Come in pieno giorno
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Come in pieno giorno
Beati NOI Anno Oratoriano 2015 •2016 Come in pieno Diocesi di Cremona Giorno Percorso di progettazione e formazione per i GIOVANI Come in pieno Giorno Sussidio formativo per i gruppi GIOVANI Introduzione “Beati noi! Sfide giovani per la vita” è il tema proposto dalla PG diocesana per l’anno 2015-2016. Sullo sfondo intendiamo tenere lo sguardo fisso su alcuni eventi ecclesiali che potranno consegnare molti stimoli anche alla pastorale giovanile: il Convegno di Firenze sull’umanesimo; il Sinodo per la famiglia, l’anno giubilare e la GMG di Cracovia. Il filo conduttore che si dipana, riguarda proprio la visione che dell’uomo emerge dal Vangelo e dalla prassi ecclesiale e che, con accenti provocatori e graffianti si coagula nelle Beatitudini. Da anni si riflette sulla connessione, al tempo stesso faticosa e promettente, tra Oratorio e percorsi giovanili, tra singole realtà e territori di alleanza più ampia, tra preti e laici nella progettazione e nella condivisione delle proposte giovanili. In ballo c’è la capacità di credere ancora in proposte anche culturalmente forti e il desiderio di testimoniare, oltre le stanchezze e le tattiche personali, che c’è una Chiesa che si muove e cerca l’interlocuzione dei giovani. Lo strumento che consegniamo a chi desidera riflettere, copiare, ritagliare, incollare… tenta qualche declinazione e qualche affondo a partire proprio dalle Beatitudini: si sa che sono parole dure, a tratti incredibili, eppure altrettanto realistiche e quotidiane. Certo stride l’accostamento della felicità con un elenco scioccante di debolezze che suscitano rabbia e senso di impotenza, tanto all’epoca in cui furono pronunciate, quanto oggi, sulla zattera postmoderna cui – drammaticamente fuor di metafora – milioni di persone cercano senza successo di aggrapparsi. Le Beatitudini con il loro carico di paradosso forzoso rimandano al bisogno di una umanità nuova che nel Vangelo esce dalle alte sfere dell’utopico per entrare a pieno titolo nelle sfide che una comunità nuova, profetica ed escatologica, riceve in consegna e vuole assumersi. Nasce così anche per l’anno 2015-2016 “come in pieno giorno”, percorso dedicato ai gruppi giovanili: uno strumento sussidiario da assumere al livello che più si desidera e può servire, dalla suggestione all’impiego puntuale. Il “pieno giorno” fa riferimento all’energia del sole che può ancora riscaldare di passioni e di desideri i giovani, spesso confinati nell’anestesia di una prolungata adolescenza, ma anche alla luce che proviene dal Vangelo: una luce che può essere discussa, anche contestata, ma che di certo non può sembrare ad occhi onesti remissiva o marginale; il “come” insinua il sapore anche della costruzione, dell’attesa, della sfida che muove i suoi passi, ma che non si conclude né oggi né domani, perché posta nell’orizzonte di Dio. L’augurio è che queste pagine, in parallelo allo strumento “Domani è già qui”, dedicato alla pastorale formativa degli adolescenti, siano utili e come una scatola di costruzioni possa essere apprezzata, montata e rimontata secondo le combinazioni che fantasia e realismo educativo suggeriscono. A tutti e a ciascuno buon lavoro! d. Paolo Arienti Pastorale giovanile diocesana Schema ragionato “Come in pieno giorno” sviluppa le otto beatitudini matteane più la nona che apre al resto del discorso della Montagna, immaginandole come altrettante colonne che possono provocare “emersioni” dal mondo più o meno liquido in cui si è immersi. Si presenta agli educatori come uno scheletro di suggerimenti, rimandi e suggestioni, strumento aperto ed umile, ma anche ragionato secondo alcuni passaggi: 0. La beatitudine e una sua possibile attualizzazione 1. Un commento educativo 2. Alcuni rimandi interni alla Scrittura 3. La vicenda storica di un testimone 4. Una serie di suggestioni culturali che interpellano a mo’ di esempio l’arte, la letteratura, la cinematografia 5. Una rosa di suggerimenti operativi. Alcune indicazioni Le proposte catechistiche e formative rivolte ai giovani si sono moltiplicate negli ultimi anni con alcune caratteristiche, dapprima innovative, poi sempre più condivise. Sul piano dei contenuti l’aspetto saliente sta nel profilo culturale della proposta che richiede il sapore della provocazione, la qualifica dei contenuti e la chiarezza dell’esperienza vissuta. Sul versante della forma i linguaggi che possono mediare i contenuti sono altrettanto importanti: il teatro, la musica, letture di brani letterari, spezzoni cinematografici, ballo… La combinazione di questi fattori non sempre è facile. Richiede un tempo preciso di programmazione e di fantasia spesa sulla costruzione degli incontri, ma soprattutto la consapevolezza che più del numero degli incontri e la loro concatenazione importerà la bellezza e la cura delle proposte. Non necessariamente occorrerà coinvolgere un “nome di grido”, mentre sarà indispensabile la competenza. Anche l’aspetto della comunicazione non andrà trascurato: le iniziative andranno accompagnate da alcune soluzioni tecniche (audio, collocazione dei relatori, ambiente di accoglienza, grafica e impiego dei social) su cui è bene “mettere la testa”, intavolare alcune collaborazioni e non lesinare qualche investimento. Prima di partire: le parole di Firenze Beatitudine e felicità chiamano in causa direttamente l’uomo e la visione che se ne ha. Non c’è infatti felicità piena senza presa in carico di quanto rende l’uomo davvero uomo, nelle sue strutture essenziali e nelle sue infrastrutture di esistenza. La Traccia preparatoria al convegno ecclesiale di Firenze esplicita alcune considerazioni preziose che possono riferirsi anche al mondo giovanile: come una presa di coscienza di alcune tendenze antropologiche da un lato e, dall’altro, come una nuova narrazione della proposta evangelica. Nella contemporaneità l’uomo rischia molto: per lo smarrimento di un “senso” che lo orienti, per tanti appiattimenti sul calcolo e sulla produzione, per il rischio di una esasperazione dell’individuo, esposto tragicamente alla solitudine se non alla concorrenza. Queste linee intersecano anche il mondo dei giovani che si affaccia alla vita con inquietudine, slancio, fatica e desiderio. È bene che, mentre si progetta un percorso formativo per i giovani, ci si interroghi sull’orizzonte umano che si vuole proporre, alla luce della fede in Cristo Gesù. Le ragioni della nostra speranza Dalla Traccia preparatoria per il convengo ecclesiale di Firenze 2015 “In Cristo Gesù il nuovo umanesimo” Se l’umano e il divino sono uno in Gesù Cristo, è da Lui che l’essere umano riceve piena luce e senso. Questa profonda e gioiosa consapevolezza non può però essere la giustificazione per imporsi al mondo, quasi nella presunzione di “possedere” Cristo. Prima di tutto perché in noi stessi questa consapevolezza va sempre risvegliata e rigenerata: per questo ci proponiamo di scrutare continuamente il volto di Cristo, nel suo stare con i poveri e i malati, con i peccatori e gli increduli, accettando la sofferenza e vivendo un’autentica fraternità. Solo così potremo annunciarlo a ogni essere umano, perché il metodo che Gesù ci ha consegnato per diffondere il suo messaggio è quello della testimonianza. Se Gesù si è incarnato, accettando e facendo propri, al contempo, i limiti e le risorse dell’umano, è da qui che dobbiamo partire, consapevoli del nostro limite ma anche della luce che possiamo lasciar risplendere in noi. Quella luce Egli ha diffuso nel mondo il mattino di Pasqua e donato alla Chiesa col fuoco di Pentecoste. E che sempre ci meraviglia quando scopriamo che anche attraverso le nostre fragilità fatiche può arrivare ad altri. La meraviglia di questo dono sempre nuovo non è semplicemente un esercizio intellettuale o un’attitudine estetica. Piuttosto, è una vera e propria conversione, cioè un «accompagnamento» dell’intelligenza e della ragione. Una «meraviglia credente» – come la chiamava don Giovanni Moioli: la stessa della donna di Nazareth che pur domandandosi come umanamente sia possibile ciò che le è annunciato, si lascia infinitamente rallegrare dalla notizia secondo cui ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. Dio incontra le periferie dell’umano con Gesù Per queste ragioni sappiamo di dover cercare l’autenticamente umano non sul piano delle idee, talmente alte e nobili da rischiare di restare astratte o, peggio, degenerare in ideologie, bensì in Cristo Gesù, nel suo esser-uomo. Il suo concreto vissuto umano rivela anzitutto Dio: in lui, nato povero a Betlemme, cresciuto nella quotidianità familiare di Nazareth, itinerante per le strade di Palestina, morto innocentemente sulla collina del Golgota, Dio supera ogni distanza (si può dire che trascende, perfino, la propria trascendenza), rendendosi visibile nella storia comune degli uomini. Gesù lo rivela con le parabole, con i gesti accoglienti e con quelli prodigiosi, con il suo modo nuovo di pregare; lo indica presente nella vita degli uomini e delle donne con cui s’incontra e cui rivolge l’attenzione. Ai suoi occhi costoro hanno sempre un’importanza superiore rispetto a ogni pretesa dell’antica religione, le cui consuetudini egli comunque rispetta. Ogni volta che un essere umano può essere salvato o aiutato a vivere, egli infrange apertamente e senza esitare ogni tabù, sconfinando continuamente nel cosiddetto “profano” e inaugurandovi la visita di Dio: mangia coi pubblicani, dialoga con le prostitute, biasima i farisei e confuta i dottori del tempio, entra nella casa di Zaccheo e si porta dietro l’esattore, come pure Pietro e altri uomini esperti nei vari mestieri umili dell’epoca e non addetti al culto sacerdotale o a quello sinagogale. A un fariseo come Nicodemo chiede di «rinascere», di ricominciare daccapo, incontrandolo non nell’atrio del tempio ma nella notte: andandogli incontro, cioè, nell’oscurità dei suoi dubbi. Da quel momento in poi non c’è più un tempio in cui celebrare il culto a YHWH, poiché il nuovo tempio è quello dello Spirito e della Verità, come il Maestro insegna alla samaritana. Lui stesso è considerato un rabbì “laico”, non della tribù di Levi. La parabola del buon samaritano lascia intuire bene questa sua consapevolezza: capace di abitare la strada, come si addice a Dio stesso, non rinchiuso e fermo in templi di pietre, ma in cammino col suo popolo. La maggior parte dei suoi gesti pubblici sono operati in coerenza a un nuovo canone: «Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2,27). La legge si radica nell’essere amati e si attua nell’amare: «Gesù ha guardato alle donne e agli uomini che ha incontrato con amore e tenerezza, accompagnando i loro passi con pazienza e misericordia, nell’annunciare le esigenze del Regno di Dio» (Sinodo dei Vescovi 2014). E, così, Dio si rivela in una suprema tensione verso l’uomo: Dio è per l’uomo, si mette al servizio dell’uomo. Dio per primo – come s’intuisce nella cosiddetta parabola del figliol prodigo (cf. Lc 15,20) – esce incontro all’uomo, lo raggiunge lì, dove si trova, persino nella lontananza estrema del suo peccato, nella precarietà della sua esistenza ormai minata dalla morte. L’uomo è la periferia presso la quale Dio si reca in Gesù Cristo: al suo peccato non è opposto un rifiuto sdegnoso, poiché ormai di esso Cristo accetta di farsi carico («Dio per noi lo fece peccato»: 2 Cor 5,21). Il verbo fatto uomo meraviglia di Dio Tutto ciò non deve suonare come una bestemmia che contraddica l’annuncio biblico del tre volte Santo, o che smentisca l’antico detto teologico secondo cui Dio è sempre il più grande (Deus semper maior, diceva nel medioevo sant’Anselmo d’Aosta). Dio davvero è e rimane santissimo. Davvero è e rimane il più grande. Il racconto biblico è attraversato da questa permanente sovreccedenza di Dio, dove ogni compimento supera sempre la promessa. In quest’orizzonte Dio raggiunge il suo massimo in Gesù di Nazareth. Egli che è già tutto, non ha altra via per superarsi se non quella di procedere senza termine in direzione dell’uomo, scegliendo di diminuire: se è già l’Altissimo, allora si abbassa sino a terra; se è già il Signore, allora entra nella condizione del servo; se è già pienezza, allora si svuota di Sé, rinuncia alle sue divine prerogative e abbraccia la morte (cf. Fil 2,6-8). Dio, nella carne umana di Gesù Cristo, ridiventa ancor più Se stesso, com’è annunciato nel Nuovo Testamento: Cristo Gesù «pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì» (Eb 5,8), cioè visse in una forma del tutto inedita la sua stessa figliolanza (“obbedienza” significa biblicamente, appunto, l’ascolto che il Figlio presta al Padre). Per questo possiamo affermare che in Cristo Gesù proprio l’uomo è quel semper maior di Dio. I Padri della Chiesa antica l’avevano ben compreso. Si pensi a Sant’Ireneo: «L’uomo vivente è la gloria di Dio», o a Teofilo di Antiochia mentre dialoga con chi non credeva in Cristo: «Tu mi dici: mostrami il tuo Dio ed io ti dirò: mostrami il tuo uomo e io ti mostrerò il mio Dio». La meraviglia inaudita non è aver conosciuto un Dio tanto potente e grande verso cui elevarci, tanto buono e misericordioso per cui consolarci, quanto un Dio la cui potenza e bontà l’hanno condotto a svuotarsi per sposare l’umanità. Con Gesù non ci troviamo, però, dinanzi a un uomo che brama di primeggiare sugli altri uomini («Tra di voi non sia così», dice il Salvatore ai suoi discepoli secondo il racconto dei vangeli sinottici, in Mt 20,24-28, Mc 10,41-45 e Lc 22,24-27), bensì a un uomo che è nella condizione umile e umiliata del condannato. La kenosis, lo svuotamento di sé, l’uscita da sé, è il primo paradigma di un umanesimo nuovo e “altro” e la via paradossale di un’autentica libertà, capace di costruire fraternità. Non si tratta però, come molti superficialmente ritengono, di accettare una visione vittimistica e, forse, pessimistica dell’umano. Si tratta piuttosto di uscire dallo schema mondano vincitori/vinti, per assaporare su un piano diverso la bellezza della lieta notizia: mentre è inchiodato sulla croce (sul legno), e dunque sconfitto agli occhi del mondo, Gesù viene anche innalzato da terra e ricondotto alla gloria del Padre (cf. Gv 8,28 e Fil 2,9-11). Nella vicenda pasquale del Crocifisso Risorto ogni uomo ferito, reietto, rifiutato, emarginato, scartato, è anche “più uomo”, abbracciato nella figliolanza del Figlio, vivificato dal suo stesso Spirito che torna a gridare gioioso nel cuore di molti: «Abbà, Padre» (cf. Rm 8,15-16 e Gal 4,6). In Gesù Cristo, dunque, la verità dell’uomo è manifestata al pari di quella di Dio. Essa, tuttavia, non è immediatamente evidente. Difatti, quest’umanesimo segnato dal paradosso non è scontato e ovvio; occorre discernerlo dentro le pieghe e le piaghe della storia, come esige il Vangelo di Gesù che, alla domanda di chi chiede al Figlio dell’Uomo «quando mai ti abbiamo visto?», risponde: «Ogni volta che l’avete fatto a uno di questi fratelli più piccoli» (Mt 25,37-40). Una nuova possibilità per l’uomo In tale prospettiva, nella vita di Gesù possiamo rintracciare le due direttrici principali di un sempre nuovo umanesimo: la cura e la preghiera. La cura, innanzitutto: se ne parla già nella conclusione dell’Invito, che cita l’episodio evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci . Dal loro «immobilismo rinunciatario» i discepoli sono sollecitati da Gesù a scuotersi: «Date voi a loro da mangiare». Non c’è nulla di miracolistico in questa richiesta, apparentemente inattuabile. Se si leggono nell’originale greco i racconti evangelici delle guarigioni compiute dal Figlio di David, ci si accorge che spesso la voce verbale usata per dire che Gesù guariva coloro che incontrava è terapéuo, che significa letteralmente curare, prendersi cura. La cura, dunque, esercitata secondo lo stile di Gesù, è una coordinata imprescindibile dell’esser-uomo come lui. Essa significa custodire, prendersi in carico, toccare, fasciare, dedicare attenzione, proprio come faceva Gesù, allorché si fermava a cogliere il grido del cieco nato o del lebbroso o della cananea che lo rincorrevano per strada, o quando cercava di incrociare lo sguardo dell’emorroissa in mezzo alla calca, o quando soccorreva il paralitico sempre da tutti emarginato presso la fonte di Betzaetà. E come ancora il cristianesimo fa sin dai suoi inizi, con lo sguardo e l’attenzione che Pietro e Giovanni rivolgono al paralitico presso la Porta Bella del Tempio, o con la testimonianza di Paolo che si fa compagno di strada di tutti, senza riserve e senza parzialità di alcun genere, sottoponendosi alla legge e al contempo proclamandosi un fuori legge, facendosi debole e servo di tutti. «La comunità evangelizzatrice – ha scritto a tal proposito papa Francesco – si mette, mediante opere e gesti, nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana, toccando la carne sofferente di Cristo nel popolo [...] il suo sogno non è riempirsi di nemici, ma piuttosto che la Parola venga accolta e manifesti la sua potenza liberatrice e rinnovatrice» (Evangelii gaudium 24). La preghiera, inoltre, non meno della cura: esercizio non semplicemente devozionale, bensì comprensione e interpretazione e quindi – come si legge già nell’Invito – occasione «di ascolto, di confronto e di discernimento». Nella preghiera sono tradotti in invocazione ogni grido d’aiuto, ogni fatica, persino ogni apparente bestemmia, ma anche ogni «grazie», tutto comprendendo alla luce del Vangelo, tutto vedendo con lo sguardo di Dio, tutto ascoltando con le orecchie di Dio – per dirla con una suggestiva espressione di don Divo Barsotti –, affinché la cura non si risolva in mera filantropia. Ogni autentica liturgia, del resto, con le sue preziose riserve di contemplazione, è una cura orante e, al contempo, una preghiera efficace. E la stessa vita familiare ha bisogno di nutrirsi di questo linguaggio della gratitudine e dell’affidamento, per rigenerare e far fiorire i legami tra i suoi membri. La cura e la preghiera sono i due modi in cui Gesù stesso vive la propria attitudine a mettersi – gratuitamente e per puro dono – in relazione con gli altri e con l’Altro, con i suoi conterranei e contemporanei non meno che col Padre suo. E se la cura costituisce la traduzione dell’identità filiale nella fraternità con gli uomini, la preghiera costituisce a sua volta il fondamento della capacità di realizzare una radicale condivisione di tutto con tutti. Tempo ordinario 1 Beati i miti, 2 Beati i puri di cuore, 3 Beati gli operatori di pace, 4 Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli perché erediteranno la terra perché vedranno Dio perché saranno chiamati figli di Dio L’altro Il potere Gli affetti La pace Come in pieno Giorno BEATI NOI! Sfide giovani per la vita 1 Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli L’altro TEMPO ORDINARIO Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama felici quanti lasciano spazio all’altro e all’Altro, non si credono autosufficienti, cercano Dio nella loro vita e fuori di sé, nella logica del dono gratuito; quanti intuiscono che scoprirsi dipendenti, anche bisognosi, limitati e addirittura poveri non è una maledizione, bensì una benedizione. Anche la fede nel Dio di Gesù Cristo è una forma di povertà: per accogliere Dio occorre non sostituirsi a lui, accettare la giusta misura di sé, riscoprirsi destinatari di una “grazia” che non rende schiavi, ma chiede all’uomo di essere se stesso. Ed è proprio l’esperienza di una gratuità originaria, di un dono costitutivo che sta alla base della fede cristiana. Fuori dall’orizzonte della grazia non sarebbe comprensibile l’annuncio cristiano di un Dio amore, che si fa prossimo, sino all’annientamento della croce. A chi cerca questa dimensione della vita, la scopre e la custodisce, è fatta la promessa del cielo, sinonimo di una pienezza che non passa. La prima beatitudine ha il coraggio di sgomberare la scena da equivoci pesanti: nessuna concorrenza tra Dio e uomo, nessuna dimostrazione di dignità da dover strappare dal basso; al contrario la dichiarazione di una povertà di spirito, di cuore, di essenza vera che rende possibile la visita del Dio che salva. L’alternativa sarebbe l’idolo, che né salva né promette libertà. L’uomo che la prima beatitudine immagina felice, non è né Prometeo né Narciso: in queste figure che riassumono tanti aspetti anche della cultura contemporanea, non c’è spazio per la fede, perché piuttosto c’è sospetto, gara, chiusura. Al cuore della proposta del Vangelo c’è l’annuncio straordinario di un amore che non richiede tasse e che offre un percorso libero e forte di vita. Ci si deve però chiedere se questa prospettiva non sia solo teorica, magari anche una bella suggestione: ha senso vivere così? Gli adulti ci credono? Per noi è davvero meglio ospitare, accogliere, percepirsi bisognosi o inseguire altri obiettivi? Oggi secolarizzazione e laicità – intese ormai come valori non negoziabili – sembrano disposte ad offrire asilo alla lontananza dalla fede, a partire dall’assunto che questa presa di distanza si batte nell’interesse comune contro il totalitarismo e la violenza della fede e a favore dello sviluppo dei diritti individuali. Nel frattempo l’idolo si è formato. Nella postmodernità non è più Prometeo il primo santo del calendario non religioso, come voleva Marx; e nemmeno Dioniso, come voleva Nietzsche. È Narciso: la legge erotica della libertà che si risolve nella appropriazione di se stessa. Oggi l’ideale umanistico ha un mito di riferimento: Narciso, l’eterno adolescente. Narciso si sottrae al pensiero della generazione come al sacrificio del lavoro creativo. Mentre Prometeo è ribelle verso gli dei, ma si sacrifica per gli uomini, Narciso è indifferente agli dei e agli uomini. Rivolgendosi costantemente su di sé, Narciso conduce la sua affettività all’anestesia. Narciso non lavora, non pensa, non rischia: è uomo/donna di immagine, non di parola. Prometeo e Dioniso sono violenti, conflittuali, trasgressivi, sono contro la religione e l’etica. Narciso invece è un dio-ragazzino, un po’ impasticcato e un po’ ingenuo: ha solo bisogno di amore. Ma la noia e la disperazione prodotti in lui sono una miscela esplosiva. Il vitello d’oro oggi si forma qui. P. SEQUERI, Contro gli idoli postmoderni, Torino 2011, pp. 73-78 passim. la scrittura si legge con la scrittura I riferimenti alla povertà in spirito nella Scrittura sono davvero molteplici ed accompagnano soprattutto le figure centrali della Bibbia: coloro che ascoltano la Parola e si lasciano chiamare, sperimentano la condizione di una singolare povertà, che narra la forza dello Spirito. E spesso alla povertà interiore fa eco in loro anche una essenzialità di condizione, di tratto, di appartenenza sociale. Solo per citarne alcuni: Abramo e la sua vocazione (almeno Gn 12, 15, 22); il profeta Elia (tutto il ciclo, ma soprattutto 1Sam 19); Maria di Nazaret cui è annunciata la prima beatitudine neotestamentaria (Lc 1-2); i primi passi di Paolo di Tarso (At 9). Molto significativa potrebbe essere la lettura del racconto di Caino ed Abele, in cui la gratuità della scelta dell’Altro (Dio) suscita la distruzione del fratello. volti beati nella storia Benedetta della Croce e l’“empatia” Teresa Benedetta della Croce (Breslavia, 12 ottobre 1891 – Auschwitz, 9 agosto 1942), Edith Stein, di origine ebraica, si convertì al cattolicesimo dopo un periodo di ateismo che durava dall’adolescenza, venne arrestata in Olanda dai nazisti e rinchiusa nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove, insieme alla sorella Rosa (anch’ella monaca carmelitana scalza) trovò la morte. Nel 1998 papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata santa e l’anno successivo l’ha dichiarata compatrona d’Europa. Membro della facoltà a Friburgo, si dedicò anche all’attività politico-sociale, impegnandosi nel Partito Democratico Tedesco a favore del diritto di voto delle donne e al ruolo nella società della donna che lavora. Era considerata la discepola più promettente di Husserl, uno dei massimi esponenti della fenomenologia del ‘900. Letta l’autobiografia della mistica santa Teresa d’Avila, durante una vacanza nel 1921, abbandonò formalmente l’ateismo e si convertì. A causa delle persecuzioni dei nazisti che infuriavano contro gli Ebrei, fu costretta a rinunciare al suo posto di assistente di Husserl. Il 12 aprile 1933, alcune settimane dopo l’insediamento di Hitler al cancellierato, Edith Stein scrisse a Roma per chiedere a papa Pio XI e al suo segretario di stato - il cardinale Pacelli, già nunzio apostolico in Germania e futuro papa Pio XII - di non tacere più e di denunciare le prime persecuzioni contro gli ebrei. Dopo la conversione, lesse e tradusse S. Tommaso e perfezionò il cuore della sua proposta filosofica che si salda con l’esperienza cristiana: il concetto di “empatia” (Einfühlung), relazione empatica, comunione. L’empatia diviene come la struttura fondamentale dell’essere umano, chiamato radicalmente ad essere-con, ad accorgersi dell’orizzonte dell’altro e ad accoglierlo in sé. La spiritualità carmelitana avrebbe fatto il resto: la Croce sarà per Edith il vertice dell’empatia, nella forma del dono di Cristo: l’espropriazione, massima lontananza dalla metafisica del sé che da filosofa fenomenologa Edith aveva contestato anni prima come troppo arida e distaccata dai processi vitali della conoscenza e della coscienza. Nella riflessione della Stein (Il problema dell’empatia, Scientia Crucis) l’uomo è ricco proprio perché povero, bisognoso, esposto: chiamato alla relazione e ritrovare nell’altro la verità di sé. L’amore fraterno cristiano ed il sacrificio di Cristo sono per la Stein pienezza di questo desiderio, di questa struttura interiore. contributi culturali un’opera d’arte Narciso di Caravaggio Narciso è un dipinto a olio su tela (112x92) generalmente attribuito a Caravaggio dallo storico dell’arte Roberto Longhi, sebbene se ne sia discussa l’attribuzione. Fu dipinto all’incirca tra il 1597 e il 1599. È conservato nella Galleria Nazionale d’Arte Antica a Palazzo Barberini in Roma. Nei secoli la figura cantata da Ovidio nelle Metamorfosi è divenuta oggetto di molte interpretazioni. Il Narcisismo è inteso comunemente come affezione dello spirito, chiusra e ripiegamento su di sé, autoreferenzialità. Nell’opera di Caravaggio Narciso si specchia nell’acqua e secondo il mito l’innamoramento di sé lo porterà ad annegare nel tentativo di possedersi. L’Annunciazione di Leonardo Olio e tempera su tavola (98x217 cm), attribuito a Leonardo da Vinci, databile tra il 1472 e il 1475 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze. L’angelo benedicente plana ai piedi della Vergine che con una mano indica l’umiltà del lavoro quotidiano, con l’altra accoglie quasi in gesto di resa la volontà divina su di lei. Il mistero della libertà dell’uomo e della volontà salvifica di Dio si saldano nel colloquio delicato e pieno dei due personaggi. un libro P. SEQUERI, Contro gli idoli postmoderni, Torino 2011 G. RAVASI – A. SOFRI, Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli, Torino 2012 un film Uomini di Dio Regia di Xavier Beauvois, Francia 2010. La vicenda dei monaci cistercensi di Tibhirine che nel 1996 vengono sequestrati ed eliminati dalla follia estremista in Algeria. Una pellicola struggente, che mette in scena la delicatezza della carità, il dramma della scelta, la forza eucaristica del sacrificio certo non fine a se stesso, ma capace di feconda povertà. La settima stanza Regia di Márta Mészáros, Ungheria 1995. L’esistenza sorprendente di E. Stein, prima filosofa e poi monaca carmelitana, uccisa ad Aushwitz e proclamata da Giovanni Paolo II compatrona d’Europa. un luogo Visita ad un monastero ed incontro-testimonianza con una figura vocazionale. Possibile tema della visita: la scelta della fede e la storia di uno di noi. passi operativi Domande da suscitare La fede è atto irrazionale? Quale felicità nell’essere poveri in spirito? Qual è il paradigma moderno oggi diffuso e difeso? Quale rilevanza ha nella vita di un giovane la povertà/la fede? La fede è sempre sinonimo di minorità? Come valutare la contraddizione delle beatitudini, in cui tutto sembra rovesciato? È solo una follia idealizzata? Quale idea/modello di uomo convince e “paga” di più? Possibili modalità • Confronto con un ospite sull’esperienza della fede; ascolto e dibattito. • Confronto con un ospite sul tema dell’altro: “fratello o nemico?”. • Incontro biblico a partire da un personaggio della Scrittura. • Contributi da “Stento a crederci” sulla fede (DVD 1, puntate 1 e 2, anche su YouTube). • Proiezione di un film (o spezzoni) e dibattito. Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista le due opere d’arte indicate, aprire l’incontro con alcuni accenni letterari (preparati da uno o più lettori), suscitare alcune domande per il dibattito, introdurre la biografia di E. Stein e consegnarla per la lettura personale, suggerire qualche lettura. 2 Beati i miti, perché erediteranno la terra Il potere TEMPO ORDINARIO Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama felici quanti scelgono l’equilibrio dell’ascolto e dell’amore e non si lasciano ingannare dalla violenza: sono coloro che ridisegnano il potere nella forma dell’amore. In eredità avranno la terra, quasi a dire che ci sarà futuro solo nella mitezza. Dentro la mitezza sta la questione cruciale del potere e della sua gestione. I miti non sono coloro che rinunciano idealisticamente al potere, come in un sogno astratto: sono al contrario coloro che convertono il potere nella forma alta e plastica del servizio, ne fanno l’orizzonte in cui si muovono, il terreno su cui appoggiarsi. L’essere umano nasce dotato di un potere che dice i suoi desideri, i suoi limiti, ma anche il suo campo di azione: la mitezza plasma questa azione rendendola feconda, aperta, costruttiva, amorevole. La rende “cura” rispettosa. Chi sono i miti? La mitezza sembra essere propria di chi sopporta e ciò è innegabile (..). costui però non sopporta perché sia un debole e neppure perché un forte contro cui la furia rabbiosa si infrange… Piuttosto il suo è un sapere, una forma di consapevolezza: basata sul presupposto che la violenza trova in sé il suo antidoto, perché – come il male – è energia che divora se stessa. (S. Givone) la scrittura si legge con la scrittura Nel Nuovo Testamento Gesù è il prototipo della mitezza. Basti leggere Mt 1: nel cuore della drammatica discussione sull’identità di Gesù, l’evangelista colloca la autoproclamazione di Gesù mite ed umile. La mitezza ritorna accanto ad altre virtù soprattutto nei cataloghi delle lettere neotestamentarie (cfr. Gal 5 e Ef 6). volti beati nella storia Piergiorgio Frassati e la contraddizione degli stili Cresciuto in una famiglia alto borghese e poco unita, attenta più all’apparenza che all’essere, all’avere più che ai sentimenti, Pier Giorgio Frassati portò la tempesta nella sua casa (la santità è sempre “rivoluzionaria”). Invece di adeguarsi a quello stereotipo di esistenza sterile, lui si oppone e pur continuando, a differenza di un san Francesco d’Assisi, a vivere fra le pesanti mura domestiche, segue ugualmente un cammino diverso. La sua breve, ma intensa esistenza, fu la realizzazione, nel quotidiano, dello straordinario nell’ordinario. In occasione della sua beatificazione, avvenuta il 20 maggio 1990, il «Times» di Londra gli dedicò un articolo in prima pagina. Ma perché tanto interesse per questo ragazzo ricco, bello, intelligente, dalla vita normale, che non ha fondato né istituti, né scuole, né congregazioni religiose? Pier Giorgio nasce a Torino il 6 aprile 1901. Cresce in una città di inizio secolo piena di ricordi storici e sabaudi; da poco è stata defraudata del suo titolo di capitale, qualche torinese si è addirittura suicidato per questo, eppure è piena di vitalità, di voglia di produrre e di pensare: da un lato troviamo l’industria, in particolare quella automobilistica e dall’altro intellettuali che fanno della città un laboratorio di idee. La Chiesa locale vanta di fronte al mondo la sua santità sociale (Giuseppe Cafasso, Giuseppe Benedetto Cottolengo, Giovanni Bosco, Francesco Faà di Bruno, i marchesi di Barolo…). Giovanni Paolo II, grande ammiratore di Pier Giorgio, lo definì il ragazzo delle otto beatitudini: «Ad uno sguardo superficiale, lo stile di Pier Giorgio Frassati, un giovane moderno pieno di vita, non presenta granché di straordinario… In lui la fede e gli avvenimenti quotidiani si fondono armonicamente, tanto che l’adesione al Vangelo si traduce in attenzione ai poveri e ai bisognosi». L’entrata all’Istituto Sociale dei padri Gesuiti è un momento decisivo. Padre Lombardi gli consiglia la comunione quotidiana, con la grande disapprovazione materna, e d’ora in poi l’eucaristia sarà il centro della sua vita. A 17 anni entra a far parte della Conferenza di San Vincenzo, assumendo così un impegno costante di carità. In casa Pier Giorgio non viene compreso: non si capisce perché preferisca recitare il rosario quotidianamente in una casa dove non si prega, perché non ambisca ad occupare un posto di rilievo nella società come invece suo padre ha sempre fatto raggiungendo il successo. È il giovane che invece di studiare, come i suoi genitori vorrebbero per raggiungere presto la laurea in ingegneria, «bighellona» con gli amici della San Vincenzo, della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), del Partito Popolare di don Luigi Sturzo, nel convento dei padri domenicani, nelle sacrestie delle chiese per servire messa, «perdendo» continuamente tempo prezioso e invece di pensare ai doveri di un rampollo del suo rango si occupa di preghiere, di celebrazioni eucaristiche, di letture spirituali e come non bastasse alla legazione italiana di Berlino, dove suo padre è ambasciatore, ruba i fiori nelle sale di rappresentanza per portarli sulle tombe della povera gente. Un posto tutto particolare nella sua vita lo occupa l’amicizia. Negli anni del Politecnico dà vita ad un gruppo di ragazzi e ragazze che vivono con serenità e rispetto il valore dell’amicizia: «La Società dei tipi loschi». Ogni membro, «lestofanti» e «lestofantesse», prendono un nome, Pier Giorgio sceglie «Robespierre». Voglia di vivere e spirito goliardico aleggia fra gli amici di Frassati per poter «servire Dio in perfetta letizia». L’impegno sociale e politico, contro il Regime fascista, lo schiera tra le fila del Partito Popolare italiano. Il suo impegno politico e sociale fu una diretta conseguenza del suo modo di sentirsi cristiano: non gli era sufficiente aiutare i poveri, andare nelle loro misere soffitte, nei tuguri dove la malattia e la fame si confondevano nel dolore, non gli bastava portare ai diseredati una parola di conforto, carbone, viveri, medicinali e denari, voleva dare una soluzione a quei problemi di miseria e di abbandono e la politica gli parve la via idonea per fare pressione là dove si decideva la giustizia. Durissima fu la sua lotta contro il fascismo, una realtà che respirò anche a casa sua: il padre venne anche perseguitato per la battaglia, condotta sulle colonne del suo giornale, contro il Regime. La morte lo rapisce, rapidissima. Viene colpito dalla poliomielite fulminante. Sei giorni appena per corrodere quel fisico sano e forte di 24 anni. E ancora una volta la famiglia non lo comprende: tutti sono attenti all’agonia dell’anziana nonna Ametis, non accorgendosi della gravità del suo male. Non un lamento uscirà dalla sua bocca, non una richiesta. Le grandi incomprensioni svaniscono: Alfredo Frassati è di fronte alla bara del figlio “ribelle”, alla quale rendono omaggio, con suo sconcerto, migliaia e migliaia di persone e di poveri della Torino semplice e umile. Tutti presenti non per i meriti del nome Frassati, ma per Pier Giorgio, solo per ciò che lui e lui solo ha rappresentato e qualcuno scoprirà dopo che quel giovane pronto a soccorrere tutti era il figlio del senatore e direttore de La Stampa. Proprio da qui Alfredo inizia a scoprire l’identità di Pier Giorgio, la sua grandezza umana e spirituale. E il lungo tempo della prova condurrà lui, non credente, alla conversione. Quattro giorni dopo la morte del figlio, Alfredo scrive a sua madre, Giuseppina Frassati, una lettera colma di strazio, un tormento che perdurerà ancora 36 anni, fino alla morte: «Avevo troppo nel mondo: fino a 57 anni ho avuto tutto. Ora sono il più povero dei poveri. Mendico nel mondo, nessuno può darmi anche la minima parte di quello che mi fu tolto». contributi culturali un’opera d’arte Il ritorno del figlio prodigo di Rembrandt Dipinto a olio su tela (262x206 cm), databile al 1668 e conservato nel Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, è una delle raffigurazioni più potenti e celebri della parabola di Lc 15. La luce, le scelte dei vestiti, le posture dei personaggi, gli occhi e le mani del Padre... tutto è codice di benedizione e di vita nuova, nella forza del perdono. Adorazione dei pastori di Gherardo Delle Notti Secondo lo stile caravaggesco del chiaroscuro, l’opera concentra il fulgore della meraviglia a partire da Gesù appena nato, mentre i pastori, Maria e Giuseppe contemplano l’accaduto. L’opera è datata 1622 ed è conservata nel Wallraf-Richartz Museum di Colonia. un libro A. D’Avenia, Quel che inferno non è, Milano 2014 Tre i protagonisti dell’ultima opera di D’Avenia: don Pino Puglisi, lo studente Federico e l’Inferno, che mescolano la loro rispettiva biografia tra le strada infuocate del quartiere Brancaccio di Palermo. S. GIVONE – R. BODEI, Beati i miti, perché avranno in eredità la terra, Torino 2013 un film L’Avvocato del Diavolo Regia di Taylor Hackford, con Al Pacino e Kevin Lomax, USA 1997 La drammatica vicenda di un avvocato di successo che vende l’anima al diavolo e si vede distruggere l’esistenza nelle sue dimensioni più sacre e profonde. Straordinario Al Pacino nella parte di Milton, sotto le cui sembianze si nasconde il Demonio. un luogo Visita ad una comunità residenziale (di recupero o di accoglienza). Possibile tema della visita: il potere del servizio nell’esperienza concreta di una o più storie; un nuovo inizio e una nuova fiducia. testimonianze che riscrivono le Batitudini Trasmissione “Beati voi” su Sat2000 http://www.tv2000.it/beativoi/video/3-puntata-beati-i-miti-perche-erediteranno-la-terra • Intervento della scrittrice Susanna Tamaro - min 6 • Testimonianze di Marzia Caciopoli e don Maurizio Patriciello, dalla Terra dei fuochi – min 40 passi operativi Domande da suscitare È scontato che “potere” sia una qualità dell’umano, della vita. Ma quale potere è davvero generativo? Tutto è possibile, legittimo? Possibili modalità • Incontro con un testimone di una vicenda di perdono o di cambiamento di vita. • Tavola rotonda su esperienze di servizio nella comunità: amministrazione, società civile, volontariato… • Incontro biblico: lectio dell’inno cristologico di Filippesi 2 (al centro l’annuncio cristiano della kenosi). • Incontro artistico-culturale a commento di alcune opere d’arte che esprimono il tema della beatitudine. • Incontro parrocchiale o interparrocchiale alla scoperta delle azioni di “cura” presenti sul territorio. Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista le due opere d’arte indicate, aprire l’incontro con alcuni accenni letterari (preparati da uno o più lettori), suscitare alcune domande per il dibattito, introdurre la biografia di P. Frassati e consegnarla per la lettura personale, suggerire qualche lettura. 3 Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio Gli affetti TEMPO ORDINARIO Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama felici quanti liberano la propria interiorità dalle scorie del possesso egoista. Questa è per Gesù la via per poter guardare in faccia Dio: rendere puri gli affetti perché nessuna creatura sia schiava. Considerare pure le cose, ovvero destinatarie non di atti di rapina e violenza, bensì di dono, è il cuore della castità. Non si tratta di mera astensione né di arcigno moralismo, ma di un orientamento fondamentale dell’essere: rispetto alle cose, alle persone, alla corporeità. Ci lasciamo provocare a proposito dalle parole di papa Francesco: Io non vorrei fare il moralista ma vorrei dire una parola che non piace, una parola impopolare. Anche il Papa alcune volte deve rischiare sulle cose per dire la verità. L’amore è nelle opere, nel comunicare, ma l’amore è molto rispettoso delle persone, non usa le persone e cioè l’amore è casto. E a voi giovani in questo mondo, in questo mondo edonista, in questo mondo dove soltanto ha pubblicità il piacere, passarsela bene, fare la bella vita, io vi dico: siate casti, siate casti. Tutti noi nella vita siamo passati per momenti in cui questa virtù è molto difficile, ma è proprio la via di un amore genuino, di un amore che sa dare la vita, che non cerca di usare l’altro per il proprio piacere. è un amore che considera sacra la vita dell’altra persona: io ti rispetto, io non voglio usarti, io non voglio usarti. Non è facile. Tutti sappiamo le difficoltà per superare questa concezione “facilista” ed edonista dell’amore. Perdonatemi se dico una cosa che voi non vi aspettavate, ma vi chiedo: fate lo sforzo di vivere l’amore castamente. E da questo ricaviamo una conseguenza: se l’amore è rispettoso, se l’amore è nelle opere, se l’amore è nel comunicare, l’amore si sacrifica per gli altri. Guardate l’amore dei genitori, di tante mamme, di tanti papà che al mattino arrivano al lavoro stanchi perché non hanno dormito bene per curare il proprio figlio ammalato, questo è amore! Questo è rispetto. Questo non è passarsela bene. Questo è - andiamo su un’altra parola chiave – questo è “servizio”. L’amore è servizio. è servire gli altri. (Intervento di papa Francesco a Turin for Young, 21 giugno 2015). La purezza di cuore ha quindi a che fare con la castità e ne costituisce lo “sguardo operativo e propositivo” che riguarda la percezione di sé, degli altri e delle cose della vita. Uno sguardo puro riguarderà così anche il mondo della professione e delle relazioni, assomigliando molto alla giustizia e alla carità; riguarderà anche la percezione del tempo, assomigliando alla gratuità. la scrittura si legge con la scrittura Le affermazioni di Gesù sulle compromissioni affettive sono gravi e forti: basti pensare alla polemica contro il ripudio e l’adulterio del cuore di Mt 5,27; altrettanto lo sono i gesti di liberazione che Cristo compie, come nel caso della sventata lapidazione ai danni della donna adultera (Gv 8). volti beati nella storia Una coppia che ha saputo generare Luigi Beltrame era nato a Catania il 12 gennaio 1880; a Roma studia Giurisprudenza. Qui conosce Maria Luisa Corsini. Una ragazza piena di doti: colta, sensibile e raffinata, amante della letteratura e della musica, a vent’anni aveva già pubblicato un saggio su Dante Gabriele Rossetti e i preraffaelliti. Le nozze vengono celebrate nella Basilica di S. Maria Maggiore il 25 novembre 1905. L’anno seguente nasce il primo figlio, Filippo, seguito da Stefania (nel 1908), Cesare (1909) ed Enrichetta (1914). Entrambi avevano a cuore i problemi della società e della nazione: animatori dei gruppi del Movimento di Rinascita Cristiana, avevano aderito anche al Movimento “Per un mondo migliore” di P. Lombardi. Luigi fu amico di Don Sturzo e di Alcide De Gasperi; senza mai prendere una tessera di partito, esercitò l’apostolato nella testimonianza cristiana offerta nel proprio ambiente di lavoro, nella profonda bontà che ebbe nel trattare con tutti, soprattutto i “lontani”, nella sollecitudine costante verso i bisognosi che bussavano quotidianamente alla loro porta di casa, in Via Depretis, sul colle Viminale. Lei, infermiera volontaria della Croce Rossa, durante le due guerre si prodigò per i soldati feriti; catechista attivissima per le donne del popolo nella parrocchia di S. Vitale, organizzò i corsi per fidanzati, autentica novità pastorale per quei tempi, quando il matrimonio veniva considerato come qualcosa di scontato, che non esigeva approfondimento nè preparazione. Maria svolse anche un’intensa opera di apostolato con la penna: appoggiò la nascita dell’Università Cattolica del S. Cuore, accanto a P. Agostino Gemelli e Armida Barelli. Non è certo possibile riassumere in poche righe la straordinaria vicenda umana e spirituale dei coniugi Beltrame Quattrocchi. La loro esistenza di sposi fu un cammino di santità, un andare verso Dio attraverso l’amore del coniuge. Mezzo secolo di vita insieme, senza mai un attimo di noia, di stanchezza, ma conservando sempre il sapore continuo della novità. Il loro segreto? La preghiera. Nel 1917 divennero terziari francescani e nel corso della loro vita non mancarono mai di accompagnare gli ammalati, secondo le loro possibilità, a Loreto e a Lourdes col treno dell’UNITALSI, lui come barelliere, lei come infermiera e dama di compagnia. Il loro esempio, la loro profonda vita di fede, la pratica quotidiana del pregare in famiglia ebbero di certo i propri effetti sui figli, che si sentirono tutti e quattro chiamati dal Signore alla vita consacrata. Non senza ragione, perché “la famiglia che è aperta ai valori trascendenti, che serve i fratelli nella gioia, che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio”, come giustamente ha sostenuto il Giovanni Paolo II nell’Esortazione Familiaris Consortio (n. 53). Nel progetto di Dio il matrimonio è vocazione alla santità e offre tutti i mezzi per raggiungerla. contributi culturali un’opera d’arte Adamo ed Eva e la tentazione L’affresco di Michelangelo risale al 1510 ca. e fa parte dell’imponente ciclo pittorico della Sistina. La plasticità dei corpi dei progenitori (raffigurati oltre ogni moralismo nella bellezza del canone classico) si riflette nella scena che narra, come in un continuo, la tentazione, la caduta e la cacciata. un libro M. TWAIN, Il diario di Adamo ed Eva, Viterbo 2000 Il celebre romanziere dedica una avvincente e fiabesca ricostruzione diaristica alla coppia dei progenitori, “tipo” del maschile e del femminile, sino agli ultimi istanti di vita. Un linguaggio accattivante ed insolitamente concreto per recuperare l’origine e la struttura degli affetti fondamentali. S. MANNUZZU – G. FOFI, Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio, Torino 2012 CONSULTORIO UCIPEM-FOCR, That’s Amore, 2 Voll., Cremona 2013 Nei due contributi pubblicati in sinergia negli ultimi anni sono raccolti approfondimenti di riflessione e spunti operativi sul tema dell’affettività, come sintesi di diversi percorsi offerti agli Oratori della diocesi. unfilm Match Point Regia di Woody Allen, con Jonathan Rhys-Meyers, USA 2006 Il maestro di tennis Chris si trova fortuitamente inserito nella high society londinese e si riscopre protagonista di una serie di sotterfugi ed equilibrismi affettivi, come la palla da tennis che per un soffio può cadere dal net dalla parte giusta. Ma la sua vita tragica, sospesa tra finzioni affettive e tradimenti, non potrà conservarsi per sempre. un luogo Visita ad una famiglia. Possibile tema della visita: la narrazione di un’esperienza di generatività, oggi. testimonianze che riscrivono le Batitudini Trasmissione “Beati voi” su Sat2000 http://www.tv2000.it/beativoi/video/6-puntata-beati-i-puri-di-cuore • Marco Palano, operatore Unità di strada di ascolto delle prostitute – Roma – min 41 • Senatore Puglia, sulla trasparenza della politica – min 1:30 passi operativi Domande da suscitare Quali pensieri e idee sono in circolazione sugli affetti, la sessualità e sull’amore? Quale dimensione dell’amore si vorrebbe vivere con maggiore libertà? Ci si accorge della equiparazione tra amore e sue versioni edonistiche, disimpegnate, prive di futuro? Quali desideri e sogni è possibile coltivare oggi sugli affetti? E sulla loro stabilità? Possibili modalità • Incontro con un ospite sugli aspetti culturali e psicologici degli affetti, oggi. • Incontri su tematiche specifiche legate all’affettività e alla sessualità. • Incontro sulla generatività e sulla scommessa della famiglia oggi. • Incontro-testimonianza sulla corporeità e il suo valore (il corpo nell’arte, nella danza…). • Recuperare alcune declinazioni della Beatitudine in “Beati voi” di Sat2000 Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista l’opera d’arte suggerita, aprire l’incontro con alcuni accenni letterari o giornalistici (preparati da uno o più lettori), suscitare alcune domande per il dibattito, suggerire qualche lettura. 4 Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio La pace TEMPO ORDINARIO Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama felici quanti costruiscono percorsi di pace e rifiutano la violenza come logica di risoluzione dei conflitti. Secondo Gesù chi opera la pace, possiede una parentela stretta con Dio, ne diventa addirittura figlio. Nella visione biblica la pace è dono del Signore e si configura come shalom, equilibrio, armonia, altra cosa rispetto alla assenza provvisoria di conflitto o al fatale armamento considerato strategico rispetto alla pace. Shalom ha a che fare con il posto rispettato di tutti e con il riconoscimento di un processo, di una costruzione. La pace evangelica non esiste come valore in sé, ma si dà come scelta, stile e processo. Nella Beatitudine si intuisce una connessione strettissima tra l’operare la pace e l’essere generati da Dio: due facce della stessa shalom. E come si è figli e si diventa contemporaneamente tali, così si è chiamati alla pace e ci si compromette per la sua costruzione. la scrittura si legge con la scrittura Le affermazioni di Gesù sulle compromissioni affettive sono gravi e forti: basti pensare alla polemica contro il ripudio e l’adulterio del cuore di Mt 5,27; altrettanto lo sono i gesti di liberazione che Cristo compie, come nel caso della sventata lapidazione ai danni della donna adultera (Gv 8). volti beati nella storia Lo stile e le scelte: Salvo D’Acquisto Di carattere mite e silenzioso era attaccatissimo ai suoi ed amava la disciplina ed il lavoro. Maturò la sua personalità dentro un percorso di fede e dal 1939 prestò servizio nell’Arma dei Carabinieri. Le sue doti di bontà ed il senso cristiano della vita risplendono nell’atto eroico di Palidoro (Roma), allorché, Vice-Comandante della locale stazione dell’Arma, si offrì come vittima innocente per salvare la vita a 22 ostaggi che stavano per essere fucilati. Salvo D’Acquisto nacque a Napoli il 7 ottobre 1920. Nel 1939 si arruolò nell’Arma dei Carabinieri, segnalandosi per le sue qualità. Pur vivendo in un’epoca alquanto difficile era caratterizzato da ottimismo e gioia di vivere. Aspirava a formarsi una famiglia. Di lui si conservano ancora le bellissime lettere scritte alla sua fidanzata. Le sue doti di bontà ed il senso cristiano della vita risplendono nell’atto eroico di Palidoro (Roma), allorché, Vice-Comandante della locale stazione dell’Arma, si offrì come vittima innocente per salvare la vita a 22 ostaggi che stavano per essere fucilati. Dopo l’8 settembre del 1943, un reparto di SS si era installato in una caserma abbandonata della Guardia di Finanza sita nella Torre di Palidoro, presso la località di Torrimpietra. In tale caserma, la sera del 22 settembre, alcuni soldati tedeschi, rovi- stando in una cassa, provocarono lo scoppio di una bomba a mano: uno dei militari rimase ucciso e altri due furono gravemente feriti. L’episodio, del tutto fortuito, fu attribuito dai tedeschi ad un attentato dei partigiani. La mattina dopo, il comandante del reparto tedesco, recatosi nella Stazione di Torrimpietra per cercare il comandante della locale stazione dei Carabinieri, vi trovò il vice brigadiere D’Acquisto, al quale ordinò di individuare i responsabili dell’accaduto. Il giovane sottufficiale tentò senza alcun risultato di convincerlo che si era trattato solo di un tragico incidente. L’ufficiale tedesco fu irremovibile e promise una rappresaglia esemplare. Poco dopo, Torrimpietra fu circondata e 22 cittadini innocenti furono rastrellati, caricati su un camion e trasportati presso la Torre di Palidoro. Il vice brigadiere Salvo D’Acquisto, resosi conto che stava per accadere l’irreparabile, affrontò una seconda volta il comandante delle SS, nel tentativo di ricondurlo ad una valutazione oggettiva dell’accaduto. La risposta fu: “Trovate i colpevoli”! Alle rimostranze del giovane sottufficiale, l’ufficiale nazista reagì in modo spietato. Gli ostaggi furono costretti a scavarsi una fossa comune, alcuni con le pale, altri a mani nude. Visto questo gesto Salvo D’Acquisto si autoaccusò come responsabile dell’attentato e chiese che gli ostaggi fossero liberati. Subito dopo la liberazione degli ostaggi, il vice brigadiere venne freddato da una scarica del plotone d’esecuzione nazista. Contributi culturali un’opera d’arte Angelus Novus “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è cosi forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”. W. Benjamin, Angelus novus, 1962, pp. 76-77 un libro P. COSTA, La lista del console. Ruanda: cento giorni un milione di morti, Milano 2004. La straordinaria vicenda del console onorario in Ruanda Costa nell’inferno dello scontro tra Uti e Tuzi e la sua risposta: rischiare la vita per salvare il maggior numero di persone, di entrambe le etnie. A. RICCARDI – F. CASSANO, Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio, Torino 2013 un film Alla luce del sole Regia di R. Faenza, con Luca Zingaretti, Italia 2005. La pellicola – non senza alcuni adattamenti – narra la vicenda di Pino Puglisi, impegnato nel quartiere Brancaccio di Palermo come sacerdote e testimone della verità e della legalità, eliminato da una spedizione mafiosa. un video musicale Civil War, Guns’n Roses, Usa 1993 This is War, Thirty second to Mars, Usa 2009 un luogo Sermig di Torino Il “Servizio Missionario Giovani” è nato nel 1964 da un’intuizione di Ernesto Olivero e da un sogno condiviso con molti: sconfiggere la fame con opere di giustizia e di sviluppo, vivere la solidarietà verso i più poveri e dare una speciale attenzione ai giovani cercando insieme a loro le vie della pace. Dai “Sì” di giovani, coppie di sposi e famiglie, monaci e monache è nata la Fraternità della Speranza, per essere vicini all’uomo del nostro tempo e aiutarlo a incontrare Dio. www.sermig.org Comunità di S. Egidio di Roma Nasce a Roma nel 1968, all’indomani del Concilio Vaticano II. Oggi è un movimento di laici impegnato nella comunicazione del Vangelo e nella carità a Roma, in Italia e in più di 70 paesi dei diversi continenti. è riconosciuta dal Pontifico Consiglio per il Laici come “Associazione pubblica di laici della Chiesa”. è articolata in comunità sparse nel mondo, che condividono la stessa spiritualità e i fondamenti che caratterizzano il cammino di Sant’Egidio: La preghiera, che accompagna la vita di tutte le comunità a Roma e nel mondo e ne costituisce un elemento essenziale. La preghiera è il centro e il luogo primario dell’orientamento complessivo della vita comunitaria. La comunicazione del Vangelo, cuore della vita della Comunità, che si estende a tutti coloro che cercano e chiedono un senso nella vita. La solidarietà con i poveri, vissuta come servizio volontario e gratuito. L’ecumenismo, vissuto come amicizia, preghiera e ricerca dell’unità tra i cristiani del mondo intero. Il dialogo, indicato dal Vaticano II come via della pace e della collaborazione tra le religioni, ma anche come modo di vita e come metodo per la riconciliazione nei conflitti. www.santegidio.org testimonianze che riscrivono le Batitudini Trasmissione “Beati voi” su Sat2000 http://www.tv2000.it/beativoi/video/7-puntata-beati-gli-operatori-di-pace • Testimonianza di Mario Boccia, fotografo di guerra – min 9 • Intervento di Monica Confraffatto, caporale dell’Esercito Italiano reduce dall’Afganistan - min 19 • Testimonianza di Abba Mussie Zerai, sacerdote che si occupa in Svizzera della pastorale agli Eritrei, sulla fuga in massa dalla dittatura eritrea – min 33 • Intervento di Corrado Formigli di “Piazza Pulita”, inviato tra Turchia e Siria, e Adib Fatè Alì, curdo di Bagdad, giornalista – min 1:00 • Le voci di un gruppo di donne ucraine – min 1: 17 passi operativi Domande da suscitare La storia è quasi inevitabilmente narrata e costruita sui conflitti e sulla vittoria di poteri forti. Può esistere un altro modo di leggere la storia? La pace quali conversioni e stili richiede? È questione solo “alta” o riguarda anche le comunità più locali, le cerchie più quotidiane? Quali informazioni abbiamo sugli “operatori di pace” oggi? Possibili modalità • Incontro con chi ha vissuto esperienze di conflitto e può testimoniare la costruzione della pace (volontari, militari, giornalisti, operatori umanitari…). • Incontro con alcuni rappresentanti di culture e tradizioni sul territorio. • Attività di recensione della stampa e dei social sui conflitti in corso e sulle narrazioni di pace. • Recuperare alcune declinazioni della Beatitudine in “Beati voi” di Sat2000. Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista l’opera d’arte suggerita, aprire l’incontro con alcuni accenni letterari o giornalistici (preparati da uno o più lettori), suscitare alcune domande per il dibattito, suggerire qualche lettura. Avvento e natale 5 Beati quelli che hanno 6 fame e sete della giustizia, Beati gli afflitti, perché saranno consolati perché saranno saziati 7 Beati i perseguitati per la giustizia, perché saranno saziati Il dolore Il bene I pregiudizi Come in pieno Giorno BEATI NOI! Sfide giovani per la vita 5 Beati gli afflitti, perché saranno consolati Il dolore AVVENTO-NATALE Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama felici coloro che vivono la contrarietà del dolore, il grande mistero antagonista. Viene promessa la consolazione: viene offerto di credere nel futuro. L’afflizione è l’essere nel pianto perché colpiti e privati. Con ogni probabilità questa beatitudine è la più “universale”: narra della condizione in cui ogni uomo si trova e rimanda l’interrogazione angosciata della creatura rispetto al limite della vita. La nascita e lo sviluppo della teodicea – la riflessione sulla conciliabilità razionale tra Dio, sua giustizia e male – affonda la radici in intuizioni molto antiche, trova un respiro esplicito in età moderna, resta tuttora una questione “aperta”. Anche il cristianesimo non offre – ricorda Balthasar – una soluzione teorica al male, soprattutto se visto dal versante dell’innocenza. Nel mistero della croce intravvede l’ingresso “in Dio” anche della sofferenza: una assunzione scandalosa che si coniuga con la promessa della Beatitudine, quella della consolazione nel futuro di Dio. la scrittura si legge con la scrittura Il drammatico libro di Giobbe si erge come spartiacque nella grande narrazione biblica rispetto ad approcci più tradizionali. Il grido del giusto che soffre resta alto, rasenta la rottura, si riconcilia solo nella faticosa accettazione dell’alleanza nelle mani di Dio. La tradizione sapienziale immaginava un senso educativo della sofferenza, mentre Genesi nella grande eziologia delle origini incastona il male nel mistero della libertà umana. Nel Nuovo Testamento il dolore è sganciato dalla mera punizione ed assunto nell’orizzonte del destino di dono del Figlio (Mc 8 e i racconti della Passione). volti beati nella storia Chiara Badano e la Luce della consolazione (Savona, 29 ottobre 1971 – Sassello, Savona, 7 ottobre 1990) Terminate le medie a Sassello si trasferisce a Savona dove frequenta il liceo classico. A sedici anni, durante una partita a tennis, avverte i primi lancinanti dolori ad una spalla: callo osseo la prima diagnosi, osteosarcoma dopo analisi più approfondite: Affetta dunque da un tumore osseo di quarto grado, il più grave. Ha 17 anni. Inutili interventi alla spina dorsale, chemioterapia, spasmi, paralisi alle gambe. Rifiuta la morfina che le toglierebbe lucidità. Alcuni medici, non praticanti, riscoprono le domande della fede. La sua cameretta, in ospedale prima e a casa poi, diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di apostolato: “L’importante è fare la volontà di Dio... è stare al suo gioco... Un altro mondo mi attende... Mi sento avvolta in uno splendido disegno che, a poco a poco, mi si svela... Mi piaceva tanto andare in bicicletta e Dio mi ha tolto le gambe, ma mi ha dato le ali...” Chiara Lubich, che la seguirà da vicino, durante tutta la malattia, in un’affettuosa lettera le pone il soprannome di ‘Luce’. Negli ultimi giorni, Chiara non riesce quasi più a parlare, ma vuole prepararsi all’incontro con ‘lo Sposo’ e si sceglie l’abito bianco, molto semplice, con una fascia rosa. Lo fa indossare alla sua migliore amica per vedere come le starà. Spiega anche alla mamma come dovrà essere pettinata e con quali fiori dovrà essere addobbata la chiesa; suggerisce i canti e le letture della Messa. Vuole che il rito sia una festa. Le ultime sue parole: “Mamma sii felice, perché io lo sono. Ciao!”. Muore all’alba del 7 ottobre 1990. è “venerabile” dal 3 luglio 2008. è stata beatificata il 25 settembre 2010 presso il Santuario del Divino Amore in Roma. Contributi culturali un’opera d’arte Il buon samaritano In questo olio su tela del 1890 Van Gogh traspone la tappa centrale della parabola lucana: il cielo plumbeo, il dinamismo continuo, il volto del samaritano molto somigliante a quello del pittore che da poco si era ripreso da una malattia e tentava di sfuggire al male oscuro della depressione. un libro L. SCARAFFIA – E. AFFINATI, Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati, Torino 2012. H. U. VON BALTHASAR, Dio e la sofferenza, Roma 2010. F. DOSTOEWSKIJ, I fratelli Karamazov, Roma 2015 (originale russo completato nel 1880). In particolare il dialogo sul senso della sofferenza tra i fratelli Ivan e Aliosa merita di essere riletto come provocazione e rimando al dilemma che l’uomo avverte davanti alla contraddizione del male. un film Lo scafandro e la farfalla Regia di Julian Schnabel, Francia 2007. La vicenda di un giornalista libertino che si ritrova paralizzato e condannato a comunicare con l’esterno con l’uso del solo movimento dell’occhio. Scafandro del palombaro e libera farfalla sono le metafore drammatiche di un pensiero che vuole liberarsi dalla prigionia di un corpo diventato carcere. un video musicale Lettera dall’inferno, di Emis Killa un luogo Casa Famiglia presso le Suore Adoratrici a Rivolta. Emanazione dell’Istituto Suore Adoratrici, accoglie disabili gravi e gravissimi, con menomazioni fisiche, psicofisiche e sensoriali, privilegiando nell’accoglienza le persone a più alto rischio di “abbandono”, di “emarginazione sociale ed emergenze familiari”. www.casafamigliaspinelli.it testimonianze che riscrivono le Batitudini Trasmissione “Beati voi” su Sat2000 http://www.tv2000.it/beativoi/video/2-puntata-beati-gli-afflitti-perche-saranno-consolati • Testimonianza del dott. Mario Melazzini, dottore che è rimasto paralizzato, e don Fabio Lorenzetti, direttore del centro riabilitazione don Guanella – min 56 • Testimonianza di Brando Pacitto, il Vale di “Braccialetti Rossi” – min 1:09 passi operativi Domande da suscitare Quali sono le reazioni davanti al dolore e al male? Prevale la fuga, il rifiuto? È vero che il mondo giovanile è come anestetizzato al tema? Che impatto ha il male sulla fede? A cosa la costringe? Possibili modalità • Incontro con chi ha vissuto un’esperienza di dolore. • Lectio di alcuni brani dal libro di Giobbe e recupero della vicenda del libro • Ascolto e commento di Lettera dall’inferno di E. Killa • Incontro-testimonianza con operatori della sanità e della carità: racconti della loro prossimità. • Interfaccia con le proposte e la formazione dell’Ufficio per la Pastorale della Salute. • proposta dell’iniziativa FOCr “Soul is young”: i giovani che raccontano, con il genere loro più consono, l’esperienza del dolore. Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista l’opera d’arte suggerita, aprire l’incontro con alcuni accenni letterari o giornalistici (preparati da uno o più lettori), suscitare alcune domande per il dibattito, suggerire qualche lettura. 6 Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati Il bene AVVENTO-NATALE Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama felici quanti desiderano la giustizia o perché ne sono privati o perché la servono. Gesù chiede di perseguire il bene, averne fame e sete, guardando al suo compimento e non solo alle sue limitazioni. Esistono infatti diverse tipologie di “giustizia” che lo sviluppo del diritto e delle scienze sociali ha posto in evidenza. Il Vangelo insiste sulla qualità umana della giustizia, più che sul suo tenore materiale: è una dimensione che genera bisogno, fame e sete e che attende sazietà. La giustizia è così un “bisogno primario” come il nutrirsi per sopravvivere. L’alternativa è “fare la fame”, “soffrire la sete”. La giustizia tende al bene, quest’ultimo ne è il contenuto, l’obiettivo: non solo un “po’ per uno”, ma la misura della verità e della bontà. Il paradosso della beatitudine spinge alla ricerca del bene e della giustizia, quasi in valore assoluto, a dimostrazione del fatto che non ci si può fermare alla “mia” o alla “nostra giustizia”, ma si è richiamati ad uno sguardo d’insieme, capace di soffrire il tutto. È questa la base per entrare in delicate questioni quali l’economia, i diritti e i doveri, l’ecologia. La spiritualità dell’Avvento accoglie con forza il tema della giustizia, proprio perché espressione pedagogica dell’escatologia cristiana: i profeti che si allenano all’attesa del Giorno del Signore sono coloro che insistono sul fermento da giocare nell’oggi, perché l’uomo credente non viva scisso. Questa tensione diverrà il “preparate la strada del Signore” posta sulla bocca e nelle intenzioni del Battista e sarà come il filo conduttore delle figure di giustizia che costellano l’avvento storico del Signore. Ragionare sulla giustizia, soffrirne i contorni spesso sbiaditi, desiderarne il compimento e scegliere passi concreti di stili di vita è Avvento, è servizio al Regno. la scrittura si legge con la scrittura La denuncia dei Profeti sui temi della giustizia e la sollecitazione a convertirsi al vero bene, quello non parziale, attraversano tutta la Scrittura. Basti ricordare le pagine di denuncia di Isaia (Is 1-2 ad es., ma anche la voce di Elia IN 1-2Re, la vicenda umana di Geremia, lo stile di Osea e del Battista). volti beati nella storia Grazia Genga: non quanto si vive, ma come si vive! Una ragazzina pugliese immigrata a Torino. Taciturna, sottile. I lisci capelli castani incorniciano un volto straordinariamente espressivo. Ha quasi 16 anni. Tra gli scioperi scolastici, l’intasamento delle macchine di via Nizza, le discussioni condotte con il linguaggio scanzonato dei giovanissimi, sente nascere dentro un affetto tenero e prepotente per Elio, 16 anni anche lui. Lo annota nel diario. «Ieri sera è venuta a trovarmi Maria Rosa con un ragaz- zo, boia cane, bello. Ha soltanto sedici anni, ma sembra un uomo fatto. Si chiama Elio». Alcuni giorni dopo continua: «È un ragazzo che mi ha stupito in ogni senso. Ieri sono uscita con lui e company. Ho avuto la conferma che Elio si è imbarcato di me, e anch’io me ne sono imbarcata. Si potrebbe stare bene assieme. Ma io ho paura». Qualche settimana dopo: «Domenica, ore boh! Il mio primo bacio d’amore. Ehi, sono all’undicesimo cielo!». Grazia è nata nel novembre 1958 a Stratte, in provincia di Taranto. Papà e mamma vengono a Torino quando Grazia ha appena 10 anni. Prendono alloggio in un vecchio caseggiato con ringhiera nei pressi della stazione ferroviaria di Porta Nuova. Papà lavora come operaio, mamma fa la casalinga. Accanto a Grazia crescono tre fratelli, nell’alloggio stretto, pieno di letti e di nervosismo. Per la ragazzina l’impatto con la città è duro. Il lungo inverno getta nelle strade di Torino nebbie dense, nevai grigi, piogge tristi. Quattro anni di scontro silenzioso con questa distesa disumana di case, con i tappeti di automobili che lastricano le vie. Intanto ha scoperto un gruppo di ragazzi e ragazze, nella parrocchia del Sacro Cuore: il gruppo si chiama «Camminiamo insieme». Una ventina di ragazzi che, insieme a un pretino pallido, cercano di « camminare insieme alla ricerca dell’amore», di «vivere il Vangelo» nel quartiere nero della stazione dove ogni mattina il diretto da Siracusa sbarca famiglie di meridionali con figli e scatole di cartone, e il racket della mano d’opera dirige il «mercato delle braccia giovani». Grazia è una ragazza moderna, viva. Ama la musica e le canzoni «scatenate», fa tifo per il Cagliari, fa pallacanestro e pattinaggio artistico, vorrebbe esercitarsi in atletica leggera. Legge romanzi di avventure e fumetti che la fanno «evadere». Sulle pagine di un grosso quaderno, che battezza con nome buffo Pallino, Grazia comincia a scrivere il suo diario. Registra le piccole cose di tutti i giorni, i pensieri segreti, le emozioni. Parla con Pallino dei battibecchi con la mamma, degli incontri allegri con gli amici, degli avvenimenti gravi che scoppiano nella città ammalata di violenza. 27 mesi sfilano sereni e nervosi, punteggiati dalle parole limpide che rivolge direttamente a Dio, gonfi dell’amore che Grazia sente crescere in sé non solo per Elio ma per tutte le persone che le stanno attorno: «Incomincio ad amare tutti. Voglio amare, ho bisogno di amare». Papà si logora in fabbrica. Mamma fa i salti mortali per far bastare le lire. Il denaro è una parola che batte e ribatte sulla vita di tutti. Grazia scrive: «Ho appena finito di leggere un brano del Vangelo: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il vostro Padre celeste li nutre”. Mi è balzato alla mente il fatto che tutti lottiamo per il denaro. A volte mi domando che cos’è questo denaro e a che cosa serve oltre che a dividerci in classi. Io sono dell’idea che il denaro non dovrebbe esistere: tutti dovremmo esercitare onestamente un mestiere, lavorando e sacrificandoci gli uni per gli altri: ogni mestiere la possibilità di un servizio. Sarebbe fantastico vivere come gli uccelli, sotto lo sguardo di Dio!». I poveri. Una realtà che in quest’anno entrano violentemente nella vita di Grazia, e la fanno pensare, maturare, diventare esigente. « Sono andata a trovare la signora C, una vecchia di ottantanni, ammalata. Mi è venuto un colpo: non c’è. Veniamo a sapere che è ricoverata... L’anziano è un essere umano come noi. Perché deve essere considerato un reietto? Ma con i tempi che corrono, ognuno pensa ai “cavoli propri”. C’è molto egoismo. Finisce il 1973. L’anno nuovo, l’ultimo anno intero nella vita di Grazia, sarà dominato da due elementi che calamitano i suoi pensieri: l’amore e la morte. Grazia si trova all’improvviso con il cuore tenero per un ragazzo, Salvatore. Nella seconda parte dell’anno scolastico sente un fastidioso nodulo alla spalla. Non passa. A volte la fa soffrire. Non lo sa, ma è il primo annuncio del «sarcoma» che porrà drammaticamente fine alla sua vita. Finisce l’anno scolastico. Il fastidio alla spalla c’è sempre. A volte la fa piangere di dolore, a volte si assopisce. Le visite mediche non concludono nulla. Nelle brevi vacanze di Val Varaita accarezza un sogno grande per la sua vita: « Ho pensato al mio paese, a Stratte, vicino a Taranto, alla mia gente, ai giovani soprattutto: mi sacrificherei tutta la vita per loro, in questo momento. Vorrei fare qualcosa: andare giù, creare un gruppo, operare...».Mentre l’amore e il male oscuro crescono in lei, Grazia vede con tristezza la violenza che si scatena, la vita che si fa più cattiva, disumana. «Anche la voglia di ridere va perdendosi. Dappertutto nient’altro che facce cupe». « Strage a Brescia. È pazzesco come aumenta la delinquenza nel nostro paese. Ma che gusto ci trovano nell’uccidere la gente? Non si può vivere così, è assurdo! Dovremmo essere soprattutto noi cristiani a lottare per la pace, la giustizia, la libertà del mondo, e invece ci limitiamo a fare da spettatori, a esclamare: Come mi dispiace! Poverino! Che macello!». Notte sul 17 marzo 1975. Grazia sussurra alla mamma che la veglia: «Vorrei parlare con padre Luca. Lo so che è notte, ma ti prego, mamma, chiamalo». Padre Luca ricorda: «Il confratello che mi comunicò la telefonata mi disse: “Se fossi in te non andrei. Sai come sono i malati. Ci andrai domani”. Mi ributtai sul letto, ma dopo pochi minuti mi misi in strada, e raggiunsi l’ospedale come potei. Erano passate le 3. Sapevo che Grazia era grave, ma non immaginavo che fosse alla fine. Quando mi vede, fa: “Ah, ce ne hai messo del tempo. Ti aspettavo. Ho bisogno di te. Sai, devo cambiare casa. Vado a casa mia. Mi capisci, vero?”. Ho risposto di sì, che capivo. E ho ascoltato quella che avrebbe dovuto essere l’ultima confessione di Grazia, e che è stata un’ultima dichiarazione di amore per Gesù, accompagnata dal rammarico di non potere fare di più per Lui. E dopo qualche istante... ». Nel diario di Grazia sono rimaste tre pagine bianche. Pochi giorni prima aveva scritto: «Sono convinta che non conta quanto si vive, ma come si vive». Contributi culturali un’opera d’arte La giustizia Dopo anni di attribuzione alla bottega, la critica si riorienta a riferire a Giotto l’affresco monocromo sulla Giustizia, databile al 1306 e facente parte della Cappella degli Scrovegni a Padova. Giustizia regge nelle mani i due piatti di una bilancia in cui si trovano a destra un angelo con la spada sguainata in atto di colpire un malfattore e a sinistra un altro angelo che incorona invece un saggio (quasi illeggibile). un libro FRANCESCO, Laudato si’, Roma 2015 L’ultima enciclica che il papa indirizza a tutto il mondo sulla condizione e le prospettive della “casa comune” che è il pianeta, esposto alla violenza di tante ingiustizie e grettezze. Utile anche il commento di Autori vari Curare madre terra, Bologna 2015. ASS. LIBERA, Cento passi verso un’altra Italia, Milano 2015 Aperto da un dialogo con don Ciotti, il testo ripercorre il tormentato rapporto tra Italia e Mafia, anche in zone ritenute tradizionalmente lontane dalle infiltrazioni malavitose, per indicare percorsi di convivenza e responsabilità civile. G. PEREGO, Uomini e donne come noi, Milano 2015 Don Giancarlo ripercorre la situazione odierna circa il problema della migrazione, connettendolo alle due grandi interfacce: la paura e la cultura della solidarietà. CARITAS-MIGRANTES, XXIV Rapporto Immigrazione “Migranti, attori di sviluppo”, Milano 2015 un film Hotel Rwanda Regia di Terry George, USA 2004. Basato su di una vicenda drammaticamente vera, il film si svolge nel contesto del genocidio ruandese nel quale gli Hutu sterminarono brutalmente una parte rilevante della popolazione Tutsi. L’Hôtel des Mille Collines di Kigali, capitale del Ruanda, fu trasformato dal direttore Paul Rusesabagina in un luogo di rifugio per oltre 1 200 Tutsi e Hutu. un luogo Montesole-Marzabotto (BO), oggi parco che conserva la memoria dell’eccidio nazifascista del 1944. www.parcostoricomontesole.it testimonianze che riscrivono le Batitudini Trasmissione “Beati voi” su Sat2000 http://www.tv2000.it/beativoi/video/4-puntata-beati-quelli-che-hanno-fame-e-sete-della-giustizia • Intervento di Suor Laura sulla fame nel mondo – min 9 • La voce di don Beniamino Sacco, parroco di Vittoria (RG), impegnato nell’accoglienza di profughi dall’Africa con una rete di tre comunità – min 30 • Testimonianza di don Ciotti e del magistrato Catello Maresca, Direzione antimafia di Napoli – min 1:12 • Testimonianza di don Colmegna, sacerdote della diocesi di Milano – min 2:24 passi operativi Domande da suscitare Quale coscienza abbiamo della giustizia nel mondo e delle sue sofferte vicissitudini? Quanto grande o ristretto è l’orizzonte nel quale conduciamo le nostre esistenze? Quali scelte concrete possono abitare le nostre giornate rispetto ai grandi (e falsamente lontani) temi legati alla giustizia e al bene comune, come l’ecologia, la solidarietà, l’attenzione all’altro? Possibili modalità • Un incontro con un testimone impegnato nel campo della cooperazione o della giustizia • Una tavola rotonda sui temi della giustizia economica e della mondialità • Una lettura con un ospite competente dell’enciclica di papa Francesco “Laudato si’” • Lectio su alcuni brani dei profeti e presentazione di alcune figure profetiche antiche e contemporanee Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista l’opera d’arte suggerita, aprire l’incontro con alcuni accenni letterari o giornalistici (preparati da uno o più lettori), suscitare alcune domande per il dibattito, suggerire qualche lettura. 7 Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli I pregiudizi AVVENTO-NATALE Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama felici quanti soffrono discriminazione e dolore per la giustizia. A loro è dato il regno, il compimento di una vita piena. Gesù benedice quanti esprimono con storie personali drammatiche il valore della giustizia e lo gridano al mondo. Solo in apparenza il paradosso della beatitudine sembra confinare l’uomo povero nella sua miseria, relegarlo alla sofferenza fine a se stessa: chi è perseguitato, è sì vittima, ma anche protagonista di una difesa e di una proclamazione onesta e coraggiosa della verità. Chi è perseguitato, esplicita sotto i colpi della malvagità che c’è un bene che infastidisce e viene rifiutato e che il potere troppo semplice e troppo scontato degli uomini tende a calpestare la libertà dell’altro. L’opposizione a scapito della giustizia, dell’equilibrio e del riconoscimento dell’altro come fratello e figlio, si alimenta di pregiudizi che soffocano la libertà e ingabbiano in sguardi angusti e settari. La Beatitudine, facendo riflettere su quel “per la giustizia”, denuncia il pregiudizio che deriva sia dalla carenza che dall’esercizio della giustizia stessa: il Regno è dunque l’orizzonte in cui la “giustizia giusta” – oltre ogni retorica – può instaurarsi come anelito, come conversione, come esercizio di responsabilità. la scrittura si legge con la scrittura La Bibbia è attraversata dal grande e drammatico filone del povero che subisce ingiustizia e persecuzione, quasi come metafora forte e drammatica dell’intera vicenda storica umana. I poveri di YHWH sono nell’Antico Testamento un tema ricorrente, spesso destinatari della misericordia e della rivelazione di salvezza. Israele stesso oscilla tra persecuzione subita e dimenticanza della salvezza. Il pregiudizio frutto del potere colora di sangue diverse pagine dei due testamenti. Qui indichiamo la vicenda di Giuseppe, sposo di Maria, coinvolto suo malgrado in una vicenda di pregiudizio; Gesù stesso, testimone fedele, il crocifisso-risorto, e i primi cristiani che in Atti, ma soprattutto nei potenti racconti di Apocalisse sono incastonati nel dramma della persecuzione. Anche la vicenda di Caino ed Abele (Gn 4), trasposizione ancestrale e eziologica del confronto-scontro tra le differenze fraterne, può essere utilmente letto come dramma dell’incomprensione e del pregiudizio, attorno alla benedizione di Abele a scapito dell’offerta di Caino. volti beati nella storia Oscar Romero e la risurrezione nel popolo (Ciudad Barrios 1917 – San Salvador 1980) Dopo gli studi a Roma, diventa rettore del seminario di San Salvador, direttore di riviste pastorali e segretario della Conferenza Episcopale dell’America Centrale e di Panama. È un uomo che conta, conosciuto per la sua posizione conservatrice e tradizionalista, spiritualmente molto vicino all’Opus Dei. Per questo sono in molti a stupirsi ed a dispiacersi, quando nel 1970 diventa ausiliare del vescovo “progressista” di San Salvador, perché si ha timore che il conservatore Romero possa frenare l’azione innovativa intrapresa. Timori e ostilità anche nel clero si manifestano maggiormente quando, nel 1977, diventa a sorpresa arcivescovo di San Salvador, cui si contrappone la gioia del governo e dei gruppi di potere, per i quali la nomina di questo vescovo quasi sessantenne, tutto “spirituale” e completamente “dedito agli studi”, è la miglior garanzia di un rallentamento dell’impegno per i poveri che l’arcidiocesi stava sviluppando con il predecessore. Ci sono cioè fondate speranze che con lui la Chiesa di San Salvador si sciolga da ogni impegno sociale e politico, che la sua diventi una pastorale “spiritualizzata” e dunque asettica, disincarnata, disinteressata ad ogni evento politico. Così si interpreta il suo rifiuto della Cadillac fiammante e del sontuoso palazzo di marmi che i proprietari terrieri subito gli offrono, come anche la sua mancata presenza alla cerimonia di insediamento del dittatore. Cosa avvenga di così deflagrante nella vita di Mons. Romero, da trasformare il conservatore che tutti conoscono nel battagliero assertore dei diritti umani, non è dato saperlo, anche se alcuni collegano questa sua “conversione” all’assassinio del gesuita padre Rutilio Grande, di cui era amico, avvenuto poche settimane dopo la sua nomina. Non bisogna però dimenticare che Romero fin dagli anni giovanili aveva fama di sacerdote austero, con una profonda spiritualità, una salda dottrina e un amore speciale per i poveri. Molto semplicemente, di fronte all’oppressione e allo sfruttamento del popolo, osservando gli squadroni della morte che uccidono contadini, poveri e preti impegnati, il vescovo capisce di non poter fare a meno di prendere una posizione chiara. Istituisce una Commissione per la difesa dei diritti umani; le sue messe cominciano a diventare affollatissime; memorabili le sue denunce dei crimini di stato che ogni giorno si compiono. Paga con un progressivo isolamento e con forti contrasti, sia in nunziatura che in Vaticano, la sua scelta preferenziale per i poveri: alcuni vescovi lo accusano di incitare “alla lotta di classe e alla rivoluzione”, mentre è malfamato e deriso dalla destra come sovversivo e comunista. “Nel nome di Dio e del popolo che soffre vi supplico, vi prego, e in nome di Dio vi ordino, cessi la persecuzione contro il popolo”, dice il 23 marzo 1980, nella sua ultima predica in cattedrale. Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, un sicario si intrufola nella cappella dell’ospedale, dove Romero sta celebrando, e gli spara dritto al cuore, mentre il vescovo alza il calice al momento dell’offertorio. Aveva appena detto: “In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo ed il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo”. Subito considerato come martire dal popolo salvadoregno, la causa della sua beatificazione inizia nel 1997 ma si arena subito in Vaticano, perché anche da morto il vescovo ha i suoi nemici: pesa come un’ombra cupa sul suo operato l’accusa di essere stato simpatizzante della Teologia della Liberazione, mentre chi lo ha conosciuto bene continua a testimoniare che “Romero non era un rivoluzionario, ma un uomo della Chiesa, del Vangelo e quindi dei poveri”. Contributi culturali un’opera d’arte La caduta dell’angelo di M. Chagall, 1923 – 1933 – 1947, Kunstmuseum - Basilea Realizzato in tre periodi diversi, l’opera trasmette una potenza straziante. Tutte le figure nell’opera assumono un significato preciso: dall’ebreo che fugge per proteggere la Torah, all’asino che urla impotente, fino al pendolo che precipita come sono precipitati gli eventi e il tempo nella sua esistenza e in quella dell’umanità intera. Gli amanti di R. Magritte, 1928, Moma - New York Magritte colloca nel tipico ambiente surreale onirico la relazione velata tra un uomo ed una donna. Molteplici i livelli di interpretazione, accomunati dalla fatica di andare oltre la corporeità che diviene come un diaframma rispetto all’interiorità dei protagonisti. un libro CARDINI F. – MURARO L., Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli, Torino 2012 SAKO L. R., Più forti del terrore. I cristiani nel medio oriente e la violenza dell’Isis, Bologna 2015. Il patriarca di Bagdad racconta con toni accesi la persecuzione subita dalla sua comunità all’avvento della follia fondamentalista dell’Isis. KRISTEVA J., Stranieri a noi stessi, Roma 2014 (orig. francese del 1988) La linguista strutturalista francese indaga l’archetipo dello straniero e la sua interazione con le paure e le angosce di ciascuno, tra difesa ed accoglienza. CASADEI R., Perseguitati perché cristiani. Milano 2015 Reportage di luoghi in cui le comunità cristiane soffrono la persecuzione, condividendo la sofferenza con altre popolazioni locali. Schede di approfondimento e appendice fotografica. un sito L’immenso dramma della persecuzione soprattutto per motivi religiosi e specialmente a scapito dei Cristiani è in continua evoluzione. Cfr. il Dossier di Avvenire sul tema (questo il suo link: http://www.avvenire.it/Dossier/Cristianofobia/ Pagine/default.aspx). un film Romero Regia di J. Duigan, USA 1989 La vicenda del Vescovo Romero raccontata da una potente pellicola. Recuperabile anche il contributo culturale di Rai Storia. Questo il link: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/ puntate/monsignor-romero/764/default.aspx. City of God Regia di Fernando Meirelles, Brasile 2002 Rio de Janeiro, dagli anni sessanta agli ottanta. La favela di Cidade de Deus diventa il palcoscenico delle storie parallele di Buscapé e Dadinho. Entrambi tredicenni, sono però mossi da ambizioni diversissime: il primo vorrebbe diventare fotografo, il secondo il più temuto criminale della città. Se Buscapé trova molti ostacoli nella realizzazione dei propri sogni, Dadinho diventa rapidamente padrone della favela e del narcotraffico con lo pseudonimo di Zé Pequeno. La morte del suo braccio destro Bené e la violenza perpetrata ai danni della fidanzata del mite Galinha innescheranno una guerra tra bande dall’esito tragico. un luogo “Binario 21” - presso la Stazione Centrale di Milano, memoriale della Shoà in Italia (http://www.memorialeshoah.it/ italiano/progettomemoriale.html) un video musicale Mercanti e servi, Nomadi, Italia 1992 Le case di Mosul, The Sun, Italia 2015 testimonianze che riscrivono le Batitudini Trasmissione “Beati voi” su Sat2000 http://www.tv2000.it/beativoi/video/8-puntata-beati-i-perseguitati-a-causa-della-giustizia • Intervista di Scortino a Sharazad Houshmand, teologa Pontificia università gregoriana – Roma, e sua proposta di riscrittura - min 8 • Testimonianza di Lucietta Scaraffia, storica e giornalista Università La Sapienza di Roma, sulle persecuzioni nella storia contemporanea - min 20 • Intervento di Bernardo Cervellera, direttore di Asianews sui cristiani in Cina – min. 1:07. • Reportage sulla fuga degli Eritrei: il caso di Roma – min 1:19 • Intervento di Giorgio Fornoni , giornalista, su Oscar Romero – min 1:37 passi operativi Domande da suscitare Accanto alle provocazioni della precedente beatitudine: Che conoscenza abbiamo delle persecuzioni che per diverse motivazioni sono ancora radicate nel mondo? Quali canali seguire per garantirsi una minima ed efficace informazione? Possibili modalità • Visione e commento di uno dei video e/o testimonianze proposti • Testimonianza di missionari, cooperanti e/o esperti di fondamentalismo Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista l’opera d’arte suggerita, aprire l’incontro con alcune provocazioni video, musicali, dati statistici o letture dai testi indicati, lasciare suggerimenti di approfondimento. tempo di quaresima 8 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia La misericordia Come in pieno Giorno BEATI NOI! Sfide giovani per la vita 8 Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia La misericordia QUARESIMA Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama felici quanti esercitano un cuore aperto e ricco di perdono. Il loro stile è come un seme che germina frutti di bene. Nel Vangelo la fonte della misericordia è Dio stesso, poiché “amore” è il suo vero volto e nome: un amore non banale, che si qualifica non per un presunto buonismo, ma per una radicale capacità di dono. E il dono diviene fiducia, benedizione, riconoscimento. Nel delineare il volto dell’uomo così come il Discorso della Montagna lo profila e come in particolare le Beatitudini lo costruiscono, la misericordia è quella chiave di volta che fa assomigliare l’uomo a Dio e lo rende propriamente più uomo: perché solo il “cuore grande” che perdona, sa imprimere alla storia altro futuro ed uscire dalla ciclicità della vendetta; sa aprire nuovi orizzonti e generare veramente “cose nuove”. Queste le affermazioni di papa Francesco sulla preziosità di questo tema, che chiama irresistibilmente ad una presa di posizione, ad una scelta: “La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia” (Misericordiae Vultus, n. 12). Nella struttura della Beatitudine è chiara la meta della misericordia: non una perdita, uno svuotamento, bensì un “guadagno”, una “diffusione” dello stesso dono, nella promessa che ogni investimento di bene nell’oggi non andrà perduto. La potenza escatologica della beatitudine è forte: quanto sembra una sconfitta, una debolezza, una remissività mal riposta, è la logica forte e libera del Vangelo. la scrittura si legge con la scrittura Anche per questo tema i riferimenti biblici sono immensi: dall’invito di Isaia alla purificazione (la grande parenesi del capitolo 1) alle tre parabole della misericordia descritte in Lc 15. È bene richiamare l’attenzione anche alle parole conclusive del Padre Nostro nella versione matteana che sfora sulla disponibilità al perdono fraterno, come “condizione” del perdono divino. volti beati nella storia Leonella Sgorbati, volto di coraggio e perdono (Piacenza 1940 - Moga- discio 2006) Nasce a Gazzola, nel piacentino, nel 1940 e a 16 anni confida a mamma di voler andare missionaria. “Ne riparleremo quando avrai 20 anni”, commenta mamma; ma la ragazza non cambia idea. Entrata nelle Missionarie della Consolata, poi va in Inghilterra a studiare da infermiera e solo nel 1970 realizza il suo sogno volando in Kenya. Come ostetrica sembra abbia fatto nascere 4000 bambini. L’ideale del “dare tutto” passa attraverso il suo “amare tanto”, si concretizza nell’ “amare tutti” e si traduce nel “perdonare sempre”, anche attraverso le fragilità di ogni giorno. Lo testimonia oggi una consorella tanzaniana, da lei educata al perdono nel momento tragico della morte violenta del proprio fratello: “sei tu che devi cominciare a fare questo gesto di perdono, non aspettare che tuo fratello si scusi”, le dice, facendo chiaramente intendere che in questo si sta esercitando, lei per prima, da tanto tempo. A casa sua e in tutte le missioni in cui passa, sono pronti a giurare che il suo biglietto da visita è il sorriso. Se le chiedono: “Perché sorridi anche a chi non conosci?”, invariabilmente risponde: “Perché così chi mi guarda sorriderà a sua volta. E sarà un po’ più felice”. Dal 2001 inizia a fare la “pendolare” tra il Kenya e la Somalia per iniziare anche qui una scuola per infermieri. Trova un paese dilaniato da 10 anni di guerra civile, segnato da anarchia, carestia, morti senza numero, campi profughi, banditismo ed in cui, di conseguenza, si è radicato un fondamentalismo religioso che considera i missionari cattolici, specie se bianchi, obiettivo privilegiato. Suor Leonella sa che per lei e le consorelle è pericoloso anche solo attraversare la strada, e ne ha paura, com’è normale: “C’è una pallottola con scritto sopra il mio nome e solo Dio sa quando arriverà”, ma con la forza della fede aggiunge sempre: “La mia vita l’ho donata al Signore e Lui può fare di me ciò che vuole.” Il vescovo di Gibuti è solito dire che il cuore di suor Leonella è più grande del suo fisico, pur imponente e “rotondetto”. E proprio questo grande cuore viene spaccato il 17 settembre 2006 da una pallottola, sparata a distanza ravvicinata, da due uomini che l’attendono mentre rientra a casa dall’ospedale, che si trova dirimpetto. Tra lei e le pallottole omicide cerca di frapporsi Mohamed Mahamud, un musulmano, padre di quattro figli, che la sta scortando in quel brevissimo tragitto. Anch’egli viene ucciso e il sangue del musulmano si mescola in un’unica pozza con quello della missionaria cattolica. “Cristiani e musulmani che cercano di condividere la vita devono mettere in conto la possibilità di unire il proprio sangue nel martirio”, scrivono in quei giorni. Difatti, non si tratta di una semplice coincidenza: “per me la morte di una italiana e di un somalo, di una cristiana e di un musulmano, di una donna e di un uomo, ci dice che è possibile vivere insieme, visto che è possibile morire insieme! Per questo il martirio di suor Leonella è un segno di speranza”, dice il vescovo. All’ospedale fanno di tutto per salvarla, i somali vanno a gara per donarle il loro sangue, esattamente come lei aveva fatto per loro, puntualmente, ogni tre mesi, come donatrice di sangue. Prima che si spenga come una candela, la consorella che le tiene la mano la sente sussurrare distintamente: “Perdono, perdono, perdono”. Sono le sue ultime parole, la sua firma sopra il proprio martirio. Contributi culturali un’opera d’arte Le sette opere di misericordia di Brughel, 1616-1618 ca. - Bruxelles, collezione privata. Il Fiammingo passa in rassegna, nelle classiche ambientazioni nordiche, le sette articolazioni tradizionali che danno sostanza alla misericordia: la comunità è come informata dalla vicenda pratica della misericordia, che attraversa i momenti qualificanti dell’umanità. un libro LOMUNNO M., Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti, Torino 2015. Il libro è una intervista con il salesiano Domenico Ricca, da 35 anni cappellano del carcere minorile di Torino. Un’esperienza di speranza e rimotivazione, in uno dei luoghi più contraddittori. un film Baran Regia di Majid Majidi, Iran 2001 La vicenda di due ragazzi impiegati in un cantiere, a confronto con l’esigenza di sopravvivere e l’invidia, sino ad una inversione inaspettata che mostra le cose sotto un altro punto di vista. Gandi Regia di R. Attenborough, Inghilterra 2000. Il lungo film documentario che ripercorre le tappe decisive della vicenda umana, spirituale e politica di Gandi. un luogo Visita ad una delle chiese giubilari (in primis la Cattedrale) e celebrazione della misericordia giubilare. un video musicale Luca Maffi, Salvo per miracolo, Italia 2012 www.rapgesucristico.com L’esperienza del DJ Luca di Casalmaggiore che canta con stile giovanile una storia di dolore, violenza e riapertura alla vita. testimonianze che riscrivono le Batitudini Trasmissione “Beati voi” su Sat2000 http://www.tv2000.it/beativoi/video/5-puntata-beati-i-misericordiosi • Intervento di Alex Schwazer, campione olimpico coinvolto in un caso di doping – min 19 • Testimonianza di Carolina Censato, mamma che ha perso un figlio di 18 anni – min 1:35 • Testimonianza di Giovanni Bachelet, figlio del docente universitario ucciso dalle BR – min 1:50 passi operativi Domande da suscitare Qual è la rilevanza della misericordia nella nostra vita? Abbiamo sperimentato la logica del perdono, quello ricevuto e quello offerto? Quanto pesa la naturalezza della vendetta e della rivalsa in noi? Possibili modalità • Testimonianze sul perdono come risorsa della vita; anche a partire dalle esperienze vocazionali (ad es. la famiglia, la coppia...) • Lectio su alcuni brani biblici (ad es. Lc 15). • Focus sul tema del perdono sacramentale. Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista l’opera d’arte suggerita, aprire l’incontro con alcune provocazioni video, musicali, letture dai testi indicati, lasciare suggerimenti di approfondimento. Beati i misericordiosi è il tema della GMG di Cracovia 2016 • Iscrivi il tuo oratorio alla GMG • Recupera il messaggio del papa per le Palme 2016 • Richiedi in FOCr il sussidio nazionale di preparazione alla GMG 2016, contenente le schede sulla cultura, la storia, le tradizioni spirituali e la vita ecclesiale polacche. Preghiera GMG Cracovia 2016 GIORNATA MONDIALE JOURNÉES MONDIALES DELLA GIOVENTÙ DE LA JEUNESSE Dio, Padre misericordioso, che hai rivelato il Tuo amore nel Figlio tuo Gesù Cristo, e l’hai riversato su di noi nello Spirito Santo, Consolatore, Ti affidiamo oggi i destini del mondo e di ogni uomo. Ti affidiamo in modo particolare i giovani di ogni lingua, popolo e nazione: guidali e proteggili lungo gli intricati sentieri del mondo di oggi e dona loro la grazia di raccogliere frutti abbondanti dall’esperienza della Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia. Padre Celeste, rendici testimoni della Tua misericordia. Insegnaci a portare la fede ai dubbiosi, la speranza agli scoraggiati, l’amore agli indifferenti, il perdono a chi ha fatto del male e la gioia agli infelici. Fa’ che la scintilla dell’amore misericordioso che hai acceso dentro di noi diventi un fuoco che trasforma i cuori e rinnova la faccia della terra. Maria, Madre di Misericordia, prega per noi San Giovanni Paolo II, prega per noi Santa Faustina, prega per noi www.krakow2016.com GIORNATA MONDIALE JOURNÉES MONDIALES Tempo di pasqua 9 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate: grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Voi siete il sale della terra: ma se il sale perdesse sapore, a che cosa servirà? A null’altro che ad essere gettato via e calpestato! Voi siete la luce del mondo: non può restare nascosta una città costruita su di un monte! Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini! Il dono, la fatica e la vocazione Come in pieno Giorno BEATI NOI! Sfide giovani per la vita 9 Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate: grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi. Voi siete il sale della terra: ma se il sale perdesse sapore, a che cosa servirà? A null’altro che ad essere gettato via e calpestato! Voi siete la luce del mondo: non può restare nascosta una città costruita su di un monte! Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini! Il dono, la fatica e la vocazione pasqua Appunti per gli educatori Il Vangelo proclama l’ultima beatitudine guardando alla verità delle cose, senza però restarne imprigionato: chiede addirittura di esultare perché la profezia non perde il suo valore e il suo senso, e di stare in guardia perché la luce ed il sapore restino carichi di efficacia. Questa è in fondo la chiamata di ognuno: dono e compito, talento e sua destinazione, paura, desiderio, capacità e limite. Ma il Discorso della Montagna riserva ai discepoli del Regno la proposta che a prevalere siano il potere del sale (che dà sapore, ma anche sa distruggere!) e l’efficacia della luce che non si lascia insensatamente a macerare nell’inutilità. Il Vangelo esalta l’originale “posto” di ciascun discepolo, il tenore di bene che possiede perché lo ha ricevuto, magari plasmato e forgiato dalle difficoltà della vita e dalle esperienze anche del male. La vita giovanile – a differenza di quella infantile – non può permettersi il lusso illusorio di scappare dalle fatiche del vivere. Ma a differenza di tante prospettive che cantano il peso dell’esistere – la sua oscillazione tra noia e paura – il Vangelo proclama la beatitudine anche nel buio umano della persecuzione, perché intravvede il potenziale in ciascuno e chiede che ognuno si alleni a fare altrettanto. In agguato il paradosso dello spreco: quello legato alla paura che paralizza o alla sfiducia che svuota. Il Discorso della Montagna traccia i contorni forti e liberi della vocazione cristiana e ne esalta la possibilità concreta, il rischio vero, la qualità reale. la scrittura si legge con la scrittura Tutti i personaggi biblici sono destinatari di una vocazione: Abramo, Mosè, i profeti, Maria e Gesù stesso. Il ciché dell’annunciazione o della investitura di missione configura una pista che racconta una visione dell’uomo, reso amico di Dio dalla grazia e posto nelle condizioni di prestare il proprio contributo alla salvezza. volti beati nella storia “Oggi è un grande dono” Sono le parole che Giusy Versace si ripete ogni giorno dal 2005 quando, a causa di un banale incidente in automobile, un guardrail le ha tagliato entrambe le gambe all’altezza del ginocchio, strappandola a una vita invidiabile, piena di affetti, impegni di lavoro, sogni e amore. Di quel momento Giusy ricorda tutto: il dolore straziante, il terrore di morire e le pre- ghiere. Forza che diventa la sua arma. Insieme alla famiglia e agli amici che le si stringono attorno, Giusy muove i primi passi nella sua nuova vita. Fra pianti, speranze, paure e momenti di gioia arrivano le protesi, “le mie nuove gambe”. Prima quelle da passeggio, poi da mare, poi addirittura da corsa, nonostante qualche dottore le suggerisca di lasciar perdere. A un anno dall’incidente Giusy ha lasciato un fidanzato poco presente e si è buttata a capofitto in un futuro che le ha riservato sorprese e soddisfazioni: un nuovo lavoro, un nuovo amore, la creazione della onlus Disabili No Limits, che raccoglie fondi per donare ausili a chi non può permetterseli, l’oro e il record italiano sui 200 e 100 metri e il record europeo sui 100 metri. Giusy è stata ospite anche del CSI di Cremona, in qualità di Testimonial del Centro sportivo italiano. Ha scritto anche un libro: “Con la testa e con il cuore si va ovunque”, racconto di una vicenda personale, ma anche di una scelta che riguarda tutti coloro che si trovano ad affrontare un grande cambiamento: guardare oltre e costruirsi un domani o continuare a rimpiangere un bel passato che non c’è più? Giusy non ha avuto dubbi. Contributi culturali un’opera d’arte Conversione di Paolo di Tarso Caravaggio, 1600-1601, Roma Chiamata di Levi Matteo Caravaggio, 1599-1600, Roma un libro Lorenzi F., La strada del sole, Milano 2014 La vicenda del leader dei The Sun che riconquista alla luce di una nuova fede la coscienza di sé e dei propri desideri. Un diario che racconta le tappe di un viaggio giovane che lascia alle spalle tante esperienze effimere per dare spazio alla qualità dell’umano. Giusy Versace, Con la testa e con il cuore si va ovunque, Milano 2013 La vicenda umana, sportiva e spirituale di Giusy Versace che ha ritrovato il coraggio di camminare… in una modalità del tutto nuova e sorprendente. un video musicale The Sun, Io non ho paura, Italia 2010 The Sun, Onda perfetta, Italia 2012 un film Quasi amici Regia di O. Nakache e E. Toledano, Francia 2012 La straordinaria vicenda di un ricco disabile che impara a rivivere e di un improbabile badante che si converte all’umanità che è dentro di sé. Una settimana da Dio Regia di D. Shadyac, Usa 2003 Nella sfida di ereditare per qualche giorno i poteri dell’Onnipotente, il protagonista – interpretato di J. Carrey, ricostruirà la propria dimensione umana, recuperando la fiducia e la capacità di amare. un luogo Le “opere segno” della Caritas diocesana; un monastero di clausura; una comunità religiosa; una famiglia della Parrocchia. passi operativi Domande da suscitare Siamo consapevoli di avere ricevuto, oltre che di “possedere”? Quale valore attribuiamo alla vita come vocazione? Avvertiamo la responsabilità di quanto abbiamo ricevuto nello scorrere del tempo? Quali contesti sono per noi il terreno della nostra vocazione? Possibili modalità • Un incontro con giovani-adulti che hanno compiuto scelte vocazionali. • Una lectio su di un brano vocazionale della Scrittura, anche nello stile della proposta “Non dire sono giovane” che prevede un lavoro previo sul testo da parte dei giovani (cfr. http://www.focr.it/formazione/non-dire-sono-giovane). • Una tavola rotonda a cui invitare alcuni laici ad approfondire il rapporto tra fede e vita, fede e storia: vicende professionali, familiari, di servizio… Suggerimenti per la conduzione dell’incontro: collocare in vista l’opera d’arte suggerita, aprire l’incontro con alcune provocazioni video, musicali, letture dai testi indicati, lasciare suggerimenti di approfondimento. Si ringrazia per la consulenza dei video musicali Sandro Barosi, della comunità di Calvatone