Dove sono finiti i Padri?

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Dove sono finiti i Padri?
Varia Umanità. 1
DOVE SONO FINITI I PADRI?
Ester Di Gioia*
Nel corso di questo secolo il ruolo del padre all’interno della famiglia si è lentamente
trasformato rispetto a qualche decennio fa.
Questa crisi del ruolo paterno è stata accompagnata da sostanziali cambiamenti sociali e
familiari: la struttura della famiglia allargata dove i figli crescevano con tante donne e tanti fratelli
ha lasciato il posto alla nuova famiglia nucleare, con mamma papà e uno o addirittura nessun
fratello. Da questi mutamenti nasce un radicale cambiamento dello stile di vita e di quello
educativo.
Tutta la letteratura psicologica mette in evidenza il ruolo differenziante dei genitori,
mostrando come madri e padri giochino funzioni diverse e complementari nell’educazione dei figli
e nella trasmissione di competenze e valori.
La presenza della madre è legata ai bisogni materiali, affettivi, alla dimensione interna della
personalità mentre la presenza del padre si collega alla sfera dell’attività, del gioco,
dell’esplorazione, del tempo libero.
Il padre contribuisce a definire l’identità del figlio, come altro da sé e dalla madre. Il padre è
colui che si inserisce nella diade simbiotica madre-bambino e che vi porta un elemento di
differenza. Il dono più grande che un figlio può ricevere dal padre è la separazione, il taglio, una
sorta di iniziazione alla vita. Si tratta del taglio della simbiosi madre/bambino, si tratta di prendere
simbolicamente per mano il proprio figlio per guidarlo nel mondo, per portarlo fuori dall’infanzia
traghettandolo nell’età adulta. Il padre, come terzo, deve entrare nell’idillio madre/figlio retto da
un bisogno reciproco, e dire il suo no: “Non siete una cosa sola”.
Questo è il ruolo simbolico che oggi il padre stenta a ricoprire, il ruolo di colui che provoca
la prima di tante frustrazioni della vita per iniziare il figlio alla separazione, alla rinuncia e al dolore.
Passaggio traumatico, questo, che permetterà alla persona in crescita di affrontare le perdite che
l’esistenza gli porrà di fronte. Se il padre si tira indietro, se si rifiuta di ricoprire tale ruolo e di
prendersi questa responsabilità, i figli affronteranno il domani senza limiti, credendo che il dolore
non esista, che la vita non comporti sofferenze e di conseguenza non le sapranno affrontare.
Simbolicamente il padre rappresenta la legge e l’autorità, dalla parola latina “auctoritas”
che deriva dalla radice del verbo augeo, che significa appunto “far crescere”.
Quando oggi si definisce un uomo come un “padre assente”, non risulta chiaro di quale tipo
di inadempienza sia ritenuto responsabile. Egli infatti può essere un padre incapace di sviluppare
una buona confidenza affettiva con i figli, il che probabilmente lo spingerà ad essere autoritario e
intransigente sul rispetto delle regole e rischierà di rendere vano ogni suo sforzo educativo. A tale
modo di interpretare il ruolo paterno spesso corrispondono atteggiamenti di ribellione e di
disobbedienza nei figli, tesi ad attirare l’attenzione del genitore. Oppure il padre, può essere
considerato assente perché non trovando una soluzione valida o accettata per far valere la propria
autorità, riduce il proprio comportamento alla sfera affettiva, rinunciando completamente ad ogni
compito educativo. Questo genere di padre rientra nella definizione di “padri materni” e questo
modo di essere fa mancare ai propri figli la figura virile di un padre che fa il padre con un suo stile,
un suo metodo, una sua sensibilità.
La valorizzazione e l’accentuazione di questa differenza è un patrimonio inestimabile per i
figli che, conoscendola, avrebbero l’opportunità di cominciare lo straordinario viaggio verso la
scoperta dell’altro, del quale, la scoperta del padre, è la prima tappa.
E’ il padre che si pone nei confronti dei figli come compagno di giochi rinunciando ai suoi
doveri educativi. Egli diventa l’amico dei figli, ma un padre non è un amico, un padre è un
educatore il quale per fare bene il suo lavoro si pone su un piano diverso dall’educando, ha
un’autorità e deve avere lo spazio e la forza di prendere decisioni impopolari e forti, cose che un
“amico” non può fare.
La mancanza di una guida, di un punto di riferimento forte che insegni lo spirito di sacrificio
e il senso di responsabilità può avere effetti negativi sui figli.
Il maschio “senza padre”, se ne è privo fin da piccolo, fatica a sentire le proprie potenzialità
maschili. La madre infatti può passargli tutto, con il suo amore e la sua presenza affettuosa, ma
non l’istinto, le caratteristiche del pensiero e dell’agire maschile. E’ necessario per il figlio maschio
identificarsi con un riferimento forte che lo aiuti a interpretare la propria vita in modo autonomo
ed originale.
Nei confronti della figlia, il padre svolge il compito di farsi “scoprire”. Infatti, la bambina
trova facilità ad identificarsi con la mamma. Giocherà a fare la mamma con le bambole e con le
compagne, indosserà le scarpe della madre fingendo di esser lei imitandola nei gesti e nei
comportamenti. Ma la bambina dovrà differenziarsi dalla mamma per conoscere un “altro” molto
diverso: il padre, il maschio da conquistare e dal quale si sentirà amata in modo diverso da quello
sperimentato nella relazione con la madre.
Tuttavia oggi l’estrema sessualizzazione dei rapporti spaventa i padri che si allontanano
difensivamente dal fantasma dell’incesto lasciando le figlie in tutto o in parte prive di punti di
riferimento in un’età in cui sperimentare i comportamenti nell’approccio con l’altro sesso e con la
vita in generale è di fondamentale importanza. Il risultato è che la figlia farà fatica, almeno fino a
quando non troverà un solido punto di riferimento maschile, ad approcciare l’altro in ogni
circostanza della vita: sia nel mondo del lavoro che nelle relazioni affettive.
Il padre oggi è, come direbbe Recalcati, “evaporato” sotto la spinta di una società che ha
posto al suo centro il profitto ad ogni costo. Una “società liquida” dove i punti di riferimento di
qualsiasi genere sono completamente assenti e dove anche i modelli storici, come quelli religiosi,
faticano non poco ad affermarsi o a mantenere le loro posizioni. Una società nella quale il senso
del dovere ha lasciato il posto all’edonismo e parole come “autorità” e “patria”, ad esempio, sono
rifiutate o semplicemente ignorate.
Il termine patria, infatti, quasi non è più in uso, ma è una parola che indica semplicemente
“la terra dei padri”. Quella terra, anche metaforica, che i padri lasciano in eredità ai figli che si
aspettano di ereditarla insieme con tutti i valori che i loro padri fino ad una certa epoca hanno
tramandato. Quella patria che va difesa e che vide Ulisse peregrinare per vent’anni per ritrovarla e
per ritrovare suo figlio Telemaco che lo aspettava per raccoglierne l’eredità. I padri di oggi cosa
lasceranno in eredità ai loro figli? E quest’ultimi avranno la pazienza di aspettare il ritorno dei loro
padri?
*Ester Di Gioia: Psicologa psicoterapeuta
71036 Lucera (FG)
e-mail: [email protected]