La scia opaca

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La scia opaca
Il Rosso e il Nero
Settimanale di strategia
LA SCIA OPACA
17 giugno 2010
Eredità della crisi e voglia di crescere
La guerra del Vietnam, per quanto
dura e sporca e nonostante il
coinvolgimento diretto o indiretto di
Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina,
non fece mai pensare nemmeno per un
giorno, neanche nei momenti più bui,
alla possibilità di precipitare in un
conflitto mondiale.
Al contrario, nella percezione del Distribuzione di viveri durante il blocco
sovietico di Berlino. Estate 1948.
grande pubblico ma anche in quella dei
politici, la guerra di Corea fu vissuta
come una possibile riapertura del conflitto mondiale conclusosi cinque anni
prima, con l’aggravante di bombe atomiche che erano meno tabù di oggi, al
punto che ne fu minacciato più volte l’utilizzo. L’atmosfera gelida e cupa di
paura dell’estate del 1950 fu profondamente diversa da quella della Summer
of Love del 1967, alla vigilia dell’offensiva del Tet.
Ancora più drammatica, se commisurata al minuscolo spazio geopolitico
in cui si consumò, fu la crisi di Berlino del giugno 1948, quando Stalin decise
il blocco del settore occidentale e tagliò ogni via d’accesso stradale o
ferroviaria. Furono mesi di altissima tensione e nella mente di tutti fu ben
presente la paura che la guerra fredda appena cominciata si trasformasse
rapidamente in guerra calda.
Come si vede, più si è vicini nel tempo a un momento profondamente
traumatico (come fu la seconda guerra mondiale) più si tende a pensare e a
reagire come se si fosse ancora dentro a quel momento e a ritenere che quello
sia lo sbocco inevitabile di qualsiasi incidente di percorso. Con il senno del poi
sappiamo che è sbagliato ragionare in questo modo (i politici per primi
cercano di evitare di rientrare in un dramma da cui si è appena usciti), ma è
altrettanto sbagliato pensare che le paure non siano vissute come
profondamente reali.
Ogni recessione, quando finisce, si lascia dietro una scia di mine inesplose
che tipicamente deflagrano con un
ritardo di un anno o due. E’ normale
che banche e imprese che sono riuscite
a sopravvivere alla crisi consumando
cassa finiscano i soldi qualche mese o
perfino qualche anno dopo che la crisi è
terminata. La crisi bancaria giapponese
ebbe il suo momento più buio nel 199798, a nove anni dallo scoppio della
bolla.
Quando queste mine esplodono,
vuoi
accidentalmente
vuoi
per
l’intervento degli artificieri (governi o
banche centrali), il clima psicologico
ritorna immediatamente ai momenti
Test atomico durante la guerra di
della crisi. Ansia, paura e depressione si
Corea. 1951.
diffondono e i profeti del double dip
hanno buon gioco nel prevedere
ricadute su livelli ancora più bassi del minimo precedente.
In realtà, la scia di incidenti fa parte della fisiologia del dopocrisi, è un
colpo di coda doloroso che di per sé non è mai mortale. Sono rarissimi i casi di
double dip nell’Ottocento, quando economie e mercati erano lasciati di più a
se stessi. Al contrario, il double dip americano del 1937 e quello giapponese
del 1997-98 sono oggi riconosciuti come effetto di misure di policy sbagliate,
ovvero strette fiscali e monetarie premature e riluttanza a utilizzare soldi
pubblici per salvare le banche.
La grande recessione del 2008-2009 si lascia dietro una scia
particolarmente ingombrante. Oltre al trauma psicologico, che ci farà temere
il peggio a ogni incidente per anni a venire, c’è un’eredità di banche e stati
semizombificati, né vivi né morti, che sono il prezzo che dobbiamo pagare per
avere voluto uscire in fretta dalla crisi con un numero contenuto di vittime.
Le misure europee, la costituzione del fondo di stabilizzazione e i tagli di
bilancio in corso di approntamento, vanno nella giusta direzione ma sono
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solo l’inizio di un lungo cammino in cui sul piano strutturale molto resta
ancora da fare. La questione della crisi fiscale dei paesi sviluppati ci
accompagnerà per tutto il decennio con fasi di latenza che si alterneranno a
riacutizzazioni improvvise.
I pessimisti e i vigilantes non daranno tregua. Si ridurranno infatti i
disavanzi, e in Europa anche piuttosto rapidamente, ma per un effetto
d’inerzia lo stock di debito su Pil continuerà a crescere per almeno due anni.
Succederebbe anche nel migliore dei mondi possibili, ma non sarà comunque
un bel vedere.
I paesi che taglieranno molto i disavanzi verranno criticati perché
cresceranno meno, quelli che taglieranno poco verranno criticati perché
taglieranno poco.
In un’area composta da più di trenta paesi come l’Europa si troverà
sempre una Ruritania che ha tagliato il disavanzo un tallero di meno di
quanto promesso o un Pontevedro che ha avuto difficoltà nell’ultima asta. Si
moltiplichino poi trenta paesi per tre agenzie di rating per una ventina di
notch e si avrà anche nei mesi migliori una Nestria cui viene messo l’outlook
negativo o un’Austrasia cui viene tolto un più. Ognuno dei trenta paesi avrà
poi una dozzina di banche che
movimenteranno
ulteriormente
il
quadro.
Quando a metà decennio l’Europa
presenterà conti più in ordine
l’attenzione si volgerà verso l’America e
il Giappone. A quel punto, forse, sarà
partita un po’ d’inflazione, ammesso che
si riesca a ridurre la disoccupazione
americana di un punto all’anno da qui al
2015. L’inflazione ci darà tormenti Raduno di studenti a San Francisco
nella Summer of Love del 1967.
diversi ma in cambio eroderà
gradualmente il peso del debito. Per una
fase, forse, avremo contemporaneamente il tormento dell’inflazione e quello
della crisi fiscale.
Questo sarà il lato oscuro del decennio, ma ce ne sarà anche uno
illuminato dalla crescita. Se non si faranno errori clamorosi di policy, con i
tassi dei paesi sviluppati a zero e gli emergenti in perfetta salute fiscale sarà
difficile riuscire a non crescere. Gli emergenti, in particolare, commerciano
sempre più tra di loro e dipendono sempre meno dai nostri capitali.
Dipendono ancora in parte dalle nostre importazioni, ma lo sviluppo del loro
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mercato interno è già molto veloce in Brasile e in India e sta accelerando
anche in Cina.
I mercati saranno molto difficili per i gestori attivi, perché alterneranno
momenti di avversione al rischio quasi completa (con corollario immediato di
timori di double dip) a momenti in cui ci si renderà conto che il mondo cresce
ancora, mentre gli asset appena venduti sono in realtà a buon mercato.
Su tutto aleggerà l’attivismo crescente dei politici. Siamo entrati in un
nuovo mondo di leggi retroattive, di regole tagliate su misura per fare del
bene o del male a un settore o a una singola compagnia, di regole del gioco
che possono cambiare da un momento all’altro. A volte i policy maker
mandano, anche volutamente, messaggi contrastanti. Le banche, ad esempio,
saranno colpite fiscalmente e ridimensionate nei rischi che potranno
prendere, ma saranno al tempo stesso aiutate a finanziarsi in tutti i modi
possibili.
I portafogli dovranno quindi essere polarizzati. Un polo della paura, uno
della crescita e in mezzo molto cash.
Il polo della paura dovrà contenere dollari investiti in Treasuries lunghi e
oro. Si può essere giustamente diffidenti delle prospettive a medio termine
del dollaro e dei Treasuries, ma per ancora un paio d’anni saranno ancora
quello che sale nei momenti in cui tutto il resto scende. Quanto all’oro,
bisogna essere pragmatici. Non c’è un motivo razionale per comprarlo in un
mondo che di suo pende verso la deflazione e in cui si monetizza, chi lo fa, il
minimo indispensabile e anche meno. Se
però si assume il punto di vista per cui
tutto ciò che è reale è razionale, allora è
molto reale il fatto che una parte del
mercato crede all’oro ed è convinta (con
buona pace di Krugman che dice che il
dibattito sulle politiche monetarie e
fiscali diventa ogni giorno più
primitivo) che stiamo andando verso
l’iperinflazione.
La classe dirigente del Pontevedro al
completo. Dalla Lustige Witwe di Franz
Lehàr.
Il polo della crescita va riempito di
petroliferi, minerari, ciclici e tecnologia.
Non importa che la Cina abbia programmi di lungo periodo di acquisti stabili
e massicci di materie prime, perché i mercati faranno lo stesso salire e
scendere selvaggiamente i titoli del settore a seconda di come vanno i Cds
sulla Lanconia, che di materie prime ne consuma proprio poche. Quando la
Lanconia va male, quindi, si possono comprare questi comparti a prezzi
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molto convenienti, salvo venderli quando è cessato l’allarme. I paesi
emergenti, dal canto loro, sono ovviamente parte integrante di questo polo.
Tra i due poli, si diceva, il cash, di cui è bene avere un’idea dinamica e
diversificata. Australia e Canada sono ideali come parcheggio, hanno poco
debito, molte risorse, un quadro politico stabile e una natura felicemente
ibrida di sviluppati-emergenti. A chi si preoccupa delle loro fluttuazioni di
cambio va rammentato che anche noi fluttuiamo visti da loro ed è meglio
assumere il punto di vista di valute strutturalmente forti piuttosto che quello
di noi deboli. Gli euro liquidi andranno invece collocati nel polo della crescita.
L’Europa crescerà poco, lo sappiamo, ma l’euro, finché sarà vissuto come
l’antidollaro, resterà positivamente correlato alla crescita globale.
Una volta costruito un portafoglio di questo tipo (senza leva se possibile)
ci si può mettere a sedere e attendere. Poiché le fasi di paura possono
presentarsi all’improvviso e andarsene altrettanto velocemente è meglio
essere opportunisti e approfittarne piuttosto che cercare di anticiparle.
Per fare un esempio pratico, in questo momento ci troviamo in una fase
intermedia. Due settimane fa ci trovavamo nel mezzo di una fase di paura e
due mesi fa eravamo in piena psicologia da crescita.
Se è corretta l’ipotesi per cui un ciclo favorevole dovrà convivere a lungo
con problemi strutturali pesanti vedremo una serie molto lunga di
oscillazioni ampie con poche probabilità di esiti estremi. Il debito pubblico
non se ne andrà via in due giorni ma non se ne andranno via facilmente
nemmeno i grandiosi piani cinesi di diventare la prima potenza economica
entro 15 anni.
Le oscillazioni saranno talmente frequenti da offrire buone possibilità di
ritorno anche muovendo ogni volta solo piccole quote di portafoglio, il 5-10
per cento, da un polo all’altro. Spostamenti maggiori espongono al rischio di
capitolazione nel caso si sbaglino i tempi. Meglio andare nella direzione
giusta con il freno a mano tirato piuttosto che muoversi in folle e prima o poi
sbandare. In un mondo volatile è meglio essere maratoneti e operare
aggiustamenti piccoli ma costanti piuttosto che essere scattisti, cavalcare le
onde con gusto con la polizza dello stop loss in tasca e svegliarsi la mattina
con un mega gap di apertura che fa strame dello stop.
Alessandro Fugnoli +39 02-777181
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