SLIDE 1 Chi siamo: … presentazione formale

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SLIDE 1 Chi siamo: … presentazione formale
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Chi siamo: … presentazione formale …
Siamo qui nell’ambito di un progetto del Ministero dell’Interno portato avanti in
collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
In particolare siamo qui perché l’attuale scenario nazionale relativo ai fenomeni di
violenza in occasione di manifestazioni calcistiche, caratterizzato da una
generale diminuzione degli episodi di rilievo e da un contesto di
“regolarizzazione” degli impianti - seppure questi non rispondano ancora agli
auspicabili standard di accoglienza – consente di orientare le attività di studio ad
aspetti più specifici relativi, in particolare, alle dinamiche psicologiche implicate
nei comportamenti dei giovani.
A tal fine, è stata avviata una ricerca a cura dell’Università degli Studi “La
Sapienza” di Roma, che è la prima in Italia, svolta in 11 città pilota e su un
campione di circa 2.000 studenti, tesa proprio ad indagare sui fattori di rischio
coinvolti nei comportamenti dei gruppi giovanili mediante somministrazione di un
questionario che permetterà l’acquisizione di ulteriori strumenti di conoscenza
che potranno essere utilizzati in una futura attività di prevenzione sul fenomeno
anche attraverso la promozione di nuove e mirate strategie di comunicazione.
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Quest’anno, l’Osservatorio, in collaborazione con la Direzione Centrale di Sanità
del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, con l’Università degli Studi “La
Sapienza” di Roma e con specialisti nella comunicazione visiva, ha progettato un
intervento di prevenzione da realizzare direttamente nei contesti deputati alla
formazione dei giovani.
Tali attività di prevenzione si inseriscono nella più ampia iniziativa del Ministero
dell’Interno denominata “Stop alla Violenza” tesa a sensibilizzare i cittadini alla
cultura della ‘non violenza’ e ritenuta dal Ministero dell’Interno una priorità di
comunicazione e, per questa ragione, è partita una rapida e puntuale campagna
con lo scopo di promuovere una visione non violenta e più civile dello sport.
In questo contesto sono stati studiati una serie di strumenti di comunicazione in
cui è ricompresa questa occasione di incontro con cui stiamo di fatto
promuovendo una sensibilizzazione sui temi della violenza nel calcio nella fascia
d’età più a rischio per i comportamenti violenti legati alle manifestazioni sportive,
attraverso una attività di informazione sulle caratteristiche psico-sociali del
fenomeno e di stimolo a comprendere le motivazioni istituzionali che hanno
avviato il percorso normativo negli ultimi anni.
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A partire dal 2007, l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, in base
all’art. 3 del Decreto del Ministro dell’Interno del 1 dicembre 2005 con cui è stato
istituito l’organismo, ha affidato ad uno psicologo della Direzione Centrale della
Sanità della Polizia di Stato il compito di avviare uno studio sulle specifiche
tematiche connesse ai fenomeni di intolleranza, devianza e violenza in ambito
sportivo in attuazione alle direttive impartite dal Capo della Polizia per la
realizzazione del pluriennale progetto di Educazione alla Legalità.
Per la comunicazione, nel 2007, attraverso una rete di relazioni con associazioni
giovanili, società di mediazione e comunicazione e società di produzione delle
arti cinematografiche, è stato realizzato un sito internet non istituzionale di
informazione per i giovani: www.daiuncalcioallaviolenza.it.
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L’Osservatorio
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È un tavolo a cui siedono rappresentanti della Presidenza del Consiglio dei
Ministri – Struttura di Missione per lo Sport, Del Ministero delle
Comunicazioni, della Protezione Civile, del Comando Generale dell’Arma dei
Carabinieri, dell’Ufficio Ordine Pubblico, della Direzione Centrale della Polizia
di Prevenzione, del Servizio Polizia Stradale, del Servizio Polizia Ferroviaria,
del Servizio Reparti Speciali, del CONI, della FIGC (Segreteria, Giustizia
Sportiva e Coordinatore nazionale dei Delegati alla sicurezza), della Lega
Nazionale Professionisti, della Lega Pro serie C, della Lega Nazionale
Dilettanti, di Trenitalia e di Autogrill S.p.A.
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Possono essere chiamati alle riunioni, in relazione alle specifiche tematiche
all’ordine del giorno rappresentanti del Ministero delle Infrastrutture e
Trasporti, il Comando Generale della Guardia di Finanza, l’Agenzia delle
Entrate, dell’Associazione Nazionale Comuni d’Italia e la SIAE.
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Il lavoro dell’Osservatorio è innanzitutto una attività di prevenzione: ogni incontro
in programma è valutato sotto vari aspetti. Viene preso in considerazione il teatro
in cui esso si svolge sia sotto il profilo dello spazio (contesto urbanistico,
strutturale ed infrastrutturale) in cui i tifosi si muoveranno per raggiungere
l’impianto, assistere alla partita e tornare a casa sia valutando come sono andate
le cose in precedenti occasioni, ovvero come si sono comportate le due tifoserie
nelle ultime giornate calcistiche.
Questo determina l’attribuzione di un indice di rischio a ciascun incontro con
conseguenti azioni di prevenzione e misure organizzative particolari da attuarsi,
non solo a cura delle Forze di Polizia, ma anche se non soprattutto gli
organizzatori dell’evento (le società sportive) e gli altri soggetti coinvolti nella
gestione delle possibili situazioni critiche (ferrovie, autogrill, organi locali).
Solo quando la situazione strutturale degli impianti o l’ambiente sociale che
ospita l’evento, nonché il comportamento di consistenti gruppi di tifosi
comporterebbe un rischio troppo alto di incidenti o disservizi, vengono proposte
delle misure drastiche quali la vendita di biglietti ai soli residenti, la chiusura del
settore ospiti, la vendita di un solo biglietto per acquirente, anziché fino a 4, ecc.)
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Oggi comunque cercheremo di darvi una visione più ampia del fenomeno della
violenza nel calcio, come-quando e perché si è arrivati alle misure ed alle
strategie odierne e, infine, una lettura psicosociologica del perché il tifo, o meglio
alcuni gruppi ed aggregazioni di tifosi, possono diventare violenti.
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Vediamo prima di tutto i dati statistici del fenomeno
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Far scorrere la slide eventualmente leggendo il testo introduttivo al filmato,
avviarlo ed osservare le reazioni.
Chiedere delle emozioni che ha provocato
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Negli ultimi anni registriamo un costante calo di uno dei parametri più importanti
di analisi del fenomeno della violenza negli stadi: il numero dei feriti in occasione
di scontri fuori e dentro gli stadi è passato in
Le vittime della violenza tra i tifosi sono scesi, in quattro anni da 331 a 161 ma
ancora più rilevante è il calo dei feriti tra gli operatori delle Forze di Polizia,
ridottosi da 914 feriti cinque stagioni fa ai 200 della scorsa stagione.
C’è da rilevare peraltro che fino a qualche anno fa molti di questi feriti riportavano
lesioni anche gravissime (amputazioni di mani per lo scoppio di petardi, ferite alla
testa, con conseguenze anche permanenti, per il lancio di oggetti contundenti,
fratture per cadute nel tentativo di scavalcare o accedere allo stadio senza
biglietto), e eventi ancora più gravi come vedremo nel dettaglio in seguito.
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Insomma, da un totale di 1.027 feriti registrati nelle sole partite di serie A, B e C (circa
2600 per ciascuna stagione calcistica) si è scesi ai 228 feriti della scorsa stagione ed il
dato è ancora in calo per quella in corso. Il tipo di lesioni è peraltro oggi molto meno
grave che in passato, parliamo spesso di contusioni da spinta e contatto.
Anche il motivo degli scontri è cambiato: oggi registriamo che il 69% dei relativi pochi
incidenti che si verificano in occasione di incontri di calcio è dovuto a scontri tra le
opposte tifoserie ma, solo tre anni fa, il 73% degli incidenti era causato da attacchi diretti
contro le Forze dell’Ordine da entrambe le tifoserie presenti dentro e fuori ciascuno
stadio. Emblematico l’attacco alle caserme di polizia e carabinieri a Roma, fino a tarda
notte, dopo la morte di Gabbo.
Rimane però costante il dato relativo agli incidenti provocati da un vero e proprio “non
accettare le regole del gioco” e di civile convivenza: vandalismo, ingresso senza biglietto,
contestazioni alla società, all’arbitraggio, ai giocatori.
Altro dato monitorato ci dice qualcosa delle dinamiche dei tifosi che entrano allo stadio: il
momento degli incidenti.
Oggi il 56% degli incidenti avviene nelle immediate adiacenze dello stadio tra le opposte
tifoserie, dimostrando che, oserei dire incomprensibilmente, mal si tollera il momento di
promiscuità con “gli altri”. Inoltre vi sottolineo che tali incidenti avvengono quasi sempre
prima dell’incontro ovvero indipendentemente dal risultato sportivo.
Di maggior impatto sull’opinione pubblica inoltre, negli ultimi tempi stanno avendo gli
incidenti che avvengono lontano dagli stadi ovvero presso le stazioni ferroviarie e gli
autogrill dove, nonostante si tenti di individuale strategie organizzative preventive,
ancora di registrano gravi episodi di provocazione, attacchi e scontri tra opposte tifoserie
che vi si incontrano.
Filmato: Spot “Stop alla violenza” per Autogrill, presentato dall’Osservatorio e
distribuito da novembre 2008 dalla Società Autogrill S.p.A.
Questo secondo spot è ambientato in un Autogrill e vede Lorenzo Flaherty, durante una
trasferta, spettatore attivo in una lite fra tifosi. Saranno i tifosi violenti, quelli di entrambe
le tifoserie avversarie, ad essere beffati a causa della loro stupidità.
Il messaggio non lascia spazio ad incertezze, a scelte di fronte, indica chiaramente la
strada che è quella di voltare decisamente le spalle a chi non si mette in discussione
offrendo contemporaneamente una via di fuga sicura a quanti non vorrebbero essere
coinvolti nel branco ma non vedono alternative fino a quando non gli (nel caso specifico,
le) si offrono.
Questo secondo filmato, che ha per target il tifoso adulto, ormai padre di famiglia che ha
introiettato valori di convivenza civile ed accettato appieno il suo ruolo educativo,
propone di fare un’ulteriore passo verso una attività di indirizzo da parte della tifoseria
sana nei confronti delle frange violente, identificate con “i giovani”: il richiamo ai valori
dello sport e l’invito alla condivisione degli stessi con soggetti ormai lontani dagli spalti
degli impianti sportivi (donne e bambini), è questa volta verbalizzata ed agita attraverso
l’andare incontro e mettersi in mezzo alla situazione di aperto conflitto tra opposte
fazioni.
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L’attività repressiva propria di polizia solo negli ultimi due anni ha iniziato a far
registrare una diminuzione degli arrestati e dei denunciati per reati commessi in
occasione di manifestazioni sportive mentre resta stabile il dato dei soggetti che
vengono sottoposti, nel corso di ciascuna stagione sportiva, a DASPO (= divieto
di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive).
Come si noterà a fronte del numero di feriti prima illustrato, sono molte di più le
persone che vengono comunque arrestate (378) o denunciate (1129) per aver
commesso episodi di violenza o comunque illegalità allo stadio.
Dopo una escalation sempre maggiore negli anni scorsi dei ragazzi (età media
25-30) che commettevano o rimanevano coinvolti in atti di violenza, oggi iniziano
a diminuire e sono sempre meno quelli protagonisti di episodi di gruppo. Di fatto,
oggi, la maggior parte dei giovani (età media 16-20 anni) sono responsabili di
episodi isolati di illegalità (scavalcamenti, esposizione non autorizzata di
striscioni, lancio di bottiglie ed altri gesti che, comunque “sconsiderati”, non
presuppongono una aggregazione).
Si pensi alle conseguenze per ciascuno di tali ragazzi: processo e relative spese,
allontanamento preventivo dallo stadio con DASPO del Questore e, in caso di
condanna, fedina penale sporca nonché, dal 2007, il DASPO del Giudice che è
obbligato dalla norma a comminare l’allontanamento dello stadio.
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Promuovere una pausa o un eventuale dibattito/approfondimento di questa prima
trance di informazioni
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Ripresa formale della presentazione del materiale
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Prima di passare a vedere come lo Stato ha risposto, negli anni, alla violenza nello
sport vediamo questo filmato “vigliacchi all’ultimo stadio”, presentato dal Ministro
dell’interno Maroni l’11 settembre 2008 e distribuito dalle reti RAI nell’ottobre 2007
Le immagini - ponendo in netto contrasto belle azioni sportive, sia individuali che
collettive, registrate sul terreno di gioco, con attacchi anonimi e scontri tra opposte
tifoserie registrati fuori e dentro gli stadi - veicola un messaggio forte di condanna
nei confronti dei tifosi violenti definendoli, in ultimo, “vigliacchi all’ultimo stadio”.
Il contrasto tra le due realtà, con sonoro registrato in presa diretta, è accentuato
dagli opposti rumori di fondo: nella prima realtà le masse spettatrici esprimono gioia
e giubilo, con la finalità di scatenare un desiderio di appartenenza positiva in chi
guarda il filmato, mentre nella seconda realtà, quella di scontro, espressioni di
aggressività e violenza generate dagli stessi protagonisti dei gesti illeciti,
provocano sentimenti di ripulsa nei confronti dei responsabili e anche delle
immagini.
I brevi messaggi scritti in sovrimpressione, preferiti alla tecnica di comunicazione o
commento attraverso una voce fuori campo, determina inoltre nello spettatore la
necessità di prestare attenzione al filmato e di elaborare razionalmente, attraverso
la lettura e la comprensione di quanto letto, il messaggio trasmesso.
Al termine della visione del filmato, soprattutto se avvenuta in luogo affollato o
comunque unitamente ad altre persone, si crea spesso in chi è rimasto colpito
distrattamente da qualche fotogramma dello stesso, richiamato per lo più dai rumori
degli scontri, l’attesa di rivederlo per verificare che la comprensione del messaggio
non sia stata solo superficiale: solo allora l’attenzione sarà attratta soprattutto da
quanto registrato sui campi di gioco, con il conseguente insorgere del desiderio di
rivedere quelle scene per rivivere solo i momenti positivi trasmessi da quelle
manifestazioni di sportività senza lasciarsi sfuggire niente.
Questo spot - teso a far scegliere allo spettatore in quanto tale “da che parte stare”
(se identificarsi con i tifosi sugli spalti che gioiscono nel vedere una bella partita o
con quelli che vivono l’agonismo sportivo come antagonismo con l’opposta tifoseria
agendo con violenza soprattutto fuori dagli impianti, rischiando peraltro di perdere
lo scontro), - propone di fatto come positiva una posizione di passività rispetto al
fenomeno della violenza (è già tanto tenersene fuori!), che forse determina uno
scarso impatto “educativo” sui giovani tifosi violenti che, anzi, potrebbero leggervi
addirittura una esaltazione delle proprie azioni essendo esse messe alla pari
addirittura a prodezze da campioni. Il target risulta essere di più lo sportivo
praticante o il tifoso medio che, alla fine dello spot, potrebbe rafforzare l’idea - o
addirittura decidere - che sia meglio divedere la partita in televisione.
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Anche lo Stato, come vedremo, si è posto in maniera antitetica al fenomeno della
violenza: ad ogni azione “cattiva” ha tentato di contrapporne un “buona” o meglio
di contrasto. Ma ha funzionato o quando l’intervento legislativo ha cominciato ad
incidere veramente sui comportamenti dei violenti?
Nel 1986, a rimetterci la vita è un ragazzo di 17 anni: Paolo Siroli, tifoso della
Roma. È il 13 aprile, e i supporters romani stanno tornando da Pisa col morale a
mille: la loro squadra ha vinto 4 - 2, ed ha agganciato in vetta alla classifica la
Juventus, a sole due giornate dalla fine del campionato. La troppa euforia porta
alcuni ultrà ad appiccare il fuoco ad uno scompartimento del treno in cui
viaggiano. Le fiamme si propagano in fretta, senza controllo. Paolo muore così,
ucciso
dal
“fuoco
amico”.
Pochi mesi più tardi, il 7 dicembre 1986, il tifoso della Sambenedettese
Giuseppe Tomasetti, di appena 21 anni, muore accoltellato da un tifoso
dell’Ascoli,
al
termine
di
una
partita
di
Coppa
Italia.
Due anni dopo tocca a un tifoso ascolano morire per una partita di calcio.
Il 9 ottobre 1988 allo Stadio Del Duca di Ascoli, al termine della partita con
l’Inter, Nazzareno Filippini resta gravemente ferito nel corso di una cruenta rissa
scoppiata tra le tifoserie avversarie. Poche ore dopo si spegnerà in ospedale,
mentre la Polizia arresta quattro esponenti della curva nerazzurra.
L’anno successivo, il 4 giugno 1989, prima che si disputasse la partita Milan –
Roma, il tifoso giallorosso Antonio De Falchi, appena diciottenne, muore per
arresto cardiaco, causato dall’aggressione subita dal giovane e da tre amici per
mano di una ventina di tifosi milanisti. Dei tre ultrà milanesi processati, soltanto
uno viene arrestato e poi condannato a sette anni di reclusione.
Scoppia infine lo scandalo “calciopoli” (partite truccate e giocatori venduti al
calcioscommesse) ed il “sistema calcio” entra in crisi.
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Esce una legge, la prima che si occupa specificatamente e solo di calcio,
checome si vede dal titolo tutela la “correttezza delle manifestazioni sportive”
dunque il legislatore si occupa per la prima volta di una materia e di un terreno
che è fino ad allora vissuto da tutti come “al di fuori delle leggi dello Stato” in
quanto il calcio ha dichiarato sempre la propria autonomia dalle norme statali
vantando organi di giustizia interna (Arbitro, Giudice Sportivo, gradi interni di
ricorso, ecc).
Da un punto di vista di lotta alla violenza negli stadi, la legge però introduce uno
degli strumenti di maggior impatto per prevenire e contrastare la violenza negli
stadi: il divieto di accesso ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive,
provvedimento meglio noto con il suo acronimo “DASPO”, misura che, pur
limitando la libertà personale di chi lo riceve, può essere applicata direttamente
dal Questore senza attendere il giudizio definitivo del Giudice che, come noto,
può arrivare anche dopo molti anni dalla commissione del fatto-reato.
L’efficacia di tale divieto viene rafforzata dalla possibilità del Questore di
applicare contestualmente al “daspato” l’obbligo di presentazione in un ufficio di
polizia negli orari di svolgimento dell’incontro. Tale ulteriore misura ha peraltro
bisogno di convalida da parte del Tribunale che, accertata l’esistenza dei
presupposti giuridici, avalla le decisioni dell’Autorità di Pubblica Sicurezza. In
caso di inottemperanza peraltro è previsto l’arresto e pene detentive importanti.
Queste misure, c.d. di prevenzione, si sono dimostrate quelle di maggior efficacia
per infrenare il fenomeno della violenza negli stadi permettendo, a livello
preventivo, di “minacciare” ed in caso di commissione di reati quali il
travisamento, il possesso di armi proprie ed improprie e più in generale di reati di
violenza contro le cose e le persone (danneggiamenti, rapina, violenza, lesioni,
resistenza a Pubblico Ufficiale, ecc), l’immediato allontanamento dagli stadi di chi
si rende responsabile di azioni violente.
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Alla fine degli anni ’60, in Inghilterra nasce, su base sociale (sottoproletariato) e
non su base politica, il movimento Skin Head, con attitudini fortemente
conservatrici che sfociarono in aggressioni frequenti ai gruppi considerati
"nemici":Durante la prima metà degli anni settanta la subcultura skinhead
conobbe un graduale declino dovuto a interventi repressivi, quali il divieto
d'ingresso negli stadi, nei pub e discoteche: si stava concludendo il suo primo
ciclo vitale che vedrà il secondo rinascere in tutta Europa dove si basa su
sentimenti di appartenenza di classe, di patriottismo e nazionalismo, con aspetti
comportamentali maschilisti e sciovinisti, creando fazioni politiche contrapposte.
Tali fazioni si collocarono su posizioni di estrema sinistra, di estrema destra o di
rifiuto di qualsiasi connotazione politica. In Italia, neglianni ’80, sono
rappresentati, sul modello americano, soprattutto da gruppi Neonazisti e
Neofascisti che, come in paesi come Francia e Germania trovando terreno fertile
per la propaganda xenofoba rivolta alla immigrazione extracomunitaria,
prevalentemente turca e nordafricana.
Nasce rivalità tra i vari gruppi Skin che viene accentuata da motivi di
campanilismo calcistico. Negli anni tra il 1985-90 è, il calcio, con tutta probabilità
al centro degli interessi degli Skin italiani.In tutto questo, la stampa gioca un ruolo
determinante, stigmatizzando non solo gli skinhead di destra ma tutto il
movimento in generale. Agli inizi degli anni 90 , mentre la stampa ed il sistema di
informazione si concentrano sulla figura del NAZISKIN,
Nel 1993 si rende necessario uno specifico intervento normativo che, tra l’altro
introduce la possibilità di applicare pene sostitutive alla detenzione quale la
condanna a svolgere servizi socialmente utili.
Leggere alcuni passi salienti della sentenza di cassazione sottolineando l’attualità
della norma e la sua applicabilità in tutti i campi, anche esterni agli ambienti
sportivi
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Quattro anni dopo l’emanazione della legge Mancino, la violenza degli ultrà colpisce a
Bergamo. È il 10 gennaio 1993. Al termine di Atalanta – Roma, muore, colto da infarto, il
42enne Celestino Colombi. Non si tratta di un tifoso, né di un poliziotto. È un cittadino
come tanti, rimasto coinvolto accidentalmente nelle cariche della Polizia mentre si trovava
casualmente
nei
pressi
dello
Stadio
Atleti
Azzurri
d’Italia.
Il 1994 è un altro anno tragico per le sorti del calcio nazionale. Quello che doveva essere
l’anno della speranza per la vittoria dei Mondiali americani, dell’esultanza per
l’assegnazione a Roberto Baggio del prestigioso Pallone D’Oro e dell’ennesima
consacrazione del calcio italiano a livello globale, si tramuta in un triste susseguirsi di
morti, passate inosservate o sussurrate sottovoce, onde non macchiare il clima di festa.
Salvatore Moschella non è un ultras.
È il 30 gennaio 1994. Sta viaggiando su un treno partito da Ragusa e che lo sta
riportando a casa. Sullo stesso convoglio viaggiano anche alcuni tifosi del Messina, di
ritorno dalla trasferta ragusana. Questi cominciano ad infastidire una giovane ragazza
seduta poco lontano da Salvatore, il quale intima ai messinesi di lasciarla in pace. Gli ultrà
in tutta risposta se la prendono con lui, aggredendolo con furia e cattiveria. Il ragazzo,
nello strenuo tentativo di trovare una via di fuga, si butta dal finestrino del treno in
prossimità della stazione di Acireale, mentre il treno sta rallentando. Le ferite riportate
sono gravissime, e dopo poche ore Salvatore si spegne in ospedale, a soli 22 anni. È il
primo morto del calcio del 1994.
Il 5 luglio non è la violenza dei tifosi ad uccidere, ma una manifestazione di gioia che si
esprime nel più errato dei modi. A Ercolano, in provincia di Napoli, alcuni ragazzi sparano
in aria svariati colpi d’arma da fuoco, esultando e celebrando la vittoria della Nazionale
italiana contro la Nigeria, agli ottavi di finale dei Mondiali Usa ’94. Una pallottola colpisce il
piccolo Salvatore Oliva, di soli 10 anni, anche lui nel posto sbagliato al momento
sbagliato.
Un paio di mesi più tardi, il 29 gennaio 1995, la partita di cartello Genoa – Milan viene
sospesa per un drammatico evento: nelle vicinanze dello Stadio Marassi di Genova ha
perso la vita Vincenzo Spagnolo, tifoso rossoblu, colpito a morte da diverse coltellate. Lo
ha ucciso Simone Barbaglia, giovane tifoso milanista, da poco entrato a far parte della
curva rossonera. Quando la Polizia lo ferma per un controllo fuori dallo stadio, il ragazzo
ha ancora, nascosto negli slip, il coltello sporco del sangue di Spagnolo. Pronto a colpire
ancora, nel caso in cui si fosse presentata l’occasione. Questo fatto, in sede di processo,
fornirà un’aggravante notevole al comportamento di Barbaglia, condannato a 15 anni di
carcere.
Il 4 maggio 1997 è una data importante per le tifoserie di Salernitana e Brescia. Quel
giorno le due frange avversarie stringono un patto di gemellaggio. Per arrivare a questo
lieto fine, occorre passare per l’ennesima disgrazia da curva. Quel pomeriggio, infatti, allo
Stadio Arechi di Salerno, in una lite scoppiata sugli spalti, Roberto Bani cade
accidentalmente nel fossato che separa il settore ospite dal campo di gioco. Precipita
battendo violentemente la testa, dopo un volo di circa tre metri. Morirà dopo poche ore su
un
letto
dell’ospedale
“San
Giovanni
di
Dio
e
Ruggi
d’Aragona”.
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Fabio Di Maio muore l’1 febbraio 1998, nel dopopartita di Treviso – Cagliari. Il
32enne decede per via di un arresto cardiaco accorsogli in seguito ad alcune
cariche effettuate dalla Polizia per sedare un accenno di rissa tra i due opposti
gruppi di tifosi. Allo stesso Di Maio viene poi intitolata la curva ove siedono gli
ultras trevigiani.
Anche il 1999 è un anno terribile per le violenze che si verificano nell’ambito del
calcio. La prima, non solo in ordine di tempo, ma anche in ordine di gravità, è
quella del 24 maggio. Il giorno prima, nell’ultima giornata del campionato di Serie
A, la Salernitana non è riuscita ad andare oltre l’1 – 1 in casa del Piacenza,
retrocedendo in Serie B. La rabbia dei tifosi è alle stelle, in quanto la squadra
campana, l’anno prima, aveva letteralmente dominato il campionato della serie
cadetta, e tutti si aspettavano una più lunga permanenza nel massimo
campionato. In più vi è la beffa di essersi classificati quartultimi, ad un solo punto
dall’ultimo posto valido per rimanere in Serie A. In prossimità della Stazione di
Salerno, il treno speciale che riporta a casa gli oltre 3 000 tifosi campani prende
fuoco in una galleria. Nel rogo, che si accerterà poi essere stato appiccato dagli
stessi tifosi nel tentativo di sfogare la propria rabbia, perdono la vita quattro
giovani supporter granata: Simone Vitale, 23 anni, Giuseppe Diodato 21 anni,
Vincenzo Ioio, 16 anni e Ciro Alfieri, 15 anni.
Il 17 giugno 2001 in Serie C, si gioca Messina – Catania, partita decisiva per la
promozione in Serie B. Prima del fischio d’inizio si verifica un intenso lancio di
oggetti tra le due tifoserie. Ad un certo punto, dal settore ospiti, viene scagliata
verso i supporter messinesi una bomba carta, che ferisce gravemente il giovane
tifoso Antonino Currò. Viene trasportato al Policlinico di Messina, dove pochi
giorni dopo si spegne.
Vediamo un altro spot, “Stop alla violenza” per Ferrovie dello Stato, presentato
dall’Osservatorio e distribuito da novembre 2008 dalle Società Ferrovie dello
Stato S.p.A., ambientato appunto in una stazione ferroviaria,
Chiedere delle emozioni che ha provocato
SEGUE
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Martina Stella è in procinto di prendere il treno per assistere alla partita della
propria squadra. L’incontro con un gruppo di ultras, grazie alla responsabilità ed
alla buona volontà di tutti, si concluderà con una bella amichevole.
Anche in questo caso, la comunicazione nello spot avviene totalmente a livello
non verbale: di fatto, Martina Stella è, con la propria ambiguità sia espressiva che
di azione, l’agente provocatorio di una situazione di possibile conflitto. La
comunicazione sempre non verbale tra due attori principali, che si fronteggiano
uno quale leader di un gruppo e l’altro quale eroe solitario da solo contro tutti,
esprime dapprima l’incertezza che si genera in ciascuno di noi, anche se “di
carattere”, di fronte a situazioni e persone sconosciute con cui si è costretti ad
interagire. Il cambiamento dell’atteggiamento di una e dell’altra parte è affidato
completamente alle espressioni facciali dei protagonisti che vengono eletti
rappresentanti di due modi contrapposti di essere e di agire: entrambe però si
comportano in maniera analoga al fine di valutare la reciproca forza, esprimendo
entrambe dapprima provocazione, poi diffidenza ed infine, con un reciproco
sorriso, sdrammatizzando la tensione che diventa, come nel momento di
riconoscimento tra due amici che si incontrano dopo tanto tempo, rispetto, fiducia
ed infine complicità, sentimenti che si estendono immediatamente a tutti gli
elementi del gruppo precostituito ed anche a chi ha assistito passivamente alla
scena, il quale inizia a prenderne parte attiva senza palese schieramento.
Di fatto, il comportamento istintivo, animalesco (schieramento a semicerchio del
branco intorno al capo e “atteggiamento eroico” del singolo, completa delega ai
due leaders della contesa del territorio e della preda, l’attesa allo stesso tempo
rispettosa e timorosa dell’esito del confronto), che domina il momento
dell’approccio e del fronteggiarsi tra i due contendenti, si risolve, attraverso la
metamorfosi delle espressioni facciali e corporee, nell’umanizzazione dei
soggetti: lo sguardo che fa trapelare un lampo di intelligenza e razionalità nei due
protagonisti tipizza infatti il passaggio dallo stato “animale” a quello di “umano”
del rapporto interpersonale e la riscoperta della possibilità di risolvere il conflitto
attraverso una sua simbolizzazione: la partita di pallone.
Il messaggio veicolato è dunque ancora una volta quello di “usare la testa”, di
fare una azione certo contraria all’istinto: il filmato suggerisce di reagire in modo
opposto a quello che spingerebbe a fare la paura o la sfida, ovvero sorridere
invece di fuggire o attaccare. Lo spettatore si convince che l’adozione di questo
comportamento sia comunque un atto di coraggio che permette ai “veri eroi” non
solo di essere ritenuti tali dagli altri, ma di esserlo “dentro” in quanto il vero valore
“sportivo” è rinunciare a mettere a rischio la propria incolumità e quella dei propri
protetti preferendo la “ritualizzazione” della battaglia e dello scontro
rappresentata da una qualsiasi competizione sportiva, sia essa di squadra o
individuale.
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Ai tragici fatti del treno di Salerno ed alla morte di Antonino Currò segue
l’emanazione dell’ennesimo provvedimento legislativo d’urgenza con il quale si
individuano nuove fattispecie di reato da stadio: lancio di oggetti pericolosi, lo
scavalcamento dei separatori e l’invasione di campo, includendo gli stessi reati
tra quelli per cui, in caso di denuncia o condanna, è possibile applicare anche il
DASPO.
Importante però è sottolineare che anche le altre morti non sono passate così
inosservate o sottovalutate come può sembrare da un esame superficiale della
citata norma.
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Due anni dopo, viene registrata una nuova escalation del fenomeno della
violenza negli stadi che, da una analisi critica dei dati, ha evidenziato uno
spostamento dei motivi degli incidenti in occasione di incontri di calcio dall’astio
tra le opposte tifoserie a quello verso le Forze dell’Ordine, riconducibile peraltro
al ruolo spesso improprio fatto assumere da queste ultime di divisione fisica tra le
opposte fazioni in assenza di strutture e misure organizzative che ne
permettessero la separazione. All’epoca solo il 43% degli stadi dove si
svolgevano gli incontri di calcio professionistici (serie A, B e C) erano in possesso
di certificazione di agibilità, cioè erano ritenute idonee ad ospitare le attività
sportive ed il pubblico dalla Commissione di tecnici appositamente incaricata di
verificare la presenza, l’efficienza e l’efficacia di tutte le misure di sicurezza e di
tutela della incolumità pubblica e personale previste dalla legge.
Si ritiene dunque inderogabile una revisione totale delle norme che regolano
l’impiantistica e l’organizzazione degli eventi sportivi anche alla luce delle
decisioni e delle raccomandazioni internazionali comunitarie che, proprio nel
2001 e 2002, in concomitanza alla sempre maggior “internazionalizzazione” degli
incontri di calcio, suggeriscono ai Paesi membri linee guida per uniformare “le
regole del gioco”.
Dall’apposito studio delle esigenze per innalzare gli standard di sicurezza degli
stadi, ed a seguito della sospensione della partita “Como – Udinese” del 19
dicembre 2002 per i ripetuti tentativi di invasione di campo, viene emesso il
Decreto legge del 24 febbraio 2003, 28 con cui viene introdotto, per la prima volta
nell’ordinamento
giuridico nazionale, il concetto di “responsabilità
dell’organizzazione dell’evento”, in relazione agli oneri da assumere circa la
messa in sicurezza degli impianti.
La società sportiva, d’intesa con i proprietari viene dunque incaricata e ritenuta
responsabile del mantenimento in efficienza ed efficacia delle misure di cui ai
successivi decreti tecnici del 6 giugno 2005 con cui viene disciplinata la
realizzazione dei sistemi di videosorveglianza, di vendita dei biglietti nominativi
associati ad un posto a sedere e soggetti a verifica elettronica della regolarità,
nonché le misure strutturali ed organizzative per assicurare la divisione delle
tifoserie nelle fasi di afflusso permanenza e deflusso dei tifosi (parcheggi,
percorsi ed accessi separati per le opposte tifoserie, delimitazione di aree di
sicurezza a cui è possibile accedere solo previa verifica del titolo di accesso,
sottoposizione a controlli di sicurezza anche a mezzo di metal detector per
evitare l’introduzione di materiali ed oggetti illeciti o pericolosi, accesso agli spalti
previo passaggio attraverso tornelli per evitare accessi indebiti e pericolose
pressioni sui varchi, accoglienza, assistenza e controllo del rispetto del
regolamento d’uso da parte di personale dipendente dalle Società sportive
appositamente incaricato (gli steward).
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SLIDE 22
In questi anni sta cambiando anche la mappatura politica della violenza: venendo
meno il potere dei gruppi politicizzati e soprattutto dei loro leaders
nell’organizzazione dell’evento sportivo, i gruppi più drasticamente connotati sia a
destra che a sinistra diminuiscono rapidamente.
Da oltre 650 gruppi si passa agli attuali 230 e si inizia a ragionare con
associazioni di tifosi che riconoscono la possibilità di sviluppare delle critiche
costruttive al sistema: nasce per esempio nel 1995 Progetto Ultrà con le finalità di
promuovere e dare dignità alla cultura popolare del tifo, limitare i comportamenti
violenti, intolleranti e razzisti attraverso un intervento sociale portato avanti dagli
stessi tifosi che vi aderiscono. Per lo più organizzano occasioni di incontro tra
tifoserie anche tendenzialmente ostili tra loro per costruire su obiettivi comuni un
cambiamento o una attività “insieme”. Un esempio sono i Mondiali Antirazzisti.
Da tali attività è nato anche il Movimento Ultrà che prima di calciopoli organizzò
delle pubbliche manifestazioni di piazza, in giorni diversi da quelli di svolgimento
delle partite, per protestare contro “il calcio moderno”
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SLIDE 23
Subito dopo l’emanazione dei decreti ministeriali ma prima che fosse possibile per tutti i
soggetti coinvolti darvi realizzazione, a seguito dell’ennesima vittima, nell’ottobre dello
stesso 2005, il legislatore interviene di nuovo soprattutto per introdurre, a seguito di
incidenti registrati anche in occasione di incontri di calcio svolti all’estero, il DASPO
“internazionale”, cioè la possibilità di impedire a tifosi italiani resisi responsabili di reati da
stadio o comunque di violenza su cose o persone in occasione di manifestazioni
sportive, di assistere ad incontri di calcio disputati all’estero dalla propria squadra o dalla
nazionale italiana, nonché ai tifosi stranieri colpiti da analoghi provvedimenti nel loro
Paese di venire in Italia a vedere le partite.
Poiché gli addetti ai controlli dei luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive di cui
abbiamo accennato prima assolvono di fatto a compiti di sicurezza, con questa nuova
norma viene anche introdotto, per tutelare tale personale, il reato specifico di violenza o
minaccia nei confronti degli addetti ai controlli, nonché la contravvenzione per chi venda
illecitamente a prezzo maggiorato i biglietti per la partita (bagarinaggio).
Peraltro, viene anche introdotto un importante concetto che sposta ancora di più le
responsabilità di sicurezza sui soggetti privati che organizzano l’incontro di calcio infatti
si stabilisce che l’accesso e la permanenza delle persone e delle cose negli impianti
devono essere disciplinati da un regolamento d’uso che stabilisca le regole di
comportamento da tenere all’interno di ciascun impianto.
Conseguentemente, gli steward sono gli incaricati dalla società sportiva di assicurare il
rispetto di tale regolamento d’uso, ovvero di verificare che - dalle fasi di afflusso, a quelle
di permanenza e fino al momento del deflusso dall’impianto sportivo - il pubblico non
mettano in atto alcun comportamento, non solo illegale ma anche solo pericoloso per la
sicurezza e l’incolumità pubblica e personale: devono pertanto accertare che non
vengano introdotti nello stadio materiali esplodenti o comunque pericolosi perché
potrebbero essere usati, non necessariamente dal proprietario, come strumenti atti ad
offendere o potrebbero comunque provocare danni a cose o persane se lanciati o lasciati
incustoditi, esposizione di striscioni anche se dal contenuto non violento, se fatti con
materiali infiammabili o di dimensioni tali da limitare la visibilità dello spettacolo sportivo
agli altri spettatori, assicurare l’uso corretto dei percorsi di accesso e di raggiungimento
del posto a sedere assegnato nominalmente all’acquisto del biglietto a ciascuno
spettatore e vietare lo stazionamento lungo le vie di fuga o comunque di stare in piedi
sugli spalti impedendo la visione del terreno di gioco agli altri tifosi, ecc.)
Devono dunque assicurare che gli spettatori tengano comportamenti improntati sulle
regole del vivere civile, assolvendo dunque anche ad una costante funzione non solo di
repressione, ma soprattutto di educazione alla legalità e di “moralizzazione e
responsabilizzazione” di ogni singolo spettatore-tifoso.
Infine, al norma ha individuato un organo coordinatore a livello nazionale per favorire la
migliore attuazione delle disposizioni e delle misure per prevenire e contrastare i
fenomeni di violenza in occasione di manifestazioni sportive: l’Osservatorio Nazionale
sulle Manifestazioni Sportive da me oggi rappresentato.
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SLIDE 24
Tutto questo lavorare da parte dello Stato, purtroppo, non ha evitato i tragici fatti che si
sono registrati dopo che le “nuove regole del gioco” erano state stabilite.
Il 2007 sarà ricordato come uno degli anni più neri del calcio italiano, che uccide per ben
tre volte. Il primo a morire è Ermanno Licursi, dirigente della Sammartinese, squadra di
terza categoria. Il 27 gennaio, a Luzzi, nel cosentino, scoppia una rissa con i giocatori
della Cancellese. Licursi, nel tentativo di dividere i giocatori, subisce una lunga e
furibonda serie di percosse. Ermanno muore così, accasciandosi sulle piastrelle dello
spogliatoio, ucciso dai calci e dai pugni.
Il 2 febbraio si gioca l'attesissimo derby di Sant'Agata, tra Catania e Palermo. Nel corso
dello svolgimento dellapartita hanno luogo violentissimi scontri tra i tifosi catane si e le
Forze dell’Ordine, che stanno cercando di mettere in salvo i supporters palermitani.
Nell’evolvere dei disordini, l’ispettore capo Filippo Raciti viene probabilmente colpito
all’addome dall'auto di servizio su cui viaggiava, e dalla quale era appena sceso per
l'esplosione di un fumogeno nell'abitacolo. L'autista del mezzo, per paura che il veicolo
prendesse fuoco, inserisce la retromarcia e si sposta di 5 metri, non avvedendosi, a
causa del fumo densissimo, di aver centrato l'ispettore con lo spigolo di una portiera
rimasta aperta. Gli ultras del Catania, inferociti, ostacolano volontariamente l’ambulanza,
che non riesce ad avvicinarsi all’uomo ferito. I poliziotti riescono a formare un cordone di
protezione, e gli uomini dell’autolettiga riescono a recuperare l’ispettore, adagiandolo su
una barella e portandolo all’interno della vettura di soccorso, mentre prosegue furioso il
lancio di pietre, tubi d’acciaio, bottiglie piene di benzina e chiodi che esplodono frantumi e
schegge impazzite ovunque. Raciti muore nella notte, mentre la città di Catania inizia i
festeggiamenti in onore di Sant’Agata.
Gabriele Sandri è la terza vita che il calcio si è portato via nel 2007. 11 novembre, ore 9
circa del mattino. Un’auto di tifosi juventini, ferma nel piazzale di sosta di un autogrill
sull’autostrada A1, viene avvicinata da alcuni ultras della Lazio, armati di spranghe. Ne
nasce una violenta colluttazione, che richiama l’attenzione di una pattuglia della Polstrada
che si trova dalla parte opposta della carreggiata, a oltre 50 metri di distanza. I poliziotti
raggiungono il bordo della strada, e dopo aver acceso le sirene, uno degli agenti spara in
aria un colpo intimidatorio. L’auto dei tifosi juventini riparte rapidamente, e l’agente
esplode un secondo colpo, questa volta in direzione del veicolo. Il proiettile raggiunge al
collo Gabriele, che stava dormendo sul sedile posteriore della vettura, ignaro di tutto.
Muore poco dopo, mentre gli uomini dell’ambulanza tentano invano di rianimarlo. In
serata, a Roma, migliaia di ultrà giallorossi, e qualche testimone asserisce di aver visto
anche parecchi tifosi laziali al loro fianco, come mai prima era successo, scendono in
strada, e cercano il contatto violento con le Forze dell’Ordine. Sono inferociti per via della
mancata sospensione del campionato, come invece era accaduto per la morte
dell’ispettore Raciti. Ma la sospensione non è arrivata perché le autorità non hanno avuto
il tempo di capire la dinamica del fatto, non perché, come urlavano gli ultrà, la morte di un
tifoso non vale quanto quello di un poliziotto. Con questo pretesto riempiono la notte
romana di violenza e distruzione.
SEGUE
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SEGUE SLIDE 24
Anche Matteo Bagnaresi muore nel piazzale di un autogrill, in circostanze
simili a quelle in cui ha perso la vita Gabriele Sandri. È il 30 marzo 2008. Sono
circa le 12.30, quando un pullman di 25 tifosi juventini, proveniente da Crema, si
ferma in un’area di servizio. Dopo un paio di minuti fanno sosta nello stesso
autogrill due pullman che trasportano ultras del Parma. Questi, notando i
bianconeri, scendono brandendo cinghie e lanciando bottiglie di vetro verso di
loro. I supporters torinesi, in inferiorità numerica e in preda al panico, risalgono
sul veicolo, che riparte a tutta velocità. Mentre sta uscendo dall’area di servizio,
da dietro un distributore di benzina appare all’improvviso Matteo Bagnaresi. Il
giovane, che voleva probabilmente costringere il mezzo a fermarsi, viene
schiacciato dalle ruote anteriori e posteriori sinistre del torpedone, che però
prosegue la sua fuga in autostrada, percorrendo circa 700 metri prima di
fermarsi. L’autista dirà di non essersi accorto dell’accaduto; ad avvisarlo
sarebbe stato, nella sua ricostruzione, un tifoso seduto in ultima fila, che l’ha
indotto a fermare il mezzo.
I morti sono 25. 25 vite che il calcio italiano ha trascinato con sé nel vortice della
violenza in cui ha sempre annoverato tanti, troppi delinquenti. Perché se un
omicidio è considerato tale sia nel caso in cui avvenga dentro che fuori da uno
stadio, allora chi si macchia di tale crimine è da considerarsi un omicida in
entrambe le circostanze, e va trattato e punito nelle medesime forme, secondo
gli stessi procedimenti. La parola “tifoso”, per costoro, è decisamente fuori
luogo. (provocazione)
Promuovere un eventuale dibattito/approfondimento di questa prima trance di
informazioni
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SLIDE 25
Il nuovo intervento normativo, anziché rispondere con inasprimento di pene alla morte,
con la individuazione di nuove fattispecie di reato ecc., a fare insomma quello che finora
aveva sempre fatto, risponde questa volta in maniera “creativa”, diversa e in alcuni
ambienti inaspettata.
Si tratta delle norme che:
• estendono agli impianti minori, con capienza superiore a 7.500 spettatori, gli obblighi
di adeguamento strutturale di cui ai richiamati “decreti Pisanu” e che hanno
determinato l’immediata chiusura al pubblico degli impianti che, dal 2005, non erano
stati ancora adeguati alle norme per l’innalzamento degli standard di sicurezza, fino a
quando essa non è intervenuta;
• prevedono un programma di iniziative per promuovere i valori della cultura sportiva
nelle scuole, nelle università e nei luoghi ove si svolge attività sportiva a livello
giovanile;
• prevedono la predisposizione di un apposito “codice di autoregolamentazione” delle
trasmissioni di commento degli avvenimenti sportivi, in particolare calcistici, anche al
fine di contribuire alla diffusione tra i giovani dei valori sportivi.
Misure organizzative per assicurare la sicurezza degli impianti sportivi. Il pacchetto
di norme (art. 1; art. 2, comma 2, 8, 9, 10 e 11) è finalizzato a assicurare, con il diretto
coinvolgimento anche delle società sportive, la sicurezza degli spettatori e di tutti gli altri
soggetti comunque coinvolti prima, durante e dopo un incontro di calcio, all’interno o
all’esterno dell’impianto sportivo.
Le misure sono volte, pertanto, a prevenire più efficacemente, sia i rischi “strutturali”
connessi ad impianti potenzialmente a rischio di incidenti perché inidonei a contenere
l’impatto dei tifosi, in relazione al contesto in cui gli stessi si muovono, sia i potenziali
rischi “soggettivi” derivanti dalla contestuale ed organizzata presenza di “soggetti
pericolosi” e, in particolare, di quelli destinatari di” provvedimenti interdettivi da stadio”.
Al fine di realizzare tale obbiettivo è previsto, contestualmente:
• l’obbligo di disputare gli incontri “a porte chiuse” negli impianti con capienza superiore a 10.000
spettatori nei quali non sono stati eseguiti tutti gli adeguamenti previsti dai cosiddetti “decreti Pisanu”
del 2003 e del 2005, ovvero “a porte socchiuse”, per i soli abbonati, in quegli impianti dotati di tutte le
infrastrutture e mezzi previsti da medesimi decreti e che sono, pertanto, “quasi perfettamente a norma”;
• l’introduzione di immediate iniziative mirate ad accelerare il completamento dei lavori dei medesimi
impianti, anche attraverso il superamento di vincoli e limitazioni di carattere burocratico o
amministrativo;
• l’immediata convocazione di un tavolo di concertazione fra tutti i soggetti e le autorità interessati al fine
di definire un programma straordinario per l’impiantistica sportiva;
• il divieto di vendita o cessione di biglietti tra società per contenere gli effetti delle trasferte dei tifosi che
comportano gravi rischi sotto il profilo dell’ordine e della sicurezza pubblica;
• il divieto per le società di vendere o cedere biglietti, ovvero mantenere rapporti con la “tifoseria
violenta”.
SEGUE
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SEGUE SLIDE 25
Misure di prevenzione nei confronti della “tifoseria violenta e pericolosa” Il
pacchetto di norme (art. 2, comma 1, lett. a), b) e d); artt. 5 e 6) è mirato a realizzare
una più efficace azione di prevenzione, al fine di ridurre al massimo il rischio di
incidenti in occasione delle manifestazioni calcistiche, impedendo l’accesso negli
stadi e nei luoghi interessati alla medesima manifestazione a quei soggetti
“oggettivamente” e “potenzialmente” pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica.
Il principio ispiratore è, pertanto, quello di allontanare concretamente dagli stadi tutti
quei soggetti che possono risultare pericolosi per gli spettatori e per la tifoseria non
violenta, attraverso l’applicazione della misura di prevenzione “tipica” da stadio che è
quella del divieto di accesso agli impianti sportivi, di cui all’art. 6, comma 1, della
legge 401/89.
Per raggiungere più efficacemente tale obbiettivo, le novità introdotte dal decretolegge sono finalizzate - in relazione all’esperienza registrata in questi ultimi anni - a
colmare due evidenti lacune che impedivano con la precedente disciplina di applicare
il predetto divieto nei confronti del soggetto:
• che veniva trovato in possesso di artifizi pirotecnici e denunciato per la
contravvenzione prevista dall’art. 6-ter della legge n. 401 del 1989;
• che non veniva colto nella flagranza di commettere un reato “tipico”, ma che sulla
base di evidenti elementi di fatto, risultava tenere oggettivamente una condotta o
comportamento finalizzati alla violenza o a porre in pericolo la sicurezza della
manifestazione calcistica.
Tale estensione consente adesso di allontanare con immediatezza dagli impianti
sportivi tutti i soggetti oggettivamente pericolosi di cui si è fatto ampiamente cenno
anche nel recente dibattito mediatico conseguente ai gravi fatti di Catania.
Si tratta, pertanto, di una estensione che, per gli oggettivi elementi richiesti, appare
pienamente coerente - nel contesto di una applicazione graduale delle misure
previste in materia - con la natura di misura di prevenzione finalizzata ad impedire
l’accesso di “soggetti pericolosi” a specifici impianti sportivi, in determinati giorni e
orari, nonché in linea con i medesimi fatti meramente indiziari, di cui all’art. 1, della
legge 27 dicembre 1956, n. 1423. La motivazione che dovrà dare il questore per
l’applicazione della misura in questione sarà, di fatto, ancorata ai predetti fatti e alle
finalità della misura stessa.
Al medesimo fine di rendere più efficace e ampia l’attività di prevenzione, per i
soggetti più pericolosi, promotori anche di azioni violenti di gruppo, il decreto-legge
introduce anche la possibilità di applicare la misura di prevenzione della sorveglianza
speciale e della confisca dei beni che possono agevolare tipiche attività violente da
stadio, con le stesse modalità e procedure previste dalla legge n. 1423 del 1956 e
dalla legge n. 575 del 1965.
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SEGUE SLIDE 25
Al fine di realizzare tale obbiettivo sono state previste le seguenti misure:
• l’applicazione del divieto di accesso agli impianti sportivi ai soggetti denunciati o condannati anche per
possesso di artifizi pirotecnici od oggetti contundenti in occasione di manifestazioni sportive;
• l’applicazione del medesimo divieto anche nei confronti di soggetti non denunciati, qualora emergano
oggettivi elementi di “pericolosità da stadio”, nonché di quelli che hanno violato più volte le disposizioni
del regolamento d’uso dell’impianto sportivo che prevedono l’allontanamento dallo stesso per le
violazioni più gravi;
• l’introduzione di una durata minima di tre mesi del divieto disposto dal questore, fermo restando quella
massima di tre anni;
• la previsione della durata minima di sei mesi e di quella massima fino a sette anni del divieto disposto
dal giudice con la sentenza di condanna e la possibilità per il medesimo giudice di applicare anche
l’ulteriore misura accessoria della prestazione di attività lavorativa “di pubblica utilità”, analoga a quella
prevista per gli autori dei reati di cui al decreto-legge n. 122 del 1993, in materia di discriminazioni
razziali, etniche e religiose;
• la possibilità di applicare ai soggetti più pericolosi e, soprattutto, ai loro “agevolatori”, le misure di
prevenzione personali e patrimoniali.
Misure di repressione nei confronti degli autori dei “reati da stadio”.
Il pacchetto di norme (art. 2, comma 1, lett. c); artt. 3, 4 e 7), è mirato a rimodulare le
fattispecie penali “tipiche da stadio”, al fine di disporre di una disciplina più efficace e più
rispondente all’obbiettivo di effettiva deterrenza nei confronti dei comportamenti che
rischiano di compromettere gravemente la sicurezza degli spettatori e degli operatori di
polizia in occasione delle manifestazioni calcistiche.
Si tratta, pertanto, di misure specificamente mirate al raggiungimento di tale finalità,
anche relativamente all’aggravamento delle sanzioni. L’intervento sulle pene o sui
presupposti per l’applicazione della misura cautelare tende non solo ad aumentare
l’effetto di deterrenza, ma anche e, soprattutto, a conseguire quegli effetti di protezione
sociale propri delle misure cautelari, mettendo l’autore delle violenze o di altri
comportamenti a rischio in condizione di non nuocere alla collettività, almeno per un
periodo ragionevole.
Si sottolinea che la severità su questo fronte è un presupposto determinante del
cosiddetto “modello inglese”.
A tale obbiettivo è finalizzata soprattutto la ridefinizione dei reati di possesso e di lancio
di oggetti pericolosi, con specifico riferimento all’ambito spaziale e temporale connesso
con la manifestazione calcistica, nonché al possesso di artifizi pirotecnici, fattispecie
criminosa che rappresenta, nel particolare contesto dello “stadio”, quella di maggiore
rischio per la sicurezza. e che, pertanto, necessita di una maggiore severità e di pene più
congrue, anche al fine di poter applicare eventuali misure cautelari e di assicurare una
maggiore certezza della pena in caso di condanna.
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SEGUE SLIDE 25
Anche se nella nuova formulazione, riferita sia al lancio che al possesso di oggetti o
materiali pericolosi, possono essere individuati comportamenti di differente gravità, la
pena prevista nel minimo e nel massimo consente al giudice di modulare,
conseguentemente ed agevolmente, la relativa sanzione.
Analogamente finalizzati al predetto obbiettivo sono anche gli aumenti di pena per coloro
che violano il divieto di accesso agli impianti sportivi e l’eventuale obbligo per il soggetto
di presentarsi in un ufficio di polizia.
La particolare efficacia deterrente si rinviene anche nella nuova disciplina dell’arresto
nella “quasi flagranza” che, nell’impossibilità di un intervento immediato per oggettivi
motivi di ordine pubblico, costituisce l’unica possibilità di prevenzione e di contrasto
degli episodi più gravi e pericolosi all’interno dello stadio, tra cui anche quelli posti in
essere dalla persona individuata in possesso di materiale pericoloso, ovvero che ha
violato il divieto di accesso. L’aumento del termine da 36 a 48 ore per procedere
all’arresto del soggetto individuato adesso esclusivamente sulla base di filmati o
fotografie, può consentire di rendere ancora più efficace la deterrenza della misura,
soprattutto in relazione ai tempi necessari per la compiuta individuazione dell’autore del
reato.
La modifica, infine, dell’aggravante per i delitti di violenza e resistenza a pubblico
ufficiale, è anch’essa finalizzata a contrastare più efficacemente gli episodi di violenza in
occasione delle manifestazioni sportive per gli episodi più gravi che possono verificarsi,
nonché a tutelare maggiormente gli operatori di polizia impiegati per salvaguardare
l’incolumità degli spettatori e per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica,
nonché gli stessi “steward”, sempre più frequentemente oggetto di comportamenti
violenti o pericolosi posti in essere “a distanza” o in contesti di sostanziale impunità e,
quindi, non immediatamente reprimibili e che, fino ad oggi, erano esclusi
dall’applicazione dell’aggravante in questione.
Il maggior rigore deve essere visto, pertanto, in tale particolare contesto e finalità, per cui
anche il previsto aumento da tre a cinque anni del minimo della pena è finalizzato a
consentire un eventuale maggior ricorso all’applicazione della custodia cautelare in
carcere.
Al fine di realizzare tale obbiettivo sono state previste le seguenti misure:
• l’aumento della reclusione fino a tre anni per chi viola il divieto di accesso agli impianti sportivi e
l’eventuale conseguente “prescrizione”;
• l’aumento della reclusione da uno a quattro anni per il lancio di oggetti e materiale pericoloso;
• la trasformazione da contravvenzione a delitto del reato di possesso del medesimo materiale
pericoloso, reato punito con la reclusione da sei mesi a tre anni;
• la possibilità di procedere all’arresto nella flagranza e nella quasi flagranza di reato (entro 48 ore dal
fatto) anche dei soggetti in possesso del medesimo materiale, ovvero di quelli che hanno violato il
divieto di accesso agli impianti sportivi.
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Allo stadio oggi: (leggere alcuni punti della slide)
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Allo stadio oggi: (leggere alcuni punti della slide)
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Allo stadio oggi: (leggere alcuni punti della slide)
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Allo stadio oggi: (leggere alcuni punti della slide)
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Allo stadio oggi: (leggere alcuni punti della slide)
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Allo stadio oggi: (leggere alcuni punti della slide)
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Allo stadio oggi: (leggere la slide)
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La presente slide di sintesi evidenzia come, dal 2001, si siano susseguiti 5
interventi legislativi d’urgenza per contrastare i fenomeni di violenza negli stadi
tutti preceduti da gravissimi episodi segnati dal decesso di tifosi come
conseguenza di pesantissimi scontri tra opposte tifoserie o, negli ultimi anni, con
le forze dell’ordine. In ultimo, come tristemente noto, la vittima è stata l’Ispettore
Capo della Polizia di Stato Filippo Raciti. Tutte i provvedimenti presi hanno inciso
sul testo della Legge nr. 401/89 che, per prima, ha individuato alcune fattispecie
di reato “da stadio” ed ha previsto nuovi strumenti di contrasto al fenomeno di
turbativa all’ordine e alla sicurezza pubblica di manifestazioni sportive.
Solo negli ultimi anni, l’attenzione dalle responsabilità dello Stato di prevenire e
reprimere azioni “criminali” si è spostata sulla responsabilità delle società sportive
di garantire misure organizzative tali da prevenire le condizioni di conflittualità e
impossibilità di controllo delle masse in cui in passato sono nate e cresciute le
aggregazioni di soggetti violenti. Con l’ultimo provvedimento del 5 aprile scorso,
infine, emerge la consapevolezza dello stesso Stato di assumersi mirate
responsabilità di divulgazione dei positivi valori sportivi e di legalità attraverso la
pianificazione di mirati piani di educazione da attuarsi in tutte le scuole di ogni
ordine e grado, nelle università e sul territorio, così come, nel ribadirne
l’importanza mediatica, di regolamentare i termini dell’informazione
radiotelevisiva in materia, al fine di tutelare ed educare in particolare i minori.
A margine si richiama anche la legge 23 giugno 1993, n. 205, di conversione
del decreto-legge 23 aprile 1993, n. 122 (c.d. “Legge Mancino) emanata per far
fronte ad un’ondata di “razzismo” e discriminazione che ha colpito, dal 1992 gli
stadi in cui, all’epoca, seguendo una tendenza europea, hanno fatto ingresso
elementi della estrema destra all’epoca denominati “Skin Head”. Tali presenza
ha, da allora, determinato una politicizzazione delle curve che, ancora oggi in
alcune realtà territoriali, sono sinonimo di scontri tra opposte tifoserie non per
motivi “sportivi” bensì per schieramenti “di partito” .
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Promuovere una pausa o un eventuale dibattito/approfondimento di questa prima
trance di informazioni
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ripresa formale della presentazione del materiale
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Vediamo ora perché, secondo gli psicologi ed i sociologi il tifo diventa violento
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Short movie “E’ solo un gioco”, premiato durante il Golden Graal nel luglio 2008 e
distribuito via internet e circuiti alternativi
Il filmato, realizzato da Maura Pasini, una giovane 25enne di Sondrio laureata in
Scienze sociali ed applicate che ha deciso di unire il suo percorso formativo con la
passione per il calcio, in linea con il progetto di educazione alla legalità
dell’Osservatorio – è vincitore del concorso “Dai un calcio alla violenza, per far goal
metti la testa in rete”, ideato con la collaborazione del Forum Nazionale dei Giovani e
del Golden Graal, che prevedeva l’elaborazione e la realizzazione - da parte dei giovani
tra i 14 ed i 35 anni, con gli strumenti che i giovani quotidianamente utilizzano, come il
cellulare e internet - di sms, mms, videoclip, video animati, sceneggiature e
cortometraggi ispirati al tema della “violenza nel calcio”.
Il filmato propone scene documentaristiche di scontri e violenze sugli spalti e in
prossimità degli ingressi degli stadi, questa volta inframmezzate dalle immagini di un
ragazzo con un braccio completamente ricoperto da tatuaggi che si rasa i capelli per poi
coprirsi la testa con un cappuccio e travisarsi il viso con una sciarpa. Alla fine, una
scritta invita a riflettere il singolo spettatore sulla domanda diretta: “Rinunceresti alla tua
identità?” e la successiva, dando per scontata la risposta, afferma “E’ solo un gioco”.
La comunicazione, che ha un target evidentemente giovane, avviene totalmente a
livello non verbale: il sonoro è costituito da una unica traccia di musica techno/house
(per definizione “alienante”), le immagini sono tutte in bianco e nero e il taglio
documentaristico degli scontri sembra voler convincere chi li guarda che, seppure
“storici”, quei fatti sono ormai lontani dalla realtà attuale ovvero, “storia vecchia”, come
a dire, nel linguaggio dei giovani, “guarda come sono antichi quelli che ancora fanno
casino allo stadio”. Di contro, il ragazzo giovane, con tatuaggi che dovrebbero essere
espressione di personalità, esperienza personale e scelta di simboli che lo
rappresentino e lo raccontino immediatamente agli altri, si trasforma sotto gli occhi dello
spettatore in un anonimo “tifoso violento”, meglio in un violento a priori, uguale anche
all’immagine mentale che l’opinione pubblica si è fatta dei famigerati aderenti ai “Black
Block” individuati dai mass media come gli autori delle distruzioni e dei saccheggi
operati in occasione del G8 di Genova. Forse un riferimento anche al fenomeno della
“politicizzazione delle curve”, da più parti denunciata come una delle cause
dell’impennata del fenomeno della violenza negli stadi negli anni passati.
Si cerca dunque di veicolare le scelte dello spettatore adolescente invitandolo ad “usare
la testa” per riflettere sull’importanza di non perdere mai la propria individualità e a non
“nascondere la faccia”.
Proprio perché realizzato dai giovani per i giovani risulta particolarmente lontano dal
cliquet pubblicistico ma molto efficace invece per un pubblico giovanissimo che vive
quasi quotidianamente, nell’ambiguità, la lotta tra volontà interiore di affermazione
personale e spinta esterna all’uniformità imposta dalle mode del gruppo di
appartenenza.
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La violenza negli stadi è in primo luogo una violenza di gruppo.
Tentare di spiegare il comportamento violento facendo riferimento a logiche
disposizionali o caratteriali del singolo non porta lontano: presto si scopre che le
persone coinvolte non sono normalmente più violente, più ignoranti, più
socialmente disadattate di molte altre.
Il gruppo è dunque il livello dimensionale da osservare e , come sostiene G. Lo
Verso, va considerato come una “ rete antropologica identificatoria “.
Gli ultras hanno gruppi fortemente strutturati, con dei confini ben precisi, nei
quali si condividono regole ferree e codici normativi, esiste un leader carismatico,
una simbologia condivisa (i colori della squadra), degli elementi di identificazione
(cappelli, sciarpe, bandiere…), delle ritualizzazioni simboliche (le coreografie, le
ole, i gesti scaramantici..), una storia passata, fatta di gesta eroiche, di cui ogni
membro è allo stesso tempo testimone e protagonista, un territorio concreto e
simbolico
di
demarcazione.
(Morris,
"La
tribù
del
calcio").
Anche l’ingresso stesso nel gruppo ha i suoi riti di iniziazione e delle qualità che il
futuro membro deve dimostrare di possedere: solidarietà, affidabilità, coraggio, e
una certa virile durezza, se non proprio aggressività, (attributo popolare e
prerequisito essenziale di accettazione nelle subculture a prevalenza maschile).
Il gruppo ultras ha un alto livello e senso della gerarchia e possiede delle regole
di premiazione e sanzione dei comportamenti non scritte, ma profondamente
radicate e riconosciute da tutti.
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Un gruppo siffatto produce due dinamiche precise:
a) nell’in-group una forte spinta alla deindividuazione (il singolo con la sua
individualità si appiattisce al volere del gruppo e la responsabilità morale si
diffonde), A. Zamperini (2004) parla di processo di deindividuazione,
aggiungendo che in questi contesti a favorire tale processo è l'anonimato.
V. Andreoli afferma che “l’individuo perde la propria identità per far parte di
un super individuo, che è appunto il gruppo, all'interno del quale la
responsabilità dell'individuo si dissolve". All'interno di questo contesto si
assiste, però, anche alla costituzione di codici e valori normativi che
contraddistinguono gli appartenenti al gruppo rispetto agli estranei, quindi
ad un processo di depersonalizzazione, intesa come un abbandono dell'
identità
individuale
verso
l'identità
del
gruppo.
b) nell’outgroup una forte spinta a considerare “l’altro” come un estraneo
senza significato, e talvolta senza dignità, se è un non tifoso, come un
nemico che minaccia la sopravvivenza del gruppo stesso, se è un tifoso di
un’altra squadra. l'essere coperto preserva dalle responsabilità personali e
produce atteggiamenti di odio e aggressività verso l'altro .
Il tifoso si comporterà dunque secondo le aspettative del suo gruppo, facendosi
coinvolgere in tutti quegli atti e quelle dimostrazioni che sostengono e validano la
sua appartenenza, smettendo prima di tutto di pensare in maniera autonoma.
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Si assiste ad un massiccio uso di generalizzazioni categoriali in termini di
giusto/sbagliato, vero/falso, amico/nemico e ad una riconcettualizzione dei
significati di valore, onore, difesa, territorio, ingiustizia, giustizia, secondo
un’ottica paranoica a senso unico che enfatizza retoricamente la
contrapposizione fra “noi” e “loro”. A tale proposito C. Bromberger, nel suo
volume "La partita di calcio", sfata molti luoghi comuni sul pubblico degli stadi,
dichiarando che non si tratta di masse indifferenziate in preda al delirio, come
sosteneva Le Bon in “Psicologia delle folle” ,ma di un gruppo di individui
organizzato che esprime e manifesta ciò che lo uniforma all'interno e lo
differenzia dall'esterno. L’elemento della contrapposizione, in tale frangente,
diviene cruciale perché serve a rafforzare l’identificazione nel gruppo: il senso di
appartenenza a un “noi” è rafforzato dalla presenza di un altro gruppo percepito
come “loro”, la squadra avversaria. Si vengono così a determinare intensi
sentimenti di attaccamento a “gruppi noi” molto definiti e sentimenti di ostilità
ugualmente intensi nei confronti di “gruppi loro” altrettanto nettamente definiti.
Questi universi psichici e comportamentali sembrano riproporre, fatte ovviamente
le debite proporzioni e differenze, le dinamiche psichiche descritte da G. Lo
Verso parlando della psiche totalitaria, “fondamentalista” (religiosa, politica,
razzista sessuofobia, etc).; infatti "queste logiche dell'appartenenza in cui il noi
sovrapersonale predomina sull' io individuale sembrano essere comuni al
processo di costruzione dell'identità personale presente nelle culture
fondamentaliste. Il quadro psicopatologica di base in questa strutturazione
dell'identità psichica satura e saturante è la paranoia ed il modo di intendere la
verità/realtà caratterizzata da una dicotomozzazione delle categorie cognitive e
affettive; la “comunicazione” è di tipo esclusivamente strumentale: è vero ciò che
si pensa sia utile e possa servire alla causa (…) Fondamentalista è chiunque
ritenga che l'altro sia a- priori inferiore, nemico.” (G. Lo Coco, G. Lo Verso, 2002;
G. Lo Coco, G. Lo Verso, 2003;).
SEGUE
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SEGUE SLIDE 40
La ingente mobilitazione e presenza delle Forze in servizio di ordine pubblico
dentro e fuori gli stadi, spesso rappresenta, per questi gruppi un motivo di
ulteriore compiacimento per vedersi così osservati e sorvegliati, anche se per
una
identità
negativa
attribuita
loro
dalla
Società.
Interessante a questo proposito è la ricerca condotta da G. De Leo (2002) dal
titolo "Il sistema di convinzioni dei giovani naziskin; aspetti cognitivi e dinamiche
di appartenenza gruppale".
Nello specifico i risultati hanno evidenziato che i giovani naziskin mostrano una
forte e costante tendenza cognitiva verso una rigida dicotomizzazione (vero/falso,
giusto/sbagliato, bello/brutto) rispetto a tutti gli oggetti dei loro discorsi e dei loro
riferimenti (valori, ambienti, gruppi, persone, politica, ecc.). Mostrano inoltre una
precisa caratterizzazione valoriale, enfatica, retorica, sempre contrappositiva, del
proprio «Sé», del proprio «Noi», con una decisa e svalutante individuazione della
categoria «Loro». Una possibile chiave di lettura per analizzare la fenomenologia
della violenza negli stadi, intesa quale possibile trasgressione ai presupposti di
base della convivenza, sembra essere fornita dall'interpretazione del modello di
R. Carli (2000) che situa la "convivenza" al carrefour di tre componenti che la
originano: i sistemi di appartenenza, l'estraneo, e le regole del gioco.
Un primo modo di trasgressione è la negazione dell'estraneo, che si configura
necessariamente come nemico; ciò comporta l'apprezzamento dei soli sistemi di
appartenenza.
Un secondo modo di trasgredire è la negazione delle regole del gioco in cui, non
esistendo l'estraneo come nemico, si annullano i sistemi di appartenenza e si
attaccano le regole del gioco. Situazioni simili sono state riscontrate
recentemente in riferimento ad attacchi verso le Forze dell' Ordine oppure verso
strutture fuori e dentro lo stadio quando i tifosi avversari sono già andati via.
Sono i casi riferibili a cellule autonome di tifosi, ai gruppi quali i naziskin, i CARC ,
o addirittura i cani sciolti
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La motivazione ad aderire a questi gruppi così strutturati, dove il
comportamento da adottare è un vestito bello che pronto da indossare alla
bisogna, nasce dal senso fortissimo di identificazione e di appartenenza che
questi gruppi forniscono, laddove nella nostra società si riducono le opportunità di
integrazione e la dimensione sociale diviene sempre più atomistica.
Inoltre per molti, in certi contesti geografici e culturali, il gruppo di tifosi è una
delle poche se non l'unica possibilità di identificazione collettiva rimasta, eldorado
di gratificazione e appagamento dei bisogni di affiliazione per adolescenti in cerca
di sè stessi o per individui appartenenti a classi sociali svantaggiate o a realtà di
precaria realizzazione personale. Far parte di un gruppo organizzato dà modo al
tifoso di partecipare ad un mondo che lo valorizza conferendogli la possibilità di
accedere ad un'identità che va oltre l'identità del singolo, e per ottenere questo il
giovane tifoso si deve impegnare a condividere con il suo gruppo tutte le
rappresentazioni
che
accentuano
sia
le
somiglianze
interne
(identificazione/integrazione),
che
le
differenze
esterne
(differenziazione/opposizione). Chi entra nel ruolo di tifoso ultrà trova un’identità
già predisposta con il suo corredo di norme, valori, sanzioni, credenze, ragioni e
modelli d’azione. Per cui il giovane tifoso preso entro la rete dei suoi bisogni di
affiliazione e significazione, dovendo scegliere un abito di comportamento, farà
sue quelle immagini e quelle regole condivise attraverso cui potrà essere
confermato dagli altri.
Il gruppo ultras soddisfa infine i bisogni di autostima e narcisismo dei suoi
membri nel momento in cui non si considera solo supporto di una squadra o
mero “pubblico” partecipante, ma attore principale, protagonista nel bene e nel
male del grande e spettacolarizzato evento che il calcio è diventato.
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La già complessa fisionomia delle motivazioni e delle ambizioni dei gruppi ultras
viene ulteriormente complessificata quando nell’arena dell’ingroup/outgroup, oltre
alla dimensione sportiva, si aggiungono dimensioni politiche, culturali, religiose,
economiche.
Al risultato calcistico vengono conferiti simbolicamente significati ulteriori di
rivalsa, vendetta, recupero dell’onore, lezioni di superiorità, polemizzazioni,
rancori storici ecc. che pescano dentro a rivalità e contrasti che non hanno niente
a che vedere con le squadre e lo sport.
Gli esempi sono innumerevoli.
In Spagna il Barcellona incarna l'autonomismo catalano, contrapposto al
centralismo castigliano del Real Madrid, inoltre l’Atletico Bilbao, squadra
composta soltanto di giocatori baschi, simbolizza le rivendicazioni del movimento
separatista delle province basche. In Italia e in Francia, Palermo, Lecce, Reggina
e Olympique Marsiglia rappresentano l'ansia di riscatto del Sud arretrato rispetto
all'arroganza settentrionale. A Glasgow, in Scozia, va in scena la sfida tra
l'orgoglio protestante dei Rangers e la grinta del Celtic, squadra dei cattolici e
degli immigrati di origine irlandese. E non dimentichiamo che i gravi incidenti
avvenuti in occasione di un match tra i croati della Dinamo Zagabria e i serbi
della Stella Rossa Belgrado furono la prima palese avvisaglia della tragedia che
stava per sconvolgere la Jugoslavia.
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Il fatto di presupporre che, se prima della gara (momento in cui abbiamo visto
emergere maggiore conflittualità con l’avversario o con le forze dell’ordine,
comunque con gruppi “altro da se”) si sconfigge il “nemico”, allora anche la
propria squadra vincerà, è un esempio di “accoppiamento”, una rappresentazione
cognitiva che permette di pensare che, pur arrampicarsi sugli specchi, una
propria azione è la soluzione per il successo dell’azione di altri (per questo si può
definire di tipo “messianico”).
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Questo tipo di pensiero presuppone in primo luogo l’esistenza di un nemico da
sconfiggere (meglio se con un’azione eroica: l’individuazione di se avviene
attraverso la “morte” dell’altro, come in tutte le favole, l’eroe deve sconfiggere il
drago). Ma questo comporta un pensiero oppositivo: un primo modo di
trasgressione è la negazione dell'estraneo, che si configura necessariamente
come nemico; ciò comporta l'apprezzamento dei soli sistemi di appartenenza.
Un secondo modo di trasgredire è la negazione delle regole del gioco in cui,
non esistendo l'estraneo come nemico, si annullano i sistemi di appartenenza e si
attaccano le regole del gioco. Situazioni simili sono state riscontrate
recentemente in riferimento ad attacchi verso le Forze dell' Ordine oppure verso
strutture fuori e dentro lo stadio quando i tifosi avversari sono già andati via.
Sono i casi riferibili a cellule autonome di tifosi, ai gruppi quali i naziskin, i CARC ,
o addirittura i cani sciolti
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Questo modo di pensare è di fatto basato necessariamente sulla convinzione che
qualcosa di esterno sia in grado di soddisfare i bisogni individuali (appartenenza,
individuazione, narcisismo). Ovvero, come nel meccanismo psicologico
dell’”accoppiamento”, si attribuisce valore “causa-effetto” alle proprie azioni, ma
in questo caso il meccanismo è quello “più egoistico” di ottenerne un beneficio
personale. Il passaggio motivazionale tra i due meccanismi è quello di “fare
qualcosa” per gli “altri” (la propria squadra, il proprio gruppo) al fare solo per se
stessi. Ovviamente questo meccanismo è ancora più inconscio del precedente.
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In tempi recenti si è assistito alla nascita di cellule autonome che, seppure
agiscono nella curva degli ultrà, non si identificano nelle regole del gruppo; sono
soprattutto formazioni autonome di matrice neo nazista che fondano
l'appartenenza al proprio gruppo identificandosi nella comunanza di
atteggiamenti violenti, xenofobi e di intolleranza razziale; ma si registrano gruppi
di tifoserie violente anche di matrice ideologica di sinistra come i CARC.
Alcuni di questi gruppi, che si dichiarano esplicitamente di estrema destra,
esercitano una pericolosa attrazione cercando apertamente lo scontro fisico con
azioni tipicamente militari.
E' la nuova generazione degli ultras, con un' età media tra i 13 e i 35 anni, che si
identifica negli skinhead di estrema destra, o naziskin , che introduce abiti militari,
simbologie e ideologie razziali e antisemite nel loro credo. I naziskin,
decisamente politicizzati e pronti a uccidere per la "giusta" causa, razzisti e
antisemiti, esasperatamente nazionalisti, hanno sovente fatto da "soldati" per
movimenti più o meno organizzati di estrema destra, vicini al ku klux klan oppure
ai neo con più estremi negli Usa, e a gruppi neonazisti nel resto del mondo.
La passione per il calcio e il tifo violento si è affiancata alla preparazione atletica
in discipline di combattimento quali la thai - boxe e il full - contact.
Anche se non portata agli estremi, questo “vestire i panni di …” è riscontrabile
anche nel merchandising collegato all’appartenenza ai gruppi ultrà dove
l’abbigliamento deve esprimere forza se non violenza (la pecora che compra, da
uno squalo, la maglietta da lupo, nella vignetta scelta).
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Vediamo ora l’impatto mediatico del fenomeno della violenza sui gruppi violenti
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Leggere la slide (empowerment = rafforzamento)
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SLIDE 49
Il modello di tifo che vogliamo costruire è quello che permette all’individuo di
“scegliere” non solo da che parte stare, ma anche di “modellare” il mondo del tifo
secondo la propria creatività individuale. L’aggressività che da “piccoli” porta a
rompere i giocattoli che non ci piacciono o che “non fanno quello che vogliamo”,
da “grandi” è auspicabile che sia un propellente per “realizzare” un progetto
costruttivo, a breve, medio, lungo termine, a seconda le attitudini di ognuno di noi
e la tolleranza alle frustrazioni, per permettere alla realtà e soprattutto noi stessi
di assomigliare il più possibile alle nostre stesse aspettative ed ambizioni.
TRASMETTERE IL FILMATO FINALE
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Tenere la slide attiva mentre si saluta e si ringrazia fino a completo svuotamento
dell’aula.
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