Untitled - Barz and Hippo

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Untitled - Barz and Hippo
Dopo Le donne del Sesto piano Le Guay confeziona un’altra commedia, meno interessata a ironizzare su
malcostumi e stereotipi sociali e più invece a raccontare, con sapiente miscela di serietà e umorismo, i punti di
vista eterni e universali di Alceste e Philinte, il pessimismo che porta a distacco e senso di superiorità
contrapposto all'ottimismo che promuove condivisione e socialità ma nasconde spesso meccanismi egoici e
ipocriti. Meccanismi che finiscono per spingere i due protagonisti a infrangere valori e amicizia confermando,
nella realtà e nella finzione, l’eterna validità del Misantropo di Moliére. Si ride amaro. Complice l’ottimo Fabrice
Luchini, che ha collaborato anche alla stesura del soggetto.
scheda tecnica
tit. originale:
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anno:
regia:
soggetto:
sceneggiatura:
fotografia:
montaggio:
musica:
suono:
costumi:
scenografia:
distribuzione:
ALCESTE À BICYCLETTE
104 MINUTI
FRANCIA
2013
PHILIPPE LE GUAY
FABRICE LUCHINI, PHILIPPE LE GUAY
PHILIPPE LE GUAY
JEAN-CLAUDE LARRIEU
MONICA COLEMAN
JORGE ARRIAGADA
LAURENT POIRIER, VINCENT GUILLON
ELISABETH TAVERNIER, ANNE AUTRAN-DUMOUR
FRANÇOISE DUPERTUIS
TEODORA
interpreti:
FABRICE LUCHINI (Serge Tanneur), LAMBERT WILSON (Gauthier Valence), MAYA
SANSA (Francesca), LAURIE BORDESOULES (Zoé), CAMILLE JAPY (Christine), ANNIE MERCIER (Tamara), GED
MARLON (Meynard), STÉPHANE WOJTOWICZ (Conducente taxi), CHRISTINE MURILLO (Signora Francon), JOSIANE
STOLÉRU (Raphaëlle La Puisaye ), EDITH LE MERDY (Signora Bichet).
premi e riconoscimenti:
César 2014, Nomination Miglior Interprete, Miglior Sceneggiatura Originale,
Miglior Musica Originale.
Philippe Le Guay
Nato il 22 ottobre 1956 a Parigi, dopo aver studiato lettere, nel 1980 Philippe Le Guay è ammesso all'IDHEC, la
più importante scuola di cinematografia in Francia. Nel frattempo, Le Guay è redattore della rivista
Cinématographe. Il suo è un cinema eclettico, che si affianca a una attività minore come regista televisivo. Tra le
sue pellicole si annoverano un film in costume (Les deux Fragonard, 1989), una commedia romantica (L’Année
Juliette, 1995), un film noir che oppone due operai in una fabbrica di vetro (Trois huit, 2001). Il costo della vita
(2003), suo primo film a uscire in Italia, è una commedia corale che esplora la relazione di cinque diversi
personaggi con il denaro e vede come ottimi interpreti Fabrice Luchini, Vincent Lindon e Claude Rich. Il
successivo Du jour au lendemain (2006) è una favola sulla felicità e sulle sue finzioni con Benoît Poelvoorde.
Nel 2011 si è fatto conoscere internazionalmente con Le donne del 6° piano, una commedia sociale ispirata al
fenomeno dell’immigrazione di donne spagnole in Francia negli anni ’60, che in epoca di dittatura e crisi
economica andavano a rispondere a una richiesta di ‘domestiche’ da parte delle famiglie della buona borghesia
francese. La pellicola ha avuto un meritato successo per la sua capacità di divertire con intelligenza, obbligando lo
spettatore a riflettere su vizi e stereotipi, relativi in particolare agli immigrati, che purtroppo si perpetuano da
un’epoca all’altra e da un paese all’altro. Nel film si riconferma il sodalizio con Fabrice Luchini.
La parola ai protagonisti
Note di regia
Pedalando con Fabrice
Stavo preparando Le donne del 6° piano e cercavo di ottenere il consenso di Fabrice Luchini per interpretare la
parte del protagonista. Fabrice è abbastanza distratto: dimentica i copioni nei taxi o nelle stanze d’albergo. Un
giorno sono dovuto andare personalmente sull’Île de Ré a portargli una nuova copia, ma mentre raggiungevo
casa sua in bicicletta mi sono perso. Fabrice è venuto a cercarmi, anche lui in bicicletta, e ci siamo ritrovati
insieme a pedalare lungo gli stagni. Io allora gli dico: “Sei un vero misantropo, confinato nel tuo rifugio!”, e lui
inizia a declamare l’inizio dell’opera di Molière, interpretando alla perfezione i due ruoli principali, Alceste e
Philinte. La conosceva praticamente a memoria. È proprio in quel momento che il film e il titolo si sono
materializzati davanti ai miei occhi.
Serge e Gauthier
Il personaggio di Serge Tanneur si ispira dunque a Fabrice. Al suo amore per i testi, alla sua tendenza alla
misantropia: da tempo cova il desiderio di ritirarsi dal mondo, ma fortunatamente non lo mette in atto. Inoltre,
spesso facciamo discussioni infinite sulle persone e su noi stessi: lui sostiene che cose come la generosità non
esistono, poiché ognuno fa unicamente i propri interessi, mentre a me spetta la parte dell’ingenuo che vede
tutto rosa e crede nell’altruismo. Fabrice è pragmatico, io sono indulgente. Anche se lui pensa che la mia
indulgenza sia solo una maschera che indosso per lusingare il mio narcisismo. E forse non ha tutti i torti… In ogni
caso, il personaggio di Lambert Wilson rappresenta il mio punto di vista. Gauthier è una star televisiva, convinto
di dover essere accondiscendente con le persone a tutti i costi. Lui stesso non si fa illusioni sulla qualità di quello
che fa in tv, ma proprio per questo vuole interpretare Alceste: ha qualcosa dentro, nel profondo, che vuole
difendere.
Il mestiere dell’attore
Durante le prove, Serge e Gauthier hanno punti di vista opposti sul testo e volevo che tornassero più volte a
discutere sugli stessi argomenti. Anche per questo ho deciso di attenermi alla prima scena del primo atto, che
riassume le posizioni di Alceste e Philinte, l’eterno problema della scelta tra verità e indulgenza. Il testo è così
ricco e inesauribile che non ci si stanca mai di ascoltarlo e ognuna delle otto prove è girata in un modo specifico.
Mi sono ispirato alle grandi scene di duello di film come Scaramouche di George Sidney: combattimento dopo
combattimento, il vantaggio passa dall’uno all’altro contendente. Fabrice e Lambert sono stati meravigliosi
nell’accettare di mostrare gli errori e le incertezze di due interpreti che affrontano un testo simile. È come se il
pubblico potesse assistere ai retroscena del lavoro dell’attore, a come procede il suo sforzo creativo.
Seduttrice o misantropa?
In questa nostra rilettura de Il Misantropo avevamo bisogno di una Célimène, ma nell’isolamento della location
era impossibile farne una seduttrice, come nell’originale. Ho deciso per l’opposto: il personaggio di Maya Sansa è
ancora più misantropo di quello di Fabrice! Esce da un divorzio doloroso, è ferita e arrabbiata, una specie di
Cioran al femminile. Malgrado questo, doveva essere una donna molto attraente e Maya, che ho molto amato
per le sue interpretazioni in Buongiorno, notte di Bellocchio e Voyez Comme Ils Dansent di Claude Miller, mi è
sembrata perfetta per il ruolo.
Dal porno a Molière
Ho inserito il personaggio di Zoé, la giovane pornostar, perché trattandosi di un film sugli attori pensavo sarebbe
stato divertente raccontare quello che può considerarsi il grado zero del mestiere. Serge e Gauthier le chiedono
di leggere dei versi della commedia per farsi gioco di lei e, a sorpresa, la sua freschezza di interpretazione
produce un’emozione inaspettata.
Giochi di potere e riconciliazioni
Il film parla della libertà dell’attore e sarebbe stato assurdo impedire a Fabrice e Lambert di contribuire con
l’improvvisazione, ad esempio quando si lanciano nella parodia dei modi di declamare gli alessandrini. In ogni
caso, non volevo scavare nei loro ricordi personali o metterli a nudo come amano fare certi registi, procedimento
che a me sembra piuttosto una specie di fantasia di potere. E a tal proposito, malgrado non ne avessi
inizialmente l’intenzione, il film parla anche di questo, della lotta per il potere. Gauthier si mette nelle mani di
Serge e si aspetta di essere messo alla prova: è vulnerabile e Serge gioca con la sua aspirazione, ma alla fine lo
vediamo liberarsi da questa dipendenza. È un tema serio, affrontato in modo leggero. D’altra parte, Gauthier
restituisce a Serge la gioia di vivere: Serge passa dalla misantropia dolorosa e vendicativa dell’inizio a un nobile
distacco, finché nel finale sulla spiaggia si riconcilia con se stesso. Insomma, questi due uomini in qualche modo
finiscono per farsi del bene l’un l’altro.
Intervista a Fabrice Luchini (Laura Putti, Repubblica.it)
Citofonare Luchini. E prepararsi al monologo, al fiume in piena. Fabrice Luchini è uno dei più talentuosi attori
della sua generazione. Sessant'anni indossati con energia, figlio di un immigrato di Assisi con bottega di verduraio
nell’allora poverissimo diciottesimo arrondissement – nella foto in bianco e nero incorniciata in salone papà fa
capolino dietro alle sue insalate - Luchini ebbe come primo palcoscenico un negozio di parrucchiere vicino ai
Campi Elisi: lì la madre Hélène lo manda a lavorare quando ha quattordici anni e poca voglia di studiare. Il primo
film lo fa a diciassette anni, poi, proprio per quella declamazione sicura, frequenta i parlatissimi film di Rohmer.
Oggi passa da letture teatrali – un tempo filosofiche, oggi molto letterarie: in gennaio riprenderà Celine – a
Moliére, dal cinema colto a quello più commerciale, sempre di qualità. In "Potiche" di François Ozon è il marito di
Catherine Deneuve; è Giulio Cesare nell’ultimo "Asterix", e il padrone di casa amico delle governanti spagnole in
"Le donne del sesto piano" di Philippe Le Guay. E ancora a Le Guay si deve un piccolo film importante nel quale
Luchini tiene la scena con Lambert Wilson e Maya Sansa. Si intitola "Molière in bicicletta", in Francia è stato un
piccolo fenomeno da più di un milione di spettatori e da noi uscirà giovedì. Nella cucina della sua casa, facendo
un tè e molte altre cose alla volta, l’attore parla del protagonista del film che è, sì, Serge, un attore che vive
oramai come un eremita su un isola, ma allo stesso tempo è anche Alceste, misantropo di Molière, e
probabilmente lui stesso.
Un film sugli attori?
«Che cosa vuole che sia un attore? È un essere pieno di difetti, un vanitoso, un instabile, uno animato da altri.
Fare l’attore è un sintomo di isteria. Qui però parliamo di Molière. Se un attore francese non conosce la difficoltà
di questo repertorio, se non ne conosce profondamente la dizione, la respirazione, l’esecuzione, allora non sarà
mai un attore».
Per questo, quando nel film Gauthier (Lambert Wilson), star della televisione, viene a cercare lei, Serge, sull'isola
e gli propone un grande ritorno in scena nel Misantropo di Molière, il fuoco si riaccende. L'entusiasmo dura poco,
però.
«Serge scopre che Gauthier ha riservato per sé il ruolo di Alceste, il misantropo, e per lui quello di Filinte, l’amico.
E iniziano gli scontri. Ha ragione, non è solo un problema di vanità: Alceste è bellissimo da recitare. Ma non me la
prenderei così. Per anni dopo il '68 i registi francesi lo mettevano in scena come il ribelle, quello che era nel
giusto a detestare il mondo. Falso. Alceste è uno stupido, non capisce nulla della società nella quale vive.
L'intelligenza è quella di Filinte. Louis Jouvet, il più grande interprete di Molière, dice che Alceste è un
personaggio ridicolo e che, nella sua intransigenza egocentrica, dovrebbe fare ridere il pubblico. L'idiozia del
maggio '68 lo trasforma invece in rivoluzionario».
Continuare a dichiararsi di destra in un ambiente, quello francese del teatro, quasi totalmente progressista le
conviene?
«Essere di sinistra richiede tali virtù come la tolleranza ed esige una tale eccellenza, un tale superamento dei
propri piccoli egoismi, che ho sempre trovato il progetto troppo ambizioso».
(...)"Molière in bicicletta” ha anche una storia che la riguarda: si aspettava che sarebbe diventata un film?
«Philippe Le Guay venne a scovarmi nella mia casa sull'Ile de Ré per propormi "Le donne del sesto piano". In quel
momento ripetevo "Il misantropo". Facemmo lunghe passeggiate in bicicletta. Io declamavo, lui ascoltava. Lo so
tutto a memoria, "Il misantropo". Non ho mai pensato che in quel momento stesse nascendo un altro film».
Ad aumentare la tensione tra i due protagonisti si aggiunge il personaggio di Francesca (Maya Sansa), bella
italiana in crisi “insabbiata” sull'isola. La riconosce, signor Luchini, come la volubile Celimene amata da Alceste?
«Risponderò con una frase di Flaubert: “Per le idee poco chiare ho intendimento ottuso”. Non capisco ciò che è
troppo pensato, troppo riflettuto. Capisco invece benissimo il mistero che produce il dialogo tra i due personaggi.
Capisco Molière. Tutto il resto è invenzione del regista e me ne frego»
Recensioni
Francesca Fiorentini. Movieplayer
Misantropo: persona che prova un sentimento di odio, di antipatia, di avversione per il genere umano. Un uomo
che odia gli altri è condannato alla solitudine, all'infelicità, a mutare il delirio di onnipotenza che lo fa credere
migliore degli altri in angoscia. Jean-Baptiste Poquelin, noto al mondo come Molière, uno dei più grandi
commediografi di tutti i tempi, dedicò a questa figura un dramma intitolato appunto Il Misantropo, il cui
protagonista, Alceste, dichiara guerra a tutti, bacchettando l'amico Filinte, pericolosamente attratto dai suoi
simili. "Non fa per me chi ama tutto il genere umano", annuncia al mondo Alceste. Secoli dopo Philippe Le Guay
realizza una vera e propria dichiarazione d'amore verso uno dei suoi attori feticcio, Fabrice Luchini, cucendogli su
misura un film, Molière in bicicletta (...), che ne enfatizza le grandissime doti interpretative, mescolando i temi
cardine del Misantropo con l'attualità e con un'acuta e acre riflessione sulla recitazione. Luchini è Serge, un
attore sul viale del tramonto che ha deciso di abbandonare il cinema, rinchiudendosi in una vecchia villa all'Isola
di Ré. Gauthier, divo del piccolo schermo con un improbabile serial medico, prova a infrangere l'isolamento di
colui che reputa il suo maestro, piombandogli in casa con l'idea di offrirgli la parte di Filinte in un nuovo
allestimento del Misantropo. Serge rifiuta, ma è attratto dall'idea di tornare sul palcoscenico e sa di essere nato
per interpretare Alceste; pian piano la lettura improvvisata di quelle pagine, le lusinghe e le attenzioni di
Gauthier lo spingono a riconsiderare la scelta, concedendosi un periodo di quattro giorni durante i quali studiare
la parte, chiedendo e ottenendo di poter essere anche Alceste. In questo periodo i due attori rinsaldano la
propria amicizia e soprattutto Serge si lascia andare, aprendo il suo cuore al collega, confessandogli tutte le
sofferenze legate alla depressione.(...) Fino a quando un tradimento sentimentale e professionale inatteso non
rimetterà tutto in discussione.
Il film è un piccolo gioiello di recitazione, un'opera bruciante e pessimista che grazie al teatro e alla musicalità dei
versi alessandrini di Molière svela le ipocrisie di certi esseri umani, costringendoli a gettare la maschera o, come
succede al protagonista, ad indossarla definitivamente per smettere di soffrire. Molière in bicicletta è un
cioccolatino ripieno di cianuro, una pellicola scritta con intelligenza che all'inizio avvolge e rassicura,
presentandoci un protagonista disilluso e amareggiato nel suo tentativo di gettarsi alle spalle la vecchia vita, di
forzare tutti i blocchi che si era costruito in anni di depressione, poi tramortisce e spiazza; Serge ci riserva infatti
una sorpresa finale che colpisce per la meticolosità con cui è stata costruita. La bellezza di questa opera è tutta
nella capacità del regista (anche sceneggiatore) di mescolare i due piani della narrazione, quello di Serge e
Gauthier come doppi di Alceste e Filinte e quello di Serge e Gauthier protagonisti della pellicola. In un prezioso
gioco di rimandi e incastri, il teatro confluisce nella vita, diventa una chiave di lettura importante, forse l'unica,
per interpretarne gli aspetti più reconditi, le paure, i sentimenti. Allo stesso tempo la vita si fa spettacolo,
simulacro vuoto e triste, recita mal riuscita. Magistrale Fabrice Luchini nella duplice interpretazione, resa ancor
più credibile dalla presenza di un partner artistico di tutto rispetto come Lambert Wilson; i battibecchi, i reciproci
svelamenti, il modo opposto di concepire l'arte attoriale acquistano una vitalità inaspettata grazie all'alchimia tra
di loro. A Maya Sansa spetta il compito ingrato di fare la "ragazza italiana", e pur avendo un ruolo chiave nello
sviluppo della trama, resta in secondo piano rispetto alla coppia Serge-Gauthier. Il personaggio femminile che
non ti aspetti è a nostro parere la giovane pornostar presentata a Gauthier da una zia molto zelante; quando
legge ad alta voce alcune pagine della commedia ad un divertito Serge, si ha davvero la sensazione che le parole
di Molière appartengano e nobilitino tutti.
Alessandra Levantesi Kezich. La Stampa
Nel delizioso Molière in bicicletta, Philippe Le Guay (...) si rifà a Il misantropo, giocandone il testo fra vita e teatro
nella ventosa cornice fuori stagione della bretone località di Ile de Ré, dove si è ritirato a vivere in solitudine il
talentuoso teatrante Fabrice Luchini.
Quando il collega Lambert Wilson, divo televisivo di successo, viene a proporgli di tornare a recitare nel
Misantropo, alternandosi con lui nelle parti di Alceste e Filinte, il suo interesse è solleticato e i due iniziano
tentativamente a provare. Ma risulta subito chiaro che il malmostoso Luchini è un perfetto Alceste, che il
superficiale Lambert ha l’indole dell’accomodante Filinte; mentre l’entrata in scena di Maya Sansa (...) complica
ulteriormente le cose.
Una regia elegante ed essenziale, due interpreti eccellenti per umorismo e finezza, una commedia che con
leggiadria riafferma la severa morale molieriana: Alceste sarà pure un nevrotico ossessivo nel suo rifiuto estremo
di accettare le regole del viver sociale; e tuttavia, oggi come allora, lo spettacolo «du siècle» è tale che è difficile
dargli torto.
Paolo D'Agostini. La Repubblica
Un bellissimo film, Molière in bicicletta di Philippe Le Guay che già conosciamo soprattutto per la brillante prova
di Le donne del sesto piano già impreziosito dalla presenza di Fabrice Luchini (...). Un film ricco e completo. Che
sa tenere insieme “l’alto” della cultura, della raffinatezza, con il comune delle relazioni e delle emozioni umane.
Con tanti livelli magnificamente tra loro connessi. Luchini ha fornito diretta ispirazione al regista perché è un
misantropo e perché effettivamente ha una residenza nell’Isola di Ré, esclusivo luogo di villeggiatura lungo la
costa atlantica. Il suo e l’altro personaggio, quello affidato a Lambert Wilson, incarnano e rispecchiano
rispettivamente i ruoli e i lineamenti di Alceste e di Philinte della commedia di Molière. La prospettiva che il
regista assume verso di loro non è neutra, perché egli – dichiarando di rivivere nella dinamica del film la stessa
dialettica che nella vita lo lega e lo pone in conflitto con Luchini – si pone evidentemente accanto all’antagonista.
Un insieme che si risolve in una gran riflessione, leggera e dotata di spessore al tempo stesso, sull’arte della
rappresentazione come specchio del vivere e degli esseri umani.
Gauthier Valence (Wilson) ha una solida formazione ma è diventato ricco e famoso per una popolare telenovela
dove interpreta un medico. E’ consapevole di sé, della fortuna senza qualità, ma ha conservato freschezza,
curiosità, ambizione di mettersi alla prova. Va a cercare lo stimato collega Serge Tanneur che si è ritirato dalle
scene e in uno sdegnato isolamento. Per proporgli un allestimento del Misantropo. Dopo essersi fatto molto
pregare, aver posto condizioni, e aver accettato di scambiarsi ogni sera i ruoli di Philinte e di Alceste (cui non ha
intenzione di rinunciare, così come non rinuncia a ostentare superiorità verso l’amico), Serge accorda su una
settimana di convivenza e di prove. Settimana che esplorerà ogni angolo dei rispettivi modi di essere e di
concepire la vita.
Il rigore di Serge è intriso di egoismo, di invidia, di meschinità. Il suo culto della verità assoluta (suo come di
Alceste) si scontra con l’indulgenza, la tolleranza, i dubbi, l’incoerenza, la vitalità imperfetta di Gauthier, che però
è una persona migliore di lui e molto meno narcisista. Non finisce bene ma finisce che comunque ciascuno dei
due ha dato qualcosa all’altro. La delusione rende Gauthier più sicuro di sé, mentre dalla lezione Serge avrà
recuperato un po’ di senso della relatività, di fiducia e rispetto e per gli altri, di piacere di vivere.
Gianluca Arnone. Cinematografo.it
Riscontro dovunque solo vili lusinghe, ingiustizia, interesse, scaltrezza, tradimento; non posso contenermi, mi
adiro, e mi propongo di mandare all'inferno tutto il genere umano.
Ci voleva Molière per finire la commedia. Ed era necessaria la commedia, mestiere che al momento i francesi
fanno meglio di ogni altro, per spegnerci il sorriso, quello peggiore, accomodante con le miserie umane. E allora
due volte grazie a Molière in bicicletta, la commedia che cita la grande mentre finge di inseguire la piccola per poi
prenderla a calci. Il film di Philippe Le Guay (Le donne del 6° piano) è deliziosamente sconcertante. Ci punge: fino
a che punto è lecito ridere di se stessi se vediamo ciò che siamo? Quando lo sberleffo finisce di essere catartico e
inizia a diventare compiacente? E' in fondo la questione che la grande satira settecentesca poneva ai suoi ipocriti
contemporanei e che oggi, mutatis mutandis, sferza cinici e complici della nostra miserabile specie. Moralista?
Elitista? Borghese? Sono ammesse tutte le etichette, a patto di non farne scudi di risentimento e di non tirarsi
fuori: chi può dire di non essere manigoldo oggi, denuncia Il misantropo di Molière?
L'ossessione per l’opera costerà cara a Gauthier Valence (Lambert Wilson), star del grande e piccolo schermo
(nonostante il talento, deve la sua fama e le sue ricchezze a una penosa fiction televisiva), di passaggio a Ile de Ré
per convincere l'eremita Serge (Fabrice Luchini), a tornare sulle scene. Gli vorrebbe affidare la parte di Filinte,
l'uomo capace di tollerare i comportamenti dei suoi simili: "Un rassegnato, il vero pessimista della piéce", lo
definisce Serge. Che da par suo non ne vuole sapere. Rintanatosi in una vecchia casetta avuta in eredità, ha
chiuso col teatro, con gli attori e con gli uomini per via di una cocente, passata, delusione.
E poi, se dovesse scegliere, farebbe Alceste, il misantropo, "il vero ottimista della commedia". Si danno tempo.
Quattro giorni di prove, per provarsi e provare di essere meglio l'uno dell'altro. I dialoghi rimpallano, da Molière
ai rapporti umani, dai personaggi ai loro interpreti (uno puro e intransigente, l'altro più votato al compromesso).
Emergono pian piano rancori, slanci, animosità e bassezze, materiale umano che si stacca dalla pagina e affonda
impietoso nei vissuti, in un magnifico, amarissimo, duetto di finzione e verità, teatro e vita.
La sceneggiatura (di Le Guay e Luchini) è musica, ma senza questi due splendidi attori (affiancati per un tratto di
strada dalla nostra Maya Sansa) sarebbe muta.
Le nubi si diradano, qualcuno ritrova il sorriso, la fiducia, l'amore, il film si apre (la bicicletta, o dell'uomo in
movimento), l'arte guarisce. Ma l'arte non mente. Diffidate allora di canzonette (...), demagogiche stoccate cultura alta vs. cultura bassa, vecchie e nuove generazioni - e gag facili facili. Il film lusinga, il film inganna, l'arte
no.
Questo Molière avvinghia il suo pubblico come un amante. Ma quello del Misantropo resta un serpente. Un
morso vi sarà fatale.
Valerio Caprara. Il Mattino
Se un film modesto come “Blue Jasmine” passerà alla storia per la superprotagonista Cate Blanchett, un altro –
molto migliore, ma di nicchia - lo farà grazie a Fabrice Luchini. “Molière in bicicletta” è una minimale quanto
perfetta trappola drammaturgica che intarsia in punta di cinepresa le scaramucce da applausi a scena aperta tra
due attori impegnati a mettere (forse) in scena una versione del classico “Il misantropo”. Serge, interpretato con
evidenti citazioni autobiografiche dall’incomparabile Luchini, ha abbandonato le scene e si è ritirato nel buen
retiro dell’atlantica e spigolosa Ile de Ré; Gauthier (un Wilson all’altezza), divo tv col complesso d’inferiorità nei
confronti dei big del teatro, è andato a trovarlo per coinvolgerlo in un allestimento che potrebbe valorizzarlo. Le
prove, turbate dall’intrusione di una misteriosa donna italiana e di una ragazzotta locale decisa a farsi strada nel
porno, si trasformano in uno scintillante crepitio di virtuosismi verbali e mimici, vanità e opportunismi, gelosie e
dispetti a cui i versi alessandrini di Molière conferiscono un ulteriore, bizzarro e godibilissimo straniamento. (...)
Alberto Crespi. L'Unità
(...). Andate a vedere Molière in bicicletta, è un ottimo film. E quando uscirete dalla sala, pensateci: questo film in
Francia ha totalizzato a tutt'oggi, secondo i dati del sito www.allocine.fr, 1.146.648 spettatori. Oltralpe, Molière
non tira come Checco Zalone, ma quasi. Speriamo per la Teodora - che lo distribuisce, dopo l'ottima accoglienza
al Torino Film Festival - che anche i dati italiani siano simili, ma ci permettiamo di dubitare. La trama è molto
semplice: Gauthier (Lambert Wilson) è un attore di successo che un giorno si reca all'Ile de Re, sull'Atlantico, per
ritrovare Serge (Fabrice Luchini), un collega di grande talento da tempo ritiratosi dalle scene. Vuole convincerlo a
tornare al teatro, in una messinscena del Misantropo che per lui, idolatrato dal pubblico grazie a una soap tv di
dubbia qualità, sarebbe un «riscatto» artistico. Ma Serge è un osso duro, un vero misantropo inacidito. Per
blandirlo, Gauthier gli offre di alternarsi con lui nei ruoli di Alceste (...) e Filinte (...). I due iniziano le prove, lì in
casa, e intanto frequentano l'isola facendo la conoscenza di Francesca, una bella italiana divorziata che si inserirà
fra di loro facendo esplodere vecchie gelosie artistiche ed esistenziali. Le prove tracimano nella vita, Molière
diventa lo specchio delle personalità di Gauthier e Serge: si era capito da subito che nessuno dei due è un santo,
ma l'arrivo di Francesca porta allo scoperto la fragilità e la presunzione di entrambi. Il finale (da non raccontare) è
molto amaro: Molière andrà in scena, ma sarà interessante scoprire con chi, e a quale prezzo. Molière in
bicicletta è un feroce ritratto della debolezza maschile e un acuto saggio sul mestiere di attore. Ovviamente tutto
crollerebbe senza Luchini e Wilson, bravissimi sia quando leggono Il misantropo in versi (anche fingendo di
sbagliare) sia quando mettono in scena se stessi. Maya Sansa regge benissimo il gioco. Da vedere in francese, se
possibile.
Fabio Ferzetti. Il Messaggero
Se anziché in bici i protagonisti andassero a cavallo, 'Molière in bicicletta' potrebbe essere un western, con i due
eroi che si contendono i favori della bella del posto dando il meglio e soprattutto il peggio di sé. Ma il film di Le
Guay, già regista di 'Le donne del 6° piano' e di un'altra piccola gemma come 'Il costo della vita' (entrambi con
Luchini), non è un western. È una commedia amara quanto sottile (e di clamoroso successo in patria) che usa il
'Misantropo' di Molière per tuffarci in quel groviglio di sentimenti e risentimenti, rimossi o taciuti, che
chiamiamo carattere e che spesso avvelena le nostre vite, oggi come ai tempi di Molière. E lo fa contrapponendo
due figure opposte in tutto. Luchini è il grande attore che, stufo di calcoli, fatuità e ipocrisie, si è autoesiliato
nell'Ile de Ré, in Bretagna. Wilson il divo che tutti fermano per strada, forse di minor talento ma di sicuro fascino
e grande successo (fa il neurochirurgo miracoloso in una serie tv, figuriamoci). (...) Un soggetto simile, nato quasi
per caso dall'incontro fra Le Guay e Luchini, che ha eletto davvero l'Ile de Ré a buen retiro, poteva scivolare nella
commedia di costume un po' facile. Magari giocando, brillantemente, sul contrasto fra i caratteri. Le Guay e i suoi
eccellenti attori schivano il pericolo andando fino in fondo. Cioè affidandosi al testo di Molière, che con i suoi
versi integra e commenta alla perfezione quanto accade. E non negandosi un pizzico di indispensabile crudeltà.
C'è più coerenza, coraggio e nobiltà nella rinuncia (un po' gretta) di Luchini o nella consapevolezza (non priva di
compiacimenti e opportunismo) di Wilson? Non saremo nel West, ma anche i versi possono ferire, e i personaggi
fanno (e si fanno) male sul serio. Urge remake italiano con Moretti nei panni di Luchini. Anche se in fondo, a suo
modo, lo ha già fatto: era 'La messa è finita'.
Federico Pontiggia. Il Fatto Quotidiano
'Il misantropo' di Molière e 'II mondo' di Jimmy Fontana nello stesso film, possibile? Sì, gira il mondo, gira, solo
che in Italia gira meno, gira male: gli amati/odiati cugini francesi ci bagnano il naso, ancor più quando si parla di
commedia. 'Molière in bicicletta' ci toglie pure il fazzoletto: una commedia umana, filologicamente devota al
Misantropo, intimamente credente che un classico parli per sempre. Appunto, come farlo parlare 350 anni più
tardi? I versi, alessandrini, ci sono ancora, i cinque atti scanditi al metronomo, eppure, qualcosa cambia.
Giocando seri tra persona e personaggio, vita e recitazione, copione ed emozione, il regista e sceneggiatore
Philippe Le Guay, l'attore e soggettista Fabrice Luchini prestano fede al titolo che si sono scelti: hanno voluto la
bicicletta e adesso pedalano, bruciando, spiace dirlo, i nostrani 'non vorrei e non posso'. Parentesi, ma per non
staccare il cervello attaccando la spina all'albero di Natale dobbiamo necessariamente ritrovarci esterofili al
cinema delle Feste? (...). 'Ça va sans dire', 'Molière' è commedia pensante, che sui sorrisi non lesina, ma la
sguaiatezza, quella no: per frizzi e rutti non c'è Schengen che tenga, in questo caso. E poi, che attori! Se per
Luchini 'Il misantropo' è una magnifica e decennale ossessione, il passo a due con il parimenti strepitoso Lambert
Wilson dà carne, voce e verità alla carta ingiallita dai secoli, per recitare a soggetto le nostre invidie, vendette,
furbizie e ipocrisie, masticare amaro e sputtanare il buonismo. Dopo 'Le donne del 6° piano', Le Guay sceglie due
uomini a piano terra, in una casa malmessa nell'Ile de Ré. (...) Per chi non conosca 'Il misantropo' il colpo arriva
sui denti, per chi ne abbia contezza arriva due volte. Insieme a un mai stracco interrogativo: quanto possiamo
ridere delle nostre miserie? Quanto deridere le nostre stesse meschinità? Soprattutto, si può avere insieme una
parte e un pubblico, una vita retta e una sociale? Serge e Gauthier ci fanno scuotere la testa: rimanere senza
parole o senza nessuno, voi che preferite? Comunque, vi attende Montale: 'E andando nel sole che abbaglia /
sentire con triste meraviglia / com'è tutta la vita e il suo travaglio.