ ∇ ⎥⎦ h1 + ∇ ϕ1 = 0
1 ⎡∂
⎞
⎤⎛ ∂ϕ
+ ∇ϕ 0 ⋅ ∇ ⎥⎜ − 1 − ∇ϕ 0 ⋅ ∇ϕ1 ⎟ + ∇ 2 ϕ1 = 0
2 ⎢
a0 ⎣ ∂t
⎦⎝ ∂t
⎠
e introducendo il nuovo operatore,
D∞
∂
= +V ∞ ⋅∇
D∞ t ∂t
e riconoscendo che le prime due parentesi hanno lo stesso operatore, appena
introdotto a meno del segno, l’equazione del potenziale può essere riscritta come,
1 D∞2 ϕ1
− 2
+ ∇ 2 ϕ1 = 0
2
a∞ D∞ t
D∞2 ϕ1
= a∞2 ∇ 2 ϕ1
2
D∞ t
Se consideriamo un fluido che all’infinito sta in quiete, allora l’equazione che
abbiamo trovato può essere semplificata nel modo seguente,
∂ 2 ϕ1
a ∇ ϕ1 = 2
∂t
2
2
che nel caso monodimensionale diventa semplicemente,
ϕ1,tt = a 2 ϕ1, xx
con soluzione,
ϕ1 = f ( x − at ) + g ( x + at )
abbiamo ottenuto l’equazione delle onde sonore, e quindi la celerità del suono non è
altro che la velocità di propagazione delle piccole perturbazioni di pressione sonora.
Massimo Bucca matr. 644978 115
Partendo dall’equazione linearizzata che abbiamo trovato, possiamo specializzarla sui
profili sottili. Innanzitutto suppongo che l’asse delle x sia allineato con la velocità
V∞, faccio anche l’ipotesi di stazionarietà del problema, e prendo le stesse condizioni
al contorno del caso incomprimibile. L’equazione diventa,
(1 − M )ϕ
2
∞
xx
+ ϕ yy = 0
Il coefficiente della ϕxx vale 1, quando il campo di moto è incomprimibile, e si ritorna
al caso già studiato. Ma quando siamo nel caso comprimibile può assumere diversi
valori, dipendenti dal numero di Mach del sistema.
Infatti se il numero di Mach è più piccolo di 1, il coefficiente della ϕxx sarà positivo,
quindi l’equazione sarà ellittica, anche se non uguale a quella di Laplace. Ma con una
opportuna trasformazione di assi si può riportarla sotto la forma di quella di Laplace.
Se al contrario il coefficiente di ϕxx è negativo, che corrisponde ad un numero di
Mach supersonico, l’equazione che otteniamo diventerà iperbolica, e non potrà essere
riportata all’equazione di Laplace.
Ma noi abbiamo già visto come risolvere il caso supersonico esatto, questa sarà
soltanto la sua linearizzazione, quello che cambierà sarà dato dalla forma delle curve
caratteristiche, che nel caso esatto erano in generale delle curve. Qui saranno sempre
delle rette.
Partiamo dal caso subsonico, cioè con un numero di Mach inferiore a 1, anche se
troveremo conveniente prendere un numero di Mach inferiore a 0.8, perché vicino a
Mach 1 si è in uno stato transonico, che vedremo più avanti e in dettaglio.
Le condizioni al contorno diventano
ϕ y (x,0 + ) = V ∞ ⋅
df d
dx
ϕ y (x,0 − ) = V ∞ ⋅
df v
dx
Il nostro compito è quello di riottenere l’equazione di Laplace, che sappiamo
risolvere, quindi fattivamente è quello di ottenere dei coefficienti uguali per le due
derivate nell’equazione. Abbiamo già detto che opereremo una trasformazione di
assi, che sarà
Y =β y
questa trasformazione non sposta lo zero del sistema di riferimento, infatti per y = 0
si ha Y = 0. La nuova derivata sarà
∂ ∂Y ∂
∂
=
=β
∂Y
∂y ∂y ∂Y
l’equazione del potenziale diventa
Massimo Bucca matr. 644978
116
(1 − M )ϕ
2
∞
xx
+ β 2 ϕYY = 0
risulta chiaro che prendendo
β = 1 − M ∞2
si riottiene l’equazione di Laplace, e le nuove condizioni al contorno diventano
ϕY (x,0 + ) =
1
β
V∞ ⋅
ϕ Y ( x ,0 − ) =
df d
dx
1
β
V∞ ⋅
df v
dx
I risultati che ho raggiunto mi fanno capire che il profilo sottile che mi ritrovo nel
caso comprimibile è ancora più sottile, dato che il fattore β è minore di 1.
Ma cambia anche la condizione al contorno, la quale aumenta.
Tutti i risultati che avevamo trovato nel caso incomprimibile vengono aggiornati
grazie al fattore β, che prende il nome di fattore di correzione di Prandtl-Glauert.
Cioè posso riprendere le grandezze già calcolate nel caso incomprimibile e
moltiplicarle per 1/β, per trovare le corrispondenti del caso comprimibile.
Ma attenzione, infatti per trovare il coefficiente di pressione, nel caso incomprimibile
avevamo imposto il teorema di Bernoulli, il quale ci aveva fornito la legge
c p = −2u
qui il teorema di Bernoulli non vale. Ma facendo un bilancio di entalpia si può
dimostrare che quella legge vale ancora, quindi si ottiene
c p ,comp =
c p ,incomp
β
=
c p ,incomp
1 − M ∞2
> c p ,incomp
guardando la curva cLα si ha
cLα
M∞
α
Massimo Bucca matr. 644978 117
dal grafico si vede che all’aumentare del numero di Mach, ruota la retta, in questo
caso linearizzato, del cLα intorno all’incidenza di portanza nulla.
Quindi il caso comprimibile per avere la stessa portanza del caso incomprimibile
bisogna di un angolo d’incidenza minore. E a pari incidenza il caso comprimibile da
più portanza.
Scrivendo l’equazione del potenziale linearizzata, sempre nell’ipotesi di stazionarietà
ma questa volta nel caso tridimensionale, si ha
(1 − M )ϕ
2
∞
xx
+ ϕyy + ϕzz = 0
Anche in questo caso possiamo applicare la stessa trasformazione di assi effettuata
per il caso bidimensionale, cioè
Y =β y e Z =βz
così facendo si riporta l’equazione sotto forma di Laplace, ponendo
β 2 = 1 − M ∞2
Quindi le considerazione fatte per il caso bidimensionale vanno estese, in modo
banale, anche al caso tridimensionale, con la correzione tramite il fattore correttivo di
Prandtl-Meyer di tutti i coefficienti aerodinamici voluti.
Si noti che in 3D l’ala non ha solo una riduzione dello spessore del profilo sottile, ma
anche l’allungamento si è ridotto.
A causa del cambio di scala per la coordinata z, ora l’ala vede modificato il proprio
allungamento e di conseguenza anche la velocità e la resistenza indotta sono in
generale diverse dal caso incomprimibile. È interessante notare che la scomposizione
del problema tridimensionale nei due bidimensionali sotto l’ipotesi d’ala a forte
allungamento, quello del piano di Trefftz è una equazione di Laplace,
ϕ yy + ϕ zz = 0
Ciò implica che la polare non viene modificata rispetto al caso incomprimibile, essa
infatti è una proprietà della scia, e non cambia a parità di Γ.
Diverso è il caso della curva cLα in cui la pendenza della curva diviene
cL =
2π
β
come nel caso bidimensionale.
Occorre fare una distinzione a seconda che si ragioni a cL fissato oppure ad angolo
fissato. Nel primo caso, come si è visto, anche il cD e la resistenza sono uguali a
Massimo Bucca matr. 644978
118
quelle incomprimibili. Nel secondo, invece, in cui il cL∝1/β, il coefficiente di
resistenza aumenta secondo un fattore 1/β2.
mercoledì 5 dicembre 2001
Abbiamo visto cosa succede alla nostra equazione del potenziale linearizzata, nel
caso subsonico, cioè a numero di Mach minore di 1. Abbiamo anche detto che esiste
una regione di numeri di Mach compresi fra 0.8 e 1.2, in cui il campo di moto si dice
transonico, che vedremo più avanti.
Ci concentriamo adesso sul caso supersonico linearizzato, con numero di Mach
maggiore di 1, ma di fatto maggiore di 1.2.
L’equazione del potenziale bidimensionale può essere scritto come,
(M
2
∞
− 1)ϕ xx − ϕ yy = 0
Ci accorgiamo che questa equazione è di tipo iperbolico, quindi come già visto nel
caso esatto, esisteranno due direzioni particolari dove la nostra soluzione non è
banalmente unica.
Anche qui supponiamo di avere una linea di soluzioni iniziali, e di trovare la
soluzione in un punto P′ vicino al punto P, appartenete alla linea di soluzioni iniziali,
tramite una espansione in serie di Taylor.
Supponiamo che la linea di soluzioni iniziali abbia equazioni parametriche
x = x 0 (s )
y = y 0 (s )
e che le componenti della velocità u e v, possono essere descritte dalle due funzioni
u = f (s )
v = g (s )
Espandendo con Taylor si ottiene,
∂u
∂u
⎧
′
(
)
(
)
−
=
+
u
P
u
P
dx
dy
⎪⎪
∂x
∂y
⎨
∂v
∂v
⎪ v(P′) − v(P ) = dx + dy
⎪⎩
∂x
∂y
a questo sistema aggiungiamo la nostra equazione del potenziale, così da ottenere un
sistema di tre equazioni in tre incognite, le tre derivate seconde del potenziale.
Massimo Bucca matr. 644978 119
dy0 df
⎧ dx0
⎪ ϕ xx ds + ϕ xy ds = ds
⎪⎪ dx
dy
dg
0
+ ϕ yy 0 =
⎨ϕ xy
ds
ds ds
⎪
2
(
)
−
ϕ
−
ϕ yy = 0
M
1
∞
xx
⎪
⎪⎩
seguendo quello già fatto per il caso esatto, possiamo ricavarci dalle prime due
equazioni le derivate ϕxx e ϕyy e sostituirle nella terza equazione,
dy0 df
⎧
⎪ ϕ xx = −ϕ xy dx + dx
0
0
⎪
dx0 dg
⎪
+
⎨ ϕ yy = −ϕ xy
dy
dy0
0
⎪ 2
⎪(M ∞ − 1)ϕ xx − ϕ yy = 0
⎪⎩
(M
− 1)
df
dg
−
dx0 dy0
ϕ xy =
(M ∞2 − 1) dy0 − dx0
dx0 dy0
2
∞
Ci si accorge che il sistema può non avere soluzione, quando il denominatore si
annulla, cioè
(M
2
∞
− 1)
dy0 dx0
−
=0
dx0 dy0
2
(M − 1)⎛⎜⎜ dy0 ⎞⎟⎟ − 1 = 0
⎝ dx0 ⎠
2
∞
si può notare, mentre nel caso esatto i coefficienti erano dipendenti dalle componenti
della velocità quindi non costanti, qui sono costanti.
⎛ dy0 ⎞
1
1
⎜⎜
⎟⎟ = ±
=±
2
β
M∞ −1
⎝ dx0 ⎠ c
questa rappresenta la pendenza delle curve caratteristiche, che essendo costante, le
curve in questo caso sono delle rette.
Massimo Bucca matr. 644978
120
A questo punto non ci resta da costruire che la condizione di compatibilità, affinché il
sistema ammetta soluzione anche il denominatore deve annullarsi,
(M
(M
2
∞
2
∞
− 1)
df
dg
−
=0
dx0 dy0
⎛ dy ⎞
− 1)df ⎜⎜ 0 ⎟⎟ − dg = 0
⎝ dx0 ⎠ c
dg = ± M ∞2 − 1df = ± β df
dv = ± β du
Quanto osservato costituisce anche la base di un metodo di soluzione, noto come
metodo delle caratteristiche. Il calcolo della soluzione può sfruttare il fatto che sulla
famiglia di caratteristiche C+ vale la relazione,
v − β u = cst
di conseguenza
ϕ y − β ϕ x = F (x − β y )
e analogamente sulle caratteristiche C− vale,
ϕ y + β ϕ x = G(x + β y )
Massimo Bucca matr. 644978 121
La soluzione del punto (x,y) si può quindi scrivere come la somma di una funzione
della quantità x + βy e di una funzione della quantità x − βy, cioè
ϕ( x, y ) = F ( x − βy ) + G ( x + βy )
Le funzioni F e G sono completamente determinate dalle condizioni al contorno. Qui
al contrario di quello che capitava nel caso esatto, il dominio di dipendenza non
dipende da tutti i punti della linea di dati iniziali compresi fra A e B, ma solo da A e
B. Stesso discorso per quanto riguarda il dominio di influenza.
Consideriamo un profilo sottile e concentriamoci su quanto accade sul dorso del
profilo.
A sinistra della caratteristica ascendente spiccata dal bordo d’attacco A la corrente è
uniforme e non risente dalla presenza del profilo. Per ogni punto a valle di questa
caratteristica, si possono tracciare le due caratteristiche passanti per il punto. Una di
esse proviene dall’infinito a monte, mentre l’altra parte dal profilo stesso.
Per la conoscenza delle forze aerodinamiche, è sufficiente porci sul profilo, qui la
componente normale v è assegnata dalle condizioni al contorno, quindi possiamo dire
che
u=
1
β
V∞
df d
dx
Questa relazione permette già di notare che la velocità u dipende solo dalla pendenza
locale del profilo. Nel caso incomprimibile la u si esprimeva attraverso l’integrale che
teneva conto della pendenza di tutto il profilo.
Le forze aerodinamiche si calcolano per integrazione degli sforzi normali sul
contorno, quindi utilizzando il legame fra il coefficiente di pressione cp e la velocità
adimensionale u/V∞, si ha
Massimo Bucca matr. 644978
122
cp = −
2 df d
β dx
il coefficiente di portanza diventa
cl = ∫ (c p ,v − c p ,d )dx =
1
0
4 1 df
4
dx = ( f (1) − f (0 ))
∫
β 0 dx
β
se la corda viene definita come il segmento congiungente il bordo d’attacco con il
bordo d’uscita, si ha che f(1) − f(0) = α, e quindi
cl =
4
β
α
L’angolo di portanza nulla risulta automaticamente nullo.
Per il coefficiente di resistenza si ha
2
2
df d ⎞
df v
2 1 ⎡⎛ df d ⎞ ⎛ df v ⎞ ⎤
⎛
c d = ∫ ⎜ c p ,v
− c p ,d
⎟ ⎥ dx
⎟ +⎜
⎟dx = ∫ ⎢⎜
β 0 ⎣⎝ dx ⎠ ⎝ dx ⎠ ⎦
dx ⎠
dx
0⎝
1
Nella teoria linearizzata non esistono fisicamente le onde d’urto, ma il loro effetto si
irraggia verso l’infinito. Questo effetto costa dal punto di vista energetico, e quindi
compare il coefficiente di resistenza, cosa che non succedeva prima nel caso
incomprimibile.
Nel coefficiente di resistenza si possono separare i contributi di linea media, spessore
e incidenza.
Per il dorso sappiamo
1
f d ( x ) = ylm ( x ) + s( x ) − αx
2
per il ventre
1
f v ( x ) = ylm ( x ) − s( x ) − αx
2
Sostituendo nell’espressione del coefficiente di resistenza e notando che i termini
incrociati si elidono, si ottiene
2
2
1
4 ⎡ 2 1 ⎛ dylm ⎞
⎛ 1 ds ⎞ ⎤
cd = ⎢α + ∫ ⎜
⎟ dx + ∫ ⎜
⎟ dx ⎥
β⎣
0 ⎝ dx ⎠
0 ⎝ 2 dx ⎠
⎦
Quindi il coefficiente di resistenza è diverso da zero, la resistenza che mi deriva dal
coefficiente prende il nome di resistenza d’onda.
Massimo Bucca matr. 644978 123
Ripetendo un discorso analogo per il calcolo del coefficiente di momento, si trova
che il centro aerodinamico è posizionato al 50% della corda con un sensibile
differenza rispetto al caso subsonico. Lo spostamento del centro aerodinamico dal
volo subsonico al volo supersonico rende particolarmente delicato l’equilibrio del
velivolo, perché questo passaggio è alquanto brusco.
Data la rilevanza delle perdite di energia che la resistenza d’onda può comportare, è
particolarmente interessante affrontare il problema della minima resistenza in campo
supersonico.
La resistenza d’onda contiene un termine proporzionale al quadrato dell’angolo
d’incidenza. Per un dato aereo, l’incidenza non può essere variata per ridurre la
resistenza, ma il contributo dell’incidenza può essere minimizzato scegliendo una
incidenza opportuna in sede di progetto. Il contributo dovuto alla linea media può
essere annullato, utilizzando una linea media rettilinea, in modo da avere pendenza
localmente nulla. Il contributo dello spessore è nullo solo quando lo spessore è nullo.
Tutte queste considerazioni ci portano ad individuare la lastra piana come ottimo
circa la resistenza sul volo supersonico.
Però lo spessore non può essere nullo, per motivi costruttivi. Ma l’indipendenza dalla
geometria del coefficiente di resistenza, fa si che si possa ottenere l’ottimizzazione
del profilo indipendentemente dall’incidenza.
Ci sono due strade che possono essere seguite: ricercare il minimo per un dato
spessore, oppure per una data area.
Nel primo caso l’obiettivo è quello di ottenere una distribuzione di spessore che
minimizzi la resistenza, con il requisito di uno spessore massimo imposto.
Supponiamo di conoscere la posizione x0 del punto di massimo spessore, che
determineremo più avanti.
Cerchiamo la quantità
2
⎛ ds ⎞
∫0 ⎜⎝ dx ⎟⎠ dx
x0
con il vincolo di massimo spessore s0 assegnato, cioè
x0
ds
∫ dx dx = s
(*)
0
0
la funzione ausiliaria di Lagrange da minimizzare è data dalla
⎡ x ds
⎤
⎛ ds ⎞
L = ∫ ⎜ ⎟ dx + λ ⎢ ∫ dx − s0 ⎥
0 ⎝ dx ⎠
⎣ 0 dx
⎦
x0
2
0
Massimo Bucca matr. 644978
124
si consideri un piccolo incremento di spessore δs(x) intorno alla distribuzione di
spessore s(x). Occorre imporre che la parte lineare in δs(x) della L sia nulla per una
variazione arbitraria di δs(x),
x
⎡⎛ d s ⎞ 2
⎛ d s dδs
ds⎤
dδ s ⎞
⎟⎟dx
+λ
L = L0 + δL = ∫ ⎢⎜⎜ ⎟⎟ + λ ⎥ dx − λs0 + ∫ ⎜⎜ 2
dx
dx
dx
dx
0 ⎢⎝ dx ⎠
0
⎥⎦
⎝
⎠
⎣
x0
0
allora
⎛ ds
⎞ dδ s
+ λ ⎟⎟
dx = 0
dx
0⎝
⎠ dx
x0
δL = ∫ ⎜⎜ 2
∀δs( x )
quindi
2
ds
+λ =0
dx
⇒
ds
λ
=−
2
dx
dalla (*) si ha
x0
ds
∫0 dx dx = s0 ⇒
x0
λ
0
2
∫−
dx = s0 ⇒ λ = −2
s0
x0
quindi la distribuzione di spessore diventa,
s(x ) =
s0
x
x0
per 0 ≤ x ≤ x0
in maniera del tutto simile, si tratta la seconda parte del profilo, per x0 ≤ x ≤ 1,
ottenendo
s(x ) =
s0
(1 − x )
1 − x0
Ora dobbiamo stabilire dove sta lo spessore massimo, cioè determinare x0.
Consideriamo la resistenza totale,
2
2
1
⎛ s0 ⎞
⎛ − s0 ⎞
s02
s02
⎟⎟ dx = +
cd ( x0 ) = ∫ ⎜⎜ ⎟⎟ dx + ∫ ⎜⎜
x0 1 − x0
0 ⎝ x0 ⎠
x ⎝ 1 − x0 ⎠
x0
0
imponendo che questa espressione sia minima anche rispetto alla scelta di x0, cioè
ponendo a zero la derivata del coefficiente di resistenza rispetto a x0 si ha,
Massimo Bucca matr. 644978 125
s02
s02
1
− 2 +
= 0 ⇒ x0 =
2
2
x0 (1 − x0 )
il profilo ottenuto risulta essere un rombo, anche se nella realtà è leggermente
diverso.
reale
Possiamo incontrare anche profili che hanno una distribuzione dello spessore non
lineare, ma bensì parabolica s ( x ) = ax 2 . Chiaramente con bordo d’attacco e d’uscita
aguzzi.
Il problema attorno ad un profilo appena trovato, può essere affrontato facendo
alcune considerazioni. Innanzitutto la geometria è simmetrica, quindi possiamo
prendere la parte superiore del profilo, adesso notiamo che una corrente uniforma che
arriva da sinistra, vede una prima compressione quando incontra il profilo. Poi subirà
una espansione che può essere studiata con Busemann, e poi ancora un’altra
compressione.
espansioni
compressioni
Massimo Bucca matr. 644978
126
giovedì 6 dicembre 2001
in sede di progetto, il contributo dell’incidenza alla resistenza d’onda risulta
importante per fissare la superficie alare, una volta stabilito il peso del velivolo e la
sua velocità di crociera.
Il coefficiente di resistenza può essere scritto,
cd =
4
β
[α
2
+ cd , 0 ]
dove il contributo cd,0 contiene i contributi dello spessore e della linea media, che
possono essere trattati separatamente dall’incidenza, ricordandoci che il cl in funzione
dell’incidenza, può essere espresso come cl = 4α β si ha
2
4⎡
⎛ βcl ⎞ ⎤ β 2 4
c d = ⎢c d , 0 + ⎜
⎟ ⎥ = cl + c d , 0
β⎣
β
⎝ 4 ⎠ ⎦ 4
si noti come quando il M → 1, cioè β → 0, oppure quando M → ∞ quindi β → ∞, il
coefficiente di resistenza diventa infinito.
Se andiamo a considerare il rapporto cd/cl, che rappresenta la spinta per il peso del
velivolo, si ha
cd β
4 cd , 0
= cl +
cl 4
β cl
Se troviamo il minimo del rapporto cd/cl si nota che questo si raggiunge quando
(βc )
2
l
= 16cd , 0 ⇒
βcl = 4 cd , 0
Dato un problema di progetto, in cui sono fissati il numero di Mach di volo di
crociera ed il peso dell’aereo, questa relazione risulta di fondamentale importanza
perché permette di determinare il coefficiente di portanza e, di conseguenza, la
superficie alare che consente di minimizzare la resistenza d’onda.
Il rapporto cd/cl risulta molto più elevato rispetto al regime subsonico. Ma il grosso
aumento si ha nel regime transonico, per numeri di Mach elevati l’aumento di
resistenza risulterà più limitato ma anche più dolce.
Se ci troviamo in una geometria tridimensionale, l’equazione del potenziale
linearizzato è simile a quella già vista. Dal punto di vista della resistenza si riottiene il
risultato che il punto d’attacco deve essere aguzzo.
Si può vedere inoltre che un parametro fondamentale, che agisce sulla resistenza
d’onda, è la variazione dell’area in direzione x, della sezione trasversale e
dell’apertura dell’ala.
Massimo Bucca matr. 644978 127
Infatti la forma d’ala più diffusa è l’ala a delta. Dal punto di vista dell’ottimizzazione
si avrebbero risultati migliori con l’ala a rombo, ma questo crea problemi di
controllo. Ed è inoltre, importante sagomare per bene la fusoliera, in modo da
garantire un buon andamento della sezione dell’ala e della fusoliera lungo lo sviluppo
longitudinale dell’aereo.
Il regime transonico riveste notevole importanza applicativa, dal momento che gran
parte dei velivoli commerciali volano a numero di mach poco inferiore all’unità.
Il flusso attorno ad un profilo alare subisce importanti modifiche nel passare dal
regime subsonico al regime supersonico, soprattutto un notevole ed improvviso
aumento della resistenza.
Infatti all’aumentare della velocità di volo, si raggiunge un valore di M∞ ancora
minore di 1, ma sul profilo, tipicamente sul dorso, in corrispondenza di un punto il
numero di Mach locale diviene unitario.
Al crescere ancora della velocità di volo, questo punto diventa una bolla supersonica,
delimitata da una linea di M = 1, linea sonica.
linea sonica
128
Massimo Bucca matr. 644978
Per numeri di Mach superiori ma sempre subsonici, la bolla supersonica si
ingrandisce rapidamente, e il rallentamento a valle della bolla crea un’onda d’urto.
linea sonica
onda d’urto
Ma mano che Mach cresce l’onda d’urto cresce di intensità. Quando M∞ = 1 la linea
sonica si apre all’infinito, e dopo un ulteriore piccolo incremento del Mach, compare
a monte del profilo un urto staccato.
M∞
L’urto di avvicina rapidamente al bordo di attacco del profilo con l’aumento del
Mach, e si attacca se il bordo è aguzzo e se il Mach è sufficientemente elevato. Solo
dopo questa fase il moto si può considerare completamente supersonico.
Massimo Bucca matr. 644978 129
Adesso vediamo come trattare analiticamente questo regime di moto.
Si può notare subito che quando M → 1, l’equazione del potenziale diventa
ϕ yy = 0
la cui soluzione afferma che la componente v della velocità è costante con la
coordinata y. Questa affermazione significa che le perturbazioni si propagano molto
lontano in y, e giustifica il fatto che le soluzioni linearizzate forniscono forze
aerodinamiche infinite per M → 1.
Ripartiamo dunque dall’equazione del potenziale esatto, nel caso bidimensionale e
stazionario,
(u
2
− a 2 )ϕ xx + 2uvϕ xy + (v 2 − a 2 )ϕ yy = 0
nel regime transonico il numero di Mach è molto vicino all’unità, quindi anche la
velocità all’infinito è prossima alla a*. Così è comodo linearizzare rispetto ad a*.
Gli sviluppi delle componenti delle velocità diventano,
u = a* + u1 + ...
v = v1 + ...
e la consueta condizione al contorno di ϕ1 nullo all’infinito diventa
ϕ1, x (∞ ) = V∞ − a*
L’equazione del potenziale contiene la velocità del suono a, che può essere espressa
tramite la conservazione dell’entalpia totale per un gas perfetto,
a2
a2
a2
V2
a2
u 2 + v2
+
=
+
= * + *
γ −1 2 γ −1
2
γ −1 2
e linearizzando si ha,
a*2 + 2a* a1 a*2 + 2a*u1
a*2
a*2
+
=
+
γ −1
2
γ −1 2
a1 = −
γ −1
2
u1
adesso passiamo a linearizzare i coefficienti dell’equazione del potenziale, si ha
u 2 − a 2 = (a*2 + 2a*u1 + ...) − (a*2 + 2a* a1 + ...) = a*u1 (γ − 1)
Massimo Bucca matr. 644978
130
2uv = 2a*v1
v 2 − a 2 = −a*2 − 2a* a1
l’equazione del potenziale diventa
(γ + 1)a u ϕ
* 1
1, xx
+ 2a*v1ϕ1, xy − (a*2 + 2a*a1 )ϕ1, yy = 0
e ancora, dividendo per a2* e trascurando i termini di ordine superiore (2a*a1), si ha
γ +1
a*
ϕ1, x ϕ1, xx + 2
ϕ1, y
a*
ϕ1, xy − ϕ1, yy = 0
Il problema transonico dà luogo ad un problema che non è lineare. L’equazione è di
natura ellittica o iperbolica a secondo del segno della ϕ1,x.
E non è semplice da risolvere, esistono però dei fattori di scala che possono essere
sfruttati per semplificare il problema.
Il nostro problema è completato dalle condizioni al contorno,
df
V∞
dx
ϕ1, x (∞ ) = V∞ − a*
ϕ1, y ( x,0 ) = ε
la vicinanza di V∞ con a* permette la sostituzione della prima delle condizioni al
contorno con
df
ϕ1, y ( x,0 ) = ε a*
dx
A questo punto ci accorgiamo che l’equazione del potenziale presenta due gradi i
libertà nella scelta del fattore di scala della y e del potenziale. Questi gradi di libertà li
utilizzeremo per trovare un coefficiente di similitudine che mi lega i tre coefficienti
da cui dipende l’equazione del potenziale, cioè ε, γ e a*. Che sono relativi alle
proprietà geometriche del profilo, alle proprietà del gas e alla velocità.
Il fattore di scala per la coordinata y ci dice,
y = ηY
e la condizione al contorno diventa
ϕ1,Y ( x,0 ) = ε a*η
df
dx
Massimo Bucca matr. 644978 131
e il potenziale può essere riscritto
γ +1
a*
ϕ1, x ϕ1, xx +
2 1
1
ϕ1,Y ϕ1, xY − 2 ϕ1,YY = 0
2
a* η
η
in maniera indipendente possiamo sfruttare l’altro grado di libertà nella scala del
potenziale,
ϕ1 = Aφ
γ +1
a*
A
2 A2
A φ xφ xx +
φ
φ
−
φ =0
Y xY
a* η 2
η 2 YY
2
e dividendo tutto per A2 si ha
γ +1
a*
φ xφ xx +
2 1
1 1
φ
φ
−
φ =0
Y
xY
a* η 2
η 2 A YY
le condizioni al contorno diventano
df
1
ε ηa*
A
dx
1
φ x (∞ ) = (V∞ − a* )
A
φY ( x,0 ) =
il parametri ε compare solo nella prima delle condizioni al contorno, quindi possiamo
eliminarlo scegliendo in modo opportuno η, se lo scegliamo come
η=
A
a*ε
così che la condizione al contorno diventa,
φY ( x,0 ) =
df
dx
inoltre scegliendo
A=
i parametri di scala diventano
a*
(γ + 1)η 2
Massimo Bucca matr. 644978
132
A = a* (γ + 1) ε
−
1
3
2
3
η3 =
e
1
(γ + 1)ε
da queste relazioni si vede che quando ε → 0 η → ∞, quindi il secondo termine del
potenziale diventa trascurabile. Sostituendo i fattori di scala trovati l’equazione del
potenziale si riscrive semplicemente,
φ xφ xx − φYY = 0
con le condizioni al contorno
df
dx
φY ( x,0 ) =
(V
φ (∞ ) =
∞
x
1
− a* ) − 23
ε (γ + 1)3 = K
a*
K è il parametro di similitudine transonica, e si può esprimere in modo esplicito in
funzione del numero di Mach:
K =ε
−
2
3
(γ
+ 1)
−
1
3
(M
2
∞
− 1)
Da questa relazione capiamo che il regime transonico non dipende esclusivamente dal
numero di Mach, cioè dalla velocità del campo di moto. Ma anche dal profilo, quindi
più piccolo è il profilo, più alto sarà il Mach che segna il passaggio allo stato
transonico, e viceversa.
Il problema resta assai complesso, ma l’aver individuato un parametro di similitudine
consente di utilizzare misure sperimentali o soluzioni numeriche, ricavati per una
certa combinazione di parametri, per calcolare i risultati in condizioni diverse,
rappresentando i risultati d’interesse in funzione dell’unico parametro K.
In particolare le forze aerodinamiche sono date da,
c
L = ∫ p dx
c
e
0
D=∫p
0
df
dx
dx
la pressione è proporzionale alla velocità u1, quindi proporzionale al fattore di scala
A, nella resistenza compare anche la dipendenza del profilo, quindi di ε, cioè
L = Af (K )
e
D = εAg (K )
passando ai coefficienti di portanza e di resistenza si ha,
Massimo Bucca matr. 644978 133
cl =
A
f (K )
a*2
e
cd =
εA
a*2
g (K )
e introducendo il fattore di scala A si ottiene,
cl
(γ
=ε
2
3
+ 1)
a*
−
1
3
f (K )
e
(γ
=ε
5
3
cd
+ 1) 3
g (K )
a*
−
1
I coefficienti trovati devono raccordarsi con continuità con quelli trovati nel campo di
moto subsonico e supersonico. Nel caso supersonico si è trovato che cl ∝ ε β , e ciò
si ritrova se la funzione f(K) assume, per K >> 1, un andamento del tipo
f (K ) ∝ K
−
1
2
g (K ) ∝ K
−
1
2
e allo stesso modo deve capitare che
Nel regime subsonico invece, il coefficiente di resistenza è nullo, e per la portanza si
ottiene una dipendenza del tipo
f (K ) ∝ (− K )
−
1
2
Se andiamo a disegnare questi andamenti su un piano cartesiano, si ha
f(K)
f(K) ∝ (−K)−1/2
f(K) ∝ K−1/2
K
Massimo Bucca matr. 644978
134
g(K)
g(K) ∝ K−1/2
K
È interessante notare, come nel grafico della funzione g(K), questa si mantiene quasi
nulla per un certo intervallo di numeri di Mach, anche dopo il Mach critico (0.8?). per
poi avere un brusco e repentino aumento, per poi raggiungere il valore massimo che
si ottiene per K ≅ 0, cioè M ≅ 1.
Questo valore di Mach in cui c’è questo incremento massiccio della resistenza viene
chiamato Mach drag divergent, ed è relativo al fenomeno della drag rise, perché si ha
l’impressione di urtare contro una vera e propria barriera.
Superato il muro del suono il coefficiente di resistenza continua a diminuire, anche in
maniera piuttosto dolce.
La brusca crescita della resistenza d’onda che caratterizza l’inizio del regime
transonico costituisce un rilevante problema di progetto per i velivoli civili, che si
trovano solitamente ad operare alla massima velocità possibile prima dell’insorgere
di eccessiva resistenza.
Il metodo classico per evitare l’eccessiva resistenza, è quello di dotarsi di ali a
freccia. Infatti, almeno nel limite di semiala infinita, l’ala a freccia può essere studiata
separando i due problemi con la componente di V∞ normale e parallela all’ala stessa.
Il valore di K va calcolato sul Mach normale all’ala, può quindi essere ottenuto con
un M∞ più alto.
δ
M∞
Mn
Massimo Bucca matr. 644978 135
Infatti
M n = M ∞ cos δ < M ∞
L’ala a freccia causa però un costo più elevato per quanto riguarda la resistenza
indotta. Inoltre gli effetti tridimensionali sono rilevanti, specialmente in prossimità
della mezzeria, dove possono verificarsi delle separazioni. Infatti, in questa regione il
profilo alare viene progettato appositamente per evitarle.
martedì 12 dicembre 2001
Viscosità
Finora abbiamo considerato sempre il fluido non viscoso, in questa parte faremo
l’opposto. Infatti, torneremo a considerare il campo di moto incomprimibile, ma
prenderemo in considerazione la viscosità.
Dall’equazione di Eulero in forma adimensionale, si poteva notare che il termine che
conteneva le derivate seconde veniva moltiplicato per l’inverso del numero di
Reynolds, questo ci poteva portare a ragionare, che quando il numero di Reynolds
tendeva ad infinito, il contributo dei termini viscosi tendesse a zero.
In realtà in questo limite l’ordine delle equazioni si abbassa: le condizioni al contorno
vengono ad essere in soprannumero, e le condizioni che non possono essere
soddisfatte si recuperano in una regione caratterizzata da scale spaziali diverse in
direzione parallela e normale alla parete solida.
In questa regione i termini che pensavamo di poter scartare, non è più possibile farlo.
Infatti, all’interno dello strato limite le derivate seconde danno un contributo molto
grande e malgrado moltiplicate per l’inverso del numero di Reynolds e malgrado la
viscosità può essere bassa, il contributo viscoso può non essere trascurabile.
L’entità degli effetti viscosi può essere quantificata attraverso il numero
adimensionale, noto come numero di Reynolds,
Re =
UL
ν
Nel numero di Reynolds compaiono una velocità e una lunghezza caratteristica del
campo di moto. Ma mentre è possibile trovare una velocità caratteristica per tutto il
nostro dominio, un po’ più difficile è farlo per la lunghezza. Infatti, mentre il campo
di moto può avere una lunghezza caratteristica anche molto estesa, lo strato limite ha
una lunghezza caratteristica infinitesima.
Massimo Bucca matr. 644978
136
La discontinuità a parete del problema non viscoso, dove la velocità passa da zero
sulla parete ad un valore finito in prossimità della parete stessa, in campo viscoso si
traduce in una regione di campo di spessore molto piccolo ma non nullo.
Lo spessore di questa regione di campo è proporzionale alla lunghezza caratteristica
del campo di moto secondo l’inverso del numero di Reynolds,
δ∝
1
L
Re
Se pensiamo di prendere una lente di ingrandimento e guardare quello che succede
dentro lo strato limite, per farlo dal punto di vista matematico, prendiamo una
trasformazione di assi che ci permettere di stirare l’asse delle y,
y = εY
nell’equazione di Eulero
1 ∂ 2u
∂u
u
+ ... =
Re ∂y 2
∂x
scegliendo
ε=
1
Re
si possono confrontare i termini viscosi con quelli del primo membro.
Facendo adesso due sviluppi in serie di Taylor, uno per la parte interna e uno per la
parte esterna. Tali sviluppi dovranno poi soddisfare, oltre alle condizioni al contorno
del problema completo, opportune condizioni nella regione di interfaccia fra interno
ed esterno.
Ci poniamo nel caso bidimensionale con variabili cartesiane, prendendo le equazioni
di Navier-Stokes per fluidi incomprimibili. La soluzione per la zona esterna si può
scrivere come,
u (e ) ( x, y ) = u 0(e ) ( x, y ) + εu1(e ) ( x, y ) + ε 2 u 2(e ) ( x, y ) + ...
v (e ) ( x, y ) = v0(e ) ( x, y ) + εv1(e ) ( x, y ) + ε 2 v2(e ) ( x, y ) + ...
p (e ) ( x, y ) = p0(e ) ( x, y ) + εp1(e ) ( x, y ) + ε 2 p 2(e ) ( x, y ) + ...
si considerino poi le equazioni di Navier-Stokes, scritte in forma adimensionale ed in
componenti cartesiane,
Massimo Bucca matr. 644978 137
⎧
ux + vy = 0
⎪
⎪⎪
1
(u xx + u yy )
⎨ut + uu x + vu y + p x =
Re
⎪
⎪ vt + uv x + vv y + p y = 1 (v xx + v yy )
⎪⎩
Re
sostituendo lo sviluppo delle soluzioni esterne, e uguagliando i termini di ordine 0
dello sviluppo, si ottiene il seguente sistema,
⎧
u 0(e, x) + v0(e, y) = 0
⎪ (e )
(e ) (e )
(e ) (e )
(e )
⎨u 0 ,t + u 0 u 0, x + v0 u 0 , y + p0 , x = 0
⎪ v ( e ) + u ( e )v ( e ) + v ( e ) v ( e ) + p ( e ) = 0
0
0,x
0
0, y
0, y
⎩ 0 ,t
queste non sono altro che le equazioni di Eulero. Adesso passiamo a scrivere il
sistema ottenuto uguagliando i termini di ordine 1,
⎧
u1(,ex) + v1(,ey) = 0
⎪ (e )
(e ) (e )
(e ) (e )
(e ) (e )
(e ) (e )
(e )
⎨u1,t + u 0 u1, x + u1 u 0, x + v0 u1, y + v1 u 0, y + p1, x = 0
⎪ v ( e ) + u ( e ) v ( e ) + u ( e )v ( e ) + v ( e )v ( e ) + v ( e )v ( e ) + p ( e ) = 0
0
1, x
1
0,x
0
1, y
1
0, y
1, y
⎩ 1,t
Tutti i sistemi di equazioni trovati, contengono equazioni lineari al contrario delle
precedenti. I sistemi di equazioni necessitano delle condizioni al contorno. Mentre la
condizione all’infinito è la stessa delle equazioni di Eulero, per poter dare le
condizioni a zero, ovvero all’interfaccia fra la zona esterna e quella interna, occorre
prime procedere all’altro sviluppo, quello interno.
Partiamo dalle N-S facendo la traslazione dell’asse y, il sistema diventa
⎧
1
u x + vY = 0
⎪
ε
⎪
1
1
⎪
⎞
2⎛
⎨ ut + uu x + vuY + p x = ε ⎜ u xx + 2 uYY ⎟
ε
ε
⎠
⎝
⎪
1
1
1
⎪v + uv + vv + p = ε 2 ⎛ v + v ⎞
⎟
⎜ xx
x
⎪⎩ t
ε Y ε Y
ε 2 YY ⎠
⎝
Massimo Bucca matr. 644978
138
La soluzione nella zona interna sarà,
u (i ) ( x, Y ) = u 0(i ) ( x, Y ) + εu1(i ) ( x, Y ) + ε 2 u 2(i ) ( x, Y ) + ...
v (i ) ( x, Y ) = v0(i ) ( x, Y ) + εv1(i ) ( x, Y ) + ε 2 v2(i ) ( x, Y ) + ...
p (i ) ( x, Y ) = p0(i ) ( x, Y ) + εp1(i ) ( x, Y ) + ε 2 p 2(i ) ( x, Y ) + ...
sostituendo tale sviluppo nelle equazioni del moto e uguagliando i termini di ordine
−1 si ha,
v0(i,Y) = 0
⎧
⎪
(i ) (i )
⎨ v0 u 0 ,Y = 0
⎪v (i )v (i ) + p (i ) = 0
0 ,Y
⎩ 0 0,Y
dalla prima equazione del sistema appena trovato, si nota che la velocità si mantiene
costante lungo la Y, ma dato che per Y = 0 si ha che la v = 0, allora per tutta la zona
interna si ha v0(i ) = cst = 0 . La seconda equazione non da nessun contributo, dato che
diventa una identità, la terza equazione ci dice che p0(i,Y) = 0 , cioè che la pressione si
mantiene costante lungo Y.
Adesso andiamo a scrivere il sistema che si ottiene dai termini di ordine 0,
u 0(i, )x + v1(,iY) = 0
⎧
⎪ (i )
(i ) (i )
(i ) (i )
(i ) (i )
(i )
(i )
⎨u 0 ,t + u 0 u 0 , x + v0 u1,Y + v1 u 0 ,Y + p0 , x = u 0 ,YY
⎪ v (i ) + u (i )v (i ) + v (i )v (i ) + v (i )v (i ) + p (i ) = v (i )
0
0, x
0
1,Y
1
0 ,Y
1,Y
0 ,YY
⎩ 0 ,t
Tenendo conto del risultato precedente, cioè che v0(i ) ( x, Y ) = 0 , si ha
u 0(i, )x + v1(,iY) = 0
⎧
⎪ (i )
(i ) (i )
(i ) (i )
(i )
(i )
⎨u 0 ,t + u 0 u 0 , x + v1 u 0,Y + p0 , x = u 0 ,YY
⎪
p1(,iY) = 0
⎩
Quindi si può notare che ancora la pressione resta costante lungo la Y.
Massimo Bucca matr. 644978 139
Dopo aver ricavato gli sviluppi interno ed esterno, occorre ora imporre che essi si
raccordano con continuità l’uno nell’altro. Deve esistere una regione, per valori
piccoli di y e valori grandi di Y, in cui gli sviluppi sono entrambi validi e
rappresentano la stessa funzione. Occorre quindi considerare il limite dei due sviluppi
quando Re → ∞ in modo tale che y → 0 e contemporaneamente Y → ∞.
Consideriamo la sola componente longitudinale u della velocità, per velocità di
calcolo, nella zona del raccordo deve essere,
u 0(i ) ( x, Y ) + ε u1(i ) ( x, Y ) + ... = u 0(e ) ( x, y ) + ε u1(e ) ( x, y ) + ...
portando tutto nella stessa variabile Y,
u 0(i ) ( x, Y ) + ε u1(i ) ( x, Y ) + ... = u 0(e ) ( x, ε Y ) + ε u1(e ) ( x, ε Y ) + ...
e sviluppando il secondo membro rispetto al parametro εY, si ha
u 0(i ) ( x, Y ) + ε u1(i ) ( x, Y ) + ... = u 0(e ) ( x,0 ) + ε Yu0(e, y) ( x,0 ) + ... + ε u1(e ) ( x, y ) + ε 2Yu1(,ey) ( x,0 ) + ...
uguagliando i termini di ordine 0 e di ordine 1, si hanno le due condizioni di
interfaccia, la prima non ci dice altro che il valore a zero della soluzione esterna
dev’essere uguale al valore della soluzione interna all’infinito, mentre nella seconda
condizione i termini possono anche essere infinito ma la loro somma deve dare zero.
Le condizioni di interfaccia sono,
lim[u 0(i ) ( x, Y ) − u 0(e ) ( x,0 )] = 0
Y →∞
lim[u1(i ) ( x, Y ) − Yu0(e, y) ( x,0 ) − u1(e ) ( x,0 )] = 0
Y →∞
Il problema completo consiste dunque, oltre ai due sviluppi interno ed esterno e alle
usuali condizioni a parete (Y = 0) e all’infinito (y→∞), anche delle opportune
condizioni all’interfaccia. In linea di principio tutte le equazioni sono accoppiate, e lo
sviluppo sarebbe più complicato che la soluzione del sistema di partenza.
Fortunatamente però la soluzione delle equazioni può essere impostata in maniera
sequenziale.
Essa prende le mosse dal termine −1 della soluzione interna, per la condizione
dell’interfaccia applicata a v, si possono trovare le soluzioni del problema esterno di
ordine 0. Tale soluzione, tramite le condizioni di interfaccia, fornisce due condizioni
con le quali si riesce a risolvere il sistema di due equazioni nelle incognite u0 e v1 del
Massimo Bucca matr. 644978
140
u
problema
interno
problema
esterno
p
v
ε
εn
n−1
problema interno di ordine 0. Tali equazioni si chiamano anche equazioni dello strato
limite di ordine, e costituiscono il primo set non banale di equazioni interne.
Una volta risolto il sistema, si può tornare alle condizioni di accoppiamento all’ordine
successivo. Nella pratica è abbastanza frequente che occorra giungere fino alla
soluzione del problema esterno di ordine 1, ovvero modificando la condizione al
contorno per v in modo da tener in conto la modifica del flusso esterno indotta dalla
presenza dello strato limite.
Almeno fino a quest’ordine dello sviluppo, le equazioni sono valide anche in
presenza di curvatura non troppo elevata della parete, cioè con raggio di curvatura
dell’ordine di L e non di δ.
mercoledì 12 dicembre 2001
Portiamo la nostra attenzione sullo strato limite, e considerando il sistema di
equazioni di ordine zero si può fare una prima osservazione, sottolineando la
mancanza del numero di Reynolds. Questo ci consente di affermare che, una volta
che il numero di Reynolds diventa grande il problema diventa indipendente da
questo.
Per risolvere il sistema dello strato limite abbiamo bisogno delle soluzioni del
problema esterno di ordine 0, cioè delle
u 0(e ) (t , x,0 )
p0(e ) (t , x,0 )
ma queste due condizioni non sono indipendenti fra di loro, infatti, considerando
l’equazione di Bernoulli, scritta nel caso non stazionario, si ha
V2 ⎞
⎛ ∂ϕ
∇⎜
+P+
⎟=0
∂
t
2
⎝
⎠
Massimo Bucca matr. 644978 141
proiettando in direzione x ed indicando esplicitamente che si tratta della soluzione
esterna di ordine zero, si ottiene,
u 0(e,t) + u 0(e )u 0(e, x) + p0(e, x) = 0
Quindi la pressione può essere eliminata dal sistema di equazioni. Per comodità di
scrittura non indicheremo più in seguito né il pedice 0, per l’ordine del problema, né
l’apice (i), per indicare che si tratta del problema interno, e chiameremo y la
coordinata Y della scala interna.
Il sistema diventa,
⎧
ux + vy = 0
⎪
⎨
⎪u + uu + vu = u + u (e ) + u (e )u (e )
x
y
yy
t
x
⎩ t
A questo sistema non è lineare, vanno associate un set di condizioni al contorno che
sono: le due condizioni di perfetta adesione a parete, e la condizione per y→∞ che la
velocità sia uguale a quella del problema esterno.
Il sistema scritto, però, può assumere degli aspetti più semplici, se noi andiamo a
fissare una delle tre variabili da cui dipendono le nostre incognite. Infatti, sappiamo
che la u è funzione della x, y e t, ma se noi fissiamo per esempio la x, cioè
consideriamo una legge di moto non stazionaria ma una parete indefinitamente estesa
nella direzione x, il sistema diventa
⎧
vy = 0
⎪
⎨
⎪u + vu = u + u (e )
y
yy
t
⎩ t
ma dalla condizione di perfetta adesione, si ritrova che la v è nulla in tutto lo strato
limite, quindi il sistema si riduce alla sola equazione,
ut = u yy + ut(e )
Questa equazione è diventata lineare, è di tipo parabolico ed è simile a quella che si
chiama del calore. Si vedrà che le condizioni al contorno consistono in una
condizione iniziale assegnata per tutte le quote y, e in tre condizioni a due quote y
fissate per tutti i valori di t. Nel caso specifico si impone,
u (0, y ) = ui ( y ) u (t ,0 ) = 0 v(t ,0 ) = 0 u (t , ∞ ) = u (e ) (t )
Massimo Bucca matr. 644978
142
Per tentare di trovare la soluzione di questo tipo di equazione, consiste nella
separazione di variabili. Supponiamo che esistono soluzioni del tipo,
u (t , y ) − u (e ) (t ) = F (t )G ( y )
sostituendo queste soluzioni tipo dentro l’equazione, si ottiene,
F ′ G ′′
−
=0
F
G
perché ciò sia possibile i due addendi devono essere costanti, cioè
F′
=a
F
G ′′
=a
G
Con ragionamenti analoghi a quelli utilizzati in passato, si arriva alla conclusione che
una soluzione generale dell’equazione dello strato limite nel caso temporale è
esprimibile come,
u (t , y ) − u (e ) (t ) = e at e ±
ay
La soluzione genarle sarà la sommatoria di singole soluzioni del tipo appena trovate,
pesate attraverso opportuni coefficienti C funzioni del parametro a. Occorre però
considerare solo quelle particolari soluzioni che non divergono per y→±∞.
Ponendo a = ib, ci interesseremo delle sole soluzioni,
u (t , y ) − u (e ) (t ) = e ibt e −
ib y
inoltre si occuperemo solo del semipiano positivo delle y, e per t > 0, e prenderemo la
velocità a parete in funzione del tempo u[t,0) = u0(t), la soluzione generale sarà
u (t , y ) − u
(e )
+∞
(t ) = ∫ C (b )e
− ib y
e ibt db
−∞
ponendoci a parete, cioè a y = 0, si ha
+∞
u[t ,0) − u (e ) (t ) = u 0 (t ) − u (e ) (t ) = ∫ C (b )e ibt db
−∞
tale relazione, che è una trasformata di Fourier, può essere facilmente invertita per
esprimere i coefficienti in funzione della condizione al contorno,
Massimo Bucca matr. 644978 143
1
C (b ) =
2π
+∞
( )
∫ (u (t ) − u (t ))e
e
−ibt
0
dt
−∞
e questi coefficienti, inseriti nell’espressione della soluzione, permettono di valutarla
in forma chiusa.
Un esempio significativo che ricade all’interno di questa categoria è costituito dallo
strato limite che si sviluppa su una parete in movimento con una legge temporale
nota. Per esempio il caso, noto anche come secondo problema di Stokes, di una parete
che oscilla con legge temporale data da,
u (t ,0 ) − u (e ) (t ) = A cos(ωt )
ha soluzione,
[
u (t , y ) = Aℜ e −
ib y
e ibt
]
y
Osservando l’esponenziale in y, si può ottenere una stima dell’ordine di grandezza
della distanza δ dalla parete a cui il moto del fluido si riduce a zero. Scegliendo per δ
quella quota in cui l’esponente diviene −1 e la funzione esponenziale si riduce quindi
a circa il 35% del suo valore per y = 0, si ha,
δ∝
1
b
ovvero diminuisce all’aumentare della frequenza. Per determinare tale distanza in
termini dimensionali, si introducono una lunghezza L(d) ed una velocità V(d) di
riferimento, si ha
Massimo Bucca matr. 644978
144
t=
t ( d )V ( d )
L( d )
y=
L( d )V ( d ) y ( d )
L( d )
ν
ω = ω (d )
L( d )
V (d )
sostituendo nella soluzione trovata,
⎡ −
u (t , y ) = Aℜ ⎢e
⎣⎢
(d )
(d )
(d )
i
ω (d ) (d )
y
ν
e iω
( d )t ( d )
⎤
⎥
⎦⎥
lo spessore tipico δ(d) risulta essere dato da,
δ∝
ν
1
⇒ δ (d ) =
ω (d )
b
Dopo aver trattato il caso temporale, nel quale l’equazione del moto poteva essere
ricondotta ad una equazione lineare, ci portiamo nel caso stazionario. Cioè andiamo a
far dipendere le nostre variabili dalle sole coordinate cartesiane x e y. Le equazioni
del moto, in questo caso, si scrivono come,
⎧
ux + vy = 0
⎪
⎨
⎪uu + vu = u + U U
y
yy
e
e, x
⎩ x
da risolversi con le condizioni al contorno,
u ( x,0 ) = 0
v ( x ,0 ) = 0
u ( x, ∞ ) = U ( e ) ( x )
e con una opportuna condizione iniziale, del tipo
u (0, y ) = ui ( y )
Una prima possibilità di semplificazione dell’equazione, consiste nell’eliminazione di
una variabile e dell’equazione di continuità. Introducendo la funzione di corrente ψ,
infatti, ricordiamo che per essa valgono le seguenti formule,
ψy =u
ψ x = −v
con queste uguaglianze il sistema dello strato limite stazionario, si riduce alla sola
equazione,
Massimo Bucca matr. 644978 145
ψ yψ xy − ψ xψ yy = ψ yyy + U eU e , x
le condizioni al contorno diventano,
ψ x ( x,0 ) = 0
ψ y ( x,0 ) = 0
ψ y ( x, ∞ ) = U ( e ) ( x )
Prima di tentare di trovare una soluzione all’equazione dello strato limite scritta in
termini di funzione di corrente, possiamo effettuare un cambio di variabili,
X =x
η=
y
h( x )
in cui h(x) è una funzione da determinare in modo che esistono soluzioni del tipo,
u ( x,η ) = F ( x )G ′(η ) **
Tali soluzioni, se esistono, prendono il nome di soluzioni simili, e sono una
generalizzazione di quelle ottenibili per separazione di variabili. Con il cambio di
variabili scelte, le derivate si trasformano secondo le,
∂
∂ η ∂
=
− h′
∂x ∂X h ∂η
∂ 1 ∂
=
∂y h ∂η
l’equazione diventa,
1 1 ∂ ⎛
1
η
η
⎞ ⎛
⎞1
ψη
⎜ψ X − h′ψ η ⎟ − ⎜ψ X − h′ψ η ⎟ 2 ψ ηη = 3 ψ ηηη + U eU e , X
h h ∂η ⎝
h
h
h
⎠ ⎝
⎠h
utilizzando nuovamente la lettera x, si ha
1 ⎛
1
h′
η
η
⎞ ⎛
⎞1
′
′
ψ
ψ
−
ψ
−
h
ψ
−
ψ
−
h
ψ
ψ
=
ψ ηηη + U eU e , x
⎜
⎟
⎜
⎟
η
x
η
η
ηη
X
η
ηη
2
3
h2 ⎝
h
h
h
h
h
⎠ ⎝
⎠
1
ηh ′
1
ηh ′
1
h′
ψ ηψ xη − 3 ψ η2 − 3 ψ ηψ ηη − 2 ψ xψ ηη + 3 ψ ηψ ηη = 3 ψ ηηη + U eU e , x
2
h
h
h
h
h
h
hψ ηψ xη − h′ψ η2 − hψ xψ ηη = ψ ηηη + h 3U eU e , x
dovendo valere la **, si ha
Massimo Bucca matr. 644978
146
ψ = ∫ u dy = ∫ F ( x )G ′(η )h( x )dη = F ( x )h( x )G (η )
e sostituendo nell’equazione
2
′
′
Fh 2 G ′(Fh ) G ′ − h′(Fh ) G ′ 2 − h(Fh ) G (Fh )G ′′ = FhG ′′′ + h 3U eU e , x
per rendere indipendente il fattore di grado massimo dell’equazione da x, divido per
Fh,
U
′
′
hG ′(Fh ) G ′ − h′FhG ′ 2 − h(Fh ) GG ′′ = G ′′′ + h 2 e U e , x
F
U
′
hG ′(F ′h + Fh′ )G ′ − h′FhG ′ 2 − h(Fh ) GG ′′ = G ′′′ + h 2 e U e , x
F
U
′
F ′h 2 G ′ 2 − h(Fh ) GG ′′ = G ′′′ + h 2 e U e , x
F
Guardando le condizioni al contorno, ci si accorge che quando η → ∞
F(x)G′(η)=Ue(x), cioò significa che G′(η) deve tendere ad una costante, per esempio
unitaria. Quindi la F(x) = Ue(x), tenendo conto di questo vincolo l’equazione diventa
′
U e , x h 2 G ′ 2 − h(U e h ) GG ′′ = G ′′′ + h 2U e , x
′
U e , x h 2 (G ′ 2 − 1) − h(U e h ) GG ′′ = G ′′′
se i due raggruppamenti funzioni di x, sono costanti, cioè
k1 = U e , x h 2
′
k 2 = h 2 (hU e )
Affinché possano esistere soluzioni simili, la velocità esterna deve variare secondo
una legge del tipo,
U e (x ) ∝ x m
prendendo la costante k1 pari ad m, l’espressione di h sarà
h( x ) = x
1− m
2
Massimo Bucca matr. 644978 147
1+ m
, si ottiene cosi una equazionea
2
derivate ordinarie per la funzione incognita G, che prende il nome di equazione di
Falkner-Skan,
si ottiene che il valore della costante k2 è
m(G ′ 2 − 1) −
1+ m
GG ′′ = G ′′′
2