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Fondi per famiglie e imprese da tagli alla spesa: coniugati rigore e sviluppo
Questa è la ricetta economica
di Futuro e libertà
di Gianfranco Fini
Caro Direttore,
con l’articolo di martedì scorso, Parole chiare e proposte vaghe. Fisco,
famiglia, infrastrutture: nel discorso di Fini poco di concreto, Guido
Gentili sostiene che quello che ho affermato domenica a Bastia
Umbria, con riferimento ai temi di politica economica e sociale,
sarebbe “generico”, dal momento che mi sarei preoccupato di
«incarnare – cito testualmente – un moderatismo europeo in salsa
italiana in cui spicca un tatticismo millimetrico» piuttosto che di
indicare strade maestre per uscire dalla crisi che da molto tempo ci
attanaglia.
In merito alle grandi questioni di politica economica, ho sempre
ritenuto che senza una politica di rigore finanziario non si va da
nessuna parte. Alimentando spesa pubblica, deficit e debito, si
distruggono le basi di ogni seria e sana prospettiva di crescita e di
occupazione. Ho sempre detto, però, che, al necessario perseguimento
dell’equilibrio della finanza pubblica, vanno, contestualmente,
affiancate misure idonee a sostenere famiglie ed imprese così da
costruire basi solide di sviluppo.
Con una “gamba” sola, quale che essa sia, l’Italia resta sempre
un’anatra zoppa: se prevale la spinta della crescita illusoriamente
alimentata da spesa pubblica e deficit, si va inevitabilmente verso il
baratro del disastro finanziario; se, diversamente, si deprimono le
condizioni di sviluppo ed occupazione, quello stesso rigore finanziario
diventa “rigor mortis” per 22 milioni di famiglie e per 5 o 6 milioni di
imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni.
Ecco perché ho sempre condiviso gli obiettivi di rigore finanziario, ma
mi sono sempre soffermato sul “come” quegli obiettivi vanno
perseguiti. Crescita economica ed occupazione, dunque, si sostengono
attraverso tagli mirati (verticali e precisi e non orizzontali e generici)
delle spese correnti improduttive che spesso generano anche sprechi,
corruzione e filiere di rapporti oscuri tra economia e politica. Certo, si
può anche contenere il deficit non tagliando quelle spese, ma
aumentando le tasse. L’equilibrio finanziario si raggiunge ugualmente,
ma è chiaro che non è la stessa cosa. Così facendo, infatti, si
controllano i saldi di finanza pubblica, ma si frena la crescita
economica e, per di più, si mantiene alto il peso dello Stato sulle
libere scelte delle famiglie e delle imprese.
Faccio un esempio: il recente decreto-legge (n. 78 del 2010) varato a
maggio dal Governo ed approvato con la fiducia dal Parlamento lo
scorso mese di luglio€è stato da più parti considerato necessario ed
urgente. Ho avuto modo, tuttavia, di evidenziare che di fatto il
decreto (che taglia il deficit di 25 miliardi di euro circa per allinearlo a
quanto concordato in sede europea) ottiene quel risultato attraverso
un aumento delle entrate di 48 miliardi di euro che, appunto per 25
miliardi, vanno a tagliare il deficit, ma per i restanti 23 miliardi
servono a finanziare un aumento di spesa pubblica di 23 miliardi, per
di più con un aumento di spese correnti per 26 miliardi e una riduzione
in valore assoluto di 3 miliardi di investimenti pubblici.
Possiamo allora dire che i conti pubblici sono oggi a posto? Forse si sul
piano dei saldi finanziari, tanto che ora la legge di stabilità non fa
altro che ratificare e confermare quelle decisioni e, per questo, il
Ministro Tremonti l’ha definita una “finanziaria tabellare”.
Ma sul fronte delle prospettive economiche per le famiglie e delle
imprese possiamo dire che tutto è a posto? Certamente no. In
febbraio, com’è noto, scadono circa 400.000 cassaintegrati; da qui a
marzo quasi 100.000 piccole e medie imprese rischiano di chiudere.
Quale politica economica per lo sviluppo e l’occupazione dobbiamo
proporre? Proprio su questo fronte, e fin dallo scorso autunno, in sede
di legge finanziaria per il 2010, i cosiddetti parlamentari di area
“finiana” presentarono precise proposte “aggiuntive”. Sulla base del
necessario equilibrio finanziario e senza aggiungere un solo euro di
deficit, fu, in particolare, presentata al Senato da Mario Baldassarri
una proposta di taglio verticale di alcune voci di spesa pubblica al fine
di introdurre il coefficiente familiare con il metodo delle deduzioni per
ogni componente; di tagliare l’Irap attraverso l’esclusione dei salari
dalla base imponibile; di prevedere una cedolare secca sugli affitti con
deduzioni per gli inquilini; di aumentare gli investimenti
infrastrutturali, le risorse per la ricerca e l’università e le risorse per
polizia e forze di sicurezza.
€
Ebbene, il Governo chiese di trasformare quelle proposte emendative
ed aggiuntive in un “ordine del giorno” che il Governo stesso fece
“proprio”. Peccato, però, che, fino ad oggi, di tutto ciò non si sia vista
neanche l’ombra, salvo il goffo tentativo di dire che la cedolare secca
sugli affitti sarà realizzata nell’ambito del federalismo
fiscale!€Certamente, siamo pronti a discutere anche altre opzioni
rispetto a quelle da noi presentate. L’importante è che si cambi
registro e che, mantenendo sempre salda la rotta in termini di
equilibri finanziari, si proceda senza indugi, ad attuare quelle riforme
strutturali necessarie a dare impulso allo sviluppo e all’occupazione.
Solo con tutte e due le “gambe” l’Italia può ricominciare a correre
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offrendo prospettive concrete alle nuove generazioni.
11 novembre 2010
Pubblicato sul Sole 24 ore di oggi
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