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3.
ANTENNA PER TELEFONIA CELLULARE E POTERI DELLA ASSEMBLEA
DEL CONDOMINIO
Giurisprudenza Italiana, 2007, 369, 2
1.
Sembra che l’avversione nei confronti delle antenne delle stazioni radio base
per telefonia cellulare si sia, negli ultimi tempi, attenuata, e che reazioni del
tipo nimby (si installino pure le antenne o gli inceneritori o quant’altro di
interesse generale, ma lontano da me) si manifestino principalmente nel
settore dello smaltimento dei rifiuti. Nondimeno l’installazione di una antenna
sul tetto di un edificio condominiale fa ancora discutere, ed il terreno di scontro
è quello condominiale oltreché quello delle scelte urbanistiche, come dimostra
la sentenza della Corte d’Appello di Firenze oggetto di questa nota, secondo
la quale, “la struttura la cui realizzazione si è consentita che con la delibera
impugnata è destinata ad essere stabilmente infissa sul lastrico solare,
ergendosi in altezza; ciò significa che con la decisione assembleare si è
costituito sul lastrico comune un diritto reale di superficie (afferma l’art. 952
c.c. che “Il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al disopra del
suolo una costruzione a favore di altri che ne acquista la proprietà”), cosa
espressamente vietata, senza il consenso di tutti i condomini, dal comma III
dell’art. 1108 c.c.”
Dalla motivazione della sentenza si apprende che l’assemblea del
condominio aveva deliberato di concedere in locazione per l’installazione di
una antenna, a soggetto concessionario di telefonia mobile, una parte del tetto
dell’edificio ed un locale seminterrato, e che un condomino aveva impugnato
la deliberazione adducendo un complesso di vizi. In primo luogo l’opponente
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prospettava la violazione dell’art. 1108 c.c, avendo l’assemblea qualificato
come locazione e quindi autorizzato a maggioranza, la stipulazione di un
contratto di apparente locazione ma in realtà costitutivo di un diritto reale e
segnatamente una servitù di passaggio a carico delle parti comuni del
fabbricato; in secondo luogo, si prospettava la violazione dell’art. 1120 c.c., in
quanto il condominio, autorizzando l’installazione della antenna, avrebbe
realizzato una innovazione che poteva determinare pericolo per la salute
umana, oltre la alterazione del decoro architettonico dell’edificio, nonché
danno della stabilità e pregiudizio del diritto di ciascun condomino all’uso o al
godimento di alcune parti dello stabile. Nei fatti esposti e tra i diversi mezzi di
impugnazione, la sentenza della Corte d’Appello ha ravvisato la fondatezza
della opposizione, nella violazione dell’art. 1108 c.c. anche se con riferimento
a profilo diverso rispetto a quello ravvisato dalla sentenza di primo grado.
Infatti, secondo la sentenza d’appello, l’apparente locazione di porzione del
tetto doveva essere qualificata, in relazione al suo contenuto sostanziale,
quale atto costitutivo in favore dell’altro contraente non di una servitù di
passaggio, come ritenuto dalla sentenza di primo grado, ma del diritto reale di
superficie su parte dell’edificio di proprietà comune, comunque in contrasto
con l’art. 1108, comma 3 c.c., secondo il quale “È necessario il consenso di
tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di costituzione di diritti reali sul
fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni.”1
1
Sostanzialmente conforme: “Per il disposto dell'art. 1108 comma 3 c.c., applicabile anche al
condominio di edifici per il rinvio contenuto nell'art. 1139 alle norme sulla comunione, la
costituzione di una servitù sulle parti comuni dell'edificio richiede il consenso unanime di tutti
i condomini. Pertanto, in mancanza di un tale consenso non è valida la deliberazione
adottata dall'assemblea dei condomini, che abbia approvato i lavori eseguiti, su
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2.
Dirò subito che la lettura della vicenda e degli atti della controversia che ne ha
dato la sentenza che si annota suscita qualche perplessità. Secondo la
sentenza, l’antenna, essendo destinata ad essere stabilmente infissa ed
incorporata nella copertura dell’edificio, è qualificata dalla disciplina edilizia
come una nuova costruzione che viene ad essere collocata sopra la parte
preesistente dell’edificio. Ne risulta così integrata la previsione dell’art. 952
c.c. e la costituzione, tuttavia illegittima in quanto a maggioranza e non
all’unanimità dei proprietari, di un diritto reale di superficie sul tetto dell’edificio
a beneficio di un terzo (non quindi di una servitù, secondo la decisione di
primo grado, sul punto corretta dalla sentenza d’appello).
autorizzazione dell'amministratore, dalla Sip di posa di un cavo telefonico sull'edificio
condominiale, in guisa da creare una situazione di fatto corrispondente ad una servitù di
passaggio di conduttura di cavo telefonico, suscettibile di far maturare con il tempo
l'usucapione di tale diritto.” (Cassazione civile, sez. II, 30 marzo 1993, n. 3865, in Riv. giur.
edilizia 1994, I, 19).
Alla stessa conclusione ma a seguito di diverso percorso argomentativo, perviene
Tribunale Milano, 23 ottobre 2003 (in Giur. milanese 2003, 155), secondo il quale “
L'installazione di una Stazione Radio Base per la telefonia mobile sul lastrico solare
dell'edificio condominiale costituisce un'innovazione ex art. 1120, comma 2, c.c. Di
conseguenza la relativa delibera di autorizzazione deve essere assunta con il voto
favorevole di tutti i condomini.” In dottrina, Matteo Ceruti, Stazioni radio base in condominio:
tra innovazioni vietate, "consenso informato" e decreto Gasparri, nota a Trib. Milano 23
ottobre 2003, in Riv. giur. ambiente 2003, 3-4, 597; Matteo Ceruti, Recenti orientamenti del
giudice amministrativo in materia di regolamentazione comunale degli impianti di telefonia
cellulare Nota a T.A.R., 8 Novembre 2001, n. 1392 sez. I, Puglia, Lecce; T.A.R., 31 Ottobre
2001, sez. II, Lazio; Consiglio di Stato , 19 Ottobre 2004, n. 6779 sez. VI; T.A.R., 2
Settembre 2004, n. 555, Friuli Venezia Giulia:, in Riv. giur. ambiente 2005, 2, 332; Matteo
Ceruti, Telefonia cellulare e disciplina urbanistica comunale dopo la legge quadro 36/2001 e
il testo unico sull'edilizia, nota a T.A.R. , 24 Ottobre 2001, n. 2007 sez. III, Sicilia, Catania, in
Riv. giur. ambiente 2002, 2, 332.
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Tuttavia si può, in primo luogo, dubitare che sia esatto desumere dalla
legislazione edilizia, come pure fa la sentenza che si annota, il concetto di
costruzione di cui all’art. 952 c.c.
In proposito occorre considerare che secondo un principio generale
della disciplina edilizia, il concetto di costruzione soggetta a regime
concessorio (ed ora al permesso di costruzione o titoli abilitativi equiparati) ha
assunto nel tempo particolare latitudine, perdendo i connotati originari e
venendo a coincidere fin dall'art. 1 l. 28 gennaio 1977 n. 10, con il risultato di
ogni attività diretta alla utilizzazione del territorio avente rilievo urbanistico nel
senso più esteso, e quindi edilizio, funzionale, ambientale-paesistico, anche in
assenza di opere edili in senso proprio (così in ultimo, Consiglio Stato , sez. V,
21 ottobre 2003, n. 6519, in Foro amm. CDS 2003, 2986). La disciplina
edilizia-urbanistica attribuisce infatti rilievo ad ogni forma di uso e destinazione
del territorio sotto l’aspetto funzionale, pur in assenza di opere di
modificazione dello stesso2, espandendo in tal modo ed anzi superando il
concetto tradizionale di costruzione, fino a comprendere ogni attività anche
non edificatoria recante impatto ed effetti sul territorio urbanizzato e non
2
cfr. articolo 10 del D. lgs. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e
regolamentari in materia edilizia)
Interventi subordinati a permesso di costruire
2. Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti, connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche, dell'uso di immobili o di loro parti, sono subordinati a permesso di
costruire o a denuncia di inizio attività.
3. Le regioni possono altresì individuare con legge ulteriori interventi che, in relazione
all'incidenza sul territorio e sul carico urbanistico, sono sottoposti al preventivo rilascio del
permesso di costruire. La violazione delle disposizioni regionali emanate ai sensi del
presente comma non comporta l'applicazione delle sanzioni di cui all'articolo 44.
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urbanizzato, anche sotto il profilo della visibilità e della destinazione d’uso
(come si verifica nel caso di determinati usi di aree scoperte).
Sembra tuttavia l’art. 952 c.c. evochi una nozione tradizionale di
costruzione che - pur prescindendo dai materiali impiegati che possono essere
anche innovativi e non tipicamente edilizi - richiama pur sempre l’idea di un
manufatto stabilmente collocato sul suolo o su altri sostegni, che delimita e
circoscrive lo spazio - che quindi si distingue in spazio esterno e spazio
interno rispetto al manufatto - in tal modo generando un volume, anche se
discontinuo e non chiuso. Requisiti questi che non sono riscontrabili in una
antenna per telefonia mobile, secondo la nozione e la configurazione che la
comune esperienza attribuisce a questo tipo di impianti, costituiti da una
struttura metallica di minima base e di ridotto ingombro al suolo, sviluppata in
altezza, priva di pareti, quindi non valutabile in termini di volume, e con
funzione di sostegno degli impianti di ricezione e trasmissione dei segnali
radio del servizio pubblico di telefonia mobile.
Conferma integrale di questa nozione di costruzione, si trae dalla
elaborazione giurisprudenziale in tema di art. 1127 c.c. che detta la disciplina
della costruzione sull’ultimo piano dell’edificio condominiale, ove a tutti gli
effetti è rilevante l’individuazione degli elementi identificativi della costruzione.
In proposito si afferma che “Le cosiddette "pensiline" in tenda o in altro
materiale che non dia luogo alla delimitazione con pareti, non possono
annoverarsi nel concetto di "nuova fabbrica" che faccia sorgere il diritto, per gli
altri condomini, all'indennità prevista dall'art. 1127 ultimo comma c.c.”
(Cassazione civile , sez. II, 15 febbraio 1999, n. 1263, in Giust. civ. Mass.
1999, 347 Arch. locazioni 1999, 616); e nello stesso senso si afferma che “È
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ravvisabile una sopraelevazione di edificio condominiale, soggetta al relativo
regime legale, solo in presenza di un intervento edificatorio che comporti lo
spostamento in alto della copertura del fabbricato, mentre va esclusa nel caso
di lavori che, pur investendo la struttura ed il modo di essere di tale copertura,
non incidano sul posizionamento della stessa.” (Cassazione civile , sez. II, 12
febbraio 1998, n. 1498, in Foro it. 1998, I,1898).3
Si aggiunga che la espressa previsione da parte dell’articolo 3 del D.
lgs. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia edilizia) tra gli "interventi di nuova costruzione", anche delle
installazioni “di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per
i servizi di telecomunicazione”, non rappresenta argomento di per sé decisivo,
potendo tale inclusione valere alla definizione settoriale di costruzione
soggetta al regime autorizzatorio ed al recupero a tale regime di fattispecie
altrimenti escluse, dando così luogo ad una categoria più vasta di quella
tradizionale in quanto finalizzata alla tutela degli interessi specifici del governo
3
Conforme: “Costituisce sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., l'occupazione dell'area
comune sovrastante l'ultimo piano, sia con un altro piano, sia con una nuova fabbrica, che
può consistere anche in materiale diverso da cemento o laterizi, purché sia stabile e
compatta - come nel caso di struttura in alluminio, immobilizzata solidamente su un terrazzo
di copertura, di proprietà esclusiva - mentre è irrilevante che possa esser stata considerata
dal giudice penale, per escludere il reato previsto dall'art. 17, lett. b) l. 28 gennaio 1977 n. 10,
pertinenza dell'appartamento.” (Cassazione civile , sez. II, 1 luglio 1997, n. 5839, in Giust.
civ. Mass. 1997, 1097).
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del territorio, ma non utilizzabile per implementare la definizione civilistica di
costruzione4.
Ed alle stesse conclusioni conduce l’art. 86 comma 3 del D. lgs. 1
agosto 2003 n. 259 - Codice delle comunicazioni elettroniche, secondo il quale
“Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88,
sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui
all'articolo 16, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno
2001, n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si
applica la normativa vigente in materia.”, che assimila, ma non identifica, le
infrastrutture alle opere di urbanizzazione primaria.
Escluso il riferimento alla legislazione edilizia, gli argomenti per così
dire, sostanziali, non sono destinati a migliore fortuna in quanto la natura e la
consistenza delle antenne per telefonia mobile non ne consentono l’inclusione
nella categoria delle costruzioni di cui all’art. 952. Le antenne non
corrispondono al concetto di costruzione come sopra definito (pg. 6), anche in
quanto non omogenee rispetto all’edificio sul quale sono collocate e del quale
non rappresentano un elemento quale un impianto, una estensione o un
incremento di volume (come sarebbe se si trattasse di un altro piano); ed a
tale edificio non essendo connesse funzionalmente non rendendo allo stesso
alcun servizio, ed essendo solo occasionalmente e temporaneamente a
4
Per alcuni riferimenti normativi codicistici, si consideri la nozione di costruzione che emerge
dagli artt. 934, 938, 954, 1127, 2645 bis, 2825 bis, 2826.
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questo collegate5. Manca nelle antenne anche il requisito, che è tipico delle
costruzioni le quali di regola non hanno una funzione a termine, della stabile
compenetrazione con il fabbricato al quale accedono, mentre tale funzione è
preventivamente limitata alla durata del contratto stipulato dal concessionario.
3.
Si aggiunga che seppure l’antenna de qua fosse qualificabile come
costruzione sopra il tetto del fabbricato, non per questo la autorizzazione da
parte
della
assemblea
ed
il successivo
contratto,
avrebbero
avuto
necessariamente l’effetto di far sorgere ai sensi dell’art. 952 c.c. un diritto
reale di superficie sulla porzione di tetto occupata dalla antenna in contrasto
con il disposto dell’art. 1108 comma 3 c.c., potendo il contratto essere
qualificato, alternativamente, come concessione ad aedificandum priva di
effetti reali, ovvero come contratto di locazione.
E’ noto infatti che il contratto atipico di concessione ad aedificandum di
area da parte di colui che può disporne, può essere utilizzato per dare vita ad
5
A diverse finalità è preordinato il diritto all’appoggio su edifici privati, di antenne ed al
passaggio di fili di impianti di reti di comunicazione elettronica di cui agli artt. 90 e 91 commi
1 e 2 D. lgs. 1 agosto 2003 n. 259 (Codice delle comunicazioni elettroniche) limitatamente al
servizio degli inquilini o dei condomini, e fermo restando che “I fili, cavi ed ogni altra
installazione debbono essere collocati in guisa da non impedire il libero uso della cosa
secondo la sua destinazione”. Lo stesso art. 91 prevede senza il consenso del proprietario
ed a beneficio di tutti gli interessati e non solo dei residenti nell’edificio, il solo passaggio di
fili o cavi senza appoggio al di sopra delle proprietà pubbliche o private e dinanzi a quei lati
di edifici privi finestre od altre aperture.
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un diritto personale di godimento di una superficie da destinare ad
edificazione, e non necessariamente del diritto reale tipico di superficie6.
Secondo la Corte di Cassazione infatti (Cassazione civile , sez. II, 11
febbraio 1998, n. 1392, in Giust. civ. 1999, I, 878), “Vero è che la concessione
ad aedificandum, stante l'autonomia contrattuale delle parti, riconosciuta
6
In proposito, giurisprudenza consolidata: “ La concessione "ad aedificandum", stante
l'autonomia contrattuale delle parti, riconosciuta dall'art. 1322 c.c., non si concreta sempre
necessariamente in un diritto di superficie, ai sensi dell'art. 952 c.c., potendo in taluni casi
assumere i caratteri e i contenuti di un diritto personale nei soli confronti del concedente,
trovando la sua fonte in un contratto (atipico) con effetti meramente obbligatori non soggetto
a rigori di forma o di pubblicità. Tuttavia al fine di poter interpretare in tal senso, anziché in
quello conforme allo schema tipico approntato dal legislatore, la concreta pattuizione
intervenuta fra le parti, occorre che emergano (e vengano indicati dal giudice di merito) i
peculiari indici rivelatori di una simile configurazione giuridica.” (Cassazione civile , sez. II, 29
maggio 2001, n. 7300, in Giust. civ. Mass. 2001, 1083; conforme: Cassazione civile , sez. II,
11 febbraio 1998, n. 1392, in Giust. civ. 1999, I, 878).
“L'art. 934 c.c., nello statuire il principio superficies solo cedit (temperato dai successivi art.
935, 936, 937 e 938 c.c.), fa salvi i casi in cui risulti diversamente stabilito dal titolo o dalla
legge e l'indeterminata menzione del titolo non esclude che le parti, nell'esercizio della loro
autonomia contrattuale, riconosciuta dall'art. 1322 c.c., possano, anziché addivenire alla
costituzione di un diritto reale di superficie, dar vita ad un rapporto meramente obbligatorio.
L'accertamento in ordine alla esistenza o meno di un titolo idoneo ad escludere l'operatività
dell'accessione - il quale può essere costituito anche da una concessione ad aedificandum
con effetti meramente obbligatori e perciò non richiedente la forma scritta ad substantiam - è
riservato al giudice del merito, la cui valutazione è incensurabile in sede di legittimità, se
sorretta da motivazione adeguata ed immune da vizi.” (Cassazione civile , sez. II, 10 luglio
1985, n. 4111, in Giust. civ. Mass. 1985, fasc. 7).
“La facoltà di mantenere sul suolo altrui una determinata costruzione, ove non costituisca
oggetto di un diritto reale di superficie ai sensi degli art. 952 ss. c.c., può essere fatta valere
nei confronti del proprietario di detto suolo, in base ad un contratto con effetti obbligatori,
solo quando tale contratto sia intervenuto con il proprietario medesimo, e quindi sia ad esso
opponibile.” (Cassazione civile, sez. un., 2 giugno 1984, n. 3351, in Giust. civ. Mass. 1984,
fasc. 6).
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dall'art. 1322 c.c., non sempre e necessariamente si concreta in un diritto
reale di superficie, ai sensi dell'art. 952 c.c., potendo in taluni casi assumere i
caratteri e i contenuti di un diritto personale efficace nei soli confronti del
concedente, trovando la sua fonde e disciplina in un contratto (atipico) con
effetti meramente obbligatori, non soggetto a rigori di forma o di pubblicità
(Cass. Sez. Un. 2.6.1984 n. 3531; Cass. 25.1.1968 n. 233; 17.12.1968 n.
4006). Ma la riconduzione della fattispecie concreta a tale configurazione
giuridica, che costituisce indubbiamente una quaestio facti, la cui valutazione
è riservata esclusivamente al giudice di merito, non può essere effettuata
apoditticamente e senza alcuna giustificazione, onde diventa censurabile in
questa sede di legittimità quando non è sorretta, come nel caso specifico, da
motivazione sufficiente e congrua.”
Al fine della interpretazione della volontà delle parti e della effettiva
qualificazione del contratto e dei suoi effetti, se in termini di diritto reale o di
diritto personale di godimento che può derivare sia dal contratto di locazione
che dalla concessione ad aedificandum, prescindendo dal nomen juris (che
tuttavia è pur sempre un dato non trascurabile nel processo interpretativo),
rilevano altri elementi quali la determinazione della durata, che può mancare
nel caso di costituzione di diritto di superficie che può essere a tempo
indeterminato, ovvero la previsione degli effetti della scadenza del diritto (e
quindi il trasferimento della proprietà della costruzione, al proprietario del bene
sul quale è stata realizzata, ex art. 953, clausola certamente estranea ai
contratti stipulati dai concessionari di telefonia mobile); la previsione di un
corrispettivo unitario o di un canone periodico commisurato al godimento pro
tempore dell’appoggio alla copertura dell’edificio, più adatti rispettivamente
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alla costituzione del diritto di superficie, ovvero alla concessione ad
aedificandum priva di contenuto reale o alla locazione; la previsione a carico
del proprietario della obbligazione di manutenzione della base della
installazione, maggiormente compatibile con la costituzione di un diritto
personale di utilizzazione piuttosto che di un diritto di superficie; l’eventuale
richiamo a specifici aspetti della disciplina delle locazioni non abitative, quali la
durata minima, di cui alla legge n. 392/1978.
Ora, in difetto di questa ricerca della volontà delle parti, la sola
attribuzione da parte del condominio ad un terzo, del diritto di installazione in
una superficie condominiale, di un manufatto che la disciplina edilizia assimila
ad una costruzione ma che tale non è secondo la sua definizione sostanziale,
non sembra sufficiente alla qualificazione del contratto e dei suoi effetti come
costitutivi di un diritto di superficie e non di un rapporto di locazione. Al più, è
la distinzione tra locazione e concessione atipica ad aedificandum con effetti
obbligatori, a correre lungo una linea fin troppo sottile per assicurare una netta
demarcazione tra i due contratti, anche se la mera attribuzione del diritto di
appoggio di una costruzione, propria della concessione ad aedificandum,
implica un tipo di uso il cui contenuto è nettamente distinto e ridotto rispetto
all’uso attivo del bene locato, consentito al conduttore.
4.
Né vi sono dubbi quanto alla legittima concedibilità in locazione di parte
comune dell’edificio da parte dell’amministratore che sia stato autorizzato dalla
assemblea, poiché “Quando non sia possibile l'uso diretto della cosa comune
per tutti i partecipanti al condominio, proporzionalmente alla loro quota,
promiscuamente ovvero con sistema di turni temporali o frazionamento degli
spazi, i condomini possono deliberare l'uso indiretto della cosa comune, a
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maggioranza se è un atto di ordinaria amministrazione, come nel caso della
locazione.” (Cassazione civile , sez. II, 22 marzo 2001, n. 4131, Giust. civ.
Mass. 2001, 554)7. Si ammette infatti la possibilità che le parti comuni
7
Giurisprudenza del tutto consolidata: “L'uso indiretto della cosa comune (nella specie
mediante locazione) incidendo sulla estensione del diritto reale che ciascun comunista
possiede sull'intero bene indiviso, può essere disposto dal giudice o deliberato
dall'assemblea dei condomini a maggioranza, soltanto quando non sia possibile o
ragionevole l'uso promiscuo, sempreché la cosa comune non consenta una divisione, sia
pure approssimativa, del godimento. L'indivisibilità del godimento costituisce il presupposto
per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso indiretto, onde la deliberazione che
adotta l'uso indiretto senza che ne ricorrano le condizioni, è nulla, quale che sia la
maggioranza, salvo che ricorra l'unanimità.” (Cassazione civile , sez. II, 18 gennaio 1982, n.
312, in Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 1; conforme: Cassazione civile , sez. II, 18 gennaio
1982, n. 313, ivi, 1982.
“L'uso indiretto della cosa comune (nella specie, mediante locazione) può essere disposto
con deliberazione a maggioranza dei partecipanti alla comunione (od, in mancanza, dal
giudice, cui ciascuno di questi può ricorrere) soltanto quando non sia possibile l'uso diretto
dello stesso bene per tutti i partecipanti alla comunione, proporzionalmente alla loro quota,
promiscuamente ovvero con sistema di turni temporali o frazionamento degli spazi. Di
conseguenza, in mancanza di tali condizioni è nulla la delibera assembleare che a semplice
maggioranza dispone l'uso indiretto della cosa in comunione.” (Cassazione civile , sez. II, 22
novembre 1984, n. 6010, in Giust. civ. Mass. 1984, fasc. 11).
“L'uso indiretto della cosa comune (nella specie, mediante locazione), incidendo
sull'estensione del diritto reale che ciascun comunista possiede sull'intero bene indiviso, può
essere disposto dal giudice o deliberato dall'assemblea del condomini a maggioranza,
soltanto quando non sia possibile o ragionevole l'uso promiscuo, sempreché la casa comune
non consenta una divisione, sia pure approssimativa, del godimento. L'indivisibilità del
godimento costituisce il presupposto per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso
indiretto, onde la deliberazione che l'adotta senza che ne ricorrano le condizioni è nulla,
quale che sia la maggioranza, salvo ché ricorra l'unanimità.” (Cassazione civile , sez. II, 19
ottobre 1994, n. 8528, in Arch. locazioni 1995, 382).
“L'assemblea dei condomini può disporre, con deliberazione a maggioranza, l'uso indiretto
del bene comune solo quando non sia possibile l'uso indiretto per tutti i partecipanti alla
comunione (nel caso di specie il tribunale ha dichiarato nulla la delibera con cui si concedeva
in locazione una parte comune dell'edificio a taluno soltanto dei condomini).” (Tribunale
Milano, 12 febbraio 1987, in Giur. it. 1988, I,2,100). “Qualora non sia possibile l'uso diretto
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dell’edificio, le quali svolgono ordinariamente e senza necessità di specifica
attività da parte dei condomini, una loro utilità a vantaggio di tutti i partecipanti
all’edificio in ragione del loro collegamento funzionale statico con le parti di
proprietà individuale e di proprietà comune, possano essere oggetto di uso
particolare e quindi di utilità aggiuntiva in favore dei singoli condomini che vi
abbiano interesse (il tetto, ad esempio, può consentire l’installazione di
antenne per le trasmissioni televisive, o il muro perimetrale può essere
utilizzato per l’installazione di una insegna pubblicitaria o di tubazioni e fili
elettrici)8. Ma laddove tale utilizzazione individuale non sia possibile in
della cosa comune da parte di tutti i partecipanti alla comunione proporzionalmente alla
quota di ciascuno, ovvero promiscuamente, oppure con sistemi di turni temporali o
frazionamenti degli spazi, l'uso indiretto della cosa comune (nella specie, mediante locazione
in favore degli stessi comproprietari o solo ove residuati a terzi dimoranti), può essere
deliberato dall'assemblea dei condomini a maggioranza (ovvero disposto dal giudice ex art.
1105 comma ultimo c.c.), costituendo l'indivisibilità del godimento o l'impossibilità dell'uso
diretto il presupposto per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso indiretto.” (Tribunale
Napoli, 27 novembre 2002, in Rass. locaz. condom. 2003, 428).
L’unanimità è comunque richiesta ex art. 1108 comma 3 c.c., per le locazioni
ultranovennali: “La delibera con la quale un'assemblea di condominio approvi la transazione
di una vertenza mediante concessione di un'area comune in locazione ultranovennale deve
essere approvata, a pena di nullità, all'unanimità dei partecipanti al condominio.” (Tribunale
Napoli, 19 novembre 1994, in Arch. locazioni 1995, 884).
8
“In tema di condominio, e con riferimento alle parti comuni dell'edificio, il termine
"godimento" designa due differenti realtà, quella della utilizzazione obbiettiva della "res", e
quella del suo godimento soggettivo in senso proprio, con la prima intendendosi l'utilità
prodotta (indipendentemente da qualsiasi attività umana) in favore delle unità immobiliari
dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi
(suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda concretantesi, invece,
nell'uso delle parti comuni quale effetto dell'attività personale dei titolari dei piani o porzioni di
piano (utilizzazione di anditi, stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e
condizionamento). Nondimeno, talune delle parti comuni elencate nell'art. 1117 c.c.
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condizione di parità tra tutti gli aventi diritto (art. 1102 c.c.) a causa della
natura del bene che non consente l’uso contemporaneo e congiunto (tipico il
caso dell’ex appartamento del portiere9), o per il numero dei condomini che
impedisce anche l’uso turnario, allora è consentito deliberare un uso indiretto
mediante locazione.
Riesce invece difficile inquadrare l’installazione della antenna per
effetto di locazione di parte del tetto, nella previsione dell’art. 1120 c.c. In
realtà, a ben vedere, la collocazione di un’antenna sul tetto comune non può
essere qualificata come innovazione in quanto non modifica il tetto ma vi
aggiunge un manufatto che non è funzionale alla utilità del tetto o all’uso che
(solitamente destinate a fornire utilità oggettiva ai condomini) sono, talora, suscettibili anche
di uso soggettivo, uso, per vero, particolare ed anomalo, diverso, cioè, da quello connesso
con la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale (i
muri maestri utilizzati, ad esempio, per l'applicazione di vetrine o insegne luminose), con la
conseguenza che i cortili, funzionalmente destinati a fornire aria e luce al fabbricato
(destinazione "oggettiva") ben possono esser destinati (anche) ad un uso soggettivo
(sistemazione di serbatoi, deposito merci, parcheggio auto), di talché, pur costituendo
"normalmente" oggetto di trasferimento consequenziale al trasferimento della proprietà del
piano o porzione di piano, pur tuttavia possono, "ex titulo", formare, quanto al relativo
godimento soggettivo, oggetto di diversa pattuizione, quale, come nella specie, l'esclusione
dal trasferimento della relativa quota di comproprietà dell'uso (soggettivo) come parcheggio
auto, specie qualora il cortile stesso non risulti sufficiente ad ospitare le autovetture di tutti i
condomini (sì che la clausola di esclusione "de qua" appare destinata a perseguire interessi
non immeritevoli di tutela). Peraltro, nell'ipotesi di cessione a terzi di un uso siffatto della
cosa comune, non è al singolo condomino che spetta la legittimazione alla cessione stessa,
essendo, all'uopo, necessario il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, giusta
disposto dell'art. 1108 comma 3 c.c.” (Cassazione civile , sez. II, 1 marzo 2000, n. 2255, in
Giust. civ. Mass. 2000, 508 D&G - Dir. e giust. 2000, 10 67; Riv. giur. edilizia 2000, I, 611.
9
Cassazione civile , sez. II, 21 ottobre 1998, n. 10446, in Giust. civ. Mass. 1998, 2141
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questo consente ai condomini, onde in esito a questa addizione non si ha una
diversa conformazione della copertura dell’edificio ed una sua maggiore o
diversa utilità per il condominio. Infatti l’antenna installata sul tetto non è
diretta “al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento” (art.
1120, comma 1) di questo, del quale lascia inalterata la consistenza e la
conformazione ed al quale viene ad aggiungersi: “In tema di condominio, deve
considerarsi innovazione, come tale soggetta alle limitazioni di cui all'art. 1120
c.c., non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma soltanto quella che
alteri l'entità o la destinazione della cosa stessa con conseguente incidenza
sull'interesse di tutti i condomini, mentre non possono ritenersi innovazioni gli
atti di maggior utilizzazione della cosa comune, che non ne importino
alterazione o modificazione e non precludono agli altri partecipanti la
possibilità di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggiore uso del
condominio che abbia attuato la modifica.” (Tribunale Roma, 27 ottobre 1980,
in Giur. merito 1982, 321). Si tratta dunque di una forma di uso di parte
comune dell’edificio, disponibile a maggioranza, soggetta alle stesse
limitazioni delle innovazioni poste dall’art. 1120, ma che esula dal concetto di
innovazione o di modificazione in senso proprio.
Inoltre è’ possibile affermare che il tipo di uso del tetto di cui si tratta,
non può valere come esercizio di uso individuale dei beni comuni previsto
dall’art. 1102 c.c., quale si avrebbe se un singolo condomino (o il conduttore di
una unità immobiliare) pretendesse di utilizzare una porzione del tetto per
l’installazione di una antenna di dimensioni e consistenza tali da escludere la
coesistenza di usi analoghi e da richiedere il suo preventivo coordinamento
con altre possibili utilizzazioni da parte di altri condomini anche se di minor
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ingombro10 e meramente potenziali. Il singolo condomino potrà attribuire in
locazione il suo diritto all’uso del tetto nei limiti di cui all’art. 1102 c.c. quale
pertinenza dell’unità immobiliare di sua proprietà, solo concedendo questa in
locazione, mentre è escluso che possa essere oggetto di locazione da parte
del singolo condomino il solo diritto, pro quota, di uso del tetto, seppure non
eccedesse i limiti sopra indicati. Il tetto è bene comune, il cui uso non è
separabile da quello della proprietà individuale alla quale accede.
Nino Scripelliti
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Se invece l’antenna è di modeste dimensioni in relazione alle dimensioni del tetto, le
conclusioni possono essere diverse: “Il diritto del condomino di installare sul tetto un'antenna
telefonica e i relativi cablaggi (ove il complesso sia di modeste dimensioni e quindi non lesivo
del decoro architettonico, della stabilità e della destinazione d'uso della parte comune),
anche in assenza di previa autorizzazione dell'assemblea, discende dal principio generale
dell'art. 1102 c.c., in forza del quale ciascun condomino può - a sue spese - realizzare le
"mere modificazioni" volte al maggiore e più razionale godimento della cosa comune, nel
rispetto dei limiti di cui all'art. 1120 c.c.” (Tribunale Verona, 4 dicembre 2000, in Arch.
locazioni 2001, 255).
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