rassegna stampa falcri 13 gennaio 2009

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rassegna stampa falcri 13 gennaio 2009
RASSEGNA STAMPA FALCRI 13 GENNAIO 2009
A cura di Manlio Lo Presti
ESERGO
Se capitate al momento giusto all’ufficio postale di piazza Bologna a Roma, si può realizzare un
vecchio sogno.
Un cartello dice:
“IL TEMPO REALE E’ MOMENTANEAMENTE SOSPESO”
BARTEZZAGHI, Non ne ho la più squallida idea, Mondatori, 2007, p. 64
www.corriere.it
I DATI DI BANKITALIA
Debito pubblico da record
A ottobre si è attestato a 1670 miliardi. Le entrate tributarie crescono a 344 miliardi
ROMA - È nuovo record per il debito pubblico italiano: a ottobre - secondo quanto risulta dal supplemento al
Bollettino Statistico di Bankitalia - si è attestato a 1.670,6 miliardi. A settembre si era registrata invece una
contrazione (1.648,6 miliardi) dopo il record raggiunto in agosto (a 1.666,6 miliardi).
ENTRATE TRIBUTARIE - Crescono le entrate tributarie: nei primi 11 mesi del 2008 si sono attestate infatti
a 344 miliardi, cioè il 2,8% in più rispetto ai 334,1 del gennaio-novembre 2007. È quanto emerge dal
Supplemento al bollettino statistico della Banca d'Italia. Nel solo mese di novembre le entrate tributarie sono
state pari a 32,7 miliardi (in linea rispetto ai 32,9 miliardi nel novembre 2007)
12 gennaio 2009
ADOC: LE TARIFFE DI ELETTRICITÀ E GAS DOVREBBERO CALARE DI ALMENO IL 30%
Consumatori: benzina sotto l'euro al litro
«Speculazione rispetto al prezzo del petrolio, a 38 dollari.
Il risparmio per le famiglie sarebbe di 420 euro l'anno»
MILANO - Alla rapida discesa del prezzo del petrolio - arrivato a 38 dollari al barile - non è seguito un
altrettanto consistente calo del costo dei carburanti. È la denuncia delle associazioni dei consumatori,
secondo cui benzina e diesel non dovrebbero superare l'euro al litro. «Per un litro di benzina si spendono oggi
1,13 euro, per uno di gasolio 1,07. Se il loro costo scendesse sotto l'euro ci sarebbe un risparmio per le
famiglie di circa 420 euro l'anno» fa notare il presidente dell'Adoc Carlo Pileri.
SPECULAZIONE - Anche per Adusbef e Federconsumatori il prezzo della benzina «dovrebbe attestarsi ben al
di sotto di 1 euro al litro», a fronte degli 1,06-1,10 euro/litro praticati, «con una speculazione di 6-7
centesimi al litro». «A subirne le conseguenze - sottolineano - sono gli automobilisti, costretti a pagare, per i
loro pieni di carburante, ben 84 euro l'anno». Proprio per questo «è urgente e indispensabile che il governo
intervenga in maniera determinata».
ELETTRICITÀ E GAS - Inoltre, secondo i consumatori, devono calare di almeno il 30% le tariffe energetiche,
sia di elettricità sia del gas, producendo un risparmio a fine anno di circa 450 euro. I minori costi dei
carburanti dovrebbero produrre un ribasso delle tariffe dei trasportatori, a beneficio dei prezzi dei prodotti
alimentari trasportati. Il cui costo dovrebbe ridursi tra il 20 e il 30%. Un taglio notevole alle spese alimentari
delle famiglie, che potrebbero risparmiare circa 130 euro al mese, oltre 1.500 l'anno. «L'equivalente di una
tredicesima» fa notare l'Adoc.
12 gennaio 2009
www.finanzaonline.com
Morgan Stanley e Citi verso la costituzione di un nuovo colosso del brokerage
Finanzaonline.com - 12.1.09/09:50
Le banche d'affari non sono morte, anzi. Un nuovo gigante del settore potrebbe nascere nelle prossime ore
ad opera di Citigroup e Morgan Stanley, che si apprestano a far confluire in un'unica entità le loro rispettive
unità specializzate.
Citi ha infatti avviato le procedure di scorporo di Smith Barney, la divisione di brokeraggio azionario e di
investment banking del gruppo per un successivo approdo in una joint venture con Morgan Stanley. Secondo
indiscezioni l'operazione dovrebbe dare vita per Citigroup a un incasso tra i 2 e i 3 miliardi di dollari per il
51% del capitale della divisione.
Verranno così a unirsi due storiche case di brokeraggio. Da un lato la Smith Barney fondata nel 1938 ed
entrata prima nell'orbita di Primerica e poi di Citi per effetto della fusione con Travelers nel 1998. Dall'altro la
Dean Witter, i cui natali risalgono al 1924, dal 1997 fusa in Morgan Stanley.
L'aggregazione che si verrebbe a formare darebbe vita al più grande tra i broker puri, con un organico
superiore a quello di Merrill Lynch, che dal settembre scorso opera però sotto l'ombrello di Bank Of America.
L'integrazione porterebbe in dote a Morgan Stanley circa 11mila broker, che andrebbero ad aggiungersi ai
quasi 8mila già presenti nella sua struttura.
Quella della vendita di Smith Barney non è però l'unica rivoluzione alle porte in Citigroup. Ha infatti
annunciato la volontà di lasciare il consiglio Robert Rubin, ex segretario al Tesoro che dal suo seggio nel
board di Citi ha svolto negli anni il ruolo di grande consigliere della presidenza e del management.
Prosegue dunque il processo di rinnovamento e dismissioni che si inquadra nel mutato assetto della banca a
un anno e mezzo dall'inizio della crisi finanziaria. Il governo federale ha investito nell'istituto 52 miliardi di
dollari, ponendo garanzie per circa altri 300, dopo che nei primi nove mesi del 2008 Citi ha registrato perdite
nette per 10,4 miliardi di dollari. Citigroup presenterà i suoi conti trimestrali il prossimo 22 gennaio.
UBS: registra perdite per CHF 8 miliardi
Finanzaonline.com - 12.1.09/19:46
Secondo l'ultimo numero di "SonntagsZeitung",la grande banca svizzera UBS avrebbe registrato nel quarto
trimestre perdite per CHF 8 miliardi, arrivando così a un totale di oltre CHF 20 miliardi. Se la situazione sui
mercati dovesse peggiorare, durante le prossime settimane, la UBS potrebbe essere costretta a chiedere
ancora l'aiuto della Confederazione.
www.milanofinanza.it
Crollo di Ubs a Zurigo, sconta rosso colossale nel 2008
12/01/2009
Ubs continua a crollare alla Borsa di Zurigo. Il titolo della prima banca elvetica cede il 5,27% a 15,99 franchi
svizzeri dopo un minimo odierno a 15,79 franchi. L'azione sconta i timori di un rosso colossale nell'esercizio
2008. Secondo quanto anticipato dal quotidiano di lingua tedesca SonntagsZeitung, Ubs ha infatti chiuso
l'anno scorso con un passivo di 20 miliardi di franchi (oltre 13 miliardi di euro).
Se la cifra verrà confermata, sarà la perdita più ampia mai registrata nella Confederazione elvetica, di cui 8
miliardi nel solo quarto trimestre dell'anno. Dopo un anno difficilissimo, la banca aveva ripreso fiato nel terzo
trimestre 2008, chiuso con un utile di 296 milioni.
Dunque l'inversione di tendenza sarebbe nettissima. I trader elvetici sottolineano, tuttavia, che il mercato è
scosso dalle continue voci su difficoltà nel mondo bancario, rumor che venerdì avevano preso di mira la
tedesca Deutsche Bank. Ubs presenterà i conti 2008 il 15 gennaio, ma il fatto che la banca non abbia
smentito queste voci la dice lunga sulla veridicità della notizia.
In attesa oggi gli analisti di Vontobel hanno posto il rating e il target price sulla banca sotto osservazione,
complice anche la notizia di una possibile multa da 2 miliardi di franchi svizzeri comminata al gruppo svizzero
e legata a un accertamento finanziario da parte delle Autorità Usa. In particolare, le Autorità federali degli
Stati Uniti ritengono che Ubs abbia offerto ai propri clienti americani degli escamotages per evitare di pagare
le tasse.
Francesca Gerosa
Crisi, Fmi potrebbe aver bisogno di altri 150 miliardi di dollari
12/01/2009 14.30
Il direttore generale del Fmi, Dominique Strauss-Kahn, ritiene che il Fondo monetario internazionale potrebbe
aver bisogno di altri 150 miliardi di dollari per far fronte ai danni subiti dai paesi emergenti e in via di
sviluppo a causa della crisi economica. In un'intervista a Bloomberg Tv, Strauss-Kahn ha detto che "se nel
giro di sei mesi la crisi sarà peggiorata e molti altri paesi membri avranno bisogno del nostro aiuto, le
richieste potrebbero essere superiori alle
disponibilità", aggiungendo che se si deciderà di fare qualcosa, non sara' difficile trovare i 150 miliardi di
dollari extra".
Bankitalia, aumentano imprese che vedono occupazione in calo
12/01/2009 13.00
La quota di imprese che prevede di diminuire l'occupazione nei prossimi tre mesi supera quella che ne
attende un incremento (rispettivamente 39,3 e 5,4%). Lo rileva la Banca d'Italia nell'indagine trimestrale
fatta con Il Sole 24 Ore sulle aspettative di inflazione e crescita e realizzata in dicembre. Il saldo tra
previsioni al rialzo e al ribasso risulta in peggioramento rispetto alla precedente rilevazione (-33,9 contro 12,7 punti percentuali). Per le imprese con almeno 1.000 addetti il saldo negativo è più contenuto (-17,6%).
I giudizi rimangono più sfavorevoli nell'industria rispetto ai servizi.
Bcc, accordo con Simest per internazionalizzazione imprese
12/01/2009 11.30
Iccrea Holding, la capogruppo del gruppo bancario Iccrea, e Simest hanno siglato un accordo per supportare
lo sviluppo delle piccole e medie imprese italiane nei mercati esteri. In particolare, informa una nota,
l'accordo mira ad integrare l'offerta destinata alle imprese clienti delle banche di credito cooperativo
attraverso l'utilizzo dei prodotti e dei servizi offerti dalla Simest alla loro clientela imprenditoriale, favorendo
l'individuazione e la promozione di opportunità per iniziative volte all'internazionalizzazione delle imprese
locali, ma anche individuando modelli efficienti per l'analisi e la conseguente realizzazione di iniziative legate
alla costituzione di imprese oltre confine.
www.ilmessaggero.it
Cgia: niente ammortizzatori sociali per il 50% dei dipendenti privati
ROMA (10 gennaio) - Senza rete. In Italia vive così il 50 per cento dei lavoratori del settore privato: un
esercito di oltre sette milioni di persone (7.141.300) prive di ammortizzatori sociali. I numeri li fornisce la
Cgia di Mestre, convinta che assieme ai precari siano i lavoratori più a rischio, perché, spiega, nel caso di
licenziamento «non hanno nessuna misura di sostegno al reddito, come ad esempio la cassa integrazione
ordinaria
o
straordinaria».
Nella top ten dei precari il settore dei servizi: un comparto che vanta 2.336.400 lavoratori dipendenti.
Seguono gli occupati del commercio alle dipendenze di aziende con meno di 200 dipendenti che sono
1.968.000, quelli dell'artigianato, pari a 889.500, gli addetti alle dipendenze di alberghi e ristoranti
(870.000), i lavoratori del credito o assicurazione (544.400) e quelli delle comunicazioni (338.100). Chiudono
la
classifica
i
trasporti
con
194.800
dipendenti.
Cgia: «Lavoratori invisibili». Si tratta, dice il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, di veri e propri
«lavoratori invisibili che quando stanno a casa non se ne accorge nessuno. Per questo - rilancia - chiediamo
al governo di intervenire e di mettere mano a questa materia e, senza spese per lo Stato o con una spesa
davvero minima, estendere le garanzie a tutti i lavoratori, senza, nel contempo, gravare di nuovi pesi le
aziende in questo momento difficile. Si tratta, infatti, di riallocare risorse, che in gran parte già ci sono,
mettendole
dove
oggi
è
più
urgente
e
necessario».
Enti bilaterali. Le esperienze a cui rifarsi, secondo la Cgia di Mestre, sono quelle degli Enti bilaterali che,
soprattutto in Veneto, Emilia Romagna, Lombardia, ma, in verità, in quasi tutta l'Italia, sono e continuano ad
essere un'esperienza di successo. In molte parti d'Italia, attualmente, imprese artigiane e loro dipendenti
versano un contributo mensile che va a costituire un fondo comune di categoria gestito dalle parti sociali (per
i metalmeccanici l'importo è di 9 euro per ciascun dipendente) che eroga, su richiesta, sussidi per la
sospensione
dal
lavoro,
l'assistenza
sanitaria
e
familiare.
I contributi europei. L'idea del sindacato, chiaramente da perfezionare, sarebbe quella di ricapitalizzare
questo fondo attingendo a vari programmi e contributi europei e, magari, con parte del ricavato della
trattenuta dello 0,30 percento «in busta paga» che, attualmente, viene destinata alla formazione continua e
con
altri
fondi
da
individuare.
Estendere le garanzie a chi non ne ha. Estendendo l'operazione su tutto il territorio nazionale si potrebbe
creare un ombrello protettivo per molte categorie di lavoratori che attualmente sono scoperte da queste
garanzie.
www.ilsole24ore.com
E' nata Lloyds Banking Group, fusione di Lloyds Tsb e Hbos
di Nicol Degli Innocenti
LONDRA - Nasce oggi ufficialmente il Lloyds Banking Group, il gruppo nato dalla fusione dei due colossi
bancari britannici Lloyds Tsb e Hbos. Il Governo diventera' il maggiore azionista del nuovo istituto con una
quota del 43,4 per cento. Come previsto, gli azionisti hanno preferito non aderire all'offerta di nuove azioni,
dato che il prezzo di vendita era superiore al prezzo attuale in Borsa. Il Governo e' dovuto intervenire per
acquistare il 99% delle nuove azioni.
Hbos aveva varato un aumento di capitale da 11,5 miliardi di sterline e Lloyds Tsb da 5,5 miliardi. Solo lo
0,24% delle nuove azioni Hbos ha trovato acquirenti al prezzo di 113,6p. Il titolo viene scambiato a 81,8p
stamattina alla Borsa di Londra, un rialzo del 2,5 per cento. Lo 0,5% delle nuove azioni Lloyds e' stato
venduto agli investitori al prezzo di 173,3p, mentre il titolo stamani viene scambiato a 136,5p. Il Governo
controlla quindi il 58% di Hbos e il 30% di Lloyds e il 43,4% del nuovo gruppo creato dalla contestata fusione
tra le due banche. Il nuovo colosso controllera' il 25% dei conti bancari e il 28% dei mutui in Gran Bretagna,
ma Londra ha deciso che in questo caso i problemi di antitrust non sussistono.
"Era noto dall'inizio che ci sarebbe stata divergenza tra il prezzo di offerta e il prezzo di mercato," ha
minimizzato Hbos stamani. Secondo voci di mercato il nuovo gruppo avra' comunque bisogno di un nuovo
aumento di capitale, dato l'inasprimento della recessione e le crescenti difficolta' di Hbos, molto esposta al
mercato immobiliare in crisi.
Il Governo britannico, che in ottobre aveva varato un piano di salvataggio del settore bancario da 37 miliardi
di sterline, ora controlla Northern Rock e Bradford&Bingley e ha il 58% di Royal Bank of Scotland.
12 gennaio 2009
India, in manette il presidente di Satyam
Ramalinga Raju, il presidente di Satyam Computer Services, è stato arrestato dalla polizia indiana nello stato
di Andhra Pradesh,. Lo ha annunciato la CNBC senza, però, citare la fonte dell'informazione. La notizia,
immediatamente, ha fatto il giro del mond o finanziario ( e non solo), finendo immediatamente sulle prime
pagine delle edizioni online dei giornali economici. Raju, infatti, è stato l'artefice di quello che è stato definito
il crack Enron in India. Il manager, per anni, avrebbe gonfiato gli utili aziendali.
Intanto Credit Suisse ha pubblicato un report sulle strategie degli investitori in India, proprio alla luce dello
scandalo di Satyam. I risparmiatori dovrebbero detenere azioni di società indiane con una «buona corporate
governance» dicono gli esperti, perché lo scandalo finanziario riguardante Satyam Computer Services
potrebbe far emergere altri casi di perdite
Infosys Technologies Ltd., Bharti Airtel Ltd., Housing Development Finance Corp., ITC Ltd. e Maruti Suzuki
Ltd. sono tra le aziende consigliate nello studio diffuso dagli analisti di Credit Suisse Group, Nilesh Jasani ed
Arya Sen, che conferma la raccomandazione «sovrappesare» per questo mercato.
L'indice Sensitive, o Sensex, della Bombay Stock Exchange, ha perso il 7,3 percento a 9.586,88 il 7 gennaio,
dopo la rivelazione da parte del presidente di Satyam, Ramalinga Raju, di aver gonfiato gli utili della società
per anni. L'indice aveva perso il 52 percento nel 2008, mettendo fine ad un'ascesa che lo aveva portato ad
aumentare di oltre sei volte il valore in sei anni. «Se quello di Satyam risulterà essere un incidente isolato,
verrà dimenticato dagli investitori dopo qualche settimana» dicono gli analisti. «Gli investitori dovrebbero
guardare meno al tipo di settore o a parametri quantitativi nella selezione dei titoli, e più alla qualità del
management».
9 gennaio 2009
Usa, rischi il licenziamento? Un sito ti dice quando avverrà
di Andrea Franceschi
Soffiano venti di crisi in tutto il mondo. Le notizie di aziende che annunciano tagli del personale si
moltiplicano. E la domanda che molti si fanno è: «E se tra i prossimi ci fossi anch'io?». Meglio correre ai ripari
se non tira una buona aria. Prima possibile. Ma come sapere se, e soprattutto quando, l'azienda taglierà? In
California i lavoratori hanno uno strumento in più. Lo Stato infatti obbliga tutte le imprese, con più di 75
dipendenti, a comunicare i ridimensionamenti, quando questi riguardano più di 50 persone, con almeno 60
giorni di anticipo.
Il Mercury news, uno dei quotidiani online più popolari nello stato guidato da Arnold Schwarzenegger, ha così
pensato di pubblicare le informative che le imprese mandano al ministero del lavoro. Ha creato un database,
con motore di ricerca, organizzato per città, nome dell'azienda, numero di esuberi in programma e data della
comunicazione alle autorità. Un'ottima idea editoriale: la pagina, pubblicata un mese fa, è tra le più cliccate
dai lettori. Ma soprattutto un ottimo servizio. Per i lavoratori, ma non solo. Scorrendo l'elenco delle quasi
1500 imprese con problemi di esubero infatti, si ha un'interessante radiografia, anche se limitata alla sola
California, dell'impatto occupazionale della crisi.
È significativo ad esempio, notare come, tra le più colpite, ci siano le aziende legate più o meno direttamente
al settore automobilistico. La compagnia assicurativa California State, specializzata in polizze auto, ha
annunciato un piano esuberi che coinvolgerà quasi mille dipendenti. Alla sede californiana della
Harman/Becker, divisione del gruppo Harman, specialista in sistema audio e infomobilità del colosso Hi-Tech
usa Harman Intermational, resteranno a casa 350 persone. I tagli scatteranno di qui a due mesi. Ci sono poi
le finanziare specializzate in prestiti per l'acquisto di auto: più di 380 dipendenti di varie branchie di Hsbc
auto finance perderanno il posto.
Ma non c'è solo l'auto, e tutto il suo indotto, a subire i colpi della crisi. Dall'High-tech della Silicon Valley alle
industrie metalmeccaniche, dall'entertainment di Hollywood ai maxi hotel del lusso. Più di 400 dipendenti di
Yahoo perderanno il posto di qui a un mese; 827 dell'acciaieria Us Posco; 633 lavoratori dei Cantieri navali
Bae System di San Diego; 690 degli hotel di lusso Ojai. Neanche Hollywood è stata risparmiata dalla crisi: la
Paramout Pictures, colosso del grande schermo made in Usa, negli ultimi mesi ha lasciato a casa centinaia di
dipendenti.
Insomma, il 2009 si annuncia preoccupante e i lavoratori si affidano a internet per cercare di trovare le
contromisure adatte. Pure troppo. Diversi siti pubblici, che offrono informazioni per chi vuole richiedere
sussidi di disoccupazione, sono andati in tilt per le troppe richieste.
09 gennaio 2009
Dell taglia 1.900 posti di lavoro: chiude gli impianti in Irlanda e si sposta in Polonia
Duro colpo per l'economia dell'Irlanda già in gravi difficoltà per la crisi globale: il colosso informatico
americano Dell ha deciso di chiudere gli impianti nell'isola, tagliare 1.900 posti di lavoro e spostare la
produzione in Polonia. Manovre che mineranno ulteriormente la congiuntura nel paese, per cui negli ultimi
anni le attività di Dell avevano contribuito per ben il 5 per cento del Pil nazionale.
Gli economisti avvertono che a ogni posto di lavoro di Dell - secondo maggiore datore di lavoro di tutta
l'Irlanda - corrispondo dai quattro ai cinque posti nell'indotto. A saltare sarà quasi la metà di una forza lavoro
di circa 4.300 unità, tra l'aprile del 2009 e gennaio 2010.
Per l'inizio del prossimo anno Dell conta di aver trasferito tutta la produzione attualmente dislocata in Irlanda
in un nuovo impianto in Polonia, dove i costi del lavoro sono una frazione, anche sui fornitori. «E' una
decisione difficile, ma è la cosa giusta da fare perché Dell possa diventare ancor più competitiva e assicurare
maggior valore ai clienti», ha affermato Sean Corkery, vice presidente di Dell per le operazioni a Limerick,
stabilimento nel sudovest dell'Irlanda.
«Tratteremo i dipendenti con dignità e rispetto - ha aggiunto - offrendo loro ogni sostegno pratico per questo
periodo di transizione e per minizzare l'impatto che subiranno». Il gruppo ha precisato che i rimanenti circa
mille addetti dell'impianto di Limerick verranno impiegati su coordinamento della produzione in Europa,
ricerca e sviluppo di nuovi prodotti. Non sono coinvolti nei tagli gli altri 1.300 addetti in Irlanda, su marketing
e vendite e prevalentemente dislocati nell'area di Dublino.
8 gennaio 2008
www.ilgiornale.it
Famiglie italiane sempre più indebitate
di Marta Bravi
Crescono del 3% circa i prestiti personali, che hanno raggiunto nel terzo trimestre del 2008 un
valore complessivo di 46 miliardi di euro
La crisi si sente eccome, soprattutto per le famiglie italiane. Eppure gli italiani continuano a comprare e,
quindi, a spendere. Sì, è vero, ma è anche vero che continuano a indebitarsi sempre di più. Secondo l’Ufficio
Studi Kiron, infatti, dati relativi al terzo trimestre del 2008, infatti, indicano una crescita del 2,9% rispetto
allo stesso trimestre del 2007. Una percentuale che può non impressionare, ma che diventa immediatamente
significativa se si guarda al valore assoluto: il valore complessivo dei crediti erogati alle famiglie è pari a 46
miliardi di euro che corrispondono a oltre 73,2 milioni di operazioni finanziate tra prestiti finalizzati e non,
carte di credito e cessione di un quinto dello stipendio. Non solo, sembra che proprio la cessione di una
percentuale di stipendio sia un fenomeno in continuo aumento, arrivando addirittura a + 31,6%, seguita dai
prestiti personali, che, però, sono aumentati esattamente della metà: + 14,7% e dall’utilizzo di carte di
credito + 7,9%. Continua, invece, a scendere, del 10,8%, la percentuale dei prestiti finalizzati sulla scia
dell’andamento negativo del settore automobilistico.
Le notizie cattive, purtroppo, non finiscono qui: l’Italia, infatti, rispetto alla media dell’area Euro, è tra gli
stati con i tassi più elevati. Fosche previsioni fanno, quindi, pensare che l’Italia si stia avvicinando alle
situazioni di indebitamento degli altri paesi europei, dove vi è un maggiore diffusione del credito al consumo.
I dati confermano: negli ultimi 9 mesi del 2008, infatti, la media dei tassi italiani è superiore di 1,2 punti
percentuali rispetto a quella dell’area Euro. Nello stesso periodo, per esempio, la Francia ha avuto un tasso
medio del 7,3%, la Spagna del 9,3%. L’Italia, sta in mezzo, con un tasso dell’8,3%. L’aumento dei tassi di
interesse, in un meccanismo a catena, ha quindi determinato l’aumento della durata media del prestito
personale, tanto che il 50% hanno durata superiore ai due anni, il 16%, invece, una durata che va dai 37
fino ai 48 mesi. Non solo, in aumento, anche, l’importo medio dei prestiti personali, che si attesta sugli
11.200 euro, quindi 800 euro in più rispetto ai primi mesi del 2007.
Come si spiega il fenomeno? Semplice: i redditi delle famiglie italiane crescono sempre meno rispetto
all’aumento dei prezzi dei beni di consumo. Da un’analisi dei dati Istat sulle variazioni, in percentuale, delle
retribuzioni orari si può infatti constatare una crescita del 3,4%, rispetto all’aumento del tasso dell’inflazione,
in continuo aumento dal 2005, che nel mese di settembre ha registrato +3,8% rispetto allo stesso mese del
2007. Nonostante ciò, secondo l’ufficio studi Kiron, le turbolenze generate sui mercati monetari di questi
ultimi mesi non dovrebbero influenzare l’evoluzione del mercato del credito al consumo per i prossimi anni.
Non solo Kiron ipotizza addirittura una tendenza delle famiglie a indebitarsi più sul breve, che sul lungo
periodo, come dimostra un -10% nel primo semestre del 2008 registrato dai prestiti per l’acquisto di case.
www.lastampa.it
12/01/2009 17.46
Unicredit: vecchi soci cercano "nuovi" equilibri
Nessuno si aspettava rivoluzioni dall'incontro odierno tra le fondazioni che controllano Unicredit: il "rinnovo"
di Piazza Cordusio sembra infatti definito da un pezzo, nonostante diversi fattori ne minaccino l'equilibrio.
L'aumento di capitale da 3 miliardi, per esempio, servirà a rafforzare con i cashes il core tier 1 del gruppo,
ma sarà di fatto riservato agli investitori istituzionali e sorvegliato da Mediobanca. La cedola che incrementa
di 4,5 punti l'Euribor a tre mesi finirà, insomma, in mano ai soliti noti e alle fondazioni che già controllano
Unicredit, diluendo le quote dei piccoli azionisti.
Difficile d'altra parte negare il forte rischio di questi strumenti che sono comunque vincolati alla effettiva
redditività della banca. Chi vorrebbe comprare per più di 3 euro delle azioni che oggi non ne valgono 2?
Questo spiega abbondantemente il carattere politico di queste operazioni e le collega ai cambiamenti della
governance previsti per l'inizio di maggio.
Diversi osservatori hanno letto infatti gli incontri fra le fondazioni azioniste di Unicredit come un'operazione
politica: si tratta soltanto di una tappa nel percorso di rinnovo dei vertici e di riassetto del gruppo.
L'indebolimento del mercato tedesco fa traballare la presidenza di Dieter Rampl e la Fondazione Cariverona
(primo azionista di Unicredit con il 5,04% del capitale) sembra stia già lavorando alla sua sostituzione con il
vicepresidente del gruppo Gianfranco Gutty.
Un'ipotesi che, però, troverebbe l'opposizione dell'ala torinese della banca, ossia della Fondazione Cassa di
risparmio di Torino da sempre rappresentata dal vicepresidente di Unicredit Fabrizio Palenzona. Piuttosto che
lasciare il vertice della seconda banca d'Italia ai veronesi, la Fondazione Crt potrebbe sostenere nuovamente
Rampl. Servirà dunque una chiara posizione di vecchi e nuovi azionisti come Carimonte Holding (la
fondazione modenese che controlla il 3,3% di Unicredit) e la Central Bank of Libya (4,6% di Piazza Cordusio).
Altri azionisti come Barclays (2% del capitale) e Allianz (2,36%) sembrano più impegnati nei rispettivi
mercati e per ora restano alla finestra.
Non è da escludere infine il ruolo di Cesare Geronzi, il numero uno di Mediobanca che dopo tanto tempo ha
rivisto l'amministratore delegato di Unicredit Alessandro Profumo. Mediobanca si è impegnata a rilevare i
cashes e in qualche maniera fa da garante di un sereno dialogo tra gli azionisti della sua controllante di
Piazza Cordusio. In ballo ci sono i suoi stessi equilibri e, a valle, gli umori di Generali e Intesa Sanpaolo che
sono partecipati a piramide dalla stessa Mediobanca. D'altra parte l'ha detto anche l'Antitrust: a Piazza Affari
si conoscono tutti. (GD)
www.lavoce.info
DOV'È LA VERA PARITÀ TRA DONNE E UOMINI?
di Chiara Saraceno 06.01.2009
Un’età della pensione più bassa penalizza le donne, ha sentenziato la Corte Europea. Ma eliminare questa
disparità non basta. Bisognerebbe prendere atto che quelle di loro che si fanno carico di responsabilità
famigliari hanno una vita lavorativa complessivamente più lunga e pesante di quella degli uomini e pagano
prezzi economici elevati. Su questo occorre intervenire.
E’ vero che, come ha sostenuto la Corte Europea nel condannare l’Italia, una età della pensione più bassa
penalizza le donne, date le loro carriere mediamente più corte e remunerazioni più basse rispetto agli uomini.
Limitarsi a equiparare le età alla pensione di donne e uomini per consentire alle prime di recuperare almeno
in parte il gap contributivo con i loro colleghi maschi, come propone il ministro Brunetta, senza modificare
contestualmente le condizioni che ne sono all’origine, rischia tuttavia di aggiungere ingiustizia a ingiustizia,
disuguaglianza a disuguaglianza.
IL LAVORO IN FAMIGLIA
Le donne, infatti, svolgono la stragrande maggioranza del lavoro domestico e di cura necessario per far
funzionare una famiglia e per consentire agli stessi lavoratori di presentarsi ogni giorno al lavoro
(remunerato). Viceversa gli uomini sono molto più presenti nel lavoro remunerato (e quindi coperto da
contributi a fini pensionistici).E’ una differenza visibile in tutte le età e condizioni famigliari, come mostra
l’indagine ISTAT 2002 sull’uso del tempo (1). Soltanto tra chi vive solo si attenua, mentre viceversa si
accentua tra chi vive in coppia ed ha figli. In particolare, le donne occupate che vivono in coppia con figli
lavorano per il mercato in media due ore in meno degli uomini in analoga condizione famigliare. Ma se al
lavoro per il mercato si somma il lavoro domestico e di cura svolto per la famiglia (inclusi i mariti), il gap si
rovescia: le donne hanno una giornata lavorativa media più lunga di un’ora e quaranta minuti. Quindi le
donne occupate con carichi famigliari lavorano complessivamente in media molto più degli uomini occupati,
ma guadagnano di meno ed accumulano una ricchezza pensionistica inferiore, anche se ne possono fruire
mediamente per un periodo più lungo.
Si aggiunga che anche a motivo di queste loro responsabilità famigliari – effettive o anche solo presunte – le
donne non solo sono meno presenti nel mercato del lavoro, ma sono più esposte alla disoccupazione e sono
più concentrate degli uomini nei rapporti di lavoro a termine. Infine, molto spesso quando si ritirano dal
mercato del lavoro le donne continuano a fornire più o meno intensamente lavoro di cura non solo ai mariti,
ma ai nipoti e ai genitori e suoceri resi dipendenti dalla età molto avanzata, in una società come la nostra in
cui mancano i servizi sia per la primissima infanzia che per la dipendenza in età anziana. Da strumento di
conciliazione tra lavoro remunerato e famiglia per i loro mariti, andando in pensione (e talvolta anche prima)
le donne si trasformano in strumento di conciliazione per le loro figlie e nuore, oltre che in prestatrici di
cura per chi nella rete famigliare non è del tutto autosufficiente.
IN PENSIONE A CHE ETÀ?
Ma la soluzione non è il mantenimento di una diversa età pensionabile. Non basta tuttavia neppure, anche
se è auspicabile, reintrodurre la flessibilità – per donne e uomini –nella età di uscita dal mercato del lavoro
così come era previsto dalla riforma Dini, per consentire a ciascuno di scegliere il trade off che preferisce, o
che è più adeguato alle sue necessità, tra uso del tempo e livello della pensione. Occorre soprattutto incidere
sulle condizioni che, appunto, producono il gap reddituale e contributivo tra donne e uomini. In primo luogo
occorre lavorare seriamente per eliminare le discriminazioni di genere che ancora esistono nel mercato del
lavoro ad ogni livello – dall’accesso, alle forme contrattuali, alle possibilità di carriera. In secondo luogo
vanno rafforzate le politiche di conciliazione, per donne e uomini: servizi di cura per la prima infanzia e
per le persone non autosufficienti, tempi scolastici che tengano conto del fatto che oramai nella maggioranza
delle famiglie entrambi i genitori – o l’unico genitore presente – sono occupati. Da questo punto di vista, la
riforma Gelmini che riporta l’orario nella scuola elementare privilegiato a 24 ore è una vera e propria mossa
in contrasto con questo obiettivo (si veda anche questo altro intervento).
CONTRIBUTI FIGURATIVI
Infine occorre un riconoscimento economico del lavoro di cura, sia sotto forma di congedi coperti da
indennità decenti che sotto forma di contributi figurativi più sostanziosi di quelli attualmente vigenti. Al
momento attuale solo il congedo di maternità è coperto da contributi figurativi calcolati sulla retribuzione
effettiva (e solo per chi ha un lavoro regolare). Il congedo genitoriale, oltre ad essere compensato in
maniera poco più che simbolica (30% dello stipendio e solo se preso entro i tre anni di vita del bambini), dà
luogo a contributi figurativi ridotti, ancorché riscattabili o integrabili con versamenti volontari, e per un
massimo di sei mesi e solo per le lavoratrici dipendenti che abbiano almeno 5 anni di storia contributiva. Si
tenga presente che nel caso di contributi per il periodo del servizio militare (o civile alternativo a quello
militare) basta aver avuto anche un solo contributo nel periodo precedente il servizio (2). E’ anche per
questo – bassa remunerazione e scarsi o nulli contributi figurativi - che i padri raramente prendono il
congedo genitoriale, allargando di fatto il divario con le loro compagne. Allo stesso tempo si ingenerano
condizioni di disuguaglianza tra diverse figure di lavoratrici madri e tra queste e le madri fuori dal mercato
del lavoro.
Ancor meno è riconosciuto il lavoro di cura prestato per persone non autosufficienti. Solo nel caso di un
figlio non autosufficiente si ha diritto ad un congedo fino ad un massimo di due anni, non remunerato ma
coperto da contributi figurativi di importo fisso. Nel caso, molto più frequente, di assistenza ad anziani non
autosufficienti, i contributi figurativi coprono al massimo i 25 giorni annuali di permesso consentito, e solo se
la persona non autosufficiente convive con la lavoratrice/lavoratore.
Invece che “compensare” le donne per il loro lavoro non pagato con una vita lavorativa remunerata più corta,
ma anche con una ricchezza pensionistica più ridotta, occorrerebbe prendere atto che quelle di loro che si
fanno carico di responsabilità famigliari hanno in effetti una vita lavorativa complessivamente più lunga e
pesante di quella degli uomini, con periodi di concentrazione spesso insostenibili e per cui pagano prezzi
economici elevati. E’ su questo che occorre intervenire, destinando a misure sia di sostituzione (tramite i
servizi) che di riconoscimento (tramite congedi remunerati e contributi figurativi) del lavoro di cura i
risparmi ottenuti con l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne. Ciò consentirebbe anche di non
distinguere genericamente tra “donne” e “uomini”, ma tra chi – donna o uomo – fa attività di cura per
persone non autosufficienti per età o malattia e chi no.
(1) L'indagine Istat 2002.
(2) Sulla complessa normativa riguardante i contributi figurativi si veda Tuttoinps.
www.loccidentale.it
Vento del nord
Il 2008 è stato l'anno di Bazoli e Profumo. Ma col 2009 tutto è cambiato
di
Lodovico Festa
Solo un anno fa i due grandi protagonisti della finanza italiana, e in particolare del nord, erano Giovanni
Bazoli e Alessandro Profumo. Il primo aveva costruito con la fusione tra San Paolo di Torino e Intesa, il più
grande istituto di credito italiano. Il suo potere era condizionato da un amministratore delegato
particolarmente vivace, Corrado Passera, dotato di un suo ampio sistema di relazioni. Ma il “vivace” era
limitato da un presidente del consiglio di gestione, Enrico Salza in grande sintonia con Bazoli, da un direttore
come Pietro Modiano legato all’avvocato bresciano (nonché sostenuto da un comune coté politico), da un
Giuseppe Guzzetti in grande spolvero, rappresentante di uno dei primi azionisti, la Fondazione Cariplo, della
nuova megabanca. Per non parlare del legame speciale che c’era tra Romano Prodi e Bazoli, un legame che
per esempio su Telecom Italia aveva bloccato Passera quando questi si era messo in testa di prendere
iniziative con Mediaset e Roberto Colaninno.
L’altro “gigante” era Profumo il primo banchiere italiano a fare un vero passo sulla via di una profonda
internazionalizzazione, il cucinatore della fusione con Capitalia, che dava un formidabile peso nazionale
all’istituto di piazza Cordusio, il tecnico per antonomasia (ma dalla sensibile anima “democratica” e
compassionevole).
Certo, c’era anche un altro grande vecchio Antoine Bernheim, presidente delle Generali, piazzato in un luogo
strategico tra Intesa San Paolo e Unicredit, le Generali, ma pur nella sua grandezza non era all’altezza
dell’influenza dei due altri protagonisti. Chi, invece, veniva dato per definitivamente scomparso dalle prime
linee era Cesare Geronzi, spericolato e geniale protagonista del decennio precedente, prima con, poi contro
Antonio Fazio. La sua collocazione a Mediobanca pareva quasi onorifica, per non parlare dei tentativi degli
ambienti della Repubblica (d’intesa anche con settori di Bankitalia?) per escluderlo definitivamente dalla
scena della finanza italiana per un suo qualche infortunio giudiziario. Nel gennaio 2008 questo era lo
scenario.
E’ cambiato tutto. Bazoli è stato colpito, credo in modo irrimediabile, dalla vicenda Zaleski. L’avvocato
bresciano si è chiesto in modo molto nervoso sul Sole 24 ore perché il suo nome debba essere associato a
quello del finanziere franco-polacco Romain Zaleski, persona ben gelosa della sua indipendenza e capace di
assumersi le proprie responsabilità. Però il fatto che il “geloso” sia sempre intervenuto nelle partite care a
Bazoli, che sia uno dei primi azionisti di Intesa San Paolo, che la stessa banca (di cui era socio) fosse esposta
con lui per qualche centinaio di milioni di euro, che il bresciano e il franco-polacco fossero ben insediati
insieme nella finanziaria Mittel usata da Bazoli per i suoi giochi di potere finanziario, sono tutti fatti che
hanno spinto gli osservatori più maliziosi a trarre qualche malevola conclusione. E’ possibile che siano solo
casi fortuiti quelli che hanno tirato di mezzo san Bazoli.
Comunque sia, la comunità finanziaria si è fatta un’opinione che è risultata disastrosa per il presidente del
consiglio di sorveglianza di Intesa San Paolo. E siccome le disgrazie non vengono mai sole, si è assistito
anche al ritorno alla grande del mondo Ifi-Ifil che ha piazzato alla testa del primo socio di San Paolo Intesa,
la Compagnia San Paolo, un uomo del Lingotto come Angelo Benessia, invece del candidato di Bazoli e Salza,
Gustavo Zagrebeski. Mentre c’è chi vaticina per Guzzetti, che per altro ha 84 anni, un futuro fragile in una
Fondazione Cariplo nella quale nel 2009 il centrosinistra probabilmente perderà il peso della Provincia di
Milano. Né va scordato il nuovo feeling tra Passera e il governo Berlusconi.
Anche a Profumo è andato male tutto quello che poteva andare male. Non c’è un grande “casino”
internazionale dove Unicredit non abbia lasciato un pezzettino del suo patrimonio: dai subprime, a derivarti
vari, a Lehman Brothers al caso Maddof. Il crollo di Wall Street è cascato sulla testa di piazza Cordusio e il
suo amministratore delegato, che pure alla fine in qualche modo se l’è cavata, ha dato qualche segno di
panico (con tanto di improbabili appelli televisivi).
Risultato, in molti danno Profumo in partenza, dopo firmato il bilancio, e si affollano i nomi dei possibili
sostituti: da Alberto Nagel a Claudio Costamagna a Giampiero Auletta Armenise.
E chi è oggi il nuovo protagonista? Con scorno della Repubblica questo è ruolo è sempre più
dell’intramontabile Geronzi. Con un Bernheim, però, che lo cura, preoccupato di assicurarsi un futuro dopo i
suoi 84 anni. Anche lui è un govinetto come Guzzetti.
www.opinione.it
Alcuni consigli su come affrontare i temi economici dell’anno nuovo
Olivier Blanchard, importante economista del famoso Mit ed ora capo economista del Fondo Monetario, ha
scritto in dicembre un articolo in cui sostiene che le cose possono migliorare per la fine del 2009. L’articolo,
che riassumiamo con l’aggiunta di alcuni nostri suggerimenti, può essere utile per i consulenti che, come
liberi professionisti oppure dietro lo sportello, desiderano convincere i clienti a non vendere, perché la ripresa
è “dietro l’angolo”. Blanchard esordisce con tre osservazioni. La prima: “Abbiamo probabilmente visto il
peggio della crisi finanziaria nei Paesi avanzati; certo ci sono ancora delle mine, ma i giorni peggiori dei
mercati monetari congelati e degli osceni (proprio così, osceni) premi per il rischio sono probabilmente finiti”.
Qui consigliamo di mostrare i grafici della differenza (premio) fra il tasso di interesse che le banche chiedono
per prestarsi il denaro fra loro ed il tasso sulle obbligazioni del Tesoro di breve durata, laddove si vede che il
premio era salito moltissimo ed ora è sceso, sebbene stia ancora molto sopra la media storica. Perciò
consigliamo di mostrare il premio relativamente al solo 2008. La seconda: “Purtroppo, la crisi finanziaria ha
coinvolto i Paesi emergenti”. Qui eviteremmo i grafici, troppo complicati. Il “purtroppo”, secondo noi, va
usato, perché fa “buonista”. Dire “ovviamente”, fa “cinico”. La terza: “La caduta della ricchezza nei Paesi
avanzati e lo spettro della Grande Depressione hanno gelato i consumi”. Qui i grafici sono inutili, perché tutti
pensano che si stia andando di male in peggio. Consigliamo di non esagerare con “la gente che non beve il
latte”. E’ vero che fa molto Francesco Rutelli, ma si rischia di non convincere gli altri che le cose brutte
possono finire già nel 2009.
Dalle tre osservazioni Blanchard passa all’analisi. “Le banche centrali, appena si sono accorte che la crisi non
era di liquidità ma di solvibilità, hanno agito. Non bastando più il taglio dei tassi, hanno comprato le
obbligazioni ”dubbie“ del settore privato e garantito i depositi”. Poi continua: “Ci sono stati certo dei ritardi,
ma credo che l’apprendimento da qui in poi sarà veloce”. Consigliamo una certa enfasi nello scandire l’inizio
dell’azione, l’intervento delle autorità emoziona il popolo, “fa sempre il suo porco effetto”. Non consigliamo di
entrare negli aspetti tecnici degli interventi. Bisogna far capire solo che è arrivato il “settimo cavalleggeri”. Si
ammetta, ma in modo molto generico, che vi sono stati ritardi. A questo proposito consigliamo la frase fatta:
“Errare è umano”.
Siamo quasi alle conclusioni. “Ormai, la politica fiscale ha uno spazio di manovra superiore a quello della
politica monetaria, consigliamo quindi un’espansione che coinvolga tutti i Paesi. Nel caso in cui il primo giro
di espansione fiscale non funzionasse, è necessario che i governi annuncino che continueranno
nell’espansione, in modo che tutti si convincano che non si cadrà in depressione”. Consigliamo di sottolineare
l’enorme importanza dell’intervento fiscale dello Stato. In Italia, prima il duce, poi la Dc insieme al Pci, hanno
arato il terreno dell’intervento salvifico dello Stato. Sconsigliamo di ricordare la storia del Bel Paese. Tutti
sanno che lo Stato “fa bene”, non c’è bisogno di farla troppo complicata con la storia dello statalismo, si
rischia di assomigliare a Massimo D’Alema. Blanchard conclude: “Se si farà così, l’economia si riprenderà
verso la fine del 2009, se non prima”. Sconsigliamo di dire “se non prima”, il troppo ottimismo va evitato.
Consigliamo, invece, il classico “tanto i mercati azionari si muovono prima”. Attenzione bisogna dire “si
muovono prima”, che è generico, non “anticipano”, che è preciso. Chi ascolta potrebbe, infatti, ricordare che
il massimo dei mercati azionari è stato nell’autunno del 2007. Ossia, che i mercati non si sono proprio accorti
di quel che stava succedendo. Secondo noi, ed è il consiglio finale, si deve certamente rendere agli occhi
degli interlocutori legittima l’azione pubblica “che salva i nostri sudati risparmi”, insomma va bene seguire la
strada tracciata da Giulio Tremonti, ma non bisogna poi esagerare nell’andare contro la capacità di autoregolarsi dei mercati. Essi sono, alla fin fine, la fonte delle provvigioni.
www.occamrazor.eu
Giorgio Arfaras
Fragilità economica della Russia e ambizioni egemoniche
L’ennesima prova di forza con l’Ucraina ha riproposto l’immagine della Russia come potenza egemonica.
Tuttavia questa muscolatura geopolitica così volutamente esposta non corrisponde ad un’ossatura economica
altrettanto solida. Ma è l’economia il fulcro che regge sia il potere del Cremlino che il potere della Russia nel
mondo. La crisi globale ha infettato anche la Russia e proprio la campagna bellica in Georgia ha allarmato gli
investitori internazionali al punto da provocare un’emorragia di capitali e una conseguente, virulenta
svalutazione del rublo nei confronti del dollaro. A fine anno la divisa russa ha subito la dodicesima
“svalutazione controllata” consecutiva in sette settimane, perdendo il 19% nei confronti della moneta
americana. Ormai l’andamento del rublo sta sfiorando i livelli di guardia della grande crisi dell’estate 1998,
quando la Russia di Boris Eltsin, tra oligarchi predatori, terroristi ceceni e turbo-capitalismo, fu ad un passo
dalla bancarotta. Mentre Mosca fa gelare i sistemi produttivi dell’Europa Orientale interrompendo le forniture
di gas, l’economia russa è già entrata in crisi. La recessione globale ha abbattuto i prezzi del petrolio e del
gas, che alimentano il potere del Cremlino. Il conflitto sull’Ucraina si è giocato ancora una volta sui prezzi,
che Mosca vorrebbe adeguare al mercato.
Ma è una manovra tardiva perché il mercato stesso sta abbassando i prezzi del gas naturale, dopo quelli del
petrolio. La crisi di liquidità complica anche la realizzazione dei due gasdotti, Nord Stream e South Stream,
con cui Gazprom e la Russia prevedono di stringere l’intera Europa nella loro morsa energetica. La stessa
Gazprom è soffocata da un debito di circa 50 miliardi di dollari, con azioni svalutate di oltre il 75% nel 2008.
Dal picco di 147 dollari al barile di luglio ai 32 dollari di questo autunno, la principale fonte di reddito per le
casse russe si è drammaticamente contratta. Il salasso fiscale a cui sono sottoposte le aziende russe fa sì che
su 100 dollari di introiti 70 finiscano proprio allo Stato, per una quota del 25% del Pil nazionale. Le cifre sono
spietate: la crescita del Pil russo nel terzo trimestre 2008 è scesa al 6,2% rispetto al 7,6% del trimestre
precedente. Infatti il bilancio federale di Mosca per il 2009 potrebbe andare in deficit per la prima volta
nell’era di Vladimir Putin. Scarsi profitti nell’esportazione di energia producono automaticamente voragini nel
bilancio pubblico, che a loro volta paralizzano la già flebile spesa sociale.
E’ un meccanismo distruttivo che si avvicina sempre di più al cuore del potere. E’ una minaccia ben peggiore
dello scudo missilistico americano nell’Europa Orientale. Con un’inflazione al massimo storico del 15% e
prezzi alla produzione al 30%, le conseguenze sociali della crisi economica diventano pressanti. Inflazione,
disoccupazione, scarsi servizi sociali: si rompe il patto di potere tra Putin e il suo popolo – libertà in cambio di
sicurezza. Il Cremlino ha coniugato l’autocrazia politica col modello economico dei “petro-Stati”. Mosca
ambisce ad estendere il suo potere sull’Europa, ora che gli Usa attraversano un cambiamento di leadership.
Ma la crisi dell’energia, che insieme alle armi nucleari è lo strumento del potere internazionale della Russia,
colpisce sia le ambizioni internazionali che lo stesso potere interno della Russia. Mosca continua a puntare le
sue armi, che adesso rischiano di essere caricate a salve.
Gabriele Cazzulini
I consumi rallentano, ma non crollano
Ulteriore raffreddamento dei consumi a novembre, ma rallenta il processo di riduzione degli acquisti. E’ la
tendenza messa in luce dall’indicatore dei consumi di Confcommercio relativo al mese di novembre, che ha
registrato -3,3% tendenziale in termini quantitativi. La media del periodo gennaio-novembre 2008 si ferma a
-2,2% (era + 1,1% nell’analogo periodo del 2007). “Il dato peggiore che emerge è certamente quello delle
immatricolazioni delle auto per uso privato che sfiora il -30% - si legge nel comunicato di Confcommercio mentre il dato positivo è rappresentato dalla tenuta dei consumi alimentari che sembra essere confermata in
qualche misura anche dai primi consuntivi sulle spese di Natale”. Il dato di novembre continua a riflettere
un’evoluzione negativa della domanda di beni (-4,6% in quantità rispetto all’analogo mese del 2007) a cui si
associa una modesta riduzione per quella relativa ai servizi (-0,1%). Nella media del periodo gennaionovembre 2008, la domanda rivolta al comparto dei servizi registra una flessione dello 0,7% a fronte del
+2,3% dell’analogo periodo del 2007. Un analogo peggioramento viene registrato, nella media dei primi 11
mesi dell’anno, anche per la domanda di beni (-2,9%, era +0,6% nell’analogo periodo del 2007). Le uniche
eccezioni sono rappresentate dai beni per le comunicazioni e, in misura più contenuta, dai beni e servizi per
la cura della persona. Dopo il +1,9% registrato nel mese di ottobre, la domanda per beni e servizi ricreativi
subisce nuovamente un arresto (-1% in termini tendenziali) dovuto principalmente alla componente della
spesa per spettacoli, cinema e manifestazioni sportive.
La stima della domanda per i servizi di ristorazione e d’alloggio mostra una contenuta flessione dei consumi
delle famiglie (-0,3% in termini tendenziali) confermando i risultati non particolarmente brillanti conseguiti a
partire dal secondo trimestre 2008. Da segnalare il progressivo deterioramento della domanda di beni e
servizi per la mobilità (-19,4% in termini reali rispetto all’analogo mese del 2007) dovuta al permanere di
una situazione fortemente critica per gli acquisti di autovetture e motocicli e delle spese per il trasporto
aereo. Quanto ai beni e servizi per le comunicazioni, c’è una variazione in termini reali del +7%. Continua
l’evoluzione negativa degli acquisti di articoli d’abbigliamento e calzature che registra a novembre
un’ulteriore riduzione (-3,4%). Nella media dei primi undici mesi la flessione della domanda per i prodotti del
settore è stata del 3,1%. Anche a novembre la domanda di beni e servizi per la casa subisce una flessione
delle quantità vendute (-2,8%) rispetto allo stesso mese dello scorso anno. La media dei primi undici mesi
dell’anno indica una flessione della domanda per i prodotti dell’aggregato pari a 1,6 punti percentuali. Infine,
per quanto concerne la domanda delle famiglie per i prodotti alimentari ed i tabacchi, la stima per novembre
2008 evidenzia un’ulteriore flessione delle quantità acquistate (-3,3% in termini tendenziali) portando la
riduzione dei consumi nel periodo gennaio-novembre al 3,6% rispetto all’analogo periodo dello scorso anno.
Rebecca Samaritain